2011 – Cordillera de la Sal

 

SCOPERTA LA GROTTA PIÙ PROFONDA DEL MONDO NEL SALE.

Cile – Deserto di Atacama – Cordillera de la Sal 20 novembre – 7 dicembre 2011
La Commissione grotte Eugenio Boegan della Società Alpina delle Giulie, CAI Trieste ha completato la sesta spedizione in Atacama (prima 2000, quinta 2010).
Sono state esplorate e rilevate le due grotte più profonde del mondo nel sale. La cueva Arco de la Paciencia, esplorata nel 2010 per poco più di un chilometro, supera i 150 metri di profondità con uno sviluppo planimetrico di quasi 2 chilometri, risultando così la più lunga e profonda grotta del Cile in assoluto e la più profonda nel mondo nel sale. La cueva Vicuna Seca, di poco più piccola, si pone al secondo posto per profondità e sviluppo (- 125 metri, 1200 lunghezza) uguagliando la più grande grotta del monte Sedom, presso il mar Morto, in Israele..
Gli ingressi alti delle due cavità sono stati individuati grazie a “Google Earth”, che rappresenta la zona con una altissima definizione, probabilmente grazie al “progetto Marte” della NASA, l’agenzia spaziale statunitense, che ha individuato nel Salar di Atacama l’ambiente più simile a quello del pianeta rosso e si propone di scoprire gli ingressi di eventuali cavità carsiche rilevando da satellite le differenze di temperatura che le correnti d’aria sotterranea determinano sboccando all’aperto. Infatti la temperatura all’interno delle grotte della Cordillera de la Sal varia tra 14 e 17 gradi mentre all’esterno essa passa da 65 gradi celsius a 5 dal giorno alla notte, in questo periodo dell’anno. Condizioni che si suppone abbastanza simili a quelle di certe zone di Marte.
Tutti i dati raccolti nei vari anni li abbiamo passati alla “Reserva Nacional los flamencos” di San Pedro de Atacama che gestisce il parco dove si trovano le grotte e ci fornisce assistenza in loco. In particolare conoscono i nostri obiettivi e verificano i nostri rientri a San Pedro dalle esplorazioni che, mai come quest’anno, sono avvenute in luoghi lontanissimi da qualsiasi presenza umana, su terreni mai calpestati dall’uomo. Anche un semplice guasto del fuoristrada potrebbe risultare fatale a più di 50 km in linea d’aria dalla più vicina strada frequentata, su di un terreno che, al suolo, raggiunge i 65 gradi di temperatura.
Problemi incontrati: l’unica carta di credito in nostro possesso, una VISA di UNICREDIT, non funzionava, come pure l’assistenza telefonica  che continuava ad affermare che per loro era tutto a posto, ma così non era e abbiamo perso tre giorni a fare la spola tra San Pedro e l’aereoporto di Calama per tentare di noleggiare un fuoristrada da una delle varie compagnie di autonoleggio, senza successo. Alla fine siamo riusciti a racimolare con i bancomat i pesos necessari per procurarci un veicolo.
Commenti dei protagonisti:

  •  (Marco Sticotti): “Mi si sono fuse le suole delle scarpe, dovrò comperare un nuovo paio di pedule”.
  • (Massimo Baxa): “Queste grotte sono un paradiso. 17 gradi e non si suda neanche correndo perchè non c’è umidità. Basta ricordarsi di bere”.
  • (Elio Padovan): “Sei volte che vengo qua e va sempre meglio. Dopo la scoperta dei vasi Inca nel 2007 ora le grotte più profonde del mondo nel sale. Non vedo l’ora di ritornare il prossimo anno, magari con una nuova carta di credito”.

                                                                                                     E.Padovan

MALEDETTA SICUREZZA, “BIP”, “BIP BIP”

