CAMPAGNA DI SCAVI ALLA 87 VG, ALIAS GROTTA PRESSO IL CASELLO FERROVIARIO DI FERNETTI (5A PUNTATA)
Pubblicato sul n. 57 di PROGRESSIONE – Anno 2010
Eccomi a Voi, amici lettori, per informare chi è interessato oppure chi non ha la possibilità di leggere il “Libro delle Relazioni sull’attività Sociale”, l’esito dei lavori svolti nella grotta intitolata qui sopra. Dopo quattro e passa anni impegnati a forzare strettoie e fratture, rimuovere pietrame e argille, non siamo ancora riusciti ad arrivare al dunque. Il dunque ovviamente è rappresentato da quel punto cruciale, ottimale, nel quale indirizzare i lavori che ci permetterebbero di scendere in verticale e raggiungere così il Timavo (oppure qualche suo ramo secondario) che sicuramente scorre nelle abissali profondità di questa 87 VG.
La tornata di lavori eseguita nell’arco di tempo facente capo a questa quinta puntata (gennaio-dicembre 2010), è stata certamente la più faticosa, problematica, e quella che ha dato i minori – se non nulli – risultati. L’unica, magra, consolazione è data dal fatto che abbiamo allungato – artificialmente – di qualche metro la grotta. Si sono forzate tante fratture che erano in comunicazione con pozzetti infimi, oltremodo angusti, tutti interessati al loro fondo da strettoie centimetriche per le quali non è stata presa in considerazione l’opportunità di allargarle in quanto tale lavoro non avrebbe portato ad alcun risultato concreto. Ma, come sono abituato a dire, procediamo con ordine.
Nella quarta puntata avevo descritto gli onerosi lavori di sbancamento che abbiamo eseguito a quota -62 metri dal livello di campagna. Dopo varie peripezie, chiamiamole così, è stato aperto un pozzo di otto metri (p. 1) in cui, durante un mio tentativo di discesa mi sono atrocemente incastrato. Al pozzetto in questione segue subito un altro, leggermente più spaziosetto e pericolosetto (lame e pietrame instabile) disceso parzialmente da Furio. Dopo qualche lavoro di bonifica lungo le pareti di quest’ultimo salto decido di scenderlo anch’io, incuneandomi già nelle sue parti iniziali. Riprovo nuovamente, sempre aiutato dalla forza di gravità, e infine riesco a passare. Dopo una decina di metri di discesa raggiungo il punto in cui si era fermato l’amico Furio, mi infilo nel pertugio posto tra la parete e un masso instabile e, dopo aver proseguito verticalmente ancora per qualche metro, tocco il fondo (p. 2). Che è costituito da detriti di varia misura, terriccio e abbozzi di lame strutturali. Di prosecuzioni vagheggiate e sperate neanche l’ombra. Si è tentato un timido lavoro di disostruzione subito abbandonato, vuoi per la mancanza di spazio ove sistemare il materiale estratto, vuoi per la mancanza di una circolazione d’aria che ci indichi il punto in cui indirizzare lo scavo.
Quindi, all’unanimità, abbiamo deciso di sondare l’altra fessura situata nella frattura principale della cavità. Frattura che dopo estenuanti lavori di sbancamento è diventata una piazza d’armi. La fessura in oggetto, che stava tanto a cuore a Glauco, l’indistruttibile, consisteva in una rientranza della parete interessata da una lieve circolazione d’aria, a volte aspirante e a volte soffiante. Iniziati i lavori di sbancamento (p. 3) siamo pervenuti in una frattura parallela a quella principale, lunga un paio di metri e larga in media una decina di centimetri, dalla quale usciva un discreto e costante filo d’aria. Per non mettere in crisi la stabilità della volta, fortemente fratturata, si è optato di bypassare la frattura stessa aprendo un foro in viva roccia nella parete sinistra – per chi scende – della frattura principale. Dopo innumerevoli giornate di lavoro siamo riusciti a penetrare e quindi allargare la fessura alitante. Eravamo vicinissimi al Ramo Nord, quello che in tempi remoti ci ha permesso di scendere sino alla quota –100 (p. 7). Metri 100 meno qualche centimetro, ovviamente: l’amico Pino, ineguagliabile costruttore di muri di contenimento e rilevatore ufficiale di tutto il complesso ipogeo, aveva promesso di pagarci una pizza quando arriveremo a quella fatidica profondità. Ogni commento pare superfluo, ed ai posteri l’ardua sentenza.
