IL RITROVAMENTO DELLA GROTTA PERR BOSHIT

Pubblicato sul n. 57 di PROGRESSIONE – Anno 2010
Bella la vita al campo base!!! Il mormorio della sorgente, l’agevole camminata per raggiungere la grotta Zeze, le meritate cene dopo l’esplorazione, le serate accanto al fuoco….Ma e’ora di partire. Se non voglio sentire ancora una volta il sarcasmo di Elio (capo spedizione delle prime due e di altre diverse esplorazioni in Albania), devo assolutamente trovare la mitica grotta del Boshit.
Nella spedizione 2009 due gruppi distinti avevano invano cercato di ritrovare la grotta sulla scorta dei ricordi dei primi scopritori, e in mancanza dei rilievi e della relazione tornando stravolti e delusi a causa della folta vegetazione che ha reso impraticabili lunghi tratti di sentiero.
In seguito, nei contatti avuti con il gruppo di Faenza, l’amico Ivano ci aveva riferito di una grotta che sembrava corrispondere alla nostra e si era detto disponibile a presentarci la guida che li aveva a loro accompagnati.
Il 19 agosto, accompagnato da Ivo, Marjan e Matjas del gruppo sloveno (Mitja è rimasto al campo) parto per Curraj i Eperm, paese ubicato nella valle adiacente e parallela alla nostra.
Il percorso, reso al solito disagevole dalla folta vegetazione, ci richiede circa 4 ore.
Siamo senza interprete e solo dopo molti sforzi riusciamo a farci accompagnare alla casa nella quale soggiornano i faentini, al momento assenti per una escursione. Rimango ad aspettarli mentre gli sloveni ripartono per andare a prendere al campo l’equipaggiamento necessario.
La sera apprezzo con piacere una buona cucina emiliana e mi accordo per visitare due grotte.
La prima, Spella Lumit (grotta del fiume), ubicata a poca distanza dal fiume, si rivela una imponente caverna con un maestoso portale, ma di sviluppo modesto.
Sempre con il prezioso ausilio di una guida locale, passiamo prima lungo l’acquedotto che rifornisce il paese, quindi risaliamo la parete della valle per tracce di sentiero ormai quasi cancellate dalla vegetazione e finalmente sfruttiamo una caratteristica cengia rocciosa che ci porta ad un ripido avvallamento. La grotta ha uno stretto ingresso, scavato dai primo scopritori e soffia che è una meraviglia.
Con una piccola arrampicata troviamo una nuova galleria interrotta da un pozzo stimato in ca. 50 metri, che non riusciamo a scendere per mancanza di materiali.
Il giorno seguente salutiamo gli amici e, sempre accompagnati dalla guida (Martini), seguiamo per lungo tratto la strada che risale la valle e costeggia il fiume poi, sempre per tracce in boschi e ripidi prati, risaliamo un canalone sino a raggiungere la grotta Boshit (6/7 ore).
Risaliamo il canalone sino a raggiungere i pascoli sovrastanti e allestiamo il bivacco, mentre la guida in scarpe di cuoio (sic) ci saluta e ritorna da solo al villaggio.
L’indomani prima puntiamo ad una forcella sovrastante ( Zhabores alt. 2200mt ca.) dalla quale si domina il paese di Dragami. Si tratta di una tipica zona carsica, ma non troviamo cavità in quanto tutto appare “macinato” e fratturato; al ritorno scendiamo nuovamente il canalone ed entriamo con pochissimo materiale nella rotta Boshit per finalmente confermare l’agognato ritrovamento…. Al prossimo anno una visita più approfondita.
La mattina seguente ritorniamo stanchi ma soddisfatti al campo utilizzando la strada dei Turchi. Ci rimane solo una puntata dai faentini per recuperare delle attrezzature e prepararci per l’ormai imminente ritorno alla civiltà.
Adriano Balzarelli
ALBANIA SOTTERRANEA

L’ultimo autunno, dimostratosi davvero ideale per le avventure sul campo, dal profondo della pigrizia estiva e dell’inattività speleologica sono stato piacevolmente risvegliato da Rok Stopar, che mi ha invitato a partecipare ad una spedizione organizzata assieme ai colleghi italiani. Il fulcro dell’evento avrebbe dovuto svolgersi sull’altipiano carsico di Hekurave in Albania, a ridosso del confine con il Montenegro.
Una parola tira l’altra ed ecco che, in poco tempo, eravamo tutti d’accordo sul fatto che la grotta di Shpella Zeze, da noi chiamata anche la Grotta Nera, andava indagata seriamente partendo dal punto in cui si era conclusa la precedente esplorazione. Il motivo principale che mi ha spinto a prendere parte alla spedizione di tipo speleologico-geologico-subacqueo, con qualche lieve risvolto turistico, era la presenza dell’acqua nella grotta, considerata un vero e proprio ostacolo dagli speleologi che non praticano le immersioni subacquee.
