Messico

 

NELLA PENISOLA DELLO YUCATÀN

Bulogio Caamal Cuxin

Pubblicato sul n. 38 di PROGRESSIONE – Anno 1998
Dal 14 febbraio al 2 marzo di quest’an­no la “Commissione” ha effettuato una spedizione speleosubacquea nella peni­sola dello Yucatàn. Si è trattato del com­pletamento di un ciclo, iniziato nel 1996 e proseguito con le esplorazioni del 1997, che richiedeva adeguati approfondimenti.
L’attività è stata svolta nuovamente negli stati messicani di Quintana Roo e Yucatàn, sia lungo la costa sia nel cuore della penisola, anche ma non solo in luo­ghi ove erano stati lasciati alcuni conti in sospeso.
Tenendo conto di quelle dell’altr’anno sono state esplorate e rilevate complessi­vamente 25 nuove cavità sommerse, la maggior parte delle quali a sviluppo pre­valentemente verticale, raggiungendo pro­fondità di immersione di 55 metri. Solo alcune di queste grotte hanno presentato andamento prevalentemente orizzontale; fortunatamente le meno profonde, cosic­ché la loro esplorazione è stata possibile nonostante la presenza di gallerie allaga­te lunghe più di 500 metri nelle quali la progressione è stata talvolta complicata da faticose emersioni intermedie. In ac­cordo con quanto osservato l’altr’anno e probabilmente con i fattori geolitologici condizionanti la loro genesi, le cavità meno profonde e ad andamento preva­lentemente orizzontale sono state trovate lungo la costa mentre quelle ad andamen­to prevalentemente verticale all’interno della penisola.
Sono state inoltre visitate alcune grot­te turistiche e alcune grotte sub aeree di grande interesse anche archeologico. Fra queste la Grotta delle Iscrizioni di Dzibi-chen l’altr’anno e la magnifica Grotta dei Cristalli di Yaxnic quest’anno: più di due chilometri di sviluppo sub orizzontale lun­go un interstrato intercettato fortunosa­mente, a -50 metri di profondità, da un pozzo artificiale scavato per raggiungere l’acqua di falda una quarantina di metri più in basso. In questo caso il pozzo è stato aperto intorno ai cento metri di quota, su una delle più alte colline di tutta la regione!
In alcune esplorazioni nella zona di Tulum si è collaborato con lo speleosub statunitense Buddy Quattlebaum che è uno degli esploratori del sistema Dos Ojos-Nohoch Na Chich, sistema che con­ta attualmente oltre 65 chilometri di svi­luppo in gallerie sommerse. Nei dintorni di Merida, invece, hanno partecipato ad alcune esplorazioni Martin Campos Ca-beza, Leon Villa, Miguel Angel, Rafael e Felipe, del Tahal Diving Club, mentre al­l’interno della regione ci è stato ospitale guida ed amico, ancora una volta, Eulo-gio Caamal Cuxin di Yokdzonot Presenta-dos. È grazie a lui ed al suo machete che sono state fatte le esplorazioni più emo­zionanti: dal rinvenimento di una pirami­de completamente ricoperta dalla vegeta­zione della foresta alla scoperta di incisioni antiche e manufatti, esposti come offerte alle divinità. In un cenote nell’area di Mayapan, dal quale veniva pompata l’acqua per la vicina fattoria, ha suscitato impressione il ritrovamento di circa venti scheletri umani dei quali nessuno dei Maya del posto conosceva l’esistenza. Doveva trattarsi della testimonianza di un episodio di infoibamento che una breve indagine storica colloca, in quella zona, fra le sanguinose guerre intestine dei Maya del sedicesimo secolo e quella più recente, di fine ottocento, fra Maya e latifondisti, nota come la Guerra delle Caste.
Fondamentale per la buona riuscita delle esplorazioni è stato disporre di un piccolo compressore per la ricarica delle bombole, portato dall’Italia, che ci ha permesso di effettuare immersioni ripetu­te anche nel cuore della foresta.

I cerchietti evidenziano i cenote esplorati nel corso della spedizione speleosubacqua “Messico 1998”.

