Grotta SUPERNOVA – OGNUNO TROVA CIÒ CHE SI MERITA
Pubblicato sul n. 44 di Progressione anno 2001
Nel mese di ottobre dell’anno 1958 Luciano Filipas, allora diciannovenne, scorrazzava in prossimità di Prosecco, un po’ cercando grotte un po’ assaporando la natura del nostro Carso. Improvvisamen te la sua attenzione fu attratta, come spesso avviene, in questo genere di ricerche, da una piccola depressione che ad un esame ravvicinato si rivelò come qualcosa di più. Il sospetto che lì sotto ci fosse forse una grotta era ben presto rafforzato dall’impressione che tra le prime pietre spostate filtrasse un po’ d’aria. Ci vollero diversi giorni di alacre lavoro e lo spostamento di un bel po’ di materiale terrosolapideo per aprire un pertugio. Il pozzo di oltre 50 metri così reso accessibile immetteva in una bella galleria concrezionata, con vasche ed un paio di strettoie da aprire, per un totale di una trentina di metri di percorso. Si fece il relativo rilievo e la grotta fu catastata con il numero 4053 VG. L’onnipresente (allora) Dario Marini parlò inoltre di una quasi invisibile apertura da cui l’aria a volte usciva fischiando, ma si sa che l’aria, al pari degli umani, ha i suoi alti e bassi e quindi fischia solo in certe particolari occasioni. Del tutto sotto silenzio passò l’esecuzione di una mina piuttosto rumorosa che qualcuno coraggiosamente eseguì, in modo del tutto irregolare e che probabilmente temendo di aver osato troppo non ebbe altrettanto coraggio per tornare dentro a controllarne gli effetti. I molti visitatori che nel corso degli anni si susseguirono nelle accurate ispezioni (istruttori di speleologia compresi) non erano addestrati al riconoscimento degli effetti di una mina (ecco perché è perlomeno utile la patente di fuochino obbligatoria per ogni speleologo) e scambiarono probabilmente I’ammasso caotico di blocchi per uno di quei fenomeni naturali universalmente noti con il nome di frane. Insomma i tempi non erano ancora maturi, e forse non tutti i frequentatori di vani ipogei sono ritenuti dagli dei delle grotte degni di conoscere i tesori più nascosti.
Passarono così 42 anni.
Per un comune mortale è una vita, per uno speleologo no. Agli inizi del 2001, dopo aver saggiamente meditato per tutto questo lasso di tempo, come ognuno dovrebbe fare prima di render noti i suoi pensieri, l’inossidabile Luciano Filipas comunica ai più vicini discepoli che la grotta in questione probabilmente continuava; quella volta sicuramente, ma forse anche oggi. Inutile dire che ci fu una specie di arrembaggio per poter essere i primi ad iniziare i lavori, ma dopo una strenua lotta con i numerosi concorrenti i due più forti, Lucio Comello e Maurizio Glavina, riuscirono a raggiungere il posto indicato da Luciano. Ed è a questo punto che inizia la nuova sfida tra la grotta e noi della Commissione. Scherzi a parte bisogna riconoscere che buona parte dei soci validi del sodalizio, senza pregiudizi di età e di sesso, hanno dato e continuano a dare il loro contributo per i lavori di disostruzione ed esplorazione della parte nuova della cavità. Le gallerie lunghe centinaia di metri, le grandi caverne, i pozzi anche se non profondissimi ma di varie difficoltà e soprattutto le perlomeno 12 strettoie finora allargate costituiscono ostacolo e stimolo a questa interessante avventura. Comunque proseguono le esplorazioni, si tratta pur sempre di un abisso che supera oggi i 200 metri di profondità, con sviluppo planimetrico di tutto riguardo e con notevoli indizi di ulteriori scoperte nei vani più profondi. Al riguardo mi viene da pensare che effettivamente un lavoro impegnativo come quello fin qui condotto non avrebbe potuto essere eseguito in tempi passati.
La disponibilità di mezzi tecnici di recente concezione, ma soprattutto I’amore per il nostro Carso, così vicino e pure pieno di sorprese, nonostante la concorrenza di zone carsiche ben più ricche, stanno rendendo possibile il conseguimento di traguardi un tempo giudicati impossibili e meno attraenti. E questo a prescindere dal numero degli addetti ai lavori. L’unione di nuove leve in cerca di valori più che di stimoli, con i vecchi sempre giovani perché continuano ad imparare senza pretendere di insegnare, sta dando buoni frutti anche in questo campo.
Franco Florit
NELL’INCANTO DELLASUPERNOVA

Pubblicato sul n. 47 di PROGRESSIONE – anno 2002
1) Al tempo della sua individuazione venne chiamata ‘Grotta Nuova di Prosecco” e catastata con il numero 4053 VG. Oggi, dopo la scoperta della sua parte più importante, è stata ribattezzata, in ossequio al suo nome iniziale, con l’abbreviazione amichevole di “SUPERNOVA”. Con ciò si è voluto accordare due correnti, l’una tradizionalista che voleva lasciare il vecchio nome, e l’altra degli entusiasti delle nuove scoperte che volevano darle un nome nuovo.