(foto M. Baxa) Giochi di sale

La biondina della Hertz mi sorride com­prensiva. Grande e piccolo conforto.
Sono tre giorni che mi sobbarco avanti e indietro i 130 chilometri che separano San Pedro de Atacama dall’aereoporto di Calama, dove ci sono gli autonoleggi, nel tentativo di affittare un fuoristrada. La carta di credito Visa di Unicredit, la mia banca, non funziona, bloccata al primo tentativo di utilizzo da parte di Europcar, presso cui avevo riservato su internet un veicolo utilizzando la medesima carta, per “motivi di sicurezza”, come segnalatomi via sms dalla banca stessa, unitamente al numero telefonico da chiamare per lo sblocco. Dopo tre giorni di sblocchi, assicurazioni che tutto era a posto, chiamate alle 4 e 5 del mattino da parte della mia agenzia di Trieste della banca e 200 euro di ricariche del telefonino, la carta viene ancora rifiutata da tutte le società di autonoleggio dell’aereoporto.
E sì che tutti gli agenti degli autonoleggi si erano adoperati volenterosamente per aiutarmi, facendomi telefonare a loro spese quando il cellulare era scarico e richiedendo una soluzione ai loro superiori, ma sempre invano. Senza una carta di credito non riescono a stipulare un contratto. Gioie e delizie dell’informatica. Nel frattempo, Massimo Baxa, Marco Sticotti ed io avevamo prelevato dai bancomat tutti i soldi che potevamo, più di quanto richiestoci per la caparra, ma niente da fare. Un giorno lo abbiamo già perso a Madrid, per un ritardo del volo da Venezia e qui si profila un disastro. Senza macchina non possiamo fare niente. Un “simpatizzante”, di nascosto e con fare cospiratorio, mi suggerisce di cercare “Miguel” a Calama, forse lui accetta i soldi.
Per fortu­na è così e finalmente ritorno a San Pedro trionfante, su di un pick up senza la doppia trazione ma ben alto. Unico particolare un po’ inquietante è l’accensione che, per motivi di “sicurezza”, richiede un rito un po’ diabolico. Si deve inserire la chiave, attendere un “bip”, estrarre la chiave, passare il portachiavi vicino ad un punto particolare del cruscotto finchè si sentono due “bip” in rapida successione e quindi reinserire la chiave e accendere. I “bip” devono essere rigorosamente “bip”, “bip bip”, nè più nè meno, altrimenti non funziona. Finalmente euforia, dopo quattro giorni alluci­nanti. La sera brindiamo con Robero Ive che accompagna un gruppo di friulani, bisiachi e una triestina, molto ridanciani, sui vulcani dei dintorni. Domani andranno in Bolivia e ci rive­dremo tra cinque giorni.

Finalmente all’opera.

Sui verticali all'”Arco della Paciencia” (foto M. Baxa)

Col pick up, leggermente più molleggiato dei 4×4 che usavo di solito, si viaggia meglio e più veloci sulla pista e sul fuoripista che conduce all'”Arco de la Paciencia”, la prima grotta che vogliamo affrontare a sessanta chilometri da San Pedro. I nostri ripetuti passaggi dello scorso anno hanno levigato un po’ il terreno ed ora ci mettiamo molto meno delle tre ore che impiegavamo all’inizio. Massimo e Marco fremono dalla voglia di entrare in azione. L’am­biente è meraviglioso. Controllo che abbiano i GPS a posto e con il waypoint dell’ingresso alto della grotta che devono raggiungere e li accompagno nel punto in cui la parete da risalire sembra più abbordabile, quindi ritorno all’ingresso dell’Arco, da dove dovrebbero uscire se tutto va bene ed è il punto di ritrovo per il ritorno a San Pedro. Faccio dei giretti a cercar grotte, prendo delle temperature dentro all’Arco, rilevo il verso e l’intensità della corrente d’aria, faccio merenda, leggo un libro e aspetto. Non mi piace aspettare. Mi vengono sempre brutti pensieri. Massimo e Marco sono sicuramente gli speleologi più forti, allenati e, soprattutto, giovani, che mi abbiano accompagnato nelle sei spedizioni ad Atacama, ma questo non mi giova.
Per me filare una sagola all’imbocco di un sifone è sempre un’esperienza terribile. Tanto mi sembra semplice e sicuro quello che faccio io, quanto mi sembra complesso e pericoloso quello che vedo fare agli altri. Se poi non li vedo, ma ci penso, è ancora peggio. Anche in roccia avevo sempre difficoltà ad andare da secondo, anche con compagni formidabili. Passa il tempo e arriva il buio. Non c’è la luna, non si vede una banana. Allontano il pick up dal fianco della montagna e l’oriento in modo che possano vedere i fari dall’alto, se stanno ritornando sui loro passi. Finalmente vedo una lucetta nel buio, non molto al di sotto della cresta.
Torniamo a San Pedro. Per fortuna qui si mangia a qualsiasi ora. Marco e Massimo bofonchiano di grotte, meandri, quebrade, che non avrebbero dovuto esserci dove dovevano andare. “Sai figo”. Mi danno le coordinate del punto più lontano raggiunto e in albergo verifico su Google Earth. Hanno mancato l’obiettivo di oltre mezzo chilometro in linea d’aria. Scopro che non sanno usare il GPS. Per lo meno il “go to”. È inutile avere due GPS ne non si sa usarne uno. Anni fa, ospite su di una barca a vela con due skipper proprietari, gettai un parangal con 200 ami di fronte a Duino. Fabio Kovacich e Valentino Muller, i due comandanti, decisero di fare alcuni bordi nell’attesa. Obiettai che avremmo avuto diffi­coltà a ritrovare i galleggianti ma dissero che la barca aveva il GPS. Giunta l’ora della levata chiesi di ritornare al parangal. Mi indicarono il GPS. Nessuno aveva fatto il punto. Pensavano facesse tutto la barca, interpretando il loro pensiero. Non sapevano usarlo. Poi litigarono fra di loro. Neanche due skipper vanno bene se… Comunque mona mi.
Corsetto di lettura GPS e nuovo tentativo all’ingresso alto dell’Arco. Non posso accom­pagnarli perchè sono passati solo sei mesi da quando mi hanno impiantato la seconda protesi all’anca e mi muovo come un rottame. Li rallenterei troppo. Devo tenermi occupato nell’attesa e vado con il pick up in una zona ad una decina di chilometri di distanza a sca­vare in una risorgiva d’aria e a cercare altre grotte. Lo scavo, con una piccozza, risulta subito impossibile. Sotto pochi centimetri di sabbia c’è subito la roccia. Trovo però una grotta con aria, già intravista lo scorso anno, ma dimenticata. È singolarmente abitata da recenti carogne. Un uccello, tipo tortora e un cane che devono aver ricercato un po’ di fresco prima di morire. Passi per l’uccello ma, come e perchè, un cane sia giunto in un posto senza un filo d’erba a 60 chilometri dal corso d’acqua più vicino, è un bel mistero. Non mi va di strisciare sopra al cane con alcune costole che biancheggiano tra la pelle e un profumo poco piacevole. L’esplorazione la tengo buona per i nostri eroi, se si perdono di nuovo. Il pick up non parte. Fa “bip”, “bip”, “bip” e non “bip”, “bip bip”. Pulisco un po’ la polvere e lavo il sensore. Finalmente va.
Alle 7 di sera sono all’Arco. Fra un’ora fa buio. Attesa accettabile. Scende la notte. Luci in parete non se ne vedono. Ive è in Bolivia, nessuno sa dove siamo. Per la fre­nesia di muoverci, dopo il tempo perso per i contrattempi narrati, non siamo ancora andati al CONAF a notificare la nostra presenza, come avremmo dovuto fare. Le grotte qui, in genere, sono molto facili da esplorare quin­di, o sono molto lenti perchè fanno riprese, foto, ecc., oppure è successo qualcosa. Ma hanno l’orologio e sanno che li aspetto, non possono sballare tanto i tempi. Deve essere successo qualcosa. Si saranno persi di nuovo.

