ADATTAMENTI DELLE PIANTE NELLE DOLINE E NELLE CAVITA DELL’ALTIPIANO CARSICO TRIESTINO
Pubblicato sul n. 45 di “Progressione” anno 2001
LA FOTOSINTESI E LA LUCE
Nelle zone carsiche, come ad esempio il Carso Triestino ed Isontino, vi sono innumerevoli doline, più o meno profonde, che per il loro peculiare clima(1) presentano una vegetazione completamente diversa dalla zona circostante. In particolare, nelle doline e negli ambienti ipogei la luce è decisamente scarsa e ciò va ad influenzare notevolmente, come prevedibile, la morfologia e I’istologia delle specie vegetali presenti. La luce, infatti, è l’elemento fondamentale per la vita dei vegetali (piante verdi) in quanto da essa dipende l’attività fotosintetica(2) necessaria per la sopravvivenza, l’accrescimento e la riproduzione delle varie specie. Dalla letteratura si sa che la velocità con cui avviene la fotosintesi cresce all’aumentare dell’intensità luminosa e, ad un certo punto, si stabilizza ad un determinato valore anche se l’intensità luminosa continua a crescere. Ciò ci indica che si ha saturazione(3) dell’apparato fotosintetico, e quindi non si può migliorare ulteriormente l’efficienza della fotosintesi. Nel caso, invece, si parli di bassa intensità luminosa, esiste un altro valore di fondamentale importanza che è definito “punto di compensazione”. Questo valore corrisponde all’intensità luminosa alla quale la fotosintesi e la respirazione tendono ad eguagliarsi. La domanda che ci si pone è la seguente. Cosa accade quando si scende in un dolina, mano a mano che l’intensità luminosa decresce? Ma soprattutto cosa accade quando si raggiunge il punto di compensazione o addirittura lo si oltrepassa? Nel caso in cui una pianta sia costretta a vivere con una luminosità pari al suo punto di compensazione, non può svilupparsi e crescere, venendole a mancare la sostanza organica che deriva dalla fotosintesi, poiché essa viene tutta utilizzata per il processo della respirazione. È tipico infatti rinvenire, nelle doline, vegetali di dimensioni minori rispetto a quelli esterni. Ma cosa avviene se la velocità di fotosintesi risulta inferiore rispetto a quella di respirazione? La pianta consuma ossigeno e sviluppa anidride carbonica; diminuisce inoltre di peso secco, poiché la respirazione consuma più materia organica di quanta ne produce con la fotosintesi. Nel primo caso, le piante diventano generalmente sterili e, nel secondo, anche dopo un periodo di vita vegetativa, muoiono. Il valore del punto di compensazione varia molto, da specie a specie (v. tabella sottostante).
SPECIE | Lux-a 27°C |
---|---|
Pino silvestre (Pinus syIvestris) | 4000 |
Faggio (Fagus sylvatica) | 1000-500 |
Alcune erbe del sottobosco | 300 |
Varie felci e muschi | 300 |
Alcune specie d’alghe | 10 |
RISPOSTE FISIOLOGICHE DEI VEGETALI ALLE PARTICOLARI CONDIZIONI AMBIENTALI IN UNA DOLINA
È evidente che una pianta, con punto di compensazione basso, potrà vivere in siti meno luminosi rispetto ad una pianta con un punto di compensazione più elevato. Ne consegue che, in una dolina, le piante superiori rimangono generalmente sull’orlo di essa od a quote leggermente inferiori. Scendendo invece più in profondità, si troveranno dapprima felci e muschi ed infine, quasi al buio, alcune specie d’alghe.
Le fotomorfogenesi di certi vegetali sono tali che, alle volte, risulta quasi impossibile determinarle rispetto alle specie presenti all’esterno. Tipico esempio è dato dalle Angiosperme, spesso ridotte a plantule, o molto eziolate, cioè sviluppantesi al buio o in condizioni di illuminazione insufficiente per cui non riescono a formare clorofilla, allungando nel contempo esageratamente gli internodi. Generalmente esse tendono ad appiattire i germogli ed a disporre le foglie su un piano perpendicolare rispetto ai raggi luminosi; in questo modo possono “sottrarre” più luce possibile. Si rimpiccioliscono in tutte le loro parti, sino a divenire elementi minuscoli, quasi giovanili, quindi sterili.
I mutamenti dovuti al “buio” si riflettono in modo diverso nelle Dicotiledoni rispetto alle Monocotiledoni. Infatti, mentre nelle prime si ha un allungamento degli internodi e spesso dei piccioli, la lamina fogliare rimane praticamente rudimentale, non c’è formazione di elementi di sostegno né di fasci vascolari e spesso addirittura non c’è sintesi di pigmenti, nelle seconde le foglie si sviluppano in modo anomalo così da aumentare il più possibile la superficie di “raccolta” della luce.
Nelle Pteridofite generalmente il ciclo vitale si interrompe alla produzione di protalli o di fronde, generalmente anormali, molto ridotte e semplificate e, come in tutti i vegetali presenti in questo ambiente, modificano profondamente l’apparato sporifero.