Per non ripetere quanto già scritto nella precedente relazione (Progressione 36) ma per far capire anche a chi non l’avesse letta l’ambiente nel quale si è operato, ricordiamo qui brevemente che la penisola dello Yucatàn è caratterizzata da una altitudine media che non supera i cinquanta metri di quota ed è costituita essenzialmente da rocce carbonatiche piuttosto giovani, interessate da uno svi-luppatissimo fenomeno carsico, quasi completamente allagato. Glaciazioni e su­bsidenze non sono estranee a questa si­tuazione geomorfologica. Il territorio, che risulta prevalentemente orizzontale, con rare colline, all’interno è disseminato da pozzi naturali la cui morfologia suggeri­sce una genesi in gran parte spiegabile con la teoria dell’erosione inversa ed i fenomeni di crollo ad essa collegati. Lun­go le coste, nell’ambito di una larga fa­scia, si passa a un netto predominio di morfologie ipogee a sviluppo orizzontale, spesso quasi labirintico. Tutta la regione è inoltre mascherata da una foltissima vegetazione che non impedisce l’impres­sione, aprendosi la strada a colpi di ma­chete, di disporre di un infinito numero di finestre affacciate suggestivamente alla sottostante acqua di falda.
È per questa ragione, probabilmente,che i Maya antichi credevano che la loro terra galleggiasse su un grande mare e che, all’orizzonte, tutt’intorno, questo mare si toccasse con il cielo.
                                                                                                Toni Klingendrath

ENTONCES …SOMOS LLEGADOS, Y LUEGO VAMONOS A BUCEAR!

Discesa in un cenote vicino a Yokdzonot Presentados (foto T. Klingendralh)

15.02.98 – GIOCHI D’AZZARDO

Eccomi qua, a distanza di un anno, mi ritrovo in aeroporto a Cancun davanti ad un pulsante e ad un gruppo di poliziotte della dogana messicana. Devo pigiare il pulsante e se comparirà la luce verde potrò tranquillamente passare avanti, in caso contrario, luce rossa, dovrò aprire tutti i bagagli con le attrezzature subac­quee e non e quindi perdere circa due giorni per risistemare il tutto. Probabilmen­te, vista la mole di bagaglio, le addette alla dogana devono aver fatto “uscire il verde” e così sono passato incolume al controllo. Sono in Mexico!
Una volta ricomposto il gruppo, dopo che anche gli altri sono stati impegnati nel gioco del rosso e del verde, carichia­mo tutto il materiale sul furgone preso a nolo e ci dirigiamo a Tulum con direzione “Cabanas” per passare lì la notte, dopo aver brindato con i gestori del locale al nostro ritorno.
Durante la notte le zanzare mi hanno ridotto la fronte, unica zona del corpo non protetta dall’Autan, ad un poligono del­l’aeronautica militare.
Il giorno dopo, il primo pensiero è stato quello di riaprire il collegamento con gli amici conosciuti l’anno precedente. Il pri­mo in ordine di vicinanza era Buddy Quat-tlebaum al centro di Dos Ojos (vedi Pro­gressione n° 36) dove ci siamo recati immediatamente. Buddy è stato molto felice di rivederci e di aiutarci fornendoci le bombole che ci sarebbero servite per tutta la durata della spedizione ad un prez­zo politico! Ci comunica anche di essere vittima di un’infezione polmonare e che se si fosse rimesso a posto in breve tem­po sarebbe stato felice di farci partecipa­re ad un’esplorazione subacquea in una cavità dalla zona di fresco ritrovamento. Come inizio non sembrava male.
Torniamo alle “Cabanas” per sistema­re ed assemblare tutte le attrezzature sub. Quest’anno ci siamo portati il compres­sore.
Passata la seconda notte a Tulum, dopo la colazione si parte alla volta di Yokdzonot Presentados, ridente paesino sito al centro dello Yucatan, dove dovrem­mo ritrovare la guida maya dell’altr’anno. Infatti Eulogio è sempre al suo posto e ci accordiamo con lui affinchè predisponga tutto per farci effettuare alcune nuove esplorazioni la settimana ventura in quan­to per il momento contiamo di andare ad esplorare alcuni cenotes al nord.
Nel frattempo lui avrebbe dovuto ap­punto preparare qualche pista nella giun­gla per permetterci di raggiungere i nuovi cenotes con tutta l’attrezzatura subac­quea, trovarci una base logistica e procu­raci quel minimo vettovagliamento, “cer-vezas” essenzialmente, di cui avremmo avuto bisogno.
Accordi presi velocemente e partenza lampo alla volta di Merida.
In questa caotica città ci troviamo con Martin Campos, subacqueo locale presen­tatoci via Internet da Mike Dutton, titolare di un centro sub conosciuto l’anno scor­so e molto interessato a collaborare con noi.
Con lui ed altri suoi compagni, dopo le presentazioni di rito, programmiamo per l’indomani un’immersione esplorativa nel paese di Hoctun ad un’ora di macchina da Merida. Il giorno successivo, dopo aver trasformato dei curiosi locali in portatori, siamo all’ingresso della cavità. Questa grotta si chiama X-Bis, ha il pozzo d’in­gresso di un paio di metri di diametro e altrettanti di profondità ed è accessibile a piedi per facili roccette. Per arrivare al primo sifone bisogna camminare per cir­ca 200 metri in una galleria larga circa 15 metri ed alta all’ingresso non più di 1.5 metri permeata da odori nauseabondi. Si­stemiamo l’attrezzatura. In acqua siamo in cinque: Tony, Ciano, Leon, Martin ed il sottoscritto con la telecamera sub. Supe­riamo il primo sifone: lunghezza 65 m, profondità massima 8.3 m, acqua limpida e belle concrezioni. Dopo essere emersi dalla parte opposta, ci aspetta un tratto aereo di 122 m, ben concrezionato, per riprendere l’immersione al secondi sifo­ne, che terminerà dopo 120 m ad una profondità massima di 5.4 m. lo faccio dietro-front rilevando mentre gli altri, divi­si in due squadre, cercano qualche pos­sibili prosecuzioni con esito però negati­vo. Si ricompone il gruppo e si esce. Totale metri rilevati: 306.
Cena a Merida e pianificazione per il giorno successivo: decidiamo con Martin di recarci a Yaxnic per scendere in una bellissima cavità, ricca di grandi cristalli di calcite, questa volta senz’acqua.

