Grotte di Grignes e Pra di Steppa

 

LE TERRE ALTE DI AVASINIS

Avasinis – Il sifone (Foto U.Tognolli)

Pubblicato sul n. 45 di “Progressione” anno 2001
Sono tranquillo in ufficio, sto lavorando, come sempre al computer … la videata cambia … compare il solito avviso di una mail in arrivo. Ne arrivano a decine nell’arco di una giornata, poco convinto vado a vedere, mah penso, sarà qualche solito messaggio di una qualche lista …  qualche novità, qualche bega fra speleo o gruppi. Più per abitudine che per curiosità inizio a leggere … il mittente è Pino …  hai, hai, hai … di solito quando mi scrive lui e per affibbiarmi qualcosa da fare … e di solito in tempi stretti … Oggetto della mail Ava sinis, sì scritto proprio così … mi fermo di colpo, la mente torna indietro di alcuni anni, al posto, alle vicende al nome giusto Avasinis. Scritto come lo ha scritto lui sembra il nome di un posto fantastico, come in realtà ho sempre pensato che lo fosse.  Torno indietro sempre di più con gli anni ed arrivo a11’85, hei 1985, non sono poi così vecchio … quello era l’anno nel quale sono arrivato in gruppo … ho conosciuto il Fufo, Caporetto, Omar, Birillo, Linus, Jumbo, inizio a sorridere ricordando i soprannomi … le persone gli aneddoti legati a questi personaggi ed alle vicende vissute insieme, poi mi assale un attimo di tristezza, sì di alcuni di quei compagni non rimane che il ricordo, se ne sono andati, ci sono stati portati via, e stranamente illogicamente, se una logica in queste cose esiste, proprio i più giovani. In ogni caso a me piace ricordali e pensarli lì, muoversi nel fango, oppure a spaccare pietre in cerca di una prosecuzione, in realtà sono convinto che loro siano ancora lì e, contemporaneamente, in molti altri luoghi vissuti insieme. Va bè ma queste sono cose mie che a voi magari non interessano. Dunque ritorno indietro dal mio momentaneo vagare nel passato e leggo il testo che Pino mi invia, dice che si sta preparando un numero di Progressione dedicato alla zona e che io potrei/dovrei scrivere qualcosa sulle esplorazioni fatte dalla metà degli anni ‘80 nelle zone sopra la Risorgiva di Eolo, il Pino poi aggiunge che il tutto dovrebbe essere fatto per ieri … uhhh e come no. Gli rispondo che non sussiste problema, anzi che il pezzo era pronto ed in cassetto già da un anno … Accidenti a lui che cacchio scrivo ora?? Cosa racconto, e poi ho un casino d’altre cose da fare, che mi manca il tempo … Mah decido alla fine che quando lo vedrò in sede gli dirò che non se ne fa niente, semmai che scriva qualcosa Fufo … Bene il giorno dopo arrivo in sede, vedo Fufo e gli do la bella notizia, ovvero che deve scrivere qualcosa per conto di Pino su Avasinis … il tipetto mi guarda di traverso conosco quello sguardo, sta per uccidermi, ma molto, molto lentamente, Fufo come dimensioni è una volta e mezza me, alla fine capisco, lui e Pino si sono già parlati … intuisco che mentre uno mi teneva fermo l’altro mi …. sì insomma avete capito.. . Mi toccherà scrivere qualcosa … Però non mi sento di mettere giù una fredda cronologia, che tra l’altro mi sembra già essere stata pubblicata, no, voglio parlare del posto, delle sensazioni che mi ha dato, della compagnia che vi lavorava e così via. In quel periodo esistevano in seno al gruppo tre principali e distinte razze, i “vecchi” persone oltre gli anta che scavavano e rivoltavano il Carso alla ricerca di nuove grotte, poi secondo una definizione, che molto mi piacque, del buon zio Fox (Fossile) gli “Elfi” assidui frequentatori ed esploratori dei magici altipiani del Canin, e gli “Orchetti” personaggi forse un po’ meno atletici dediti anche allo scavo i quali principalmente frequentavano i fatati territori sopra il paese di Avasinis. lo forse per simpatia caratteriale o altro finivo per frequentare più questi ultimi, pur non disdegnando di tanto