Una storia che inizia da lontano, le Casermette e il suo abisso
pubblicato su ” PROGRESSIONE N 51 ” anno 2004
Prologo
“Le Casermette” è il soprannome di una grotta che si apre sul M.te Canin, a Ovest del M.te Poviz, dove l’altopiano del Palacelar sprofonda nella Val Raccolana. Questa è stata il punto focale degli sforzi esplorativi di giovani speleologi triestini che colpevolmente ben poco hanno divulgato della loro attività.
Premessa
Tale gruppo nasce da un seme sparso da Massimiliano Palmieri sull’altopiano del Palacelar alla fine degli anni ‘90. La sua dedizione all’esplorazione fece si che alcuni dei migliori speleologi italiani orbitassero attorno alla sua figura ed ai suoi progetti. In questo fertile ambiente fece i primi passi un gruppo di giovanissimi grottisti che frequentavano l’Alpina delle Giulie.
Il Palmieri però alla fine del 1999 si allontanò dall’ambiente speleologico e di conseguenza smise di organizzare l’attività esplorativa nella zona.
Il suo seme però diede frutto e già nell’estate seguente il gruppo iniziò un’attività esplorativa indipendente nella zona frequentata da “Maci”.
Spero di non offendere nessuno individuando come nucleo fondante del gruppo W.Boschin (Lapsus), G.Cergol (Gianetti), M.Sticotti (Cavia), A.Zorn (Vibro).
Cenni Storici
1915-1917 Prima Guerra Mondiale
La Val “Raccolana” non viene risparmiata dagli scontri tra le forze degli Imperi Centrali e gli Alleati, ed il M.te Canin diviene uno dei teatri della guerra in quota. L’esercito italiano si attesta sull’altopiano a N delle attuali creste di confine. Fra le varie opere di fortificazione realizzano un gruppo di caserme in una conca a N-W del Poviz e un sentiero per accedervi. I reparti italiani attestati sul Rombon e sul Ciukla, a seguito dell’attacco austro-tedesco a Plezzo e del successivo sfondamento delle linee a Caporetto, si ritirano passando proprio in questa zona e raggiungono a marce forzate nella neve l’inizio della Val Raccolana, attraversando tutto il pianoro del gruppo del Canin.
Agosto 1971 G.G. C. Debeljiak
Ai primordi delle esplorazioni sul massiccio del Canin, il Gruppo Grotte “C. Debeljak” si spinge ad esplorare questa nuova zona carsica.
Il gruppo sceglie la zona vergine circostante l’altopiano del Palacelar, ed il risultato più eclatante che ne risulta è un abisso che si apre subito sopra le ex caserme italiane del Poviz.. L’esplorazione si ferma a 137 m. di profondità dove l’acqua sfugge in una fessura impraticabile alla base di un pozzo cascata.
21 Settembre 1991 U. Mikolich
Tale mitico personaggio, indefesso esploratore di ingressi e cavità, perlustra e sgrufola persino le falde del Poviz ; esplora e rileva una grotta profonda 50 m. che si apre fra le caserme italiane e sottostante 40 m. dall’abisso esplorato nel ’71 dal “Debeljak”.
1994-1999 M. Palmieri
La parte inferiore dell’altopiano del Palacelar, fino ad allora trascurato per i potenziali limitati, diviene protagonista di una fertile stagione esplorativa.
“Prendono forma” una serie di abissi caratterizzati da grandi verticali ed assenza di ambienti fossili evidenti. I nomi della più importanti scoperte sono il complesso Pero-Net 10 (-664 m.), Capitan Findus (-745 m.), Amore quanto latte (-750 m.). Eventi salienti delle esplorazioni
Agosto 2000 W. Boschin G. Cergol A. Zorn (B. Grillo D. Vidri)
Il 2000 è il primo anno che il gruppo, orfano della guida del Palmieri, organizza un campo estivo indipendente in Palacelar. Negli ultimi giorni viene rivista la grotta esplorata dal Mikolich presso le “Casermette” ( – 50 m.).
