IPOTESI PRIMA ESPLORAZIONE DA PARTE DI UN EUROPEO DI UNA CAVITÀ SOTTERRANEA DI UN TEPUY DELLA FORMAZIONE GEOLOGICA DEL RORAIMA (VENEZUELA – STATO DEL BOLIVÀR).
Pubblicato sul n. 57 di PROGRESSIONE -.Anno 2010
Alfonso Vinci (1916-1992), nato a Pilasco (o Dazio?) in Valtellina, alpinista, naturalista e geologo, esploratore ed avventuriero, si contraddistinse in gioventù per le eccezionali capacità di scalatore. E’ celebre lo spigolo Vinci alla Cresta Sud del Cengalo, uno dei pilastri granitici della Val Masino.
Nel 1939 ebbe il vanto della 1a ascensione assoluta della parete ovest del Monte Agner, conquistando così il titolo di “Accademico” del C. A. I.:
“Monte Agner m. 2872 (Pale di San Martino-Sottogruppo Monte Agner-Croda Grande) – I ascensione per la parete ovest. Alfonso Vinci (sez. Como e G.U.F.) con Gianelia Bernasconi (sez. Como): 16 – 18 luglio 1939. Documentato in: Le Alpi, Rivista mensile del Centro Alpinistico Italiano. 1939-1940, LIX, 8-9: 415-420”
Le sue imprese alpinistiche furono tali da meritargli, secondo alcuni, l’accostamento a nomi quali Oggioni, Mauri ed Hermann Bull.
E’ considerato uno dei personaggi che hanno contribuito alla nascita dell’era moderna dell’alpinismo italiano, un’era inaugurata nel gruppo della Moiazza proprio da Vinci, Paolo Riva e Camillo Giumeli.
Partecipò alla Resistenza con nomignolo di “partigiano Bill” in qualità di capo delle brigate Garibaldi in Valtellina.
Si trasferì nell’immediato dopoguerra (1946) in Venezuela, con in tasca due lauree (filosofia e scienze naturali con specializzazione in geologia) per scalare montagne, esplorare nuovi mondi e cercare oro e diamanti.
“Non esploro per cercare diamanti” era uso dire “ma cerco diamanti per poter esplorare.”
Collaborò successivamente in patria con la casa editrice Leonardo da Vinci di Bari pubblicando per la stessa Casa, tra il 1956 ed il 1959, tre importanti libri reportage: Samatari, Cordigliera e Diamanti.
Samatari e Diamanti, per l’alto valore descrittivo, sono inseriti nel catalogo della Rivista Bibliografica di Geografia e Scienze Sociali dell’Università di Barcellona (Biblio 3W. Revista Bibliogràfica de Geografìa y Cienciaz Sociales dell’Universidad de Barcelona).
Pubblicò diversi altri libri tra i quali cito: Fiori delle Ande, Occhio di Perla, Lettere Tropicali, L’altopiano del Rum, Orogenesi, L’acqua la danza e la cenere. Qualche suo libro viene ora riesumato dalla CDA Vivalda.
In un capitolo di uno dei suoi migliori ed interessanti libri reportage, Diamanti, Vinci narra le avventure occorse nell’esplorazione dell’Auyan Tepuy, effettuata nel dicembre del 1946 in collaborazione con il botanico Felix Cardona, conosciuto anche come Capitàn Cardona, uno dei più noti ed esperti esploratori ed avventurieri della regione amazzonico – guayanese, già famoso per le sue avventure nel Cauras e nell’Amazonas ed in genere nell’area della Gran Sabana, dove aveva trascorso parecchi anni esplorando terre vergini.
Gli antefatti.
Felix Cardona Puig, nato a Malgrat de Mar (Spagna) nel 1903 e morto nel 1982 a Caracas (Venezuela),
designato nel 1946 dal Ministero degli Interni venezuelano quale “Esploratore Botanico”, per le sue eccezionali avventure e la sua attività scientifica sul campo, fu insignito, nel 1958, della carica di membro onorario dell’American Geographical Society. Fu proprio durante una delle sue esplorazioni naturalistiche che incontrò Alfonso Vinci, che era appena sbarcato sul continente americano: il caso prima e probabilmente gli interessi all’avventura poi, unirono i due personaggi in un’impresa definibile unica.
