Brevi note di storia della speleologia regionale
Gli inizi
Le grotte della nostra regione, abitate dall’uomo nell’antichità (Grotta Pocala, 91 VG; Grotta dell’Orso, 7 VG; Grotta delle Gallerie, 420 VG, Grotte Verdi di Pradis, 116 Fr, Velika Pecina, 13, Fr per citarne solo alcune), oggetto di culto nel medioevo (Grotta di san Giovanni d’Antro, 43 Fr, Grotta di San Servolo, San Servolo-Socerb, Slovenia), rifugio di briganti ed eremiti (Grotta dei Briganti del Rio Marodia, 106 Fr, Grotta dei Ladroni, 301 VG; Caverna di sant’Antonio, 235 VG), dimore del diavolo (Grotta del Diavolo Zoppo, 225 VG; Abisso del Diavolo, 56 VG; Buse dal Diaul, 34 Fr), tornarono ad attirare l’attenzione dell’uomo nel XVI secolo, sull’onda di quella ripresa degli studi – nel nostro caso geografici – che portò una ventata di rinnovamento in tutta Europa. Nei due secoli seguenti molti studiosi di varie nazioni europee, soprattutto geografi, si cimentarono nella descrizione dei vari aspetti del fenomeno carsico superficiale e sotterraneo; anche la nostra regione ebbe i suoi illustratori che utilizzarono gli strumenti culturali propri dell’epoca, per cui a fianco di mere citazioni e di descrizioni fantasiose si ebbero già le prime intuizioni geniali e le relazioni fedeli (Jacopo Valvasone di Maniago, Valvasor, Nagel). Comunque in tutta Europa le grotte rimanevano per la maggior parte della gente luoghi misteriosi, sovente legati nell’immaginario popolare (e non solo…) ad una realtà metafisica dai connotati orrorifici e terrificanti, luoghi che venivano visitati soltanto da pochi audaci o temerari. E le grotte della plaga carsica gravitante sulla città di Trieste, come quelle delle valli più prossime alla pianura friulana, non facevano certo eccezione.
Se si tralasciano la storia della Grotta di San Giovanni d’Antro (la chiesetta al suo imbocco comparire esser stata edificata nel 1457) e quella della Grotta di Corniale/Vileniza (secondo alcuni autori resa turistica già nel 1639), una delle prime esplorazioni di cui ci sia giunta notizia è quella che risulta essere stata effettuata nella Grotta del Diavolo Zoppo, 225 VG (Monfalcone), cavità che venne visitata nei primi anni del ‘700 da un gruppo di cercatesori alcuni dei quali – secondo quanto riportano le cronache – morirono di spavento. Negli stessi anni altri meno impressionabili visitarono la Grotta di Corniale (Vileniza o Vilenica, Lokev-Corniale, Slovenia) che divenne ben presto la prima grotta turistica della regione, mentre le grotte sacre (San Giovanni d’Antro, San Servolo) continuavano ad essere interessate – almeno nel loro primo tratto – da una frequentazione particolare, prettamente devozionale.
Dalla metà del ‘700 cominciarono a scomparire nelle pubblicazioni le descrizioni fantasiose, che vennero sostituite da relazioni tecniche redatte da matematici, naturalisti, chimici: le grotte, anche se limitatamente ad un ristretto numero di persone delle classi più colte ed emancipate, cominciarono ad essere viste quali fenomeni naturali da conoscere e da studiare.
Nei primi anni del secolo seguente iniziarono sul Carso triestino le esplorazioni che ebbero – fra l’altro – quali mete la Grotta di Padriciano, 12 VG, l’Antro delle Sorgenti di Bagnoli, 105 VG, nonché caverne varie presso Opicina, Santa Croce, Aurisina. Non sono molte le notizie giunte a noi da quegli anni lontani; le più interessanti riguardano Joseph Eggenhoffner, romantica figura di pioniere che non solo esplorò la Grotta di Padriciano, ma ne attrezzò la prima parte, con panche e tavoli, per la visita dei forestieri ed in cui fu vittima di un incidente che lo bloccò per una notte intera. Questa grotta, come pure quelle di Corgnale e di San Servolo, è inserita in una guida illustrante le bellezze di Trieste dei suoi dintorni stampata nel 1823.