“Seguire l’aria” è il loro dogma, e con questo riescono a trovare un by-pass per finestra (-45 m.) sull’ultimo pozzo sceso da Umbertino.
Raggiunta una profondità di 75 m. trovano alcuni chiodi a pressione, perciò si rendono conto di essersi collegati con l’abisso esplorato dal G.G. “Debeljak”: di conseguenza arrivano sulla fessura in cui negli anni ’70 si erano fermate le esplorazioni.
A. Zorn in questo caso fa una piccola magia, si infila nel meandro che continua diametralmente opposto all’arrivo del pozzo cascata, ne segue per dieci metri un livello praticabile e riesce a scivolare con una contorsione in un ambiente più ampio: sotto la strettoia si apre una verticale di 77 m. (P. “Alfonso Marchi”).
Agosto 2001 G. Cergol F. Durnik B. Grillo M. Sticotti A. Zorn
Secondo campo estivo organizzato dal gruppo, nel quale la grotta della “Casermette” monopolizza le attenzioni dei partecipanti.
Sempre nell’ottica di seguire l’aria trovano un meandro di 120 m. (Rotoloni Regina) da cui giungono su una grande verticale (Errata Corraise -165 m.).
Qui fanno una scelta molto caratterizzante: continuano a seguire l’aria e perciò decidono di entrare in una finestra laterale del pozzo nonostante che questo continui ampio.
Per questa via giungono alla profondità di -260 m. dove parte uno stretto meandro\frattura senza curve.
Gennaio 2002 A. Sbisà A. Zorn
In una freddissima giornata d’Inverno, A. Zorn con un estemporaneo collega torna nel meandro-frattura abbandonato l’anno prima: dopo 133 m. di stenti entrano in una forra scendendo fino a -370 m.
Agosto 2002 W. Boschin G. Cergol M. Sticotti A. Zorn
Campo estivo del 2002, A.Zorn e W.Boschin provano a scendere la verticale trascurata l’anno precedente a -165 m. (Errata Corraise) e si fermano dopo 30 m. su enormi massi incastrati.
Novembre 2003 G. Cergol S. Krisciak A. Sbisà
La forra abbandonata nel gennaio 2002 per mancanza di materiale (-370 m.) riceve nuove attenzioni. Il salto non sceso si rivela un arrivo laterale di un pozzo di dimensioni notevoli. In questo, avendo raggiunto dopo 40 m. un enorme masso incastrato, appare una serie di fix industriali (-410 m.).
Le “Casermette” si collegano con “Capitan Findus” nel ramo che conduce al fondo principale del Complesso (-745 m.) detto dei “Megalodonti”, e precisamente a metà del p.161 “Magazziniere Piangente”.
16-17 Settembre 2004 G. Cergol G. De Sanctis I. Glavas N. Kusmanovich M. Sticotti
Dopo più di due anni viene ripreso in considerazione la grande verticale trascurata nel 2001 (Errata Corraise). Questa viene scesa per 200 m. fino ad una frana sospesa invalicabile. Il pozzo ha una morfologia complessa: è impostato su una frattura, ha tre fondi separati da diaframmi alti 45 m. ed è caratterizzato da 7 arrivi principali.
Il forte stillicidio di Settembre obbliga a scendere solo il fondo al lato E (-365 m.).
26-27 Dicembre 2004 R. Ostoich A. Sbisà
Sul lato opposto a quello sceso della grande verticale viene scoperto un passaggio nella frana. Scesi altri 90 m. il pozzo termina (- 440 m.) con un ampio meandro che drena il sistema di pozzi sovrastanti.
5-6 Febbraio 2005 G. Cergol A. Sbisà
Il meandro attivo sbuca in una forra che con alcuni salti porta fino a un pozzo in fanghi neri(-550 m.).
19-20 Febbraio 2005 G. Cergol A. Sbisà M.Sticotti
Marco Sticotti nel 1997 aveva 18 anni, e aveva avuto l’onore di scendere l’ultimo pozzo che portava al fondo del Cap. Findus (-745 m. ramo dei Megalodonti).
