Spluga della Preta

 

LA SIGNORA PRETA – IMPRESSIONI DI UN GAMEL

Foto di gruppo: da sinistra Michela
Pubblicato sul n. 49 di PROGRESSIONE – anno 2003

TRA STORIA E LEGGENDA
Prima di cominciare mi sembra opportuno spiegare il significato del termine “gamel”: è una parola ironicamente dispregiativa in uso tra gli speleologi triestini per indicare colui che inizia a fare speleologia, il corsista o neospeleologo, colui insomma che raggiunge il minimo risultato con il massimo sforzo (secondo A. Zorn detto Vibro)!! Premesso questo auguro buona lettura! Ognuno di noi è affezionato ad una grotta in particolare ed ama trasmettere la sua passione per questa nei modi più disparati. Francesco Sauro, amico e speleologo appartenente al gruppo di Padova e/ o Verona, mi ha trasmesso il mito della Spluga della Preta, la Signora cavità dei Monti Lessini, tanto da incuriosirmi. Su questa grotta ho letto diversi articoli e allo speleoraduno Montello 2002 sono venuta alla conoscenza della mastodontica Ope­razione Corno D’Aquilio che ha determinato la sua pulizia. La bonifica iniziò nel 1988 e durò 40 mesi. Furono coinvolte 858 persone a recuperare 810 sacchi per un totale di 3835 Kg di rifiuti! Queste imprese come altre aumentano il carisma della grotta, si tramandano in storia e leggende a chi sta appena nascendo speleologicamente. Il cosiddetto “Gamel” le legge, ascolta con ammirazione e ne resta affascinato promettendo a sé stesso che prima o poi una speleogita in quella grotta tanto famosa la dovrà fare. Così è andata per la Spluga. Ho avuto modo di visitare la Signora Preta il 22 ottobre 2003 con Denis del G. S. Sacile approfittando di un giro a scopo esplorativo organizzato dal Ciccio (Giovanni Ferrarese del gruppo di Padova) e altri veneti. Sul Corno D’Aquilio aveva piovuto molto nei giorni passati e la notte precedente al nostro arrivo aveva poi nevicato (vedi foto 1). Il paesaggio era tutto splendidamente bianco. La nostra base logistica era la confortevole Malga Preta, l’equivalente o quasi del Bar Genziana, ho pensato, perché lagrotta è a poche centinaia di metri e ci arrivi in macchina! Dopo aver accusato i soliti sintomi de “la sindrome dello speleologo pigro”, che porta “lo speleo medio a bagolar e reme-narse per ore parchè no ga voja de andar in buso visto el bel tempo”, ci siamo attivati! I primi a partire sono stati i padovani perché avevano nobili scopi esplorativi. Mentre aspettavamo fuori si sentiva l’eco degli altri sul fondo del P131 attrezzato in doppia campata che annunciava la libera …l’acustica era splendida! Era il biglietto da visita della Preta che mi avvisava “sono grande…!” Pareva che gli inferi parlassero …ho guardato Denis e non mi uscivano le parole! Solo pensavo che non sapevo cosa stavo per affrontare …ero emozionata! La sensazione che ho provato solo stando all’esterno era inquietudine e rispetto! L’atmosfera inoltre era alimentata dal super Baroncini che ci consigliava di mettere la corda tra le gambe perché “pesa, non scorre, ti massacra le braccia”! Bah! Ognuno ha la sua speleofilosofia ma intanto il Baroncini mi aveva impressionato l’impavido Denis! Preso coraggio ed emozionata come un gamel sul ciglio della Grotta Noé, ho passato la corda nel discensore e via fino al frazionamento del P131 in libera. Presa la corda …cavolo pesava! Le sensazioni mi pervadevano! Cosa vuoi che sia! Come fare la discesa della Grotta Gigante! E allora pensavo al racconto del sugo con le acciughe di Paolo “il cuoco” della Boegan che mi tenne compagnia alla prima calata in Gigante!! …Quanto Grand Marnier serviva Paolo?! Tanti pensieri e l’adrenalina scorreva nelle vene! Passato il frazionamento, ho guardato Denis negli occhi che mi sussurrava “Radicio, la Preta …siamo in Preta Dio C.” …una delle sue tante espressioni di stupore e meraviglia! E poi? E poi via! Sulla libera del P131 dentro il buco nero che si restringeva ad imbuto e poi? E poi il tuffo nel vuoto dell’oscurità ma nel pieno delle sensazioni e nel silenzio delle parole per 5 minuti. Ho alzato lo sguardo sopra di me mentre venivo inghiottita dal buio e l’imbuto che prima vedevo da fuori, ora era una finestra azzurra orizzontale sul cielo, che diventava sempre più piccola man mano che scendevo. Mentre proseguivo la mia calata, mi guardavo attorno tanto per capire umilmente che cosa mi circondava fino a sussurrare una serie di parole a ruota libera “Oddio Denis, scampana! Cazzo! Senti l’acqua! Siamo sotto stillicidio!” e lui con classe mi ha risposto solo con “Dio C… Radicio” che nel dialetto veneto-friula-no significa “Sono proprio emozionato! Con questa acqua non riuscirò ad andare tanto in profondità come pensavo!”