VlAGGlO NELLE CATTEDRALI Dl GHlACClO
Pubblicato sul n. 32 di PROGRESSIONE – Anno 1995
PREMESSA
Nel marzo di quest’anno I’associazione “La Venta” ha organizzato una spedizione di ricerca sul carsismo glaciale del ghiacciaio Perito Moreno che fa parte del Hielo Continental Sur in Patagonia. Utilizzando un velivolo della gendarmeria locale e stato effettuato un sorvolo su tutta la regione, individuando le zone più promettenti dei ghiacciai Viedma, Upsala e Perito Moreno, gia oggetto di una ricognizione effettuata nell’anno passato da tre speleo del G.S.P.
LA SPEDlZlONE
La spedizione 1995 aveva più obiettivi da raggiungere; alcuni inediti come I’esplorazione dei condotti freatici che si sviluppano all’interno del ghiacciaio convogliando le acque nel lago Argentino, dove il ghiacciaio termina. In passato si era constatato che ad una certa profondità le grotte nel ghiaccio collassano, restringendosi progressivamente fino a formare dei sifoni ove I’acqua prosegue il suo cammino creando una rete di collettori sotterranei interamente da esplorare.
L’esplorazione subacquea e un problema molto serio considerato che il fronte del ghiacciaio sotto il quale bisogna immergersi per entrare nei collettori è pericoloso a causa dei crolli di notevoli masse di ghiaccio; oltre a cib bisogna tener presente che I’acqua è eccezionalmente intorbidita dalle particelle in sospensione, per cui quando questi fenomeni si sono manifestati si è dovuto abbandonare la ricerca, concentrando gli sforzi sui laghi che si formano in al- cune zone prive di crepacci del ghiacciaio.
Conclusa la fase speleosubacquea, di cui e stata fatta una suggestiva documentazione filmata, la spedizione ha continuato con I’esplorazione e lo studio delle cavità generate dai torrenti che dopo aver scorso in superficie si inforrano ed infine inabissano. A parte i già conosciuti mulinelli glaciali, infatti, sono state esplorate delle gallerie che scorrevano anche a pochi metri dalla superficie, e cib per uno sviluppo superiore a1 chilometro; veri torrenti sotterranei quindi, percorribili solo in particolari condizioni idriche e utilizzando mute stagne e tecniche da ghiaccio, il cui corso veniva seguito per centinaia di metri, sempre con pendenze moderate, per fuoriuscire poi formando forre meravigliose a cui seguivano nuovi , condotti sotterranei che finivano quindi nel collettore principale, chiamato “Rio Malbeck”.
Questo Rio riceve un apporto idrico, dai suoi tributari di destra, di tale dimensione che la portata ne viene sensibilmente aumentata, al punto da scorrere maestosamente, alla fine, in un alveo largo cinque metri; I’acqua poi precipita in un mulinello che genera una fragorosa cascata: una visione quasi apocalittica che fa supporre essere.jmpercorribile il tratto più a valle. Seguendo invece il vecchio alveo del Rio Malbeck si arriva in una zona di pozzi fossili, non percorsi dall’acqua e quindi percorribili con tecniche speleologiche e da cascata di ghiaccio.
Utilizzando lunghi chiodi da ghiaccio, autocostruiti, si attrezzava la verticale individuata, calandosi In pozzi perfettamente blu, dai mille riflessi, con in lontananza il rombo di lontane cascate. II sole generava dei giochi di luce fantastici che di volta in volta variavano a seconda della disposizione delle nubi che sempre velavano il cielo patagonico. Si continuava quindi scendendo in una nuova dimensione, tra diademi e drappi di ghiaccio, ora sotto violenti stillicidi, ora in zone più asciutte, inoltrandosi nel ventre del ghiacciaio, in un’atmosfera surreale totalmente blu.
Anche senza luce artificiale si continuava a vedere grazie alla rifrazione del ghiaccio; alla fine della calata si atterrava in una zona pianeggiante, caratterizzata da ampie gallerie dove si proseguiva increduli, quasi a tentoni, in un aria quasi liquida a causa dell’effetto della rifrazione della luce solare nel ghiaccio, generante effetti allucinanti omogeneizzando la cromia delle pareti delle gallerie con il volume vuoto che ne determinava la sezione. Bisognava abituare la vista gradualmente, per poter proseguire, attratti dal rumore delle acque sotterranee scorrenti ora a poche centinaia di metri da noi.