L’Auyan Tepuy è una isolata montagna di quarzoarenariti a cemento siliceo, a “struttura tabulare” come tutto lo scudo della Guayana, con una altezza superiore ai 2000 metri ed una enorme estensione. Rocce caratterizzate da elevata maturità mineralogica, estremamente dure e resistenti alla corrosione.
Alcuni Tepuy presenti nella regione sono interessati da un fenomeno particolare: immense cavità verticali, veri e propri abissi, alla cui base si aprono lunghe gallerie sotterranee che spesso sboccano sulle pareti esterne degli altopiani dando origine ad enormi risorgive.
L’interesse prevalente, ai quei tempi, sorgendo nel cuore di una regione praticamente inesplorata, era spiccatamente riferito alla botanica, alla zoologia ed alla mineralogia, oltre che alla geografia. Negli anni venti e trenta il fascino dell’ignoto era fortissimo.
Sul lato nord delle sue ininterrotte pareti verticali, l’Auyan Tepuy presenta un fenomeno di grande interesse e di rinomanza oggi mondiale: una cascata che dall’altipiano si getta nel vuoto per un migliaio di metri e che è attualmente meta turistica di rinomanza internazionale.
Un certo pilota James (Jimmy) Crawford Angel dal 1935 al 1937, spesso in compagnia della moglie Marie, sorvolò i Tepuy con il suo aereo personale Metal Flamingo G-2-W, costruito nel 1929 dalla Metal Aircraft Corporation di Cincinnati, aereo che Jimmy battezzò “El Rio Caronì”, volando intorno ai massicci dai quali scendevano grandi cascate tra le quali una di altezza eccezionale.
Il salto, precipitando dalla terrazza superiore, forma il rio Churùn, affluente del fiume Carrao.
Questa cascata fu battezzata “Salto Angel”.
Secondo Karen Angel (2001 – The Truth about Jimmie Angel and Angel Falls. Alexander von Humboldt International Conference 2001, Humboldt State University Arcata, California U. S. A.: 1-19) il nome “Salto Angel” fu deciso durante una riunione di lavoro avvenuta a Caracas nel 1937 tra Angel, Shorty Martin ed il venezuelano Gustavo “Cabuya” (o Cabulla) Heny, noto imprenditore, scalatore ed esploratore. La notizia è contenuta negli Atti dell’JAHP (Yimmy Angel Historical Project), una fondazione che si promette la ricostruzione dell’epopea che l’aeronauta visse tra gli anni trenta e gli anni cinquanta.
Va comunque precisato che segnalazioni e descrizioni della cascata erano già state fatte in precedenza da Ernesto Sanchez, nel 1919, e dallo stesso Cardona, che esplorò e descrisse accuratamente il sito nel 1927, con la collaborazione di Joan Mundò (1877-1929). Il salto, divenuto già nel 1927 una realtà geografica, era conosciuto, dopo gli articoli di Cardona, come: “Churùn Merùn” o “Salt de l’Auyan”.
Comunque sia, l’atterraggio del 1937 sul Tepuy fu certamente una impresa incredibile ed indimenticabile, segnata negli annali della Storia, e che unisce incidentalmente il nome di Cardona a quello di Jimmy Angel.
Nascita di miti e leggende:
“The lost river of gold di Jimmy Angel” and “The lost world di Conan Doyle”
Nel 1937 Gustavo Heny progettò con Jimmy Angel, la moglie Marie e con Miguel Delgado l’esplorazione dell’Ayuan Tepuy. Jimmy si dichiarò disponibile e favorevole all’atterraggio con l’aero. Per la spedizione fu interpellato anche Cardona, considerato un grande conoscitore dell’area ed esperto in radiocomunicazioni (qualità indispensabile nel caso gli esploratori avessero avuto bisogno di aiuto in un’area praticamente selvaggia e priva di qualsivoglia forma di assistenza).
Il campo aereo di decollo (con base della spedizione a Kamarata) era a Guayaraca.