in tanto neanche il Canin, guadagnandomi così la definizione di “Elfo andà de mal”. Il posto però mi piaceva, la gente pure e, quel che più importava, era pur sempre una fiaba no?? Erano passati oramai dieci anni dal devastante terremoto del Friuli ma nel paese molte cose erano ancora rimaste come ai primi periodi dell’emergenza. Di solito si partiva da Trieste di buon’ora, si raggiungeva il paese ai piedi di quei monti giusto in tempo per fare una buona colazione a base di cappuccini e merendine varie. In paese c’erano due locali “Al buon arrivo” dove la padrona, una robusta signora, ci accoglieva con immensi sorrisi e benevolenza iniziando a discorrere con noi prima in italiano per poi passare al friulano, per noi piuttosto ostico, tanto che alla fine non ci capivamo più niente, ogni volta che ci vedeva ci raccomandava di chiedere al buon Bandon nuove foto delle grotte da esporre sulle pareti del suo locale. Il secondo posto era dal Beppo, simpaticissimo personaggio un po’ grezzo, ma forse per questo molto più affine a noi, il quale avendo il suo locale gravemente danneggiato dal sisma, aveva ora spostato la sua attività in una baracca stile spaghetti western fatta con lamiere, legni vari e cartoni. Un posto incredibile dal fascino unico, per noi, con al centro del locale una stufa a legna, ci siamo sempre chiesti quale santo ha evitato in tutti quegli anni che quel posto finisse in cenere. Questo era il fondovalle, ma per raggiungere la zona d’operazioni bisognava inerpicarsi lungo una stradina stretta, piena di curve e piuttosto ripida. Ogni volta questa strada metteva a dura prova chi, come me, è un po’ debole di stomaco, per fortuna ogni tanto ci si fermava, benedette soste che con la scusa di osservare la circolazione d’aria agli ingressi di varie cavità mi permettevano di riprendermi. Le nostre mete preferite erano due cavità, la Grotta degli Stavoli di Grignes e la soprastante, come quota, Grotta degli Stavoli Prà di Steppa. Queste grotte avevano alcune particolarità in comune con una terza grotta nota già da molti anni, e della quale si parla diffusamente in questo numero di Progressione, la cavità è ben nota con il nome di Risorgiva di Eolo (658 Fr) ipogeo di considerevole sviluppo e complessità il cui ingresso si trova al fianco della strada che permette di accedere ai monti Covria e Cuar. Eolo, così nota brevemente nell’ambiente speleo, presenta parecchie difficoltà a chi vuole arrivare nelle zone finali per proseguire le esplorazioni, quindi per owiare a questo inconveniente molti speleologi tra i quali il notissimo Bandon iniziarono a battere i pianori ed i versanti dei monti sovrastanti alla ricerca di ingressi superiori. Nel corso degli anni vennero individuate le due cavità che abbiamo menzionato prima. Una in zona Grignes, che diventerà poi nota con il nome di Sifon de M.. . per la particolarità di finire con un sifone invaso da melma, e l’altra in zona Prà di Steppa, nota come Fiepa delle Sbarbe, perché vi hanno scavato alacremente alcune ragazze e della quale in un primo momento si era data poca importanza. Ma cosa avevano di buono, questi angusti pertugi, per indurci a passare svariate domeniche nel corso degli anni a scavare come matti … bè presto detto, entrambe si aprivano sopra la ben più nota risorgiva, ma cosa ancor più importante e promettente entrambe avevano una circolazione d’aria che dava a pensare fossero collegate con l’importante ipogeo sottostante. Riuscire ad entrare in Eolo da una di queste significava raggiungere le zone da esplorare, risparmiando fatica ed ore di tempo in percorsi non sempre comodi. Ma descriviamo ora i lavori fatti nelle due cavità, per farlo non seguiremo un criterio temporale; anche perché varie volte furono visitate entrambe lo stesso giorno oppure in certi periodi ci si dedicò più ad una che all’altra.