. Infatti aveva piovuto l’impossibile i giorni precedenti e il pozzo in quelle condizioni non era tanto normale …ma io sono la “donna delle acque”! Mi vogliono solo le grotte in piena! Ce la faremo ho pensato! Il pozzo è uno “sbrego” unico profondo 131 m, lungo 40 m e largo 5 m mediamente e per dirla ancora volgarmente “una verta”! È il mio modo per dire che sembra un pozzo cascata impostato su una grande frattura e valutando la parete liscia probabilmente anche una faglia lungo la quale scorre acqua. Ha una sezione meandrifor-me che si allarga alla base. Tutto ciò chemi circondava appesa a quella corda non era misurabile, era enorme, era ALIENAN­TE! Era tanto grande da non riuscire a dare delle dimensioni, spaziale! Per scendere questo pozzo ci si impiegano inconsape­volmente circa 15 minuti. Sensazioni molto simili le ho provate all’Abisso dei Serpenti in Slovenia dove scendendo nel P180 pen­savo “all’itinerario attrezzato alla fine dell’ottocento dai “Grottenarbeiter” di Anton Hanke per raggiungere il fondo del baratro. Le tracce da loro lasciate sono ancora ben visibili e, a onor del vero, tale appare la loro opera che la fantasia fatica ad immaginarli a battere mazza per intagliare gradini o a infiggere nelle pareti putrelle di ferro e fissar passerelle in quell’orrido” (Tratto da Progressione 42). Lungo quel P131 della Preta pensavo a quanta gente con le scale e le corde ha visto questa grotta, quante storie la hanno resa protagonista e trasformata in una sorta di mito. La conferma a ciò si trova sulla targhetta in ricordo dell’Operazione Corno D’Aquilio del 1993 alla base del pozzo, dove con mia somma gio­ia nella lista dei gruppi partecipanti c’è anche la Commissione Grotte E. Boegan. Ho provato una sensazione di orgogliocome poche volte in quanto rispetto il pas­sato e scopro da sola attività degne di merito con lo sguardo di un gamel, o me­glio neospeleo, rispetto a chi mi ha preceduto. Un momento di speleoriflessione mi ha quindi catturato alla base del baratro, dal cui stillicidio mi sono subito messa al riparo correndo verso il meandro che porta al P108. A questo punto ci siamo divisi in due squadre: gli speleoprofessionisti dovevano completare alcuni cantieri alla partenza del pozzone e gli speleoturisti a perdere, di cui io facevo parte insieme ai veronesi, hanno puntato verso il fondo. Il nostro obiettivo era andare più in profondità possibile, entrare nelle viscere della Preta. Pertanto io e Denis ci eravamo attrezzati con il sacco da profondista personale contenente tutti i comfort ma soprattutto sali minerali Power-gade al gusto mango e taralli pugliesi piccanti da intingere nel “succulento” minestrone in busta della Knorr nella pausa cibo…chissà perché ci sono cose che in grottasono considerate delle specialità culinarieche gusti anche con il pensiero, mentre nella normale vita quotidiana non le daresti neanche ai maiali! Una volta divisa la squadra ho cominciato a scendere il P108, da me chiamato  il pozzo che si allunga!”, perché paradossalmente sia in salita che discesa sembrava più lungo del P131! Ci siamo presentati in modo particolare io e questo altro tubonero: le pareti sono liscissime e levigate dai ripetuti e storici passaggi; gli armi sono tali per cui non ti puoi staccare tanto da parete e non puoi puntar i piedi. Risultato? Non riuscivo a scendere bene, mi sentivo impacciata (oddio, più del solito!): ero costretta, per non puntare e regalare alla Preta le mie ginocchia, a scivolare (o meglio,sciare!) sulla parete a gambe e corpo
