UN SISTEMA PER OPERARE IN AMBIENTI CALDO – UMIDI
Pubblicato sul n. 56 di PROGRESSIONE – Anno 2009

Oltre che di stufe di S. Calogero, oggi si comincia parlare di nuove esplorazioni speleologiche in ambienti con temperature superiori a quella corporea e con umidità al 100%; penso ormai sia opportuno mettere in chiaro quali sono le reali difficoltà, che in tal caso devono essere superate e di quali possono essere gli accorgimenti per affrontarle.
Mi scuso se, per chiarezza, ritengo opportuno ricordare qui alcuni elementari principi di fisica dei gas e di fisiologia (scusandomi per eventuali inesattezze).
Premessa
– Umidità dell’aria: si misura in assoluta, cioè la quantità d’acqua allo stato gassoso (vapore acqueo) contenuta in un determinato volume di aria; questa varia in funzione della pressione e della temperatura; si misura pure in relativa, cioè il rapporto percentuale che, nelle medesime condizioni di temperatura e pressione, intercorre tra la quantità di vapore presente e quella massima che lo stesso volume d’aria potrebbe contenere, ovviamente senza considerare la presenza di condensa (nebbia). Nel nostro caso le due coincidono quasi col valore del 100%.
L’acqua allo stato liquido riesce passare nell’aria sotto forma di vapore solamente quando in questa l’umidità relativa sia inferiore al 100%.
E’ opportuno pure ricordare la legge di Avogadro: in un determinato volume di gas, a parità di temperatura e pressione, il numero delle molecole è sempre eguale). Questo principio rende evidente come, con umidità prossima al 100%, la quantità di molecole di ossigeno presenti venga ridotta dalla notevole quantità di quelle di vapore acqueo.
– Regolazione della temperatura corporea: l’organismo si difende da un eccessivo aumento del calore corporeo, sia esso dovuto a consumo energetico per sforzi che per un elevato calore ambientale o per radiazione nell’ambiente, emettendo sudore che evaporando dalla pelle contribuisce ad abbassarne la temperatura (termoregolazione cutanea), come pure per irradiazione con la respirazione.
Nel nostro caso, con umidità verso il 100% e temperatura superiore a quella corporea, tale processo diviene impossibile in quanto manca il necessario sbalzo tra le umidità e le temperature; di conseguenza l’organismo non è più in grado di smaltire il calore provocato dal lavoro, di solito faticoso, che sta svolgendo. Di conseguenza la temperatura corporea comincia ad aumentare, la sudorazione diviene più profusa causando una notevole perdita di sali minerali, cosa che incide non poco su molti processi fisiologici e principalmente sul tono muscolare. Portando all’esasperazione tale situazione si giunge a quello che viene chiamato colpo di calore, con esiti in certi casi nefasti.
L’aria totalmente satura che viene respirata non solo è carente di ossigeno, e quando si fatica ovviamente se ne ha più bisogno, ma alla volte crea pure ristagni d’acqua nei polmoni.
Risoluzioni
Si è potuto constatare che, in un ambiente con temperatura di 38°/39° ed aria satura verso il 100%, una persona che esegua moderati sforzi può resistere senza inconvenienti per 30 o al massimo 40 minuti, dopo di che intervengono i primi sintomi che preludono al colpo di calore. Comunque, operazioni senza adeguata protezione non possono essere ripetute per vari giorni dato l’accumulo del moderato declino fisico che si manifesta ogni volta. A mio avviso attualmente vi sono solamente due possibilità di soluzione, che devono essere scelte sia in funzione del lavoro da svolgere che dal necessario tempo di permanenza e cioè:
-raffreddamento diretto: sarebbe possibile portando a contatto del corpo materiale freddo inserito nel vestiario (acqua gelata, ghiaccio secco, ecc.); si potrebbe pure, di più difficile realizzazione, creargli attorno un ambiente freddo (tuta, tenda condizionata) ma ciò causerebbe una notevole condensa liquida interna da doversi in qualche modo smaltire. La prima soluzione avrebbe il vantaggio di concedere allo speleologo una completa libertà di movimento ed autonomia con lo svantaggio però di essere efficiente solamente sino a che non si sia esaurito il materiale raffreddante, in un tempo probabilmente alquanto breve.