Concrezioni nella Grotta dei Cristalli a Yaxnic (foto U. Tognolli)

19.02.98 – CRISTALLI, GARRAPATOS E SCHELETRI

Arriviamo a Yaxnic e subito contattia­mo una guida che ci accompagna all’im­boccatura del pozzo attraverso un breve sentiero nella boscaglia, zeppo di zecche. Questa cavità è stata scoperta molti anni fa durante lo scavo del pozzo per la rac­colta dell’acqua. Il pozzo è profondo un centinaio di metri e interseca la grotta dei cristalli a circa 50 m dalla superficie. Per molti anni il pozzo è stato adoperato per attingere l’acqua, infatti a pochi metri dall’apertura troviamo i resti di un argano che veniva fatto funzionare a forza equi­na. Mi calo per primo ed arrivo dopo pochi minuti su un vecchio cancello sistemato in modo da bloccare la discesa e fare da ponte tra i due ingressi della grotta dei cristalli. Libero la corda ed aspetto i com­pagni.  Dopo “testina d’elefante” Martin, che approfitta di questo cinquan­tino in libera per provare la sua prima discesa in corda, subito dopo arriva l’”orsetto peloso” (futuro presidente della C.G.E.B.). Facciamo un giro di perlustra­zione per fotografare i cristalli, che risul­tano essere notevolmente belli e grandi, anche se parecchi sono distrutti dai soliti maleducati, cacciatori di souvenirs. La locazione della grotta avrebbe dovuto ri­manere segreta, ma scopriamo che vi giungono visitatori da tutto il mondo: mi­racoli del telefono senza fili.
Rodolfo, la guida, ci spiega che la “cueva” è lunga un paio di chilometri; purtroppo noi non riusciremo a vederli tutti per mancanza di tempo. Risalgo in su­perficie e trovo il “ciclope kagon” e “ca­pelli d’argento” ad aspettarmi. Il “ciclope kagon” è costretto a rinunciare alla disce­sa perché ha prestato i “tresi” a Martin che emergerà dalla grotta troppo tardi, verso sera, per dare anche a lui il tempo di scendere. Credo che il messicano non dimenticherà mai più questa sua prima esperienza speleo e non so se la ripete­rà, visto che la sua già tragica discesa è stata niente in confronto al calvario della risalita. Credo abbia sudato anche le un­ghie e parte dei baffi. Comunque trattan­dosi di una prima volta, considerata an­che la pancia, complimenti a lui.
Per il “ciclope kagon” e per me la gior­nata non è ancora finita e viene movimen­tata da qualche centinaio di “garrapatos” (zecche) che si sono stabilite stabilmente sui nostri arti inferiori e non. Solo dopo non meno di due ore di duro e laborioso lavoro siamo quasi completamente “sgar-rapati” anche se poi ci vorranno due mesi buoni per smettere di grattarci!
Il giorno seguente partiamo con Mar­tin ed altri amici alla volta di Mayapan ignari di quello che troveremo sott’acqua. In programma due cenotes non troppo lontani da quel sito archeologico. Noleggiamo un camion per il trasporto delle at­trezzature subacquee nella selva. Ci divi­diamo in due gruppi: Ciano Russo con Miguel e Rafael si immergeranno nel ce-note Chac Zin Kin ed invece Martin, Feli-pe ed il “nanetto portafortuna” entreran­no nel cenote Sacuyumil.
Tutti e due i cenote, speleologicamen­te, non ci danno grosse soddisfazioni ma entrambi ci riservano delle sorprese. La gente del posto ci ha già parlato della presenza di un paio di scheletri sott’ac-qua in Chac Zin Kin che puntualmente vengono trovati dalla prima squadra.