Le felci sono relativamente abbondanti nelle doline e negli ipogei dell’altipiano; si possono così rinvenire abbastanza comunemente l’erba rugginina (Asplenium triochomanes), la ruta di muro (Asplenium ruta muraria), la lingua cervina (Asplenium scolopendrium), la felce sottile (Polypodium interjectum) e, soprattutto negli avvallamenti baratroidi o con pozzo sul fondo, la lingua di cervo (Asplenium scolopendrium). Solitamente, con il diminuire della luminosità, le fronde si schiariscono, ovvero c’è una diminuzione di sintesi dei pigmenti, le foglie diventano quasi diafane. allargano esageratamente la loro lamina e cessano completamente di produrre spore. Un esempio, che merita citare per la sua particolarità, è rappresentato dall’Asplenium trichomanes, felce considerata “cavernicola” per eccellenza. Tipicamente sterile, essa può vegetare fino a 1/1380 di luce rispetto a quella esterna. Generalmente le spore di felci, germinanti in presenza di luce debole o rossa, formano lunghi filamenti di cellule (protonema) e, solamente alla luce bianca o azzurra, formano un protallo. Nei muschi, le piantine presentano generalmente fusti molto allungati, al di fuori della norma, con rami laterali lunghi e radi; le foglie sono piccole e gli internodi sono sviluppatissimi. Owiamente sterili, si propagano, fra le altre modalità, soprattutto per via vegetativa: per stomi, rizoidi e propaguli.
Dal punto di vista istologico, si osserva la riduzione o la completa scomparsa del nervo delle foglie e, effettuando una sezione trasversale del fusto, si nota come questo presenti spesso una forte riduzione dello strato corticale che, normalmente, è formato da cellule a pareti ispessite, mentre gli strati profondi tendono ad unificarsi e le piccole cellule centrali, aventi funzione di tessuto conduttore, scompaiono. Aumenta, invece, soprattutto negli ambienti umidi, la quantità dei parafilli (corpi allungati sterili, formati da una o più serie di cellule, con funzione protettiva dei gametangi tra i quali sorgono). Fra i Muschi, le specie più comuni che si sviluppano negli ipogei del Carso triestino, sono: Thamnium alopecurum, Eurhynchium praelongum (1/1000) , Isopterigium rnullerianum e I. depressum (1/1380). I licheni. Fra le Crittogame cavernicole, i licheni risultano i meno adattabili alla mancanza di luce e quindi sono poco presenti negli ambienti cavernicoli. Se in qualche modo vi pervengono e vi si stabilizzano, subiscono allora tali modificazioni da trasformarsi addirittura in un semplice strato polveroso che non permette alcuna precisa trasformazione. Ciò awiene perché, essendo il lichene costituito da due elementi simbionti (alga e fungo), l’alga non sopravvive mentre il fungo sì, anche se completamente deformato. Infatti le sue ife assumono spesso un aspetto polverulento e tendono, nelle zone più umide, al disfacimento. Il massimo limite di luminosità a cui si trovano è di 1150-90 rispetto alla luce esterna.
Al di sotto di questi valori, i talli generalmente si disgregano, tranne che in alcuni casi, ove però la classificazione di questi è divenuta di “Lichenes imperfecti”. Ultime Tallofite verdi, quelle che maggiormente si addentrato negli ipogei, sono le “alghe”. La più comune è un’Alga verde microscopica, il Protococcus viridis, che appare come una patina verde-chiaro su pareti, massi e volte. Ancora più numerose sono le Alghe Azzurre microscopiche, che si possono notare per la colorazione grigia, rossastra o biancastra che attribuiscono alle superfici rocciose su cui si sviluppano. Il loro limite di luminosità è di 1/2000 e, nei casi più particolari, di 1/2500 rispetto alla luce esterna. Proprio questo può essere considerato il LIMITE delle PIANTE VERDI.
Ben oltre si possono trovare i funghi, soprattutto se presenti su depositi di guano o su frammenti d’alberi ormai marcescenti, trasportati all’interno delle caverne per mezzo d’acque temporanee; in ogni caso si presentano in forme difficilmente riconoscibili.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
La vegetazione delle caverne -Italia Fisica
TOMASELLI R., Osservazioni di Biospeleologia Vegetale IVANCICH A. 1926 – La flora cavernicola – In “Duemila grotte” – T. C. I., ed., Milano, 1926: 35-46.
MORTON F., 1961 – Dolinenklima und Pflanzenwelt – POLDINI L,, TOSELLI E., 1981 – Osservazioni ecoclimatiche e lloristiche in alcune cavità carsiche – Atti 4″ Conv. Spel. del Friuli-Ven. Giulia. Pordenone, nov. 1979. Tip. La Grafica: 239-245.
POLDINI L., 1989 – La vegetazione del Carso isontino e triestino – Ed. Lint. Trieste: 1-313.
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Fed. Spel. Triestina. Spring Ediz., Trieste, 1996: 21- 30.
POLLI E., SGUAZZIN F., 1998 -Aspetti vegetazionali della Grotta Gigante (2 VG): le piante Vascolari ed il componente briologico – Atti e Mem. Comm. Gr. “E. Boegan”. vol. 35: 63-80.
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NOTE
I caratteri più significativi del clima di una dolina considerati rispetto a quelli esterni. sono:
1) I’inversione termica. ovvro la temperatura diminuisce mano a mano che si scende in una dolina. invece di aumentare come avviene sulla superficie terrestre
2) la trappola per il freddo, ovvero l’aria fredda rimane a lungo sul fondo,
3) l’aumento dell’umidità verso il basso
4) maggior soleggiamento sul versante N e quello minore sul versante S
5) la formazione di brezze di dolina nelle giornate prevalentemente soleggiate. Fotosintesi: sintesi, ad opera di cellule viventi. Di materiale organico a partire da composti inorganici più semplici. quali acqua e anidride carbonica. Con l’intervento di energia luminosa.
6) Saturazione: occupazione di tutti i siti di legame disponibili su una macromolecola biologica.
Elisabetta Stenner