L’avvio delle ricerche
Il grande sviluppo della città di Trieste – il più importante emporio marittimo dell’impero austriaco – nei primi decenni dell’800 costrinse i pubblici amministratori a cercare una soluzione ai problemi dell’approvvigionamento idrico: le fontane pubbliche ed i pozzi privati non bastavano più, soprattutto nelle afose estati, a fornire l’acqua necessaria agli abitanti ed al porto. Nei pressi della città non c’erano fiumi dai quali attingere l’acqua, per cui prese corpo l’idea di reperirla nelle viscere del Carso in cui avrebbe dovuto scorrere, secondo gli antichi geografi e la credenza popolare, il mitico fiume Timavo.
La ricerca, condotta da privati, iniziò nel terzo decennio (scavi di Matteo Bilz fra Trebiciano e Orle) e si chiuse qualche anno dopo senza risultati degni di nota (il Bilz morì a Gorizia, oberato dai debiti, nel 1841 portando con sé i segreti delle sue ricerche), per riaprirsi nuovamente agli sgoccioli degli anni ’30 (esplorazioni di Lindner e Svettina a san Canziano-Skocjan ed in varie grotte del Carso triestino lungo il presunto percorso sotterraneo del Timavo). Le indagini si conclusero, questa volta felicemente, nel 1841 allorquando Antonio Federico Lindner, dopo parecchi mesi di duro lavoro, raggiunse un ramo del fiume sul fondo dell’Abisso di Trebiciano, a 329 metri di profondità e ad una quota di 12 sul livello del mare.
L’acqua era stata trovata, ma troppo in basso per poter essere utilizzata per il rifornimento idrico, per cui negli anni che seguirono la ricerca di un altro accesso al fiume sotterraneo proseguì, ancorché slegata e discontinua. Dopo una serie di iniziative intraprese dal governo austriaco (Schmidl), da privati (Sigon) e dal Comune di Trieste (Grotta dei Morti, impresa tragicamente finita nel 1866 con la morte di quattro operai) le investigazioni vennero formalmente abbandonate, anche perché nel 1857, con l’attivazione dell’acquedotto di Aurisina il problema del rifornimento idrico si era fatto meno pressante. Intanto nel Friuli nel 1844 qualche studioso cominciava ad interessarsi alle grotte del Cansiglio.
La nascita della speleologia organizzata (1877-1914)
Verso la fine degli anni ’70, sia a Trieste, città in continua espansione, che nel Friuli, iniziarono a costituirsi i primi gruppi di esploratori delle caverne. Nel 1877 nel seno della Società Adriatica di Scienze Naturali venne formata una “Commissione per gli studi dell’altipiano”, incaricata delle ricerche in grotta: ai suoi uomini si debbono la scoperta, apertura, esplorazione ed un primo rilievo della Grotta del Bosco dei Pini di Basovizza, 18 VG. Sei anni dopo videro la luce a Trieste altri due sodalizi speleologici: nel maggio 1883 venne costituito il Comitato alle Grotte della Società degli Alpinisti Triestini (poi Società Alpina delle Giulie), nel settembre dello stesso anno fu la volta l’Abtheilung für Grottenforschung del Deutsche und Österreichische Alpenverein. Nel Friuli le prime indagini speleologiche intese nel senso moderno del termine si possono far iniziare nell’agosto 1875, allorquando una comitiva della sezione di Tolmezzo del Club Alpino Italiano visitò il Fontanon di Riu Neri, 114 Fr, a cui seguirono nei due decenni successivi esplorazioni e studi condotti da soci della Società Alpina Friulana, erede della sezione di Tolmezzo del C.A.I.. Dopo quasi cent’anni di esplorazioni isolate era quindi nata la speleologia organizzata.