A causa dei tempi stretti e dei tanti impegni dei membri del gruppo abbiamo deciso di formare due squadre. Una, partita prima, aveva il compito di organizzare il campo, predisporre tutto il necessario con la popolazione locale e organizzare il trasporto dell’attrezzatura, mentre l’altra, arrivata qualche giorno più tardi, doveva occuparsi del trasporto di ulteriori attrezzature e dei generi alimentari.
Essendo subacqueo, oltre al solito equipaggiamento, ho dovuto sobbarcarmi anche un ampio quantitativo di mezzi per l’immersione. Visto che le immersioni nel sifone terminale rappresentavano uno dei principali obiettivi della spedizione non mi sono potuto permettere alcun tipo di errore nei preparativi che, in qualche modo, avrebbe potuto mettere a rischio questo importante aspetto. Al contempo, dovevo tenere anche conto del peso complessivo, visto che la via per raggiungere la grotta è lunga e impegnativa.
Verso l’Albania sono partito con Čevap, collega del club di Kranj, e strada facendo a Spalato si sono aggregati a noi anche Ines e Miha, che trascorrevano le loro vacanze sull’isola di Lissa e che hanno deciso di inserirsi anche in questa esperienza. Abbiamo proseguito insieme verso il confine albanese e costeggiando il lago di Scutari siamo giunti al villaggio Lekbibaj dove abbiamo lasciato le macchine, scelta questa dimostratasi più tardi scellerata, per proseguire a piedi verso la grotta e il campo.
Vista la distanza da percorrere e la difficoltà del terreno si è deciso di utilizzare i piccoli ma resistenti muli, condotti lungo le sconnesse mulattiere in pietra senza un apparente sforzo dagli abili mulattieri che peraltro chiedevano compensi piuttosto esosi. La vita in questo ambiente fortifica le persone come si può evincere dalla corporatura della gente locale che vive nei piccoli villaggi di montagna. Asciutti, senza un grammo di grasso, riescono a superare con facilità i percorsi ripidi, correndo da una montagna all’altra come se la forza di gravità non avesse ancora raggiunto questi luoghi.
Dopo il cammino durato alcune ore, stanchi e affamati, abbiamo raggiunto il centro di una ristretta valle ai piedi di poderose montagne, ove finalmente abbiamo raggiunto il modesto, ma ben organizzato campo base. La vista era particolarmente piacevole in quanto il sole pomeridiano illuminava ed esaltava i variopinti colori delle tende e delle diverse attrezzature, tanto da evocare l’immagine di un’oasi con una sorgente cristallina e fredda. L’acqua che abbiamo trovato, infatti, sembrava sgorgare da un ghiacciaio arrivato a spegnere la nostra sete e refrigerare i nostri piedi bollenti. Proprio quest’acqua segnava il percorso che abbiamo poi seguito nella grotta a circa duecento metri sopra la sorgente.
La notte è passata in un baleno e la mattina presto, bevendo il caffè, facevamo i piani per la giornata. Ovviamente, per prima cosa abbiamo deciso di affrontare la sfida maggiore rappresentata dal sifone…
Dopo aver preparato il necessario abbiamo abbandonato in fila indiana il campo per raggiungere la grotta distante una ventina di minuti a piedi. Il sole, con ogni momento che passava, scottava sempre di più, ma raggiunto l’ingresso maestoso abbiamo percepito con sollievo l’aria fresca che si espandeva dalla cavità. Dopo pochi minuti eravamo pronti ad iniziare l’esplorazione. Dall’entrata già si capisce immediatamente che dietro ad essa si cela una grande grotta. La galleria, dopo il tratto iniziale largo circa cinque e alto qualche decina di metri, presenta forme diverse con un’ampia varietà di rocce. Qualche ora più tardi, trasportando l’equipaggiamento pesante, ci siamo finalmente trovati davanti al sifone. Alla vista dell’acqua cristallina del lago e il fondo scuro, che celavano tante promesse, mi sono velocemente infilato nella muta, ho fissato l’attrezzatura e con l’aiuto di altri speleologi ho preparato il tutto per l’immersione. Sulla roccia sopra il sifone ho fissato la sagola di sicurezza, ho ricontrollato l’attrezzatura e sono sparito sotto la superficie. La prima vista del sifone era davvero indimenticabile tanto da non sentire il freddo che si insinuava nelle ossa. Infatti, chi si farebbe ostacolare dalla temperatura di soli 4 gradi se davanti si apre un sifone immerso in una delle acque più pulite che io abbia mai visto nella mia carriera di subacqueo.
Immergendomi ho seguito la frattura ben visibile. La galleria dopo circa 20 metri svolta ad angolo retto a destra e dopo alcune decine di metri e due salti in roccia mi sono trovato in una saletta, alla profondità di 24 metri. Una veloce esplorazione e ho proseguito la nuotata lungo la galleria. E poi…. una profonda delusione.
