STAZIONE PER LA MISURA DELLA CONSUMAZIONE CARSICA

Pubblicato sul n. 49 di PROGRESSIONE – anno 2003
JAMA-GROTTA BAREDINE ISTRIA – CROAZIA
PREMESSA
Per iniziativa della Commissione Grotte “E. Boegan” della Società Alpina delle Giulie, CAI – Trieste e dell’ Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Trieste, nel 1979 si è iniziato sul Carso Triestino uno studio sulla quantificazione della dissoluzione delle rocce carbonatiche ad opera degli agenti meteorici, utilizzando il sistema delle misure micrometriche di C. High & F.K. Hanna (1970). Visto il grande interesse per queste ricerche e le scoperte che nel corso degli anni si sono fatte sulle variabili delle consumazioni o in altri termini, dell’abbassamento delle superfici rocciose, tali misure sono state estese a diverse aree carsiche della Regione Friuli – Venezia Giulia (vedi note bibliografiche). Per operare un ulteriore raffronto con l’interessante zona carsica dell’Istria nordoccidentale, nel 1999, una stazione di misura è stata posta su un affioramento roccioso nei pressi del pozzo di accesso della Grotta di Baredine, cavità di interesse turistico, e quindi in posizione “controllata”. Dalle relazioni di E. Boegan (1928), risulta che la cavità è stata esplorata e rilevata nel corso di una campagna speleologica (1924) della Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie e fu allora catastata con il n° 1807 – Grotta a SE di Ghedda o Foiba Baradine. Nel 1973 a Parenzo un gruppo di giovani speleologi creava la Società Speleologica Proteus ed ebbe così inizio l’esplorazione delle grotte nei dintorni di Parenzo. La Grotta di Baredine è stata tra le prime ad essere visitata. Scendendo nelle parti più basse della cavità, venne scoperto un pozzo profondo 36 metri che arriva alle acque di fondo, in corrispondenza di due laghi. La profondità dell’acqua nel primo lago è di 6 metri, nel secondo di 16 metri. La profondità totale della grotta è di 132 metri. Dalla consultazione del Catasto Grotte della “Commissione Grotte E. Boegan”, gli speleologi di Parenzo appresero che nel 1928 gli speleologi triestini avevano esplorato la cavità fino alla profondità di 80 metri. Allora non venne trovato il passaggio, del diametro di 70 cm, attraverso il quale si prosegue verticalmente fino a raggiungere il vero fondo della grotta. Negli anni delle successive esplorazioni, nella cavità sono stati rinvenuti resti di ceramiche preistoriche. Si presume che nei periodi di siccità i nostri antenati depositassero il vasellame nella grotta, affinché si potesse riempire con la sempre preziosa acqua potabile. Gli speleologi parentini, nell’intento di scoprire un eventuale proseguimento della grotta, hanno scavato dei canali lunghi 35 metri, inoltre sono state effettuate immersioni da parte dei speleosub nei laghi interni, ma per adesso senza ottenere particolari successi. Migliore fortuna negli scavi si è avuta a 400 metri a NE della Grotta Baredine, quando nel 1999 fu scoperta una nuova cavità (La Grotta Poses -90m). Nel 2003 a soli 50 metri ad E, in uno scavo effettuato per la realizzazione di una palestra speleologica, è stata portata alla luce una cavità totalmente riempita da sedimenti di terra rossa (Grotta Speleolit -18m). Grazie all’attività del gruppo speleologico “Proteus”, il pubblico ben presto è venuto a conoscenza delle bellezze della Grotta Baredine, anche in merito ai media ed alle mostre fotografiche che venivano allestite a Parenzo. Con grande entusiasmo i componenti del gruppo speleologico organizzavano anche delle visite al fine della promozione turistica della grotta stessa. Allora, la cavità era priva di illuminazione e non adattata alle visite turistiche. Si riteneva che fosse una cavità tutto sommato abbastanza modesta, soprattutto a causa dell’influenza esercitata dalle altre grotte più famose presenti in zona. Va anche considerata la facilità dell’accesso alla cavità, chepermetteva l’ingresso a molte persone il cui risultato, a volte, consisteva nel danneggia-mento delle concrezioni. È stato proprio questo in particolare il motivo che ha spinto gli speleologi (Proteus) ad iniziare ad occuparsi delle protezione di alcune località speleologiche parentine. Oggi la grotta di Baredine, la grotta Markova e la grotta Pin-cinova sono dei “monumenti alla natura” protetti. All’inizio degli anni ‘90 gli speleologi dettero inizio nella grotta di Baredine ai lavori per la valorizzazione turistica. La cavità è fisicamente protetta all’entrata con un cancello. Nei primi tempi la visita era possibile solo con l’attrezzatura speleologica che era stata soprannominata Speleoav-ventura. Le attività per la valorizzazione turistica attualmente sono supportate dall’Ente turistico dell’Istria, dalla città di Parenzo e dagli abitanti di Villanova. Dal 1995 la grotta di Baredine è aperta al pubblico, quale grotta turistica.