Una decina di anni dopo la nascita delle prime società si formarono a Trieste i primi due gruppi grotte giovanili, costituiti per lo più da studenti (età media 15/17 anni): il Club Alpino dei Sette (luglio 1892: fratelli Boegan, Kobau, Tribel, Alessandrini) e l’Hades Verein (dicembre 1893: fratelli Petritsch, fratelli Perko, fratelli Mertl, Pillwein). La loro vita non fu molto lunga, anche se l’attività esplorativa svolta fu piuttosto notevole (fra l’altro ambedue i Gruppi ebbero un loro bollettino ettografato: “La Mosca” e “Der Hades”), in quanto vennero sciolti dall’autorità costituita nell’estate del 1894, ufficialmente perché non in regola con la normativa in fatto di associazionismo. I membri del Club dei Sette passarono al Comitato alle Grotte (divenuto nel frattempo “Commissione Grotte”) della Società Alpina delle Giulie, mentre quelli dell’Hades Verein entrarono nel Club dei Touristi Triestini ove venne fondato, penultimo in ordine di tempo del secolo XIX, un Comitato Grotte che operò, con alterne vicende, per una trentina d’anni. Ultimo della regione in ordine di tempo a nascere, ma primo in Italia (Trieste a quel tempo faceva parte dell’impero Austriaco) fu il Circolo Speleologico ed Idrologico Friulano, costituito da un gruppo di soci della S.A.F. che già da alcuni anni si interessava dell’esplorazione delle grotte della Bernadia e del cividalese. Attività speleologica venne svolta sul Carso Classico, dal 1904 in poi, anche da alcuni membri dello Slovensko Planinsko Drustvo di Trieste; purtroppo non si hanno molte notizie sull’operato di questo sodalizio: per certo si sa che prese a pigione per un periodo la Grotta Vileniza di Corniale e che attrezzò turisticamente la Grotta del Fumo-Dimnice Jama di Marcossina-Markovsina.
L’aggregazione degli appassionati delle grotte in associazioni e club era imposta soprattutto dalla necessità di disporre di un abbondante parco attrezzi e di un adeguato numero di uomini in grado di trasportarlo e metterlo in opera (dieci metri di scala di corda pesavano 8/12 chili): singoli esploratori (come nel secolo precedente, sul Carso triestino, Sigon e nei primi anni del ‘900 Perko) potevano operare soltanto facendosi accompagnare da “lavoranti” stipendiati.
Anche se in maniera diversa i gruppi grotte pianificarono l’attività esplorativa e di ricerca: la Commissione Grotte della S.A.G. sul Carso triestino ed in Istria, il Comitato Grotte del C.T.T. sul Carso e nella Valsecca di Castelnuovo (Matarsko podolje) mentre il Grottenabtheilung del D.Ö.A.V. aveva puntato tutte le sue energie nell’esplorazione delle grotte di San Canziano-Skocjan e di quelle vicine (Abisso dei Serpenti-Kacna Jama, che con i suoi 304 metri di profondità era la seconda grotta del Carso). Nel Friuli le zone più indagate dagli uomini del C.S.I.F. furono i monti della Bernadia, ospitanti cavità notevoli per sviluppo e profondità, e le valli del cividalese, ove le ridotte dimensioni delle grotte venivano compensate dagli interessanti reperti paleo-paletnologici rinvenutivi. Le cavità visitate venivano catalogate e studiate sotto parecchi punti di vista (idrologico, morfologico, biologico, paleontologico ecc.), per cui si può affermare che la speleologia scientifica regionale aveva messo le sue basi proprio in questo periodo.
