LE GROTTE DI GHIACCIO , UN NUOVO STRUMENTO PER GLI STUDI PALEOCLIMATICI
Pubblicato sul n. 57 di PROGRESSIONE – Anno 2010
IV international works hop ICE caves
Lo studio degli anelli degli alberi, dei sedimenti lacustri, degli speleotemi, dei pollini e di tutti quegli indizi che vengono comunemente chiamati “proxy climatici”, contribuisce a fornire una grande mole di informazioni sulla storia climatica del nostro pianeta. Il mondo scientifico è però alla continua ricerca di ulteriori indicatori che possano aiutare a comprendere, con dettaglio sempre maggiore, l’evoluzione paleoclimatica terrestre, con l’obiettivo di predirne la sua evoluzione futura.
Il ghiaccio, in questo senso, ha assunto un ruolo primario nel lavoro svolto dai molti ricercatori che raccolgono le informazioni provenienti dalle immense aree glacializzate delle calotte artiche e dai ghiacciai di tipo alpino. Il processo di registrazione delle informazioni è concettualmente semplice; la neve che si deposita su ghiacciai d’alta quota e calotte polari viene lentamente compressa per gravità ed a causa del peso stesso delle ulteriori masse nevose che vi si depositano via via al di sopra. Si formano così stratificazioni di ghiaccio, ognuna con caratteristiche diverse da quelle precedenti e seguenti, le cui concentrazioni isotopiche di idrogeno ed ossigeno permettono di stimare, assieme ad altri fattori, la temperatura dell’ambiente al momento della condensazione. Lo stesso ghiaccio può anche intrappolare pollini, sabbie o microscopiche bolle d’aria dalle quali è possibile risalire alla concentrazione dei gas presenti in atmosfera al momento della precipitazione; tra questi è notoriamente importante il biossido di carbonio, l’elemento ritenuto al momento fondamentale per la ricostruzione dei climi del passato.
L’inizio degli studi climatici dalle carote di ghiaccio, estratte da ghiacciai e calotte polari, risale agli anni ’60 e recentemente questi studi hanno reso possibile ricostruire la storia climatica dell’Antartide fino a circa 740.000 anni fa (Eight glacial cycles from an Antarctic ice core; Nature v. 429, No. 6992, pp. 623-628, 10 June 2004). L’idea di poter ricavare informazioni paleoclimatiche dallo studio del ghiaccio di grotta ha una storia ancora più breve, tanto che il primo studio che identifica i differenti meccanismi di formazione del ghiaccio ipogeo risale appena alla fine degli anni ’90. L’articolo, curato da una guida speleologica dell’Alberta (Canada) e da uno studente di geografia della Calgary University, è pubblicato sulla rivista “Boreas” ed illustra come sia possibile estrapolare informazioni paleoclimatiche da analisi isotopiche e valutando correttamente come il ghiaccio si è formato ed in quali settori delle cavità.
Questo spunto, nel 2004, guadagna maggior slancio a livello internazionale con l’organizzazione del “primo workshop sulle grotte di ghiaccio” che si tiene nella città di Capus, in Romania. La scelta di organizzare qui il primo workshop non è casuale in quanto, proprio nelle vicine grotte di Scarisoara, nel 1927 Emil Racovita dell’Università di Cluj, un pioniere della biologia sotterranea, osserva come il ghiaccio permanente che si trova nelle grotte debba essersi formato con condizioni climatiche di volta in volta differenti e come sarebbe utile riuscire a decifrare in dettaglio la storia di questo ghiaccio. Emil Racovita è riconosciuto essere il primo ad aver avuto questa intuizione, durante le sue esplorazioni nelle grotte di Scarisoara, ed a renderla nota in una pubblicazione.
Esistono sostanzialmente due tipi di grotte di ghiaccio, quelle statiche e quelle dinamiche (o cicliche). La formazione delle prime avviene quando, durante l’inverno, l’aria calda tende ad uscire dalla parte alta di una cavità “chiusa” mentre l’aria fredda penetra al suo interno. Questa’aria fredda poi, più densa e pesante, non è in grado di uscire durante il periodo estivo e vi rimane intrappolata rendendo così possibile la persistenza di depositi criotici per l’intero arco dell’anno (figura 1).