Si camminava cosi in galleria, calzando sempre i ramponi, fino ad affacciarsi alla grande forra dove scorreva I’acqua, continuando poi lungo la medesima in “Piolet traction”, attrezzando in continuazione delle tirolesi ancorate alle viti da ghiaccio e avanti cosi, nel blu più assoluto, interrotto ogni tanto da fendenti di luce che precipitavano da altri poui comunicanti con I’esterno. Si proseguiva ascoltando I’acqua e lo scricchiolio delle nostre attrezzature da ghiaccio, spinti dall’ansia esplorativa, ma con i sensi tesi a percepire un repentino e quanto mai pericoloso aumento del volume d’acqua, fino a giungere al sifone finale, limite esplorativo per noi bipedi di superficie dal sangue caldo.
Oltre al Rio Malbeck c’è n’era un altro con un volume d’acqua inferiore che drenava la sinistra idrografica del Perito Moreno, battezzato da Badino “Rio Monterin”, in onore del glaciologo italiano che per primo ipotizzo I’esistenza dei mulinelli glaciali e del carsismo glaciale.
Purtroppo questa zona non B stata esplorata interamente, sia per la mancanza di tempo, sia per le difficoltà tecniche; infatti in questa area le cavità presentavano sezioni piir strette, costringendo gli esploratori ad una “convivenza” sgradita con notevoli portate d’acqua gelida. Ma anche qui il gioco e soltanto inizato, lasciando i presupposti di notevoli sviluppi esplorativi futuri.
Nel ghiaccio c’è ancora un universo da esplorare con nuovi parametri, da intuire e valutare. Le emozioni sono garantite; comunque ci vuole molta prudenza, essendo questo ambiente un mondo di cristallo dalla bellezza inimmaginabile che con il variare di certe condizioni climatiche si può trasformare in una trappola mortale.
La Patagonia e fin troppo nota per la variabilità dei suoi elementi, tale da generare improvvise piene dovute all’innalzamento delle temperature, o bufere con venti fortissimi e visibilità ridotta tale da rendere impossibile il ritorno al campo base. lnoltre non bisogna solo saper andare in grotta, ma anche conoscere le tecniche di progressione su ghiaccio, sia in piano che in zone verticali. Poi il ghiaccio, estremamente duro ma fragile, ha causato delle brutte sorprese a parecchi di noi: otto paia di ramponi rotti e due costole incrinate allo scrivente la dicono lunga su come non si sia mai completamente al sicuro.
In ultima analisi posso dire che la speleologia glaciale dà grosse soddisfazioni a chi va alla ricerca di nuove geometrie ipogee in simbiosi con colori inimmaginabili, mentre chi anela al “-1000” ad oltranza rimanga pure nei suoi covili calcarei. Quaggù arrivare a “-100” è gia tanto: di più la natura non concede, ma credetemi, basta e avanza.
ANALlSl E DETTAGLI
Per Patagonia si intende una regione enorme che si sviluppa per piu di 1000 chilometri, caratterizzata dalla parte finale della dorsale andina, che funge da spartiacque e da ipotetica linea confinaria tra Argentina e Cile. La zona cilena è costituita, da Est verso Ovest, dai rilievi e relativi ghiacciai che digradano verso I ‘ oceano Pacifico, formando una zona di fiordi e di isole molto complessa; quella argentina invece, da Ovest verso Est, e caratterizzata da grandi ghiacciai e montagne fam0se come il Cerro Torre e il Fitz Roy, che degradano trasformandosi nelle desolate ‘Pampas” fino all’oceano Atlantico.