Nei primi anni del XX secolo la regione (e nella fattispecie le città di Trieste e di Udine) possono considerarsi all’avanguardia nel settore, con numerose società di esploratori ben organizzati, con riviste ove venivano pubblicati i risultati ottenuti (a Trieste “Alpi Giulie”, “Il Tourista”, mentre nel 1904 a Udine, a fianco della rivista “In Alto” (che da oltre un decennio pubblicava relazioni su grotte e fenomeni carsici), veniva fondata la rivista “Mondo Sotterraneo”, la più antica rivista di speleologia tuttora operante), con studiosi (i Marinelli, Timeus, Boegan, De Gasperi) affermati anche a livello internazionale. Alla fine di questo periodo esistevano vari Catasti/Archivio delle Grotte (uno a Udine, presso il C.S.I.F., per le grotte del Friuli e diversi – quasi uno per società – a Trieste per la regione Giulia) e le cavità conosciute superavano il mezzo migliaio (450 nella Venezia Giulia, circa 200 nel Friuli), in buona parte topografate e pubblicate; inoltre diverse cavità erano state attrezzate per la visita del pubblico (Grotta Gigante, Grotte di san Canziano-Skocjan, Grotta di Corniale-Vilenica, Grotta del Fumo-Dimnice jama), cosa di non secondaria importanza per la diffusione della conoscenza del fenomeno carsico ipogeo in più ampi strati della popolazione. A questo proposito c’è da rilevare che mentre a Trieste, città dallo spirito mercantile anche in questo caso, le Società speleoalpinistiche contavano di diffondere la conoscenza del mondo sotterraneo presso il grande pubblico con le grotte turistiche (e di ricavarne nel contempo il denaro necessario per la loro attività, a Udine il C.S.I.F., in accordo con la S.A.F., organizzava “carovane scolastiche” che conducevano centinaia di studenti a visitare grotte della Bernadia e del cividalese.
La guerra mondiale ed il ventennio di espansione (1915-1940)
Durante la prima guerra mondiale l’attività speleologica nella regione – teatro primario delle operazioni belliche – venne notevolmente ridotta: sul Carso triestino fu sospesa del tutto (le grotte venivano esplorate e adattate ad usi bellici da speciali reparti dei due eserciti contrapposti), mentre nel Friuli divenne – almeno per la parte esplorativa – poco più che formale. Il C.S.I.F. riuscì, nonostante le difficoltà obiettive del momento, a pubblicare la Rivista “Mondo Sotterraneo” (di cui due annate, la 13° e la 14°, in esilio a Firenze, essendo stata occupata Udine dagli austriaci dopo la rotta di Caporetto); non solo, ma nel 1916, mentre combatteva e moriva Giovan Battista De Gasperi, usciva su un numero speciale di Mondo Sotterraneo la sua opera maggiore, “Grotte e voragini del Friuli”, 220 pagine con 115 tavole e rilievi e quattro fuori testo, prima completa monografia italiana su di una zona carsica, paragonabile all’opera “Les Abimes” del Martel.
Negli anni che seguirono il conflitto, risolto con un nuovo acquedotto il ripresentatosi problema dell’acqua per la città di Trieste, nella speleologia triestina ebbe uno sviluppo considerevole la componente esplorativa. Negli anni ’20 si costituirono, sciolsero, riaggregarono numerosi gruppi grotte, i più con fini essenzialmente escursionistici, ma parecchi anche con velleità esplorative. I risultati di tanto fervore di opere non mancarono ed i grottisti triestini conseguirono notevoli risultati (fra il 1928 ed il 1935 i due terzi dei maggiori abissi del mondo allora conosciuti risultano essere stati esplorati dai gruppi grotte della provincia di Trieste). Per contro il C.S.I.F., duramente provato dalla perdita di esponenti quali G.B. De Gasperi, vera promessa della speleologia italiana, G. Feruglio, F. Musoni, O. Marinelli, e dall’emigrazione di altri esponenti (E. Feruglio), dopo una buona partenza finì per arenarsi sino a chiudere praticamente, nel 1928, la sua attività. Per alcuni anni (1925/1927) operò in Friuli un Gruppo Speleologico dell’Associazione Studentesca Friulana; un po’ più a lungo durò l’attività del Gruppo Esploratori Lavoratori Grotte di Villanova, che attrezzò la prima cavità turistica del Friuli, quindi l’attività speleologica venne condotta da singoli ricercatori non facenti capo ad alcun gruppo. Sempre in quel periodo alcuni gruppi regionali cominciarono ad organizzare le prime spedizioni di più giorni: in Istria (1922), sul Cansiglio (1924), nell’Italia meridionale (Castelcivita 1926): con la nascita delle prime ferie estive era nato pure un nuovo modo di concepire ed utilizzare razionalmente la speleologia ludico-esplorativa.