Prima del volo Cardona e Heny tentarono di salire il Tepuy, aggirandolo sia da nord che da sud, ma i risultati furono negativi sebbene qualche via di salita si fosse presentata promettente (va detto che questi tentativi di salita furono probabilmente molto utili in seguito sia per la salvezza della spedizione Angel sia per la salita del dicembre 1946 da parte di Vinci e Cardona).Ciò nonostante Heny garantì, in caso di incidente, la via di ritorno.
Il 9 ottobre 1937 alle ore 11:20 l’aereo decollò da campo Guayaraca e dopo non molto tempo (una ventina di minuti) Jimmy Angel atterrò incredibilmente sull’Auyan Tepuy senza apparenti grossi problemi e con l’equipaggio illeso: qualche danno alle ruote e qualche urto al muso, ma si trattava di un impresa storica.
Purtroppo il terreno estremamente fangoso e molle intrappolò l’aereo che sprofondò in parte con muso nel terreno. Dopo due giorni il gruppo decise di abbandonare l’aereo. Prima della partenza per la salvezza Yimmy risistemò l’assetto dell’aereo in una posizione orizzontale, affinchè la visione dello stesso rendesse onore all’evento storico, e formò sul terreno una indicazione utile agli eventuali soccorsi aerei per indicare la direzione ritorno presa dai quattro.
Attraverso una difficile discesa il gruppo raggiunse la salvezza a Kamarata (Cardona era al campo base per l’appoggio radiotelegrafico).
L’aereo fu dichiarato monumento nazionale dal Governo del Venezuela e rimase in sito fino al 1970 quando fu rimosso per essere trasportato nel Museo di Maracay.
A Cardona rimase il cruccio del Tepuy, non più inviolato ma comunque esplorato solo sommariamente.
Questa epopea dei Tepuy venezuelani, svoltasi negli anni trenta, aveva un eccezionale precedente: le spedizioni Fawcett, effettuate tra il 1906 ed il 1925 ai confini tra Columbia e Brasile, sotto l’egida della Royal Geographical Society.
Fawcett descrisse con molta cura le altissime, allora sconosciute montagne chiamate “Sierra de Ricardo Franco” nella Serrania Huanchaca. Misteriosi altopiani di arenaria, svettanti dalla foresta, alti mille metri e con una estensione di molti chilometri, curiosamente aventi caratteristiche simili ai Tepuy.
Conan Doyle, lo scrittore di Sherlock Holmes, utilizzò le notizie di Fawcett per produrre il suo capolavoro “The lost world” immaginando un mondo sfuggito alla civiltà.
Sembra però che, nelle descrizioni del mondo perduto, Doyle si sia riferito soprattutto agli altopiani del Roraima (Tepuy venezuelani).
La spedizione di Vinci e Cardona del natale 1946 all’Ayuan Tepuy
Partendo dalle sorgenti del Rio Karcupì e scendendo il Caronì, Vinci e Cardona raggiunsero la foce dell’Urimàn e si trovarono di fronte ad una serie progressiva di panorami: l’Auyan Tepuy, qui simile ad una cordigliera dolomitica, l’Akopan Tepuy, il Senkopirèn, più modesto ma interessante, e la gigantesca tavola dell’Aprada Tepuy, la più alta in apparenza (per la prospettiva degli esploratori), “un castello rosso e cenerino, di pareti lisce e verticali, sopra zoccoli verdi di boscaglie inaccessibili”.
Panorama incantevole che, nella sua relazione originale compilata per il C.A.I., Alfonso Vinci così letteralmente descrive:
“scenario grandioso, fatto di selvaggio, di ignoto, di disumano”.
Dopo aver navigato sotto le altissime pareti del Cerro Guaykinima e dopo altre vicissitudini giunsero all’attacco dell’Auyan Tepuy.
I portatori indios Arekuna, che pure erano tra i migliori della Guayana e che accompagnavano la spedizione, non salirono oltre i primi gradini (1300 – 1500 metri), perché la montagna spaventava tutti, e abbandonarono la spedizione. L’ascensione in quota comportò per i due esploratori tutto l’impegno possibile, con un numero enorme di frazionamenti, utilizzando i pochi materiali disponibili all’epoca ed in quelle circostanze.
Per diversi giorni salirono in progressione le pareti lungo canaloni quasi inaccessibili e incontrando grandi difficoltà.