Nel secondo cenote, invece, appena arrivati in acqua, contiamo subito una ventina di teschi tra ossa sparse un po’ dovunque. Scendono anche Jumbo e Fi-lipas. Dal laghetto sottostante il pozzo di quindici metri, Capelli d’Argento risale una china detritica e dopo aver superato una breve strettoia e arrampicato in discesa arriva ad un bel laghetto con acqua lim­pida che però non prosegue.
L’orsetto peloso fotografa e filma, ana­lizza un paio di crani e quindi risaliamo. Si pensa subito ad un cenote usato dai Maya per i sacrifici umani. Gli abitanti della zona non ne sanno niente. Qualcuno sug­gerisce che quegli scheletri potrebbero ri­salire ad un centinaio di anni fa quando in Messico era in atto una sorta di pulizia etnica, la Guerra delle Caste. Una breve ricerca storica ci fa scoprire che anche nel sedicesimo secolo in quella stessa zona vi furono violente e ripetute guerre intestine fra Maya, oltre a successivi scon­tri con i conquistadores. Alla fine, senza una analisi scientifica, non possiamo fare alcuna ipotesi certa su quegli antichi epi­sodi di infoibamento.
Passiamo la notte a Merida.
Il giorno dopo ci trasferiamo a Eknakan dove visiteremo una paio di cenotes siti all’interno di una vecchia azienda. Tanti anni fa questa zona era coltivata ad agavi dalle quali ricavavano la famosa fibra naturale chiamata SISAL o ENEKEN. Oggi ci sono solo i resti della fabbrica, nella piazza del paese c’è una stranissima chiesa gotica fatta costruire dal proprietario europeo dell’antica industria tessile.
Ci addentriamo in colonna a piedi per tre chilometri fino al cenote di San Josè Kubò, scende per primo Tony, al quale caliamo l’attrezzatura sub, fa un giro di ricognizione e risale in quanto non ci sono prosecuzioni.
Ci spostiamo nel cenote di Papakal a qualche centinaio di metri dal primo. Si tratta di un bellissimo cenote con uno sviluppo, in acqua limpidissima, di più di cento metri ed una profondità di circa tren­ta, che a detta di Miguel dovrebbe conti­nuare oltre un paio di strettoie. Ciano si mette all’opera mentre io, aiutato da Tony, riprendo con la telecamera. Purtroppo dopo un po’ mi comunica che tutto “stropa”.
Dietrofront e festa in paese a base di brodo di pollo con chili, pomodoro e cervezas.
Domani giocheremo in casa: ci trasfe­riremo a Yokdzonot Presentados dal no­stro amico Eulogio. Nella sua zona, l’an­no scorso, abbiamo esplorato alcuni cenote interessanti e speriamo di ripetere l’esperienza.

Concrezioni nella Grotta dei Cristalli a Yaxnic (foto U. Tognolli)

22.02.98 – LABIRINTI, DIETE E MALEFICI

Arriviamo in paese nel primo pomerig­gio e subito Eulogio ci accompagna nella selva per raggiungere il cenote di X-Batu-mil. Mentre mi preparo l’attrezzatura sub, gli altri armano il pozzo. Sono pronto, mi calo per i quindici metri che mi separano dall’acqua. Il pozzo è a campana, tutto ornato dalle radici degli alberi che scen­dono fino all’acqua. Mi stacco dal discen-sore ed inizio la discesa verso il fondo che trovo a -26 m. Seguo a giri concentrici, in verticale, la forma del cenote sperando di trovare qualche galleria, ma niente.