Le vie di comunicazione sono scarse e concentrate in alcune zone di importanza turistica o alpinistica, mentre tutto il resto e di difficile accesso, con tempi di percorrenza notevoli se non si dispone di mezzi aerei. giocoforza, quindi, che le prime analisi sulla speleologia glaciale siano iniziate sui ghiacciai di pih facile accesso, in tutti i sensi, come il Perito Moreno o il Glacier Marconi, posto sotto le pendici del Fitz Roy. I ghiacciai Upsala e soprattutto Viedma offrono notevoli prospettive esplorative, ma la loro vastità e I’approccio lungo e complicato fanno si che le attenzioni esplorative siano rimandate al futuro.
Questi ghiacciai, che fanno parte del Hielo Continental, occupano in realtà una superficie alquanto modesta rispetto a tutta la regione, e ciò fa ben capire quali siano le dimensioni della medesima. L’unico mezzo veramente valido per installare dei campi e garantire il loro rifornimento durante lo svolgersi delle grosse spedizioni, rimane I’elicottero che comunque e soggetto a notevoli vincoli, in prim’ordine di natura burocratica e poi in seconda battuta a quelli generati dal maltempo e dal vento di forte intensità, elementi che qui ricorrono con cadenza quasi giornaliera.
A Calafate, ultima cittadina argentina prima dei grandi orizzonti patagonici, si trova in pratica tutto, ma a prezzi doppi rispetto quelli nostrani, cosa che rende piuttosto drammatica la gestione finanziaria di una spedizione. Sui ghiacciai sarebbe bene evitare di installare il campo base, in quanto le tende resiterebbero ben poco al vento, meglio quindi i boschi che si sviluppano sulle dorsali moreniche, almeno sul Perito Moreno, gli altri ghiacciai non presentando questa preziosa e indispensabile comodità. Lunghi avvicinamenti quindi sul ghiacciaio per raggiungere le zone “carsiche” che si sviluppano di solito al di sotto dei 1000/800 metri di quota; il percorso va segnalato con robusti fittoni con bandierine, da ribattere di volta in volta perch6 I’ablazione ne allarga la sede nel ghiaccio, rendendoli facili prede del vento.
Sul ghiacciaio e nelle grotte si procede sempre con i ramponi che, come ho gia detto, tendono a cedere per snervamento, fenomeno che ha interessato diverse marche, da quelle mediocri a quelle ipertecniche. A causa dell’ablazione, poi, i chiodi utilizzati per armo tendono a fuoriuscire dopo poche ore, per cui I’unica garanzia e I’utilizzo di chiodi abbastanza lunghi (70180 cm) difficili da reperire per cui bisogna autocostruirli.
Meglio esplorare di notte con temperature esterne sotto lo zero, si può cosi approfittare dell’assenza dell’acqua di fusione, presente di giorno e alquanto pericolosa in certe situazioni; noi abbiamo però operato di giorno essendo anche di notte le temperature al di sopra dello zero (cosa eccezionale per la stagione in quella regione), cosa che ha fatto si che non si sia riusciti a completare certe esplorazioni.
Vento e maltempo fan da padroni, ma ci si abitua, imparando tutta una serie piccoli trucchi per ottenere una permanenza confortevole in tali lande desolate che però hanno I’invidiabile vantaggio di offrire, a chi la percorre, acqua pura e la quasi assenza di insetti molesti. Animali e uomini sono alquanto rari da incontrare, ogni tanto qualche timido condor ti sorvola attratto dai tuoi colori e dai cattivi odori che il tuo corpo emana (visto che l’acqua piuttosto fredda inibisce i gia scarsi istinti lavatori propri di certi speleologi).
Vi rimando invece alle mie avventure tragicomiche sul prossimo numero di Grotte, relatore il prof. Decialtronis (alias Badino).
Paolo Pezzolato
Partecipanti alla spedizione (marzo-aprile 1995): Adolfo Eraso (Madrid) Alessandro Gaffi (MI), Paolo Molinarl (MI), Tullio Bernabei (RM), Tono de Vivo (PD), Ugo Vacca (Chioggla), Gaetano Boldrini (RM), Giovanni Badino (SV), Marco Mecchia (RM), Maurizio Barbati (RM), Roberto Rinaldi (RM), Salvatore Capasso (RM), Sandm lrsara (PD), Ricardo Sousa (Campinas – Brasile), Mattem Diana (RM), Luca Massa (GE), Paolo Pezzolato (TS).