DESCRIZIONE DELLA GROTTA
La Grotta di Baredine si trova 8 chilometri a NE di Parenzo e 500 metri ad E dalla strada tra Villanova e Ghedda. L’entrata è costituita da un pozzo verticale, a forma d’imbuto e si trova a 117 m s.l.m. A 15 metri di profondità si arriva nella parte interna, costituita da una galleria discendente, dove si possono visitare 5 sale ed il percorso turistico si sviluppa per 300 metri con un dislivello di -60 metri. Il sentiero nelle prime due sale, transita sopra un grande accumulo di massi, che fino al 1973 quasi chiudeva il proseguimento alla seconda sala. La temperatura interna è costante attorno ai 14C. La grotta è ricca di concrezioni calcitiche, in maggioranza di colore rosso ed anche a tinte variabili fino al bianco puro. Si ricorda che la cromatica delle concrezioni è dovuta alla presenza di terra rossa ed al calcare particolarmente bianco che caratterizza un po’ tutta l’Istria. Al centro della quinta sala si trova una bianca stalagmite, il così detto pupazzo di neve. Grazie all’acqua che proviene da un costante stillicidio è stato osservato che su questa stalagmite la crescita avviene in modo piuttosto “accelerato”, per cui gli speleologi hanno cominciato a produrre una documentazione fotografica del fenomeno di accrescimento. Nel 1986 la stalagmite si è congiunta con la soprastante stalattite, formando così ciò che gli speleologi chiamano una “colonna”. È piuttosto raro in natura essere riusciti ad immortalare il particolare momento dell’attacco. La costanza dello stillicidio sul pavimento della cavità ha prodotto ed alimentato delle “vaschette” oltre ad un microlago che si trova nella parte più bassa della quinta sala. In una di queste “vasche d’acqua” si può osservare il proteo (Proteus Anguinus Laurenti), si tratta di un animale endemico che è presente nelle acque sotterranee del Carso parentino, assieme a dei crostacei (Niphargus). La sala di maggiori dimensioni è la quarta (15x10x18 metri). In questa spiccano delle stalattiti chiamate le tende, della lunghezza di una decina di metri. Nella parte destra della sala si apre il pozzo interno, largo 4 metri, che si sprofonda in tre salti verticalmente per 66 metri, raggiungendo così i laghi interni. Il livello dell’acqua nei laghi può variare da -7 a +17 metri. Con la collaborazione della CGEB di Trieste, da alcuni anni è stato possibile eseguire delle misurazioni in continuo di tali livelli mediante un apposito strumento. Durante i periodi di piovosità particolarmente intense, le acque di scorrimento superficiale si versano nella grotta, percorrendo nella discesa tutte le sale, andando infine a terminare il loro deflusso in profondità nei laghi interni. È questo un fenomeno piuttosto raro ma che non rappresenta pericolo per le esplorazioni e le visite nella cavità.
SITUAZIONE GEOLOGICA
La penisola istriana, è stata definita da L. Placer (1981) nell’ambito più generale della struttura geologica della Regione Giu-lia, come “piattaforma autoctona istriana”. L’Istria nord occidentale in particolare, è costituita da una vasta zona cretacica, disposta a piatta anticlinale attorno al nucleo giurese posto tra Rovigno ed Orsera. La zona interessata alla presente ricerca, dagli studi di C. D’Ambrosi (1931), risulta appartenere ad un potente complesso carbonatico calcareo e parzialmente dolomitico, dell’Albiano – Cenomaniano inferiore e medio. Si tratta in senso lato, di calcari lastroidi, calcari grossolani, altre volte compatti, alternati a conglomerati, sempre bianchi e biancastri. Presenti anche dolomie, calcari dolomitici, argillosi, bituminosi per lo più grigi e azzurrognoli. Alla base della serie presso Visignano e nella zona ove si trova la Grotta di Baredine, affiorano dei grossi banchi di un calcare compatto bianco, con piani di separazione determinati da strutture stilolitiche. Spesso viene segnalata la presenza di intercalazioni di conglomerati, con elementi clastici ciottolosi di calcari bituminosi. La giacitura della stratificazione è suborizzontale o a debole inclinazione. Valutata da un punto di vista carsico, la caratteristica generale dell’area, il così detto paesaggio si presenta per lo più di tipo “coperto” da uno spesso strato di “terra rossa”, con scarsi affioramenti rocciosi, doline piuttosto piatte, svasate, a forte riempimento terroso.