dritti e piedi aderenti alla roccia con la faccia a pochi decimetri dalla corda, come la posizione che assume Michael Jackson in un suo video (Thriller penso!), dove lui si incli­na in modo antigravitativo sul pavimento rimanendo attaccato coi piedi per terra!! Maio ero sulla verticale!! Che figata! Sono alcuni modesti anni che vado in grotta, pensavo, ma una cosa simile non mi era mai capitata!! Son proprio un “Gamel”, mi ripe­tevo divertita! Non c’era soluzione alterna­tiva di progressione! Ehm …e guardare i video di Michael Jackson da adolescente mi è servito a qualcosa!! Sì, a scendere un pozzo cantando “Beat it”! Superato questo momento curiosamente ludico sono “atterrata” alla base del pozzo: le pareti della saletta popolano di scritte pirata degli anni 1958, 1968 e anni ‘80 che parlano tanto quanto antichi graffiti. Quanta gente è passata di qua pensavo! E anch’io c’ero! Pareva che la Signora Preta mi dicesse “anche tu qua Radicio! Una dei tanti! E ancora non hai visto niente”. E quando chiedevo insistentemente a che profondità ci trovavamo, gli amici veronesi mi rispondevano “dipende! …dagli anni dell’esplorazione”! Infatti eravamo in una saletta con due diverse targhe sulle due rispettive pareti: una segna meno 275 m e l’altra 295 m. Al che ho pensato che anche questa grotta come il Bus de la Lum, la cui profondità inizialmente stimata negli anni ‘20 era oltre 400 m, poi 250 m e così via fino agli anni ‘90, è stata oggetto di misure “sopramisurate”, di vere imprese, di storia speleologica! La mia ammirazione per quel ambiente aumentava sempre più scendendo il P88 sotto un incessante stillicidio. Qui mi ha preso un altro momento di riflessione dato dalla targhetta commemorativa in ricordo di Marisa Bolla Castellani morta negli anni ‘60, che mi ha portato a pensieri e racconti lontani. In quel momento il mio amico veronese, soprannominato Piastrella, che ci ha accompagnato, ci ha raccontato le leggende non tanto leggende sugli spiriti che girano nelle gole della Preta …ora il suo intento magari era anche quello di impressionarci ma quando sono uscita ho trovato veramente gli uccelli, le tacole, di cui tanto parlava, all’ingresso della grotta! I suoi racconti, come quello che in particolari giornate verso sera in sette di loro si posizionano sulla recinzione esterna alla grotta o che ti attaccano, hanno contribuito ad alimentare l’atmosfera misteriosa della Signora Preta e mi hanno accompagnato come fantasmi all’uscita! Infatti siamo arri­vati alla sala Carniel a meno 350 m e qui la piena in corso ci ha imposto un limite umano. Questa ci ha fatto desistere dal proseguire con la consapevolezza che il meglio della grotta non lo avevamo ancora visto e che quando uno arriva, risalendo dal fondo (meno 890 m), dove ci eravamo fermati noi, esclama “sono fuori”! Ed ha ancora 3 mega pozzi da farsi! Con tali pensieri ho salutato la sala con la promes­sa di ritornare a vivere (e a distruggermi con soddisfazione!) la grotta nella sua complessità. La risalita è stata provante! I meandri intermedi rovinavano la ardua passeggiata verso l’alto! Il P108 sembrava si allungasse! Sopra di me c’era sempre e costantemente buio! Arrivata alla base del P131 ho trovato Mara che per fortuna mi stava aspettando mentre gli altri due stavano risalendo. Nell’attesa di intraprendere anche noi “la lunga via dell’alienazione” sul P131, abbiamo udito un rumore paragonabile a quello di una frustata. Io ho pensato subito alla corda e Mara alle tacole …che sinceramenteall’inizio avevo stracapito per caccole! Ticredo che non le avevo viste! Sono uccelli che hanno il nido sotto l’ingresso della grotta! E chi le conosceva! Ad un certo punto Piastrella ci ha dato la libera urlando a Mara di prendere la corda di sinistra. La cosa mi pareva strana e gli ho chiesto allora “E per Radicio?”