Nel 2005 ritorna per rilevare e scendere il pozzo nei fanghi: nel meandro terminale riconosce il suo ultimo fix e la saletta in cui nel ’97 aveva atteso 3 ore: è il fondo del Cap. Findus e il pozzo nei fanghi è il sifone terminale svuotato.
L’inverno 2004-2005 ha indotto un eccezionale raffreddamento del massiccio causa la persistenza di temperature rigide, tanto da permettere la formazione di colate e stalattiti di ghiaccio fino ad una profondità di -200 m. Il livello di base si è abbassato vistosamente regalando l’opportunità di percorrere un ambiente usualmente inaccessibile, svuotando un pozzo di 27 m. che termina su una spiaggia di ghiaie mobili davanti ad un losco lago nero, con una grande isola di fango che ne emerge al centro (portando il fondo del complesso Cap.Findus-Casermette a -772). Conclusioni
il Cap. Findus è il capolavoro del Palmieri di cui si sa troppo poco, non esiste un rilievo complessivo ed una organizzazione dei dati, inoltre dal Dicembre 2003 è inaccessibile perché chiuso da un tappo di neve.
La perdita di informazioni è grave perché il lavoro fatto ha messo in luce un sistema carsico peculiare per l’assenza di livelli fossili evidenti in cui, ciò nonostante, sia possibile trovare collegamenti tra differenti linee di deflusso.
Il Cap. Findus ha tre fondi con profondità tra -700 m. e -772 m., due dei quali collegati da un sistema di condotte. La possibilità di entrare in attivi distinti viene offerta da una grande verticale (P. Alien 280 m.) con una struttura ad “elica” dovuta alle numerose finestre che ne delineano la forma e permettono di accedere ai vari rami. Dalla finestra più alta si accede al ramo dei “Megalodonti”( -772 m.), entrando in un sistema idrico parallelo, dal fondo al fondo di “Sala Zombie”( -700 m.?) e al ramo del “Ventilatore”(in risalita), dalla finestra più bassa al ramo Bishop (-740m.).
Le Casermette si possono dividere in due rami, tutti e due si ricongiungono col ramo dei “Megalodonti” del Cap. Findus: uno a metà del “Magazziniere Piangente” (-410 m.) e l’altro a poco prima del sifone terminale (-570 m.). I due rami delle “Casermette” sono due delle linee di deflusso preferenziali di questo ramo del sistema, delle due quella che si congiunge sul fondo è la principale.
L’ Abisso delle Casermette smentisce la diceria che in questa zona di carsismo verticale con grandi attivi non ci siano possibilità di collegamento, e offre la possibilità di continuare una esplorazione sistematica di un complesso in una zona in cui il fenomeno carsico si è evoluto in maniera sensibilmente diversa dalla altre parti del massiccio.
P.S.
Lo Scrivente ha preso parte tardivamente alle esplorazioni e non ha fatto parte né condiviso le esperienze di coloro che hanno seguito questa “avventura” dai suoi albori, anche se ne conosce tutti gli attori: proprio perciò si permette di lasciarne testimonianza .
Mi preme sottolineare come nell’elenco precedente il senso e il valore umano che ha avuto questa esplorazione si perda completamente, visto che non è possibile che possa trasparire dai risultati quanto sia stato intenso il periodo tra il campo del 2000 e quello del 2002.
Non ha senso parlare della storia delle “Casermette” senza considerare il senso e l’importanza che ha avuto per queste persone, e di come in uno scritto si perda completamente la loro dedizione ed amore per questa esperienza, legata indissolubilmente ad un periodo fatato della vita quale è l’adolescenza.
Penso sia importante testimoniare che in questo periodo di crisi della speleologia è esistito un gruppo di ragazzi capaci di organizzare esplorazioni e campi speleologici in alta quota, da soli, con una età media di 17 anni.
Andrea Sbisà