ESPLORAZIONE DELLA GALLERIA TERMINALE

Pubblicato sul n. 25 di PROGRESSIONE – Anno 1991
Introduzione
La storia di Trieste è stata da sempre caratterizzata da uno strano rapporto con l’elemento acqua.
Questo è dovuto in gran parte all’ubicazione stessa della città, chiusa da una parte dal golfo e, alle spalle, dai colli subito ridossati all’altipiano carsico. L’unico fiume che passa nelle zone circostanti è il famoso Timavo, che scorre prima in superficie ma, avvicinandosi alla città, s’inabissa per riemergere dalla parte opposta, a pochi chilometri dal mare.
E’ facilmente intuibile, quindi, come la ricerca di sorgenti e fonti d’acqua per l’approvvigionamento del centro urbano sia stato un problema che ha compagnato l’evolversi dell’insediamento abitativo in tutte le varie epoche.
Con l’espansione commerciale di Trieste iniziata nella seconda metà del 1700, notevoli sono stati gli sforzi per tentare di risolvere l’affannosa, quasi leggendaria, ricerca dell’acqua carsica di profondità da parte di quei pionieri che posero così le basi della disciplina speleologica, che qui ebbe origine.
E’ proprio in questo periodo che, visto l’interesse destato da ogni discorso legato all’acqua ed alla sua ricerca, alcuni storici cominciarono a trattare di quelle strutture antiche e dimenticate che erano state gli acquedotti romani dell’antica Tergeste (quelli di San Giovanni, delle Settefontane e di Bagnoli).
Per essere precisi uno fra i primi a scrivere di acquedotti romani fu padre lreneo della Croce che, nel suo libro “Historia antica e moderna, sacra e profana della Città di Trieste” (1698) descrisse vari ritrovamenti e le sue ipotesi su detti manufatti; poi, con l’inizio del 1800, tutta una schiera di studiosi ritornerà sull’argomento, pubblicando supposizioni e descrizioni, spesso semplicemente copiate dai precedenti lavori.
Si può quindi immaginare l’interesse suscitato dal ritrovamento di un ramo agibile di queste gallerie all’interno del centro abitato, passaggio già intravisto in precedenza (1760), ma solo ora esplorato dall’Ufficio Tecnico Comunale.
Questa “galleria d’acqua”, come venne definita dai tecnici comunali (Vedi a proposito il disegno “Situation Plan Der Romischer Wasser Gallerie” (1805), Archivio di Stato di Trieste, I.R. Direzione delle Fabbriche, Archivio Piani, busta 368), fu percorsa fin dove possibile e venne accertato che si trattava della parte terminale dell’acquedotto romano di Bagnali, che un tempo portava l’acqua del Torrente Rosandra dall’omonima valle all’antica Tergeste.
Si susseguirono quindi varie visite ed indagini, vista anche l’ipotesi di un restauro e riuso del manufatto, ma in seguito, con l’accantonamento del progetto, l’interesse venne meno e questa importante testimonianza della tecnica e dell’ingegno dei nostri avi venne quasi completamente dimenticata.
Fu proprio per riscoprire quest’importante vestigia e per verificare il suo stato di conservazione che, sfruttando l’occasionale rinvenimento di un pozzetto d’ispezione venuto alla luce all’interno di un cantiere edile la Sezione di Speleologia Urbana della Società Adriatica di Speleologia ha ripercorso la galleria terminale dell’Acquedotto romano di Bagnoli.
L’esplorazione
La nostra visita al cunicolo romano è stata effettuata grazie alla collaborazione del responsabile di un cantiere edile aperto in via della Valle n. 8.
E’ interessante rilevare come il toponimo della strada adiacente a quella dell’ingresso, via della Galleria, ricordi il lontano rinvenimento del cunicolo alla fine del 1700.
Nel cantiere si stavano completando i lavori di restauro di un vecchio stabile e, sollevando il pavimento del salone situato al pianterreno, è venuto alla luce uno stretto pozzetto d’ispezione.
Dopo esserci preparati con le dovute attrezzature, ci siamo calati per circa 4 metri in questo passaggio verticale di costruzione relativamente recente e con le pareti in mattoni, per giungere fino al pavimento della galleria sottostante. La prima sorpresa è stata quella di ritrovare il fondo del cunicolo completamente allegato da un corso d’acqua ed interessato da un ingente deposito di fanghiglia.
Abbiamo cominciato quindi a percorrere ramo della galleria verso valle.
Il passaggio si presenta a sezione rettangolare, con le pareti costituite da pietre squadrate di arenaria ed il soffitto formato da grandi lastre orizzontali, sempre di arenaria. Solo in quattro brevi tratti, il soffitto è formato da una volta ad arco in mattoni. L’altezza varia da un minimo di 1,1 m ad un massimo di 3 m, mentre la larghezza rimane abbastanza costante (da 60 a 90 cm).
La galleria si dirige, in leggera discesa, verso il mare ed originariamente doveva raggiungere, come scritto nelle vecchie relazioni, un fontanone ora non più rintracciabile.
La nostra esplorazione è proseguita per circa 150 m, fino alla base di un altro pozzetto di ispezione, in corrispondenza di un abbassamento della volta dove i depositi e l’acqua hanno precluso ulteriori avanzamenti.
Da segnalare la presenza di stretti cunicoli laterali che si dipartono dal passaggio principale e che si presentano completamente ostruiti da detriti.
La galleria verso monte è risultata subito di più difficile esplorazione. Infatti un ammasso di detriti ha formato una specie di diga ed il livello dell’acqua lascia libero un passaggio di circa 40 cm. Superato con difficoltà questo punto basso, il soffitto si alza nuovamente e la progressione, pur effettuata con tecnica di opposizione fra le due pareti viscide, è potuta proseguire più speditamente.
Dopo una ventina di metri abbiamo però dovuto arrestarci in quanto, in corrispondenza di un altro abbassamento della volta, il livello dell’acqua risultava tale da occludere quasi completamente il passaggio.
Abbiamo dovuto quindi ritornare sui nostri passi, scattando fotografie e completando i rilevamenti.
E’ stato interessante verificare come i dati raccolti durante la nostra visita corrispondano perfettamente ai rilevamenti eseguiti nei primi anni del 1800; unica differenza l’abbondante infiltrazione di acqua e fanghiglia che ha bloccato l’avanzamento, lasciando inesplorati circa 50 m di ulteriori gallerie.
Conclusioni
La città di Trieste non è certo ricca di cavità artificiali come altri centri italiani, ma con una ricerca approfondita nei vari archivi, con un’attenta analisi della bibliografia esistente ed attraverso meticolose verifiche dirette, è possibile giungere anche qui a scoperte interessanti ed inaspettate.
Oramai vari gruppi della regione partecipano alla ricerca ed alla catalogazione di questo ricco patrimonio che non deve essere relegato a strana testimonianza del passato, ma deve essere invece riscoperto e valorizzato, specialmente in quell’ottica di recupero, ripristino e fruizione dei centri storici, ora tanto d’attualità.
La galleria è stata inserita nel Catasto delle cavità Artificiali con il numero CA 9 FVG-TS.
BIBLIOGRAFIA:
IRENEO DELLA CROCE – Historia antica e moderna, sacra e profana della Città di Trieste – Venezia, 1698.
GENERINI E. – Trieste antica e moderna – Trieste 1884.
DE FAROLE E – Gli acquedotti romani di Trieste con particolare riguardo all’acquedotto di Bagnoli – in Atti e Memorie della Società Istriana di Storia Patria, Vol. XIII, nuova serie, (LXV della raccolta), 1965.
Paolo Guglia