2002 – Agricoltura e forestazione nel Carso

 

INTERVENTO NELL’AMBITO DELLE “GIORNATE DELL’AGRICOLTURA, PESCA E FORESTAZIONE” – 19-23 SETTEMBRE 2002

Emersioni rocciose costeggiano il “Sentiero Weiss”. (Foto E. Polli)

Pubblicato sul n. 47 di PROGRESSIONE – anno 2002
Dal 19 al 23 settembre, nel compren­sono dell’Ente Fiera di Trieste, sono state tenute le ‘Giornate dell’agricoltura, pesca e forestazione”, con la presenza nel gior­no dell’inaugurazione del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali on. Giovan­ni Alemanno. Nell’ambito delle varie ma­nifestazioni, il giorno 21 ha avuto luogo un convegno sul terna “La funzione del­l’agricoltura a Trieste: tutela dell’ambien­te, difesa delle tradizioni culturali, miglio­ramento dell’immagine, incentivazione del reddito”. Dal Comitato che ha promosso la sua organizzazione, sono stato invitato ad aprire i lavori con una relazione che doveva svolgere il seguente tema: “Riper­cussioni economiche del dissesto geolo­gico in conseguenza dell’abbandono del­l’attività agricolo-produttiva lungo la costiera triestìna”.
Per costiera triestina si intende quel salto orografico tra il bordo superiore dell’alto­piano del Carso triestino ed il mare, che va dall’altezza del Faro della Vittoria alle Sor­genti di Aurisina, per quanto riguarda la sua appartenenza al Comune di Trieste. Que­sto salto orografico, sebbene con caratteri­stiche geomorfologiche diverse, continua poi fino alla Baia di Sistiana nel Comune di Duino-Aurisina. Per quanto riguarda il tratto della costiera di interesse del Comune di Trieste, vi è una sostanziale differenza di aspetto paesaggistico, di morfologia e di suoli, tra il bordo superiore dell’altopiano costituito da rocce calcaree e quindi carsi­che ed il versante inferiore prospiciente il mare, costituito invece da rocce marnoso­arenacee, che prendono il nome di Flysch. Per Flysch si intende una successione di rocce generalmente fittamente stratificate, costituite da una capricciosa alternanza di arenarie, marne, argilliti, siltiti, nel comples­so a cromatica grigio-azzurrognola nella roc­cia sana, giallastra e brunastra nelle altera­zioni dovute all’azione degli atmosferili. Il termine “Flysch” deriva dal tedesco flies­sen (scorrere), usato nella forma dialettale flyschen, dagli svizzeri di lingua tedesca. Infatti fu Bernhard Studer ad utilizzare per primo questo termine “Flysch” in una sua pubblicazione del 1827, sulla geologia del­la Svizzera. Molto più tardi il termine diven­ne d’uso universale per indicare, geologi­camente, questa particolare successione di rocce.
Al contrario delle rocce calcaree che sono solubili per l’azione chimico-dissO­lutiva delle acque di precipitazione mete­orica, le rocce flyschoidi sono invece for­temente erodibili, per azione meccanica delle acque scorrenti e dilavanti oltre che, in modo subordinato ma comunque effi­cace, anche per effetto chimico. Va os­servato che le arenarie sono delle rocce sedimentarie derivate dall’accumulo di sabbie che sono state depositate nei ba­cini marini, dove subirono un processo di cementazione tra singoli granuli costituiti prevalentemente da silice, Il materiale cementante può essere, nelle arenarie più compatte, silicico-calcitico, in quelle gra­dualmente sempre meno compatte e poco coerenti, calcitico, argilloso-calcitico. Va da sé che le arenarie più compatte, dia­lettalmente meglio conosciute come “masegno”, dal latino machina, sono state da sempre utilizzate come pietra da costru­zione, mentre tutte le altre, a maggiore erodibilità contribuisco alla formazione dei suoli, cioè a quelle coperture ferroso-de­tritiche che sono state invece utilizzate dall’uomo per le coltivazioni di tutti i tipi. Le rocce costituite da siltiti e da argilliti, i cui componenti sono estremamente fini (classi: silt e clay), la loro cementazione è generalmente argilloso-calcitica ed il risultato morfologico derivato dalla degra­dazione meteorica, sarà al livello di un’argilla siltosa che mescolata alle sab­bie di derivazione della arenarie, contri­buiscono alla formazione di un vero e proprio suolo. Le rocce marnose o “mar-ne”, in forma dialettale chiamate anche “tasèl” dal latino tassella, sono delle roc­ce che per il 50% sono costituite da cal­care e per il 50% da argilla. Il processo dissolutivo tende a liberare la parte argil­losa dal carbonato di calcio che viene portato via in soluzione nelle acque. Da un punto di visto applicativo le marne vengono utilizzate assieme ai calcari nei forni per la produzione del cemento.