Nella salita dovettero attraversare una cascata, saltando come capre sui massi enormi, e la sola salita del canalone principale costò un giorno intero di enormi sacrifici.
Risalendo la spaccatura principale, i due esploratori furono costretti a procedere con un mazzo di canne piantandone una ad ogni svolta del terreno per garantirsi un più agevole ritorno.
In questo modo e con grande fatica entrarono lentamente nell’altopiano di una delle più strane montagne del mondo.
Rimasero dieci giorni sulla cima dell’Auyan Tepuy, “come in un’avventura lunare”.
Vinci così esprime le sue impressioni nel rendiconto dell’esplorazione sul libro Diamanti:
“…. e apparve la luna come su un mondo morto di sola geologia. Si aveva veramente, lassù, il senso della terra e della roccia come corpi viventi…. Pareva di sognare in termini di minerale….”.
Sopra il canalone principale di salita intercettarono vari anfratti, più o meno profondi.
Ad un certo punto scoprirono sotto i 2000 metri di quota una grotta che entrava direttamente nella montagna e l’esplorarono, sperando di arrivare così sugli spalti finali dell’altipiano.
La grotta condusse Vinci e Cardona verso “…lunghi cunicoli oscuri, spesso allagati, con gelidi stillicidi”.
Vagarono per alcune ore “…in piena speleologia” perdendosi letteralmente: le varie uscite, attraverso spaccature laterali conducevano a piccole valli chiuse da pareti verticali, insomma una specie di labirinto.
Sull’altopiano finale le spaccature non mancavano e non se ne vedeva il fondo.
Le gallerie portavano a sale occupate da pantani di fango.
I due esploratori erano entrati, senza volerlo, forse primi tra gli europei, in uno dei grandi sistemi sotterranei dei Tepuy venezuelani.
Di questa esplorazione Vinci fece un dettagliato rendiconto che spedì alla Rivista Mensile del Club Alpino Italiano.
Parte della relazione fu pubblicata sul Volume LXVIII. n.9 -10, settembre-ottobre 1949: 129-136.
Alcuni appunti di una spedizione successiva ai Tepuy sono contenuti nel libro “Lettere Tropicali” (Arnoldo Mondadori Editore) in cui l’autore, in una nota del 18 agosto 1952, narra un avvicinamento all’Aprada Tepuy, conclusosi però in un fallimento per motivi logistici.
Esplorò poi il Cerro Sarisariňama (altro esteso Tepuy) dove registrò una serie di specie di una flora tutta particolare.
Sembra che Vinci abbia effettuato un’ulteriore esplorazione sui Tepuy, ma al momento non ne ho trovato le documentazioni.
Dopo le avventure dei Tepuy, Vinci condusse una infaticabile attività come esploratore, documentarista e geologo.
Partecipò alla grande Spedizione Panamericana Trans – Andina e successivamente divenne professore di geologia all’Universidad de Los Andes di Merida, Venezuela, e quindi consulente di imprese minerarie.
E’ morto nel 1992.
Una mostra fotografica ed un convegno in onore di Alfonso Vinci sono state le iniziative maggiormente seguite al 19o Festival – Mostra di Sondrio, tenutasi dal 10 al 16 ottobre 2005 (Lo Scarpone n.1, gennaio 2006, firmato da Nicola Falcinella) e forse l’unico riconoscimento nazionale.
In questo convegno AlfonsoVinci è stato definito meritatamente un “Ulisse dei nostri giorni”.
Tornando alla questione speleologica, e carsologica, nella relazione sull’ascensione all’Ayuan Tepuy, Vinci riferisce che, sulla base delle memorie del Cardona, esplorazioni sugli altipiani erano state in precedenza condotte solamente da un gruppo naturalistico di Caracas e da qualche istituto scientifico statunitense, esplorazioni attivate a seguito delle descrizioni dei voli di Jimmy Angel ed altri audaci piloti (voli effettuati negli anni trenta). Non esistevano invece relazioni su esplorazioni sotterranee.
Non è quindi azzardato supporre che Alfonso Vinci e Felix Cardona siano stati, nel natale del 1946, i primi europei ad esplorare un sistema sotterraneo dei Tepuy venezuelani.