Come scritto poc’anzi eravamo quasi a contatto con il Ramo Nord, tant’è che rimuovendo il pietrame che occupava la fine della frattura alitante un sasso si infilò in un pozzo battendo timidamente le pareti e poi, infine, più sonoramente le scale metalliche con cui è tuttora armato totalmente il Ramo Nord, diramazione che conduce, come ho già detto, alla profondità di metri cento (meno qualche centimetro…). Scornati per quest’altro insuccesso (anche se tacitamente lo davamo per scontato) seguendo i soliti fili d’aria – che in questa grotta per i due terzi è artificiale – e ci hanno sempre fatto ammattire, abbiamo cominciato ad allargare la frattura principale alias l’odierna piazza d’armi (p. 3), a un metro dall’imbocco scavato nella viva roccia ecc. ecc. Dopo tante giornate di lavoro tese ad allargare la frattura in questione con la conseguente sistemazione del materiale di risulta in quello che restava del P. 22 del Ramo Sud (p. 4) e quindi innalzando il solito muro di contenimento, ci siamo affacciati su di un pozzo strettissimo profondo pochi metri, nel quale sono scesi prima Furio e quindi Roberto. I nostri due eroi hanno constatato l’impossibilità e l’inutilità di eseguire lavori di ampliamento in quel fondo angustissimo.
Ci siamo guardati in faccia senza saper cosa dire né che pesci pigliare! Poi, non mi ricordo da chi, è stata avanzata la proposta oscena: perché non andiamo a scavare sul fondo del pozzetto che si trova nella cavernetta di quota -47, sul fianco del P. 27? Tale pozzetto (p. 5), da noi in buona parte riempito con pietrame e massi durante i lavori di allargamento del passaggio che porta al Ramo Nord, era l’unico punto della grotta non interessato da alcuna circolazione d’aria, né quella naturale né quella indotta con il ventilatore (sistema di “aria forzata”).
Rimosso il pietrame a suo tempo scaricatovi, ed eretto in maniera impeccabile dall’impareggiabile Pino il solito muro di contenimento, abbiamo raggiunto il sito ove un paio di anni fa eravamo impegnati come attori in alcune scene del documentario sul “Timavo, il fiume della notte”. Proprio in quel punto Roberto ed io dovevamo fingere di forzare una strettoia, senza neppure immaginare lontanamente che la strettoia stessa sarebbe stata l’oggetto dei lavori odierni: sono sicuro che la grotta si sarà fatta delle grasse risate alle nostre spalle.
Incoraggiati – ti pareva! – da un tenue filo d’aria che fuoriusciva dalla terminale fessura millimetrica demmo subito inizio a faraonici lavori di sbancamento che ci hanno impegnato per parecchie settimane. A lavori ultimati la nostra millimetrica fessura si era trasformata in un comodo cunicolo largo in media 60 centimetri, alto un’ottantina e lunga m 2,80. Al suo termine abbiano fatto capolino su di un pozzo abbastanza agevole, in parte concrezionato e sormontato da un alto camino. Il pozzo prosegue verticalmente per otto metri (p. 6); al suo termine allargata una strettoia ci siamo affacciati su di un pozzetto, pure concrezionato e anche lui sormontato da un camino, profondo un paio di metri. Tre mesi di scavi (settembre-dicembre 2010) lo hanno approfondito di ulteriori 4/5 metri.
Notizie dell’ultima ora: sembra, anzi si è quasi certi, che il pozzo in oggetto sprofondi per altri 20/25 metri. Questo è sicuramente un fatto positivo, come lo è pure il fatto che con questo ramo (che corre verso Sud e parallelo al rametto descritto agli inizi, vedi i pp. 1 e 2) ci stiamo spostando dall’asse principale della grotta, evitando così il rischio di finire con gli scavi in ambienti già conosciuti.
Per mancanza di tempo ‘editoriale’ concludo qui questo mio scritto, sperando che il futuro ci riservi sorprese più gradite.
Bosco Natale Bone