D’un tratto mi sono trovato davanti un crollo di rocce attraverso il quale si riusciva ad intravedere il prosieguo della galleria, ma il passaggio, purtroppo, era troppo stretto. In questo punto la galleria inizia a salire lievemente e sul lato opposto si vede l’ostruzione di grandi massi rocciosi. Deluso ho dovuto girarmi e ritornare. Non mi è rimasto altro da fare che esplorare tutte le spaccature e verificare le possibili continuazioni, purtroppo assenti.
La lunghezza complessiva misurata del sifone raggiunge i 70 metri con la massima profondità di 24 metri. La larghezza della galleria esplorata lungo la sua intera estensione varia tra i 4 e i 6 metri, il che si può dire anche per la sua altezza. Dopo il mio ritorno si è voluto immergere anche Rok, affascinato anch’egli dall’acqua pulita e dalla bellezza del sifone, ma deluso dalla scoperta. Una volta terminate le immersioni ci siamo avviati verso l’uscita.
Visto il sufficiente residuo di aria nelle bombole abbiamo deciso di fermarci e di esplorare anche il secondo sifone. Questa volta per primo si è immerso Rok. Qui la profondità è minore, la visibilità leggermente inferiore, ma ciononostante ancora ottima. Rok ha potuto costatare subito che la galleria svolta in direzione in cui si trova il terzo sifone e ha individuato anche una sacca d’aria. Ho voluto dare un’occhiata anch’io e ho indagato una galleria laterale che dopo pochi metri si è ristretta ed era molto fangosa. Nel secondo tratto del sifone, dopo una trentina di metri, sono riuscito a riemergere in una saletta che sotto la volta ritengo si ricolleghi alle gallerie già note alle quote superiori. Terminate le immersioni in quest’ultimo sifone, che rappresentava l’ultimo potenziale per i subacquei, abbiamo concluso le esplorazioni della giornata e siamo rientrati al campo stanchi e con sentimenti misti. Chiacchierando piacevolmente, mentre mangiavamo, abbiamo rivissuto gli eventi di quel giorno. Dopo poco, sopraffatti dalla stanchezza ci siamo infilati nei sacchi a pelo addormentandoci all’istante.
Le giornate successive erano dedicate principalmente all’esplorazione dei tratti asciutti e alla scoperta di nuove ramificazioni nelle porzioni terminali della grotta. I migliori risultati li hanno avuti Rok Stopar e Robert Grilc “Cevap” che, attraverso passaggi molto stretti, hanno esplorato circa 300 metri di gallerie scoprendo un ulteriore sviluppo della grotta. La squadra italiana nel secondo tratto della cavità ha esplorato circa 500 metri nuovi ed realizzato la rispettiva topografia. In seguito agli ultimi calcoli risulta che la grotta raggiunge in sviluppo oltre 3 km.
In base a quanto visto e alle esplorazioni effettuate, assieme a tutti i partecipanti alla spedizione si è deciso di ritornare e di continuare ad indagare insieme altri sotterranei che si celano nella grotta di Shpella Zeze e sotto l’altipiano di Hekurave.
L’ultimo giorno della nostra permanenza ci siamo dedicati alla pulizia del campo base e ai preparativi per il trasporto dell’attrezzature a valle.
Raggiunte la automobili ci aspettava una sorpresa poco piacevole, in quanto abbiamo constatato che le persone pagate per controllare le nostre macchine avevano evidentemente frainteso il loro ruolo. Al posto di custodire le vetture, ci avevano rubato alcune attrezzature e le derrate alimentari lasciate in auto, oltre ad avere utilizzato queste ultime per scorrazzare in lungo e in largo. Lo stile di guida piuttosto spericolato ha arrecato parecchi danni alle vetture, ma i guardiani assunti al villaggio non ne sapevano nulla. Non ci è rimasto null’altro che accettare la situazione e tornare abbacchiati a casa.
L’Albania è un paese meraviglioso che può vantare probabilmente uno degli ultimi angoli di natura intatta in Europa. Il problema nasce in certe persone che identificano gli stranieri come fonte di guadagno ed escogitano come approfittarne alla meglio in un breve lasso di tempo, invece di pensare allo sviluppo a lungo termine del loro territorio. Ma con il comportamento riservato a noi ben difficilmente potranno raggiungere tale obiettivo.
Rimango dell’opinione che nelle future spedizioni le esperienze, sia quelle positive, che quelle negative, possano tornarci utili. Dunque, con le nostre esplorazioni e l’impegno possiamo aiutare quella parte della popolazione locale pronta ad accoglierci e, forse, unirsi a noi per condividere la gioia nello scoprire le meraviglie del mondo sotterraneo in Albania.
Matej Mihailovski
Traduzione a cura di Jan Vanek