Più complesso ed interessante è il processo di formazione del ghiaccio in una grotta dinamica. In questo caso è necessario che la cavità disponga di più ingressi, con almeno uno ad un livello basso ed uno ad un’altezza molto superiore. Il bilancio energetico complessivo in una grotta di questo tipo è a tutt’oggi un problema non completamente chiarito, ma in sintesi quello che accade (illustrato in figura 2) è che durante l’inverno si genera una corrente d’aria in ascesa verso gli ingressi alti con un “risucchio” di aria fredda dall’esterno in corrispondenza degli ingressi bassi. Nel periodo estivo il meccanismo si inverte con l’aria fredda che fuoriesce dall’ingresso basso e quella calda che viene aspirata dagli ingressi alti; quest’aria però, entrando, si raffredda gradualmente fino a raggiungere la zona stabile a temperature negative, continuando così il processo di congelamento delle acque di fusione nivale, in particolare durante la primavera.
Anche le cavità a pozzo di alta quota possono presentare al loro interno del ghiaccio permanente stratificato, ma questo è per lo più dovuto a depositi di neve da precipitazione e da valanga, che successivamente si trasformano in firn e quindi in ghiaccio per compattamento successivo, attraverso un meccanismo che sostanzialmente ricalca in piccolo quello che si verifica sulle calotte e nei bacini di alimentazione dei ghiacciai. Questa in sintesi la teoria generale che spiega l’esistenza di queste affascinanti strutture glaciali sotterranee, in grado di reagire prontamente agli effetti ed ai cambiamenti del clima dell’ambiente esterno. A differenza delle calotte polari, però, le informazioni ricavate da questi depositi di ghiaccio si riferiscono alle zone temperate del nostro pianeta e quindi in grado di fornire informazioni climatiche in luoghi storicamente abitati dall’uomo, e non in lande artiche disabitate.
Il 2010 ha visto l’organizzazione del “IV International workshop on ice caves” (4th IWIC) nella cittadina di Obertraun, posta sulle rive dello Hallstättersee, nel Dachstein austriaco; parte del patrimonio culturale mondiale dell’UNESCO, la località è punto di partenza verso la gigantesca caverna del ghiaccio Rieseneishöhle e verso la Mammuthöhle, famose in tutto il mondo e ambedue raggiungibili attraverso la funivia del Dachstein.
Tra le tematiche affrontate, in primo piano la particolare climatologia delle cavità con ghiaccio e la corrispondente relazione tra l’ambiente ipogeo ed epigeo, la morfologia ed il bilancio di massa dei depositi di ghiaccio sotterranei, la struttura interna e la stratigrafia del ghiaccio di grotta, i metodi di campionamento, la struttura cristallina del ghiaccio ipogeo, la composizione chimica ed isotopica dello stesso, l’applicazione di metodi di radio datazione, la dendrocronologia ed altri studi biologici applicati alle ricerche negli ambienti glacializzati sotterranei. Vi ha partecipato una piccola ma autorevole comunità scientifica che vede come capofila italiano il geologo e glaciologo Walter Maggi, dell’Università di Milano Bicocca, già da diversi anni impegnato negli studi sul ghiaccio sotterraneo del massiccio della Grigna (Lecco). Circa 70 partecipanti in rappresentanza di 11 paesi (tra questi non mancavano russi e statunitensi), ma di estrazione alquanto variegata con la presenza anche di appassionati speleologi spinti a recarsi fino ad Obertraun dal loro innato istinto alla curiosità verso la geografia sotterranea ed alle sue meraviglie. A completare l’intensa settimana di incontri scientifici si sono svolte alcune escursioni nel massiccio del Dachstein ed in 5 cavità (tra queste la Eisriesenwelt e la Rieseneishöhle)
Una nuova frontiera per la paleoclimatologia che sicuramente vedrà grossi sviluppi nell’immediato futuro. Lo scorso mese di aprile si è tenuta, come di consueto a Vienna, l’assemblea generale dell’E.G.U. (European Geoscience Union), ed una sessione è stata interamente dedicata alle ice caves con titolo Ice deposits in caves: formation, evolution and climate-environment assessment. Dedicare una intera sessione alle grotte di ghiaccio all’interno del più grande forum europeo delle scienze della terra, che vede la partecipazione di oltre 10.000 ricercatori da ogni parte del mondo, conferma l’importanza che sta acquistando questo nuovo approccio scientifico allo studio della climatologia sotterranea, con risvolti ancora tutti da scoprire nella comprensione dei cicli climatici del pianeta.
Renato R. Colucci Dipartimento di Geoscienze, Università di Trieste Curatore osservatorio climatologico del Carso, Borgo Grotta Gigante – Trieste (S.A.G. Trieste) Unione Meteorologica del Friuli Venezia Giulia (www.umfvg.org)
BIBLIOGRAFIA
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- Mavlyudov B.R. (2008) Geography of caves glaciation – 3rd International Workshop on Ice Caves: Abstrac Volume