– agevolare la termoregolazione: col sistema già da noi sperimentato di una tuta nella quale viene immessa aria secca, non importa a quale temperatura, in modo da consentire l’evaporazione del sudore. Questo sistema ha permesso permanenze prolungate (2-3 ore), addirittura di discendere un pozzo di 100 metri, esplorarne la caverna posta alla base e risalire, come pure di montare, con 15 giorni di lavoro, in altro pozzo, una scala metallica di 35 metri. Questo sistema purtroppo comporta una certa limitazione alla libertà di spostamento e soprattutto l’impiego di parecchio materiale.
Realizzazione
– la tuta: indumento in tela leggera (ottima quella per piumini o seta artificiale) e con caratteristiche normali: maniche e pantaloni aperti alle estremità (l’aria deve defluire), nella quale attraverso un tubo, con attacco esterno, viene collegato all’interno un sistema di tubicini forati, così da distribuire attorno al corpo l’aria pompata dalla superficie. Un boccaglio a questi collegato consente di poter respirare, almeno di quando in quando, aria più secca permettendo l’eliminazione di eventuali ristagni e garantire una maggiore disponibilità di ossigeno.
– la distribuzione dell’aria: da un compressore piazzato all’aperto l‘aria viene compressa in una tubazione principale di gomma o plastica da stendersi lungo tutto il percorso che si vuol seguire, divisa in vari spezzoni (20 metri?) con all’estremità superiore un attacco ed a quella inferiore un gruppo, come descritto in seguito, dal quale partono tubi più sottili della medesima lunghezza del corrispondente spezzone principale. In tal modo, allacciati ad uno di questi, diviene possibile procedere protetti dalla tuta, per la lunghezza di uno spezzone sino a riprendere il tubo sottile che parte da quello successivo e così via. I tubi sottili possono essere due o più, in funzione delle persone impiegate; sistemando alla sua estremità un corto tubo con due attacchi si può pure operare in due sullo stesso tubo, ma solo per breve tempo dato che l’alimentazione d’aria diventa più scarsa per volume. Per esperienza diretta, si può dire che una eccessiva quantità di tubi crea notevoli problemi per gli inestricabili grovigli che si vanno a formare e che obbligano a lunghi lavori di riordino.
Il montaggio del sistema è molto semplice in quanto, con la valvola sullo spezzone principale chiusa, è possibile, sempre protetti, allacciare il successivo raccordo, aprire la valvola e proseguire. Per il recupero si opera in modo inverso.
In caso di necessità la speleologo può tranquillamente rendersi indipendente staccando la tuta, operare libero per una decina di minuti; riallacciato al sistema di raffreddamento, esso può ritornare in brevissimo tempo in condizioni fisiche normali.
– il materiale: Compressore: va piazzato per quanto possibile all’aperto in modo non vengano aspirati i gas di scarico del motore; la portata dovrà essere tale da garantire una quantità d’aria aspirata attorno ai 20/25 litri/secondo per operatore, misura che, come sperimentato, consente una tranquilla e non stressante permanenza di parecchie ore.
Tubi da aria compressa: per la condotta principale risulta sufficiente il diametro da un pollice, mentre per i collegamenti va bene un tubo da 10/mm, possibilmente molto flessibile.
Attacchi e valvole: sono da preferirsi attacchi a baionetta e valvole a sfera, più atti a funzionare anche se infangati. Per la tubazione principale gli spezzoni devono portare: all’estremità iniziale un elemento di attacco ed a quella finale, in ordine: attacco, deviazione per l’inserimento dei tubi sottili, valvola, attacco. Per i tubi sottili all’estremità: valvola ed attacco per la tuta.
Eventuale riparo fisso: dovendo operare in un posto fisso si può approntare un locale chiuso (tenda, casotto) con opportuni sfoghi d’aria, nel quale, immettendo il getto d’aria l’atmosfera ambientale può raggiungere un grado di umidità relativa sopportabile. Tentando di raffreddarlo in altro modo si causerebbe una situazione ancora peggiore: moltissima nebbia ed acqua da tutte le parti.
Altre attrezzature: avendo a disposizione l’energia dell’aria compressa si rende possibile il loro uso senza ricorrere alla alimentazione elettrica, in quel ambiente piuttosto pericolosa da maneggiare.
Queste notizie sono ricavate da molti decenni di esperienza che hanno portato ad operare nell’ambiente delle Stufe di S. Calogero una trentina di speleologi per complessivamente non meno di un migliaio di ore. Mi auguro possano essere di utilità a chi volesse affrontare nuovamente imprese del genere.
Giulio Perotti