LA STAZIONE DI MISURA SULLA DISSOLUZIONE
Innanzitutto è stato prelevato un campione di roccia nei pressi dell’ingresso della cavità ed è stato sistemato su una colonnina assieme ad altri trenta campioni di rocce provenienti da diverse regioni carsiche italiane, nel comprensorio esterno della Grotta Gigante sul Carso Triestino, dove dal 1988 è in funzione questo tipo di stazione sperimentale per lo studio dell’abbassamento per dissoluzione di superfici rocciose appartenenti a diverse litologie calcaree, dolomitiche e gessose. L’area è servita da una completa stazione meteorologica in funzione da una trentina d’anni. Sulla metodologia operata per l’esecuzione delle misure vi è ampia notizia sulle note bibliografiche allegate al presente lavoro. Praticamente si tratta di eseguire delle letture con uno strumento costituito da una piastrina triangolare (lato 10 cm) di acciaio con tre piedini ai vertici, ciascuno con una forma di appoggio diversa; nel centro della piastrina è sistemato un micrometro con lettura 1/100 mm. La “stazione” di misura consiste nel fissare sulla roccia che si vuole esaminare, tre chiodi di acciaio inossidabile indurito e lucidato, sui vertici di un triangolo equilatero del lato di 10 cm. Due chiodi a testa emisferica ed uno a testa piatta. I particolari “appoggi” posti ai piedini dello strumento, consentono un’autocentratura di una precisione praticamente assoluta. Una stazione per la misurazione “in situ”, è stata posta proprio su un affioramento roccioso all’ingresso della Grotta di Baredine, circa alla Quota di 116 m s.l.m. In linea d’aria, rispetto alla costa istriana, questa si trova in direzione W a circa 5 km.
Per quanto riguarda i primi risultati di queste misurazioni, il campione di roccia che è stato sistemato nella “stazione” esterna della Grotta Gigante ed è stato identificato con il n° 70, la prima lettura è stata eseguita il 20.10.1999 e l’ultima il 11.5.2003. La consumazione, nel corso del primo quadriennio (abbassamento in mm) della superficie rocciosa è stata la seguente:
1999-2000 | = 0,035 |
2000-2001 | = 0,055 |
2001-2002 | = 0,030 |
2002-2003 | = 0,060 |
La piovosità “media” data dalla Stazione della Grotta Gigante, negli anni 1999, 2000, 2001, 2002, è stata pari a 1176 mm/anno.
Per quanto riguarda invece i risultati sulla consumazione carsica della stazione “in situ”, indicato con la sigla HRBA1, sono stati i seguenti:
1999-2000 | =0,020 | ||
2000-2001 | =0,025 | ||
2001-2002 | =0,015 | ||
2002-2003 | =0,035 |
Il raffronto fra questi due dati è piuttosto importante, pur essendo i campioni di roccia interessati da questa analisi gli stessi, la consumazione è stata invece molto diversa. Il campione n° 70, sistemato sulla piovosità del Carso Triestino, ha segnato un abbassamento complessivo di 0,180 mm nel quadriennio, mentre quello indicato con la sigla HRBA1 ha dato un minore abbassamento, circa della metà, ossia 0,095. Evidentemente la diversità delle caratteristiche climatiche tra le due posizioni, hanno un fondamentale significato nelle studio della consumazione carsica.
È evidente che questa prima segnalazione non ha un valore assoluto ma vuol essere solo una indicazione di uno studio che si protrarrà nel tempo ed i risultati avranno la possibilità di raffronti con il centinaio di stazioni analoghe sistemate in tutte le aree carsiche dalla Regione Friuli -Venezia Giulia, di cui alcune in funzione ormai da oltre 20 anni.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
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mem. 14: 91-94.
Fabio Forti* & Silvio Legovic**
* Commissione Grotte “E. Boegan” – Società Alpina delle Giulie, CAI Trieste
** Società Speleologica “Proteus” Parenzo, Istria, Croatia (Speleološko društvo “Proteus” Poreč)