. Piastrella ha risposto che avrei potuto usare la destra …ebbene! Ci siamo avviate sotto il pozzo e con sorpresa c’era una CORDA SOLA!! Ah! Che bel! C’era solo la corda di sinistra! Come era possibile che 131 metri di corda fossero spariti? Ho pensato ad una magia della maga Preta! Ad una magia del Piastrella! Inutili i tentativi di urlare aiuto ai nostri compagni …eh già! Loro erano fuori della gola della Preta! Vista la situazione paradossale, è salita Mara sulla corda rimanente, considerato anche il fatto che ormai era alla sua ventesima volta in quel posto quindi lei aveva più confidenza con l’ambiente. Io intanto riflettevo, riflettevo sulla vita! Non mi sentivo in un posto ospitale anche perché le tacole avevano cominciato a far concerto e l’eco si spargeva per la grotta sottoforma di stridule grida! Ci mancava Dario Argento con Riccardo Muti! Una tacola dava il “la”, l’altra il “do” e io invece intonavo nervosamente un bel “mi la do …qua in Preta!” Mentre Mara risaliva si era anche spenta la luce della mia lampada, ho alzato gli occhi e ho visto lei procedere lentamente piccola come un ragno. La sua luce si rifletteva sulle pareti e si disperdeva all’infinito. Un’immagine indimenticabile e maestosa! Il silenzio è stato ad un certo punto interrotto da una sua stupenda frase relativamente rassicurante: “Ho trovato la corda! Si è impigliata su una frattura in parete! Ora controllo se è tagliata!”. E io ho pensato “Eh …Anca! Già l’ambiente è un poco babau e vedrai che ora lei mi dice di salire! E io che faccio? Aspetto lei che esca e salgo sulla sua e mi faccio il viaggio verso l’oblio da sola o mi offro da cavia e testo se la corda è buona! Che vuoi che sia un 131 in libera su una corda dubbiosa!”. Ed è andata per la seconda! L’idea che Mara mi aspettasse a tre quarti del pozzo mi rassicurava di più che se non risalire da sola tutto quanto! Mentre con rassegnazione infilavo la corda nel bloccante ventrale, la mia mente ha prodotto un bel “Dio canaia Denis, me la paghi! Se ti sei portato fuori la corda…!”. L’effetto elastico iniziale è stato divertentissimo! Per quanto vuoi salire, resti sempre fermo! La lunga via della alienazione era allora cominciata! Mi hanno fatto compagnia le simpatiche angoscianti tacole e il numero delle mie pedalate! Eh sì! Perché la settimana prima mi ero comprata quella che io chiamo la “drogaturbo” degli speleologi: è il bloccante da piede che ti mette le ali come la bibita Redbull e pedali come Pantani; si chiama Panthen, omonimo dello shampoo, ma in questo caso la Provitamina la assorbono i piedi! Con tale speleogadget, che mi ha aiutato parecchio, ho intrapreso la mia progressione verso l’ignoto immersa nel buio assoluto: sopra di me avevo la piccola e dispersa luce di Mara che non si avvicinava mai. Tutto infinitamente lungo e adimensionale! I crampi mi prendevano le braccia a momenti fino a quando ho sentito la corda perdere il suo effetto elastico e ho cominciato a pompare bene. Ogni volta che Mara mi chiamava io le rispondevo urlando un numero corrispon­dente alla pompata che facevo! In tutto ne ho in memoria 385! Ma facendo i conti ce ne sono molte di più! Dopo 40 minuti ho visto Mara, il frazionamento a pochi metri e ho cominciato a distinguere l’oscurità della grotta con il cielo notturno puntellato di stelle: una finestra sullo spazio! Quando sono arrivata al nodo del frazionamento, lo ho baciato e quando sono uscita dalla dolina ad imbuto dell’ingresso ho abbracciato la corda ruzzolandomi per terra! Il test era riuscito! Ma quando ho visto Denis i miei occhi parlavano da soli e dalla mia bocca è uscito un bel “Dio de Dio, Luce dell’Enel… Denis”, che nel dialetto veneto-friulano significa: “Caspita, Denis, cosa era successo alla corda? Ho dovuto salire qua­si tutto il P131 da sola!”. E lui con un’espressione da finto bambino innocente che sa di aver combinato la marachella e implora perdono, mi ha risposto che non si era reso conto di essersi portato dietro la corda sul sacco e non ne aveva sentito il peso …ma aveva vagamente avvertito un qualcosa di strano! Mannaggia! Liberatami da ogni vincolo con quella corda, mi sono girata verso il baratro e ho es
clamato con profonda ammirazione e soddisfazione personale verso una delle meraviglie della natura ipogea: “GRAZIE SIGNORA PRETA! Ci rivedremo!”.
PARTECIPANTI: Un affettuoso grazie per la compagnia e l’ospitalità a: Ciccio (Giovanni Ferrarese) e Michela del Gruppo CAI Padova; Mara, Piastrella, Andrea del Gruppo Falchi Vero­na; Omar (di Feltre); per il supporto psicologico e culinario esterno Marco Baroncini (Ronda Imolese) e Fanny (Valdastico). E il mio “ulmo” fedele seguace di av­venture ipogee venete Denis Zanette (G.S. Sacile). Il “Gamel”: Barbara Grillo (Radicio, CGEB)