I Tepuy sono montagne tabulari che coprono saltuariamente la vasta regione compresa tra il Rio negro, l’Atlantico e l’Orinoco e che è geograficamente conosciuta anche come “Guayana”.
Negli anni trenta, quando per mezzo degli aerei si incominciarono a conoscere dall’aria queste strane regioni, si formularono audaci teorie che crebbero l’interesse di studiosi, ricercatori ed avventurieri.
Si tratta di formazioni di arenarie compatte a cemento silicico e conglomerati, dello spessore di circa 2500 metri, poggianti sullo zoccolo arcaico, lateralmente erose, isolate come enormi isole tabulari. Su queste strutture e sotto di esse si cercava l’oro ed i diamanti.
Il preciso meccanismo speleogenetico delle grandi cavità presenti nei Tepuy è tuttora sconosciuto.
Le arenarie a cemento costituito da silice come tutti sanno, sono rocce scarsamente o minimamente solubili. Le analisi delle acque provenienti dai Tepuy rivelano mediamente concentrazioni minerali bassissime (alcune decine di milligrammi per litro di TDS – solidi totali disciolti).
Sebbene siano state rilevate nella regione piogge a pH molto basso (3 – 4 unità pH), il weathering, sotto l’aspetto corrosivo, sembrerebbe non incida in maniera importante: il quarzo è poco sensibile all’acidità dell’acqua.
Nella genesi dei vuoti potrebbero influire alcune sostanze generate dalla intensa vegetazione di superficie, ma non si hanno ancora dati.
Le dislocazioni tettoniche sono qui importanti per la formazione dei baratri, ma la genesi delle gallerie dei Tepuy è un problema insoluto.
Secondo Roman Aubrecht (Department of Geology and Paleontology, Comenius University, Bratislava, Slovakia) non esiste un’attività generalizzata di dissoluzione delle quarziti né una diffusa arenizzazione (e questo sarebbe evidente dall’osservazione superficiale delle rocce).
La vera intensa attività di corrosione ed erosione si svilupperebbe lungo particolari strati – o blocchi – in cui le arenarie quarzitiche non avrebbero raggiunto il giusto tenore di diagenesi, fenomeno quest’ultimo che prevede un processo completo di compattazione, cementazione e quindi litificazione.
In questi blocchi meno coerenti le sabbie del sedimento originario, non essendo (casualmente e localmente) compattizzate, sarebbero state facile preda degli agenti erosivi, e questo potrebbe spiegare la tipologia delle cavità orizzontali dei Tepuy. Ma è solamente un’ipotesi.
Recenti esplorazioni, soprattutto sul Cymanta Tepuy, hanno accertato l’esistenza di una forte attività batterica agente sulle superfici di alcune gallerie sotterranee: sembrerebbe che l’azione biologica da parte di microorganismi possa essere importante nell’azione di degradazione superficiale di queste rocce. Interessantissimo, al riguardo, il documentario slovacco “Tepuy” di Pavol Barabàš.
A meno che non si voglia ricorrere al fattore tempo per giustificare il tutto.
Ritornando ad Alfonso Vinci ed alla sua esplorazione, è ammirabile l’impresa condotta con scarsi mezzi, senza finanziamenti, rischiando la vita in un ambiente allora quasi completamente sconosciuto, ed attualmente praticabile solamente ad alti costi, utilizzando prevalentemente l’elicottero.
Desta stupore la pienezza dei dati riportati nelle relazioni: l’esploratore Vinci si immedesima nell’ambiente, ne acquisisce i segreti, diviene naturalista, geologo, geografo, e, in questo caso, speleologo.
Lascia una documentazione che a sessantacinque anni di distanza acquista significato di documento storico.
Enrico Merlak
L’aereo di Jimmy Angel in perfetto assetto orizzontale sull’Ayuan Tepuy. Abbandonato dall’equipaggio, fu oggetto di numerose visite nel corso degli anni successivi. Dichiarato dal governo venezuelano “Monumento nazionale”, l’aereo rimase in questa posizione dal 1937, data dell’eccezionale atterraggio, fino al 1970, quando fu smontato e trasportato al Museo di Maracay