Nel ventennio fra le due guerre si ebbero, in ambito regionale, risultati di prestigio pure nel settore scientifico, fra i quali si possono ricordare la pubblicazione del “2000 Grotte” (1926), del primo fascicolo – Grotte della Venezia Giulia – del Catasto delle Grotte d’Italia (1932), de “Il Timavo” (1938), la nascita di “Grotte d’Italia”, la prima rivista speleologica a carattere nazionale (1927), l’organizzazione del primo Congresso Nazionale di Speleologia (Trieste-Postumia 1933). Nello stesso periodo (1920-1940) risultano operanti nella regione 34 Gruppi Grotte (29 nella provincia di Trieste, tre in quella di Udine e due in quella di Gorizia). Grazie alla loro opera vennero esplorate nuove zone carsiche quali la Bainsizza, il Tarnovano, la Selva di Piro; il Catasto delle Grotte della Venezia Giulia passò dalle 450 cavità conosciute nel 1919 alle 3873 del 1940, con un incremento che non trova riscontro né in Italia né all’estero; nel Catasto grotte del Friuli risultavano inserite all’inizio della guerra 330 cavità.
La seconda guerra mondiale e la ripresa (1940-1970)
Lo scoppio della seconda guerra mondiale trovò la speleologia triestina in una fase di ripresa, dopo un calo di attività dovuto al ricambio generazionale che vide l’uscita dalla scena di buona parte degli uomini che avevano operato per oltre un decennio, ottenendo brillanti risultati nel campo esplorativo, e l’ingresso di giovani preparati e determinati. Nel 1940, anno dell’entrata in guerra dell’Italia, risultano operanti nella regione cinque gruppi grotte, tutti con sede a Trieste, la cui attività spaziava anche al di fuori degli ambiti regionali. Dopo i primi due anni l’operosità si ridusse notevolmente, sia per la mancanza di uomini – quasi tutti sparsi sui vari fronti – sia per le difficoltà di lavorare su di un territorio nel frattempo stava diventando, con lo svilupparsi della guerra partigiana, zona di operazioni.
Dopo la fine della guerra, che aveva imposto nuovi confini, molto più a ridosso della città di Trieste (la perdita dei classici territori di ricerca aveva ridotto le grotte visitabili della Venezia Giulia da quasi 3900 a poco più di 600, mentre soltanto un paio di quelle del Friuli erano rimaste oltre confine), l’attività riprese con ancor maggior slancio. Alla fine del 1945 erano nove i gruppi operanti in città, cifra che raggiungerà il massimo storico di venti gruppi nel 1958: lo spirito di indipendenza del grottista triestino gli impediva di accettare vincoli statutari o regolamentari troppo stretti, per cui questo associazionismo estremamente frazionato – che inibiva la programmazione di attività a più ampio respiro – divenne quasi una costante del panorama speleologico giuliano. Un tentativo di costituire una Federazione Speleologica Triestina (1958) non ebbe seguito per l’ostilità o il disinteresse dimostrati da buona parte dei Gruppi Grotte locali. Il parco attrezzi – collante che teneva unite le compagini, tanto più numerose quanto più era consistente – si era intanto alleggerito di molto con l’entrata in uso corrente, già a partire dagli anni ’30, di scalette costruite con cavetti d’acciaio anziché con grossi canapi, ma non ancora al punto da permettere un’attività individuale degna di rilievo. A Monfalcone nel 1948 si costituì un Gruppo Speleologico (che però era operante già da un paio d’anni) che dopo una quindicina di anni si sdoppierà; nel frattempo a Gorizia, nei primi anni ’50 si ha una fugace apparizione di un gruppo grotte autonomo.