GROTTA DEGLI STAVOLI DI GRIGNES – 2158 FR

Avasinis – Il lago sifone (Foto U. Tognolli)

  IL SIFON DE FANGO (PER IL PUBBLICO) O SIFON DE M.. . (FRA SPELEO)

L’ingresso si apre in un piccolo karren a sinistra della strada e vicino ad una piccola casetta; vi si accede tramite uno stretto (ma non troppo) e scomodo passaggio fra due grandi lame di roccia. Le due lame hanno una spiacevole particolarità, sono un po’ inclinate quel tanto che basta da dare l’impressione a chi vi entra d’essere come una perla (ma meglio pirla) in mezzo alle valve di un’ostrica. E fin qui tutto bene se non fosse che una delle due lame si muove e tende ad avvicinarsi alla sottostante … gran bella sensazione specie quando vi ci si aggrappa per entrare od uscire. Per owiare a questo insignificante inconveniente la nostra memoria giovanile aveva fatto ricorso alle fiabe … Detto fatto venne interposto nel bel mezzo di questa ostrica rocciosa un ceppo di legno, fregato dalla catasta della vicina casupola … ben presto il ceppo prese pure un nome, si lo so potrebbe sembrare poco originale ma ci venne naturale chiamarlo Pinocchio …  anche perché a questo personaggio un po’ assomigliava. Passato questo primo tratto si scende un pozzo inizialmente stretto ma che si allarga alla base, quindi tramite una breve galleria con successiva strettoia si perviene ad una piccola saletta, posto che mai nessuno pensò di chiamare antro delle meraviglie, il perché lo vedremo tra breve. In questo punto la cavità sembra terminare in una pozza di melma, ed invece non è così, la volta si abbassa ma mai abbastanza da non lasciar passare l’aria (accidenti), rimangono liberi in realtà ben pochi centimetri … sufficienti per far innamorare Fufo di quel posto. Di questo simpatico personaggio si racconta che sia caduto, ancora infante, in un barile di birra, tale evento lasciò nel suo fisico indelebili ed inequivocabili segni, infatti egli ha una grossa rassomiglianza con il mitico Obelix, ed al pari suo è dotato di erculea forza … Approfittando di questa sua caratteristica ha obbligato per anni ignari e meno dotati giovinetti, me compreso, a distendersi per ore in quel avvolgente, gelido ed sporco abbraccio, ciò nel vano tentativo di riuscire a svuotare in parte il sifone. La tecnica era la seguente: uno disteso nella melma riempiva secchi e contenitori da passare quindi indietro ad altri sventurati a formare una catena umana, catena che, man mano si veniva a sapere il lavoro che bisognava fare, diveniva sempre più corta. Quando il contenitore arrivava all’ultimo felice partecipante alla gita veniva svuotato e quindi riportato in testa; all’inizio tutto bene ma il materiale, incoerente e pure molto dispettoso, in breve sentendo un po’ di nostalgia finiva per ritornare verso il basso. Ci siamo divertiti un sacco così per varie domeniche fin quando dietro caldo invito del Fufo m’infilai una muta da sub all’esterno, ove faceva un caldo torrido e tutto ben sudato entrai nella cavità, bello il  sudore che gela. Di passare quel pseudosifone giuro non ne avevo la minima intenzione, ma l’alternativa era un  soggiorno in ortopedia … morale ci andai. Superato il tanto decantato posticino esiste una risalita quindi una breve galleria in breve ostruita da una grossa lama, oltre la galleria prosegue, non comoda. Rientrato alla base raccontai tutto al negriero e visto che nessuno aveva voglia di passare (men che meno il sottoscritto) decidemmo che saremmo ritornati più avanti; per la cronaca Fufo m’insegue ancora. La giornata si concluse nel fiume a fondovalle per il lavaggio d’obbligo di persone e materiali, poco ci mancò quella volta che sui giornali si parlasse dell’improvvisa torbida del fiume.  A proposito dei personaggi che lavoravano distesi in quel lussurioso letto voglio ricordare il compianto Omar sempre sorridente, anche quando di motivi non ne avevamo, il quale più di tutti lavorò in quella scomoda posizione. A questi momenti infernali si susseguivano anche belle ricognizioni esterne, in una di queste arrivammo in una vallecola nelle vicinanze del Col del Sole dove esiste una bellissima, grande, marmitta relitto di una circolazione fluviale che, in un’era glaciale passata, avveniva ad una quota di qualche centinaio di metri sopra l’attuale.

IL RILIEVO – 2158 Fr

GROTTA DEGLI STAVOLI PRA DI STEPPA – 2204 Fr

Trovando improbo il continuare i lavori nella cavità precedente ci dedicammo anima e corpo alla:

 FIEPA DELLE SBARBE, O SEMPLICEMENTE FIEPA

Questa cavità si apre in un karren in mezzo al bosco ai piedi dei monti Covria e Cuar, in prossimità di una casa. Inizialmente la cavità era costituita da un pozzetto di due metri che si scende in libera, quindi, tramite un foro, si accede al secondo pozzo da 12 metri. Questo ambiente più che un pozzo è una caverna, nella quale, anticamente riempita di tondeggianti ciottoli di fiume poi cementatisi fra loro, la circolazione  delle acque ha aperto due pozzi paralleli. Al fondo di questa verticale esiste una bassa caverna e tutto sembrava finire li … ma, da una stretta fessura arrivava una corrente d’aria, quindi si decise di avviare uno scavo, la roccia venne allargata, per una lunghezza di circa due metri, ricavando un comodo passaggio che venne battezzato Plasmon (in seguito Plasmon 1) per via che il lavoro svolto di mazza e  punte molto ricordava la vecchia pubblicità di una marca di omogeneizzati per bambini. Al passaggio segue un pozzetto inclinato di 4 metri, quindi una galleria non molto comoda immette in una saletta.  Alla base di una delle pareti liberando un passaggio in frana si arriva in una comoda sala oblunga e con il pavimento inclinato. In salita si possono percorrere alcuni metri poi il tutto si restringe. L’aria però arrivava dalla parte bassa della sala.  Il cui pavimento è costituito da massi di frana. Ovviamente si decise di scavarvi in mezzo, così dopo lunghi, e scomodissimi week-end si riuscì ad aprire un passaggio per una profondità di circa quattro metri (tutti scomodi e tortuosi). Giunti in un passaggio sgombro un’altra,amara sorpresa ci attendeva: tuttal’aria si infilava in una stretta fessura inroccia che dopo due metri girava ritornando indietro impedendoci di sapere se meritava o meno scavare ancora. I più magri si cimentarono in quel pertugio, ma più che una gamba non passava, si iniziò quindi il lavoro di quello che divenne Plasmon 2. Passammo vari mesi li sotto a spaccare pietre in turni massacranti che duravano dalle sei alle otto ore, questi lavori ci facevano bramare l’arrivo del lunedì per poter riprendere il nostro normale lavoro. Alla fine il passaggio fu forzato, ed a dire il vero meritò tutta la fatica spesa: oltre ci attendevano gallerie e salette, passaggi finalmente comodi, a parte un punto semi ostruito da un masso che rendeva, e rende, quel punto un po’ fastidioso, ma percorribile senza ulteriori lavori.  Era ora: finalmente si cammina, esploriamo, rileviamo fin quando ad un tratto troviamo davanti un masso, che sia la fine del sogno e l’inizio di un nuovo ciclo da incubo? Guardiamo meglio sotto il masso del rumore d’acqua ed un pozzetto al fondo del quale scorre un rigagnolo. Armiamo, tutta la grotta sarà armata con spezzoni di scaletta, anche perché i brevi salti e le parti strette avrebbero reso scomodo il progredire con l’attrezzatura per corda indosso. Il pozzetto è sui sette metri, alla sua base un trivio, non stiamo più nella pelle, andiamo a destra, meandrino, quindi breve risalita e si arriva in una caverna nella quale, però, non troviamo prosecuzioni. Si torna al Trivio e proviamo in discesa, dove va anche il piccolo corso d’acqua, percorsi pochi metri la diramazione diviene impossibile da percorrere, non ci resta che la diramazione di sinistra: una galleria meandriforme di dimensioni umane, per noi, un po’ meno per Fufo, eh eh ogni tanto tocca pure a lui patire. Dopo cinque metri vediamo una parete, temiamo che chiuda, invece no il passaggio volge di 90 gradi e prosegue, si striscia, ma il fondo è comodo ed asciutto.  Andiamo avanti parecchi metri, poi riusciamo a metterci in piedi, sotto abbiamo un saltino di tre metri, lo superiamo in arrampicata, cosa che faremo poi sempre, chissà perché non abbiamo mai pensato ad armarlo, sotto di noi da una spaccatura esce dell’acqua, scopriremo in seguito mediante colorazioni trattarsi della stessa che sparisce più a monte nella zona del Trivio. Dinanzi a noi una parete di roccia chiude ogni possibile prosecuzione, come formiche arrampichiamo e cerchiamo un passaggio, ma ovunque guardiamo è troppo stretto. Osserviamo la frattura, è larga pochi centimetri, oltre il buio, la sua lunghezza non è valutabile, la chiameremo la Faglia Infinita … Siamo un po’ demoralizzati, anche se il risultato c’è stato. Per un po’ smettiamo di scavare e frequentare la zona, poi Fufo ricomincia, sarà così che insieme a Birillo, altro compagno di mille avventure che ci ha lasciato troppo presto e la cui scomparsa ancora ci brucia come ferro rovente, inizia Plasmon 3. 