2003 – Speleologi, figli dei Gruppi Grotte o figliastri delle Università?

 

Speleologi, figli dei Gruppi Grotte o figliastri delle Università?

Pubblicato sul n. 48 di PROGRESSIONE – Anno 2003

In un precedente numero di Progressione avevo affrontato il problema della ricerca scientifica in grotta e del suo rapporto con gli speleologi (quest’ultimi intesi come gente che va in grotta e non come studiosi delle grotte). La conclusione era stata che ognuno dovrebbe fare ciò a cui è preparato: gli esploratori esplorare, gli studiosi studiare, senza invasioni dei campi altrui. Senza atteggiarsi a scienziati soltanto perché si usano alcuni termini astrusi, tolti dal vocabolario specialistico degli addetti al settore e infilati in quelle che dovrebbero essere – nel migliore dei casi – delle semplici descrizioni geografiche.
Il quesito allora affrontato è, chiaramente, soltanto uno dei tanti problemi di identità e di ruolo della speleologia. I pochi speleologi che si dedicano seriamente – professionalmente – allo studio dell’ambiente carsico e dei suoi fenomeni lamentano sempre la mancanza di un legame tra ambiente speleologico e attività scientifica. Nel corso della tavola rotonda su “Speleologia fisica, idrogeologia e speleogenesi”, tenuta nell’ambito del 18° Congresso Nazionale di Speleologia (Chiusa di Pesio, ottobre 1998), veniva suggerito di riattivare l’Istituto Italiano di Speleologia quale volano per qualificare la speleologia italiana, sia presso gli speleologi italiani che presso la comunità internazionale. Veniva allora suggerito di e ipotizzata la possibilità di cambiare la struttura dell’Istituto al fine di dare .
A cinque anni di distanza da quell’incontro una scorsa a due pubblicazioni speleologiche appena distribuite – gli “atti” del 19° Congresso Nazionale di Speleologia e il 14° volume delle Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia dedicato alle aree carsiche gessose in Italia – mi induce a riconsiderare quanto detto allora.
Da varie parti si lamenta che la speleologia italiana è scarsamente scientifica, che i Gruppi Grotte non fanno ricerche serie, che i bollettini sociali alternano alla scarsa visibilità (leggi: poca diffusione) contenuti spesso ben lontani da un qualsiasi crisma di scientificità. Ma è vero che i Gruppi Grotte, ovvero i suoi speleologi, non fanno ricerca? Non sarà forse che la fanno ma non la firmano? In realtà una sorta di ricerca scientifica gli speleologi la fanno, ma essa emerge scarsamente come prodotta dei Gruppi Grotte perché questi ultimi non appaiono, o appaiono poco.
La colpa di questa situazione non va ricercata lontano, perché è degli stessi speleologi che fanno ricerca e che, più spesso di quanto potrebbero giustificare determinate circostanze, dimostrano di vergognarsi di appartenere ad un gruppo grotte: si può facilmente osservare come lo speleologo che supera un certo livello di capacità espositiva si affretti a referenziarsi come aderente a qualche istituto universitario o ad altro ente pubblico similmente degno di stima e fiducia.
E’ un fatto presente da qualche tempo, non una novità. Quello che è nuovo è l’ampiezza che tale fenomeno ha assunto oggi. Il conteggio delle strutture in cui si riconoscono gli autori dei lavori pubblicati sui due volumi esaminati danno i gruppi grotte presenti negli atti del congresso con il 41.5%, le università con il 21.9% e la SSI/IIS con il 12.2%. Per contro nel volume dell’Istituto Italiano di Speleologia (che è una struttura dell’Università di Bologna) la situazione si rovescia con l’università presente con il 61.7%, la SSI/IIS con il 14.9% e i gruppi grotte ridotti all’8.5%. Le altre voci (Musei, altri enti, non nominati) si dividono quanto rimane.
Percentuali delle presenze nelle due pubblicazioni:
atti Congresso di Bologna: GG. 41,5; Univ. 21,9; SSI/IIS 12,2; Musei 7,3; Altri enti 12,2; NN 4,9.
Memoria 14a dell’I.I.S.: GG. 8,5; Univ. 61,7; SSI/IIS 14,9; Musei 2,1; Altri enti 12,8.