Nel Friuli, dopo la lunga pausa, speleologi del C.S.I.F. e di Tarcento ripresero l’attività esplorando l’abisso di Viganti (1948); contemporaneamente singoli pordenonesi esploravano le grotte della Valcellina mentre appassionati di Cividale proseguivano le indagini, ferme da oltre vent’anni, nella grotta di San Giovanni d’Antro. Dal punto di vista culturale oltre ai vari apporti del Gortani (per un ventennio preside dell’Istituto Italiano di speleologia di Postumia), nel 1954 apparve ad opera di Egidio Feruglio, rientrato dall’esilio, una ponderosa monografia sulla zona carsica di Villanova, pubblicazione che segnò la rinascita formale della speleologia friulana; l’anno seguente a Tarcento venne fondato il quarto gruppo grotte friulano.
Il ventennio 1950-1970 portò ad una notevole maturazione della speleologia regionale che vide aumentare di molto il numero degli appassionati e dei gruppi in cui gli stessi si organizzavano e si riconoscevano: a Gorizia nel 1961 nascevano due gruppo grotte, cui si affiancherà un terzo un paio di anni dopo; mentre a Monfalcone oltre ai due Gruppi Speleologici operanti da più di un decennio inizia a lavorare un terzo gruppo. Nel Friuli a fianco del Circolo di Udine e del gruppo di Tarcento opera il rinato Gruppo Esploratori di Villanova, seguito negli anni successivi da altri gruppi via via sorti a Pordenone, Sacile, Cividale, Tolmezzo.
Dal punto di vista esplorativo – grazie all’introduzione di materiali sempre più leggeri (i cavetti delle scale arrivano al diametro di mm 3,17 e in qualche caso a 2) – dalle classiche zone vicino a casa si passò ad indagare con successo tutti i massicci calcarei del Friuli (Pradis, 1953; Matajur, 1954; Cansiglio, 1957; Canin, 1963) e di altre regioni italiane (Lombardia, 1950; Campania, 1951; Veneto, 1954; Sardegna e Piemonte 1955; Puglia 1956, Sicilia, 1957; Toscana, 1958). I successi non tardarono ad arridere alle squadre degli speleo della regione: negli elenchi di cavità profonde italiane i gruppi del nord est d’Italia sono sempre ben piazzati, anche se soltanto dal 1963, con la riscoperta del fenomeno carsico del Canin (Abissi Boegan, Gortani, Comici, Prez, Davanzo, Picciola, Novelli) la loro presenza divenne incisiva.
Nel primo decennio del dopoguerra la specializzazione più appariscente dei grottisti triestini fu la capacità di scoprire ed aprire nuove cavità sul Carso triestino, capacità che rimase anche dopo l’apertura di nuovi orizzonti esplorativi. Pure dal punto di vista culturale e scientifico il ventennio si dimostrò proficuo: vi vennero organizzati congressi nazionali (il 6° nel 1954 e il 9° nel 1963) e locali (Trieste, 1958), vi nacque la Scuola Nazionale di Speleologia del C.A.I. (1958), vennero costituiti il Soccorso Speleologico (1966) e il Catasto Regionale delle Grotte (1966). Sempre in questi anni videro la luce alcune riviste speleologiche: Atti e Memorie della Commissione Grotte “E: Boegan” (1961), Mondo Sotterraneo (che riprese le pubblicazioni nel 1965), Ricerche e scoperte speleologiche (1966), Annali del Gruppo Grotte dell’Associazione XXX Ottobre (1967), Vita negli Abissi (1967), La Nostra Attività (1970). Alla fine del 1970 le grotte conosciute nella Venezia Giulia (in sostanza nella provincia di Trieste e nella parte ad oriente dell’Isonzo di quella di Gorizia) erano 1374 contro le 606 del dicembre 1945, mentre quelle catastate in Friuli avevano raggiunto le 800 unità, praticamente quasi triplicando quelle note nel 1945.