1 due riusciranno nell’impresa in alcune uscite ricavando un comodo passaggio dopo il quale con un saltino si accede alla Caverna dell’lnferno Dantesco, nome che le deriva dalla sua forma. Esploriamo la caverna, un’unica prosecuzione, una galleria che vede, dopo alcune decine di metri, la volta abbassarsi a pochi centimetri da uno specchio d’acqua … ahi ci risiamo, bene muta in cavernone, mi avvio verso il posto accompagnato da mio cognato Caporetto tastiamo il laghetto, profondità circa trenta centimetri, aria sopra l’acqua cinque, meraviglioso adoro questo posti … vi ho mai detto che sono un bugiardo? Va bè ma tutti sappiamo com’è, se esiste una pur minima possibilità di passare si viene assaliti dalla febbre esplorativa ed allora si parte. L’intenzione è quella di valutare anche la lunghezza del laghetto mi lego al pollice della mano l’estremità di uno spago, mi distendo in acqua ed inizio a galleggiare in posizione orizzontale.. . farò come gatto Silvestro con le dita sul soffitto cercherò di avanzare … senza sollevare onde … vado, passo alcuni metri, ad un tratto una piccola increspatura mi fa bere, non ci voleva, inizio a tossire ma sono quasi fuori, ora sono oltre l’ostacolo, solo, ammetto ho paura, sento la voce di mio cognato, sono una decina di metri. Ahi dovrò anche ritornare … ho con me una torcia elettrica mi guardo in giro, la grotta continua vado avanti per una decina di metri, pareti nere, strette, con la muta è scomodo passare e poi sono solo, decido di tornare indietro. Per fortuna il ritorno sarà tranquillo, parlo coi miei compagni, decidiamo di svuotare il laghetto. Ritorneremo dopo qualche tempo armati di tubi e pompa immergibile, la linea elettrica già c’era per motivi di scavo, dopo alcune ore la pompa prosciugherà la pozza e riusciremo a passare Caporetto ed io, esploreremo ancora un centinaio di metri di galleria mai troppo comoda fino ad un pozzo in conglomerato perfettamente levigato profondo quattro metri, oltre a questo la cavità presenta una fessura strettissima. Siamo alla fine, iniziare uno scavo qui, in una zona che in caso di pioggia si allaga, come lo dimostrano evidenti segni, dovendo vuotare ogni volta il laghetto risulta cosa improponibile, rileviamo il tutto e dimentichiamo questo ramo. Successivamente viene iniziato dal Fufo ed altri un ulteriore scavo, ma di questo magari ne riparleremo in futuro, chissà magari una nuova, faticosa, via ci attende. Ora personalmente manco da quelle grotte da alcuni, troppi, anni, ma ogni volta percorrendo l’autostrada e vedendo il posto rivivo quelle esplorazioni, quelle sensazioni, le sconfitte e le gioie, ma anche i momenti di tensione fra noi amici dovute alla stanchezza ed alle difficoltà, così ne faccio partecipe Viviana, la mia ragazza, che poverina non ne può più …  stufa credo di sentire sempre la stessa storia trita e ritrita, forse sto diventando vecchio, o forse anzi, sicuro, è venuto il momento, di ritornare, magari facendola partecipe di qualche nuova avventura in compagnia di quelli di quel vecchio gruppo ancora rimasti. Bene anche questa è fatta, il pezzo chiestomi da Pino è scritto, chissà se era quello che si aspettava, chissà se gli andrà bene. Ora posso tornare alle mie occupazioni, guardo un attimo fuori dalla finestra, dovrebbe esserci il mare, ma quello che vedo invece sono quei boschi, quei karren, quei pozzi e quelle gallerie, quell’enorme masso trovato nel bosco sul versante del monte, grande come una casa ed attraversato da una fenditura che per
mette di passare da parte a parte, dicono che è l’azione del gelo, ma quale gelo mai, siamo in un paese da fiaba quello è sicuramente l’effetto di un colpo di spada, segno inequivocabile di battaglie fra giganti. Ma magari di questo ne riparleremo fra qualche anno, queste immagini cancellano quelle del mio ufficio dove pensavo di trovarmi, mah forse in realtà sono ad Avasinis oppure Avasinis, quel regno incantato, è dentro di me?
                                                 Tolo, I’Elfo andà de mal (Alessandro Tolusso)

Personaggi nominati in ordine d’apparizione: Pino (Giuseppe Guidi) Fufo (Fulvio Durnik) Caporetto (Pierpaolo Russian) Omar (Andrea Baruzza) Birillo (Federico Tiez) Linus (Marco Di Gaetano) Jumbo (Umberto Tognolli) Bandon (Mario Trippari) Beppo (Beppo)

IL RILIEVO 2204 FR – Piante e sezioni