Se le rocce flyschoidi sono in giacitura morfologica suborizzontale, gli effetti della degradazione meteorica sarà di tipo cumu­lativo, senza un’evidente dispersione dei conseguenti materiali ferrosi o alluvionali. Queste condizioni deposizionali sono da considerarsi ottimali per qualsiasi interven­to agricolo. Se gli affioramenti del Flysch si presentano su versante, come lungo la costiera triestina, cioè morfologicamente sono in pendenza più o meno forte, gli effetti della degradazione meteorica saranno di tipo selettivo. La conseguenza sarà dun­que un forte trasporto dei materiali fini ver­so valle e conseguente perdita dei suoli utili all’agricoltura.
Va ancora aggiunto che rispetto alla compattezza delle rocce calcaree, quelle flyschoidi sono da considerarsi per la loro struttura, delle rocce molto fragili. Ma se la giacitura derivata dall’affioramento oro­genetico è suborizzontale, la “struttura” della roccia si manterrà abbastanza inte­gra con sistemi di fratturazione e fessura­zione piuttosto contenuti. Ne è un esem­pio tipico il così detto “Flysch di Capodistria”, che secondo gli studi di una dinamica derivata dall’Orogenesi Dinarica, costituiscono la “Piattaforma parau­toctona di Koper-Capodistria”.
Per contro il “Flysch di Trieste”, da un punto di vista dinamico, si presenta mol­to contorto, pieghettato, compresso ed al­tamente fratturato, causa lo spostamento secondo NE-SW della compatta “Piatta­forma parautoctona del Carso”, che lun­go la costiera triestina presenta molte evidenze di sovrascorrimenti dei calcari sul Flysch, lungo i piani di scorrimento di alcune faglie inverse ad orientamento “dinarico” (NW-SE). Il risultato morfologi­co sarà in questo caso ancora più esa­sperato dalla degradazione meteorica, le cui acque avranno la possibilità di eserci­tare la loro forza disgregativa, anche lun­go i frequentissimi piani di discontinuità in particolare nella comminuta fratturazio­ne, della roccia stessa.
Non deve dunque destare meraviglia se la franosìtà del versante a mare della costiera triestina è molto alta e non è assolutamente facile prevedere i punti o le cellule dove esiste una forte probabili­tà dell’innesco improvviso di moti franosi.
Questa probabilità è più frequente o pos­sibile soprattutto nelle alternanze arena­ne, marne, argilliti, siltiti, e laddove la stra­tificazione si presenta con frequenze centimetrico-decimetniche. I moti franosi saranno per contro meno frequenti negli orizzonti laddove sono presenti delle suc­cessioni di compatti banchi di arenaria.
Girolamo Conte Agapìto nel 1823 nella sua descrizione della Città e Porto franco di Trieste, nel capitolo dedicato ai prodotti del paese, così ci descrive la costiera triestina:
I terreni delle colline e dei monti sono divisi in frequenti ripiani sostenuti da muric­cioli affinchè le piogge dirotte non ne dila­vino e portin via la terra; soltanto con la vanga e collo zappone essi vengono colti­vati a vigne . . . E famoso oltremonti e oltre­mare l’eccellente vino di Prosecco, Conto-vello e S. Croce. I Greci lo chiamarono il Pictanone dell’Adriatico. Questo vino era conosciuto dai Romani sotto il nome di Puc­cino; e Plinio nella sua storia naturale fa­cendo un elogio dè salutiferi di lui effetti riferisce che, mercè questo licore, Giulia Augusta, benché cagionevole di salute, sia vissuta fino all’età di 82 anni.
Appare piuttosto evidente che su que­sto versante della costiera tniestina volto a SW, in condizioni climatiche quindi ottimali, da tempo immemorabile quel terreno veni­va lavorato, terrazzato, curato e si coltivava la vite. Sono ancora oggi presenti delle lunghe scalinate in pietra arenaria che da­vano l’accesso ai vari pastini terrazzati. Esisteva quindi la necessità di una conti­nua manutenzione dei muri, pulizia delle stradine e sentieri di accesso, regolazione delle acque di scorrimento. Suoli non cura­ti che per dilavamento avrebbero perduto la parte più fine dei suoi componenti temo­so-argillosi, significava perdita di valore delle coltivazioni e dello sfruttamento economico del sito. Negli ultimi decenni questi luoghi il cui accesso era comunque difficile per­ché molto faticoso, gradualmente diminuì d’interesse e sempre più frequentemente i terrazzamenti furono abbandonati e conse­guentemente anche le culture vitivinicole. Ciò portò ad un degrado dei luoghi, i muri crollarono ed avvenne così che vi fu una sempre più intensa perdita di suoli. Biso­gna ricordare che i muri di arenaria a sec­co, con gli anni tendono a modificare la loro struttura portante; l’arenaria non è al­tro che una sabbia cementata, con le piog­ge la parte cementante essendo calcitica e argillosa se ne va via ed i granuli di sabbia vengono asportati dalle acque divaganti. Le singole pietre del muro un po’ alla volta perdono la loro forma, diminuiscono di volume e tutta la struttura diviene conse­guentemente sempre più instabile. A Trie­ste è un modo di dire, che qualsiasi muro in arenaria se non ha una continua manu­tenzione dopo un secolo crolla!