La speleologia contemporanea (1971-oggi)
All’inizio degli anni ’70 nella Regione operavano due dozzine di Gruppi Grotte (15 nella provincia di Trieste, tre in quella di Udine, tre a Pordenone, quattro a Gorizia), la metà dei quali stavano già adottando tecniche di esplorazione più leggere: discensori, bloccanti per l’autosicura, e quindi iniziando le prime esplorazioni su sola corda. Venticinque anni dopo saranno 28 (13 a Trieste, cinque a Udine, tre a Pordenone e sette a Gorizia). Nell’Isontino si costituisce una Federazione Speleologica Isontina che raccoglie l’adesione di buona parte dei gruppi grotte della provincia di Gorizia, mentre a Trieste negli anni’80 viene attivata una nuova Federazione Speleologica Triestina che trova maggior appoggio della precedente. L’affermarsi delle nuove tecniche, permettenti grosse imprese esplorative anche a compagini molto ridotte, cambiò un po’ la mentalità del grottista medio – da quel momento sempre di più definito o autodefinito “speleologo” – e quindi anche quella dei Gruppi Grotte. Che son sempre numerosi (la media rimase sulla ventina), ma ora spesso propensi a fare attività in collaborazione, anche perché l’uso di materiali più leggeri portò alla scoperta di complessi ipogei sempre più articolati e richiedenti un impegno (in tempo, denaro, uomini) sempre maggiore. Ai successi esplorativi dati dai grossi abissi del Canin se ne aggiunsero altri sia dovuti all’esplorazione di nuove singole cavità profonde (Abissi Modonutti-Savoia, Città di Udine, Gronda Pipote, Fonda, Martini, Led Zeppelin) od estese (Grotte Feruglio, Skilan, Gualtiero), sia alla individuazione di chilometrici sistemi ipogei (Gortani-Davanzo-Venturi-U2-Meandro de Plucia; Pastore-Klondike-Incubi-Kloce; Comici-Mornig; Grotte di La Val-Noglar-Mainarda; Risorgive del Timavo-Grotta del Lago-Grotta dei Colombi).
Come già nel periodo precedente il territorio carsico di casa, pur non mancando di riservare sorprese e ricompense ai suoi estimatori, va stretto agli speleologi della Regione che vanno a cercare affermazioni non solo nel resto d’Italia ma anche all’estero. Vennero organizzate così spedizioni esplorative in Iran (1976, 1977) in Messico (1984/1989), in Brasile (1986/88), a Santo Domingo (1986), in Costarica (1988), in Russia (dal 1990), in Slovenia (1989: primo meno 1000 nel Veliko Sbrego, tosto seguito da un secondo al Ceki 2. In collaborazione con altri gruppi italiani speleologi della regione si recarono (e si recano tuttora) ad esplorare zone carsiche dell’Asia, delle Americhe, dell’Africa. A fianco di questa speleologia esplorativa di punta, gli ultimi due decenni videro pure nascere una speleologia ludico-turistica, per cui sempre più spesso squadre di grottisti della regione si recano in Italia e all’estero per visitare o rivisitare i più famosi complessi carsici: mete preferite le grotte di Francia, Spagna, Svizzera, Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Slovenia, Croazia.