Quattordici ore

Rari pozzi nel sale (foto M. Baxa)

“Quattordici ore mi occorsero una qua­rantina di anni fa per partire dalla sede della Commissione in piazza Unità, prendere lo zaino e la macchina di mio papà a Monteradio, prelevare Nemecek in via Paisiello, andare a Sella Nevea, salire a piedi al Gortani e scendere al campo nella galleria della circonval­lazione a meno seicento, dove Tullio Ferluga e compagnia non sapevano che Marietto si era fatto male in un’altra parte della grotta. Il telefono funzionava solo dal campo dell’Aragonite, dove operava la squadra di Marietto, all’esterno, dove c’erano Gipo o Claudio Privileggi e così sapemmo dell’incidente prima in sede che non l’altra squadra in grotta. Due giorni dopo, tirato fuori Marietto, vicino a Palmanova, mi addormentai alla guida e distrussi l’Alfa Romeo GT Junior, ancora in rodaggio, di mio papà”.

Divago, ma così almeno passa il tempo.

“Cosa dirò a Romana?”

“Cavia non ha figli. Gino si berrà una birra alla sua memoria”.

È troppo. Devo ritornare a San Pedro, allertare Spartaco, Luis e Mario Privileggi, che preparino una squadra da mandare a San Pedro, tanto in business si trova sempre posto e ritornare di primo mattino con qualcuno del CONAF, o chi trovo, per andare a cercarli.

Trasporto il bottiglione da 20 litri d’acqua, i viveri e un materassino al punto di incontro all’ingresso dell’Arco, lascio un biglietto con le mie intenzioni e torno alla macchina. “Bip”, “bip”, “bip”… “jebenti!!!…”. Pulisco, lavo,… “bip”, “bip”, “bip”… !!! Devo andare subito a piedi, fare più strada possibile finchè fa buio. Non c’è un solo posto ombroso in tutti i 50 chilometri che mi separano dalla più vicina pista trafficata, quella della Valle della Luna e sono nel deserto più arido della terra. Ho solo 3 litri d’acqua. Troppo pochi. Non posso portarmi il bottiglione da 20 litri. Ma posso fare, malandato come sono, 50 chilometri a piedi? Almeno 20 sotto il sole e con poca acqua? Non c’à alternativa. Devo andare, il prima possibile, per non perdere preziose ore di buio.

Scrivo un biglietto con le mie intenzioni modificate e lo porto al punto di incontro. Torno alla macchina per prendere lo zaino e faccio un ultimo tentativo di avviarla. “Bip”, “bip bip”, si accende!!! Sono salvo!!! Io alme­no, ma non è poco. Lascio il motore acceso, prendo il mio duvet per lasciarlo ai ragazzi (di notte fa freddo), poichè non mi servirà in macchina e torno al punto di incontro anche per modificare il messaggio. Mi affretto, per paura che la macchina si spenga, quando mi par di sentire un fievole “dio bel”. Mi fermo, è così. Torno indietro e li vedo uscire dall’Arco de la Paciencia, la più profonda grotta del mondo nel sale.

Il seguito della spedizione, bellissimo, si confonde… nel pisco.

                                                                                                          Elio Padovan

IL RILIEVO SPEDITIVO DELLA “ARCO PACIENCIA”

Immagini dalla valle della Luna

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RILIEVI DI ALTRE GROTTE ESPLORATE NELLA SPEDIZIONE