L’accesso a questa importante cavità carsica è situato in una proprietà privata, nei pressi della strada provinciale che da Prosecco conduce ad Aurisina, sulla destra provenendo da Prosecco, a un centinaio di metri dal perimetro del mobilificio Elio. Attualmente l’ingresso è chiuso da una botola le cui chiavi sono in possesso sia del proprietario del terreno che della Commissione Grotte.
Inizia qui la parte nota già dalla fine degli anni Cinquanta e che consiste in un pozzo iniziale di circa 50 metri e da una seguente galleria avente uno sviluppo di una quarantina di metri nella quale scende un pozzo cieco di 13 metri; come del resto in quasi tutta la grotta, i vani sono riccamente concrezionati.
Per accedere alla parte di gran lunga più importante non bisogna scendere la galleria, ma, quasi dal punto di arrivo del pozzo da 50, si diparte sulla sinistra scendendo una modesta e fangosa diramazione inclinata, nella quale è forse oggi difficile immaginare essere passata per lunghi anni inosservata l’imponente continuazione della grotta. All’inizio dell’opera di disostruzione, infatti, un’apertura di pochi centimetri, quasi sempre soffiante, fece incuriosire gli smaliziati speleologi della Commissione.
Venne così messo in luce un pozzetto di circa tre metri, che dopo altri lavori di disostruzione permise di scendere per un’altra decina di metri. Nuovi faticosi lavori diedero inizialmente come risultato l’esplorazione di un piccolo pozzo cieco e di una ventina di metri di meandro. Solo grazie all’abilità arrampicatoria di alcuni giovani soci, si riuscì ad individuare sull’alto soffitto dello stretto meandro una specie di mini oblò che oltre a “soffiare” furiosamente rispondeva echeggiando alle grida.
Forzato questo ulteriore passaggio, finalmente si penetrò nella sala riccamente concrezionata che segna l’inizio della galleria principale. La morfologia iniziale di condotta forzata cede ben presto il passo ad un alto meandro che, ora allargandosi, ora restringendosi, ora sprofondando, ora diviso da ponti naturali, con un percorso vario conduce in sale favolose per l’abbondanza di colonne, stalattiti, coltri di pietra, vaschette e tutti quegli addobbi naturali che le viscere del nostro Carso sanno così ben occultare. Dopo un centinaio di metri di percorso si effettua un traverso, lungo una ventina di metri, per evitare un sottostante pozzo meandro di 12 metri. Si perviene così in una sala di una ventina di metri, con alti camini, nella quale si può scendere in un pozzo cieco di 21 metri, oppure un parallelo e largo pozzo di 10 metri, oppure individuare la prosecuzione della galleria situata a destra dietro un’enorme blocco di crollo, oppure ancora inabissarsi nella serie di pozzi inizialmente stretti che portano alla massima profondità della grotta.
Raccomando vivamente di visitare la continuazione della galleria, sia per la grande dovizia di concrezioni, sia per la vastità degli ambienti che pongono fine, con una grande caverna (circa m 15x50x10), alla parte orizzontale della grotta.
Per chi si sia saziato gli occhi e vuole vedere il fondo, c’è la possibilità, nella caverna, di giungere a tutta una serie di pozzetti, comunque facilmente percorribili senza grandi fatiche, che portano ad una bella caverna con grandi colate calcitiche e dalla quale parte un pozzacchiotto di 59 metri, di grande interesse. All’inizio la sua sezione èregolarmente circolare per poi, dopo una trentina di metri, immettersi in una grande diaclasi che va restringendosi fino a diventare impraticabile su di un lato, e dalla quale (forse), fuoriesce una corrente d’aria che in alcuni punti è facilmente percepibile, per poi improvvisamente scomparire nella serie di pozzetti finali (dove dovrebbe essere invece più evidente), caratterizzati da intenso stillicidio e da alcune finestre che si re-stringono sino a diventare non praticabili.
Concludo con un ringraziamento agli elementi: l’acqua e la terra, che con la loro lotta hanno lasciato la grotta come testimonianza della loro attività, l’aria per avercela lasciata scoprire e, perché no, anche il fuoco che ci ha dato una mano con la sua luminosità e potenza.
Franco Florit
DESCRIZIONE SOMMARIA

Alla base del P 55 uno scavo in salita ha permesso di accedere ad una galleria di medie dimensioni; da questo punto la galleria si allarga notevolmente, sino ad arrivare ad avere dieci metri di larghezza per altrettanti di altezza. Nella parte terminale della galleria principale (Ramo NNE) si dipartono varie diramazioni, con pozzi e piccoli meandri sovrapposti.
Dopo ulteriori scavi effettuati a metà galleria si è aperta la strada del Ramo del Fondo: una serie di piccoli salti conduce ad un’ampia caverna ove, quasi verso la cima del cono detritico, è stato aperto il pozzo più profondo della cavità, 59 metri. La grotta, quasi totalmente concrezionata dall’imbocco sino al punto 13, cambia aspetto, presentando notevoli tracce di erosione e frane incombenti che ne rendono pericolosa la percorrenza. Dopo il P 59 una serie di piccoli pozzi, sempre più stretti e fangosi porta al fondo, —228 e cinque metri sul livello del mare.
Tutte le finestre della cavità che nella sezione sono segnate con un tratteggio risultano totalmente impraticabili, tranne forse una presso il punto 12; i grandi camini del Ramo NNE sono stati scandagliati con i fari: vanno su.
Auguri a chi vuole salirli.
Maurizio Glavina