Gli appassionati del mondo delle grotte sono sempre più numerosi e preparati: le locali scuole di speleologia, facenti capo al C.A.I. (Club Alpino Italiano) o alla S.S.I. (Società Speleologica Italiana) organizzano ogni anno una dozzina di corsi, di vario livello (si va dai corsi organizzati dall’Alpinismo Giovanile per ragazzi in età scolare ai corsi “Over Anta”, per ultra quarantenni e pensionati). Vengono pubblicate una dozzina di riviste speleologiche: a quelle menzionate nel capitolo precedente si sono nel frattempo aggiunte il Bollettino della Sezione Speleologica del C.N.S.A. (1971), il Bollettino del G.T.S. (1972), Natura Nascosta (1974), Bollettino dell’A.F.R. (1975), Progressione (1978), La Nostra Speleologia (1980), Il Carso (seconda serie, 1983), la Rassegna della F.S.T. (1983), Sopra e Sotto il Carso (seconda serie, 1990), Esplorare (1990), il Teston de Grota (seconda serie, 1991), Studi e Ricerche (1992), il Bollettino della S.A.S. (1992), Ipogea (1994). La complessità dei problemi da affrontare ha portato alla costituzione di una Federazione Regionale di Speleologia, che sta ora facendo i suoi primi passi e che tiene informato il mondo speleologico con una “Gazzetta dello speleologo”, mensile giunto nell’agosto 1998 al suo ventunesimo numero.
Notevole è pure il lavoro svolto nel settore culturale, ove a fianco delle riviste (i cui modelli vanno dal bollettino meramente informativo alla rivista scientifica di taglio universitario), delle conferenze divulgative nelle scuole e nei circoli, nonché della didattica (sono una decina i Gruppi Grotte regionali che organizzano ogni anno uno o più corsi si speleologia), molte energie sono state dedicate all’attività congressuale. Infatti non solo gli speleologi della regione sono stati sempre presenti – in maggior o minor numero, a seconda dei casi – a tutte le manifestazioni congressuali nazionali ed a parecchie di quelle estere di maggior rilievo, ma hanno anche contribuito direttamente organizzando congressi e convegni nel Friuli-Venezia Giulia. Il Soccorso Speleologico regionale ha organizzato due convegni nazionali (1969 e 1984) ed uno internazionale (1987); in regione si è tenuto il 16° congresso nazionale di speleologia (1990), il simposio internazionale sull’utilizzazione delle aree carsiche (1981) ed un simposio nazionale sull’ecologia dei territori carsici (1984). A fianco di queste manifestazioni, notevoli per l’impegno profuso e per i risultati ottenuti (lo stanno a dimostrare gli “Atti”, sempre regolarmente pubblicati), se ne possono citare molte altre, quali incontri triangolari con le regioni vicine, convegni tematici, la fondazione di un premio (il “San Benedetto Abate”, patrono degli speleologi) da assegnare a speleologi o gruppi distintisi nel campo dell’attività speleologica, incontri informali.
Ma forse uno degli aspetti sostanziali del salto di qualità della speleologia regionale è dato dall’attivazione del Catasto Regionale. E’ questa una struttura aperta al pubblico che, mettendo a disposizione di chiunque ne faccia richiesta le informazioni relative a tutte le grotte conosciute nella regione, ha aperto una dimensione nuova nella speleologia locale, avvicinando un pubblico sempre più vasto (ed eterogeneo: studenti medi e liceali, geologi, professionisti, insegnanti) al mondo fascinoso delle grotte. Non solo, ma favorisce la crescita della speleologia regionale con iniziative culturali quali la redazione e quindi distribuzione di un manuale di rilievo e con la regolare pubblicazione dei Quaderni del Catasto, contenenti gli aggiornamenti catastali delle grotte della Venezia Giulia e del Friuli. Si potrebbe dire che il Catasto Regionale sia un ponte che permette a tutti di accedere al mondo delle grotte, ormai non più un lontano universo riservato a pochi specialisti, ma un continente alla portata – con le dovute cautele – di tutti.