Abbandonare una coltivazione in un’area pianeggiante può significare solamente la perdita del prodotto ma non del suolo, perché agli effetti della consumazione delle rocce siamo in una zona dove si verifica una degradazione meteorica cumulativa. Nei terreni in pendenza, maggiormente se questa è forte, la perdita è totale non solo delle coltivazioni ma anche dei suoli e della stessa struttura del versante, a causa di una degradazione meteorica molto accele­rata chiamata anche selettiva.
Il ripristino delle colture in questi casi porta di conseguenza un duplice effetto. Oltre a quello economico diretto, si ottiene soprattutto una conservazione e salvaguar­dia del territorio. Si regolano le acque, si trattengono i suoli, si evitano così le frane di versante. Per le future coltivazioni in questi casi il ripristino deve essere fatto prevedendo l’intervento con una coltura “meccanizzata”, non essendo più possibile ed economico un trasporto manuale, è necessario che l’area che si vuole così ri­pristinare, venga dotata di una viabilità di accesso di interesse pubblico, per l’utilizzo dei suoli in un consorzio pubblico-privato. Solo in questo modo sarà possibile otte­nere un controllo del territorio scevro da frane e smottamenti ed un rilancio della coltura di un vitigno che era conosciuto, forse da oltre duemila anni dai romani, un vino che ha avuto l’onore di essere citato da Plinio, il più grande storico lati­no dell’antichità classica.
Viene pertanto raccomandato che il pro­getto per la risistemazione di questo terri­torio con evidenti caratteristiche morfologi­che montane pur essendo quasi in riva al mare, necessiti di uno studio propedeutico geologico strutturale del versante interes­sato dall’intervento e data anche la fragilità dell’ambiente ed il vincolo paesaggistico dell’area, di uno studio di tipo ambientale.
Sono seguite le seguenti relazioni:
Gian Luigi Galenti — Facoltà di Econo­mia Agraria dell’Università di Trieste: Una diversa politica di investimenti per l’agri­coltura a Trieste per un migliore accesso qualitativo al mercato;
Antonio Paoletti — Presidente della Camera di Commercio di Trieste: Iniziati­ve di carattere promozionale e strutturale a sostegno dell’agricoltura triestina nel­l’ambito del programma europeo Interreg III A ltalia-Slovenia 2000-2006;
Albin Debevec — Direttore del Parco di San Canziano: Prospettive di un rilancio turistico in connessione con il patrimonio rurale del Carso;
Mirko Sardo — Sindaco di Sgonico: La qualità del prodotto nel quadro di una valorizzazione del patrimonio economico e culturale del Carso;
Boris Mihalic — Presidente del Comita­to promotore per le Giornate dell’Agricol­tura, Pesca e Forestazione: Il ruolo delle Giornate dell’Agricoltura, Pesca e Foresta­zione per la promozione e Io sviluppo dell’agricoltura triestina;
Associazioni di categoria: Diritti e aspettative per l’agricoltura a Trieste necessità di un tavolo verde di concerta­zione comune.
In chiusura di questa relazione, vengo­no fatte alcune interessanti considerazioni:
È forse la prima volta che nell’ambito del­l’uso del territorio, sono interpellate delle persone legate al mondo della speleologia, degli studi sul carsismo, di gestione e tute­la di territorio carsico e non solo delle per­sone specifiche che più o meno direttamen­te si occupano di agricoltura, pesca o forestazione. Evidentemente le particolari caratteristiche delle zone carsiche ed aree adiacenti non carsiche, hanno la necessità di essere conosciute ed attentamente valu­tate, per una corretta programmazione e progettazione sull’uso del territorio.
Mi riferisco agli interventi di Forti e di Debevec che in questa occasione hanno contribuito con le loro esperienze dirette sul territorio. Uno italiano ed uno sloveno, ambedue rispettivamente interessati, da ragioni di studio (carsismo) o da motivi professionali (parco carsico). Il contributo che hanno potuto dare rappresenta una novità ed anche una speranza che nel futu­ro, in particolare nel momento della com­pleta integrazione Europea della Slovenia, questo modo di concepire l’ambiente car­sico e le sue pertinenze, diventi una realtà.
Va ancora sottolineato a proposito di Carso, di acque e di necessaria conoscen­za del carsismo per qualsiasi sua pro­grammazione territoriale, che l’Organizza­zione delle Nazioni Unite, ha decretato il 2003 quale Anno Internazionale delle ac­que dolci, con particolare riguardo ed attenzione proprio alle acque di origine carsica. Cerchiamo di non perdere l’oc­casione per farci conoscere in campo internazionale, con le nostre esperienze maturate in quasi due secoli su questo importante problema!
                                             Fabio Forti