Cioè nel volume degli “atti” del Congresso, manifestazione voluta e gestita da due gruppi grotte, quasi la metà degli autori sembra non aver avuto problemi nell’indicare, sotto il loro nome, il Gruppo di appartenenza, mentre nel volume dell’Istituto Italiano di Speleologia questa percentuale è scesa ad un misero 8.5%. Risultato che potrebbe dimostrare che sono pochissimi gli speleologi che fanno ricerca, cosa non vera in quanto molti degli autori che si sono segnati come appartenenti ad Università o ad altre strutture pubbliche risultano essere pure aderenti a gruppi grotte.
E allora? Allora sono gli speleologi i primi a non credere nella serietà della ricerca speleologica nei gruppi grotte, a temere che referenziandosi come appartenenti ad un gruppo non vengano presi sul serio, a voler quindi approdare nel mondo scientifico “ufficiale”. Contribuendo così ad allargare il divario fra speleologia esplorativa e speleologia scientifica.
Personalmente, tranne qualche caso dovuto a dimenticanza o mancata visione delle bozze, ho sempre firmato C.G.E.B. tutti gli scritti che non potessero in qualche modo danneggiarla (controversie, recensioni ecc.). Non ho mai ritenuto riduttivo qualificarmi come appartenente ad un gruppo grotte, né di dover chiamare in causa qualche istituto scientifico per avallare i miei scritti e le mie idee.
Non è detto che l’elaborato di un autore che si qualifichi come collegato all’Università di Vattelapesca debba per forza essere leggibile, valido, interessante, utile. Ogni testo dovrebbe venir valutato in primis per i suoi contenuti e poi, eventualmente, per la forma e giammai per l’ente cui l’autore afferma di far riferimento.
E’ sintomatico che nella pubblicazione dell’Istituto Italiano di Speleologia appaia privilegiata la presenza delle Università, seguita dall’Istituto stesso e dalla Società Speleologica Italiana, da altri enti e quindi dai Gruppi Grotte. Se la scelta non è stata – come ritengo che non lo sia – suggerita o imposta dai curatori del volume (come sicuramente non lo è stata per gli “atti” del Congresso) allora si è trattato di una scelta personale degli autori. L’unica spiegazione, formalmente irreprensibile, che ho avuto da più di uno degli speleologi che si sono trovati in questa situazione è stata che, pur appartenendo ad un Gruppo Grotte questi non appare a completamento della firma perché il lavoro – o la ricerca – è stato condotto al di fuori del Gruppo, che non vi ha contribuito minimamente. Ma mentre alcuni lavori risultano essere stati realmente realizzati nell’ambito di progetti di ricerca finanziati, direttamente o indirettamente, dalle università, altri sono chiaramente frutto di indagini personali che possono al massimo aver coinvolto le biblioteche o i computer dell’Università.
A questo punto – e qui mi rivolgo a coloro che hanno iniziato il loro rapporto con la speleologia nell’ambito dei Gruppi Grotte e non a chi, viceversa, dall’Università è approdato alla speleologia – perché vergognarsi di presentarsi quali si è, cioè anche membri di un gruppo grotte e non soltanto dipendenti di università o enti pubblici? O si pensa che quella pubblicazione dovrà essere utile alla carriera, per cui bisogna presentarla sotto l’ombrello protettivo di strutture riconosciute serie e affidabili – quindi non certo i Gruppi Grotte… – che ne garantiranno l’acquisizione, la lettura e la discussione nei santuari della scienza?
Se dichiararsi appartenenti ad un club speleo mette ombra al nostro blasone, se l’accostamento Gruppo Grotte – Università viene considerato irriverente o che puzzi di eterodossia, ebbene si abbia allora il coraggio di andare sino in fondo, uscendo dal gruppo grotte o dichiarando apertamente che ci si rimane soltanto per interesse, per ottenere dal gruppo e dai suoi sprovveduti soci quanto gli può servire per la ricerca, il lavoro, la carriera.
Pino Guidi