Preparativi d’immersione in X-Bis (foto U. Tognolli)

Dormiamo in amaca a casa di Luis Mayku, proprietario della Tienda Paraiso. Per tutta la notte malediciamo Martin che russa implacabile fino al mattino.
Durante la nostra permanenza a Yo­kdzonot abbiamo visto altri cenotes, di  questi uno presenta una grande imboc­catura con due grandi stalattiti con sopra scolpite due strane figure che mi ricorda­no i segni del sole e della luna visti l’anno scorso nella Caverna delle Iscrizioni, sita nelle vicinanze. Abbiamo quindi filmato e fotografato le incisioni.
Prima di visitare le altre cavità som­merse, Eulogio ci porta nella famosa “cueva seca” della quale ci aveva tanto parla­to l’anno passato e dove aveva rinvenuto del vasellame risalente al periodo Maya. Aveva detto che si trattava di una specie di labirinto e che, con un suo cugino, vi aveva vagato un giorno intero, senza riu­scire a visitarla tutta e con il rischio di perdersi. Immaginatevi che tentazione per noi! Era un anno che Capelli d’Argento non dormiva la notte al suo pensiero!
Dopo un lungo tragitto nella giungla, seguendo la pista preparata dal nostro maya, finalmente arriviamo alla tanto ago­gnata cueva. Prepariamo: telecamera, luci, maschere antispore, guanti e ci adden­triamo tra i massi seguendo Eulogio. En­triamo in uno stretto ambiente costituito da materiale di crollo con un piccolo la-ghetto sul fondo. Proviamo a destra, a sinistra, sopra e sotto ma di prosecuzioni non se ne parla nemmeno.
A questo punto Capelli d’Argento, rim­piangendo la Squadra Scavi Sociale, ini­zia a strisciare tra i massi, dopo aver ra­pito Eulogio, fino a sbucare all’aperto dopo un centinaio di metri, dall’altra par­te della dolina, scoprendo che quella che per il nostro amico era una grotta infinita esplorata con una torcia, per noi è un semplice girovagare fra i blocchi di un grande crollo subcircolare. Disguido tec­nico dovuto a differenti idioma ed espe­rienza speleologica. Ritorniamo al furgo­ne attapirati (con muso da tapiro).
Dopo questa triste esperienza scendia­mo un altro cenote della zona. Si chiama Chakan e per raggiungerlo, aprendoci la strada nella selva, troviamo i resti di un’an­tica piramide maya ormai crollata e rico­perta dalla vegetazione. Il cenote si apre in una radura, consta di due imboccature di piccolo diametro a poca distanza una dall’altra. Armiamo in scala: 15 metri di verticale in libera, un lago di 20 metri di diametro e sotto il nero più assoluto.
Scendono Tony, Martin e Ciano. An­che questo pozzone risulta essere come i precedenti, ma molto spettacolare. In­fatti la parte sommersa di Chakan rag­giunge i 60 metri di profondità e le sue pareti sono orlate da stalattiti gigantesche che sprofondano fino ad oltre i 15 metri dal pelo d’acqua. Tony e gli altri risalgo­no lamentando un po’ di debolezza forse provocata da una strana mancanza d’ ossigeno a pelo d’acqua.
Rientro in paese, cerveza e partenza alla volta di Tizimin.
Arriviamo tardi, giusto in tempo per la cena al ristorante “Tres Reyes”, famoso tanto per il formidabile churrasco quanto per gli illuminati suggerimenti dietetici che non ci sentiamo di mantenere segreti, al­meno al popolo delle grotte, e riportiamo integralmente nella nota che si trova alla fine di questa relazione.
Per la notte andiamo all’Hotel Carlos dove speravamo di incontrarci con il pro­prietario, Carlos appunto, che l’anno scor­so ci aveva dato un buon aiuto per le nostre ricerche ma siamo in periodo di Carnevale e ci dicono che il nostro amico è fuori zona (e sicuramente anche fuori gioco) per un paio di giorni, perciò non sarà possibile rivederlo. Ormai ci rimane poco tempo a disposizione e decidiamo di rientrare a Tulum, da Buddy, passan­do, strada facendo, a Yokdzonot per fare delle riprese sub nel ventre di Chakan, la cui bellezza ci ha profondamente colpito.
Partiamo. Arrivati a Yokdzonot, sem­bra di essere a casa, entriamo nella bo­scaglia e velocemente raggiungiamo la bocca di Chakan.
Scendiamo Tony ed io; la parte som­mersa è incredibilmente bella, la discesa verso l’enorme cono detritico è molto suggestiva: ci troviamo per un tratto nel nero più assoluto, in acqua libera, attaccati alla sottilissima sagola che ci indica la via da seguire. Ad un certo punto, in­travediamo la cima del cono detritico del fondo che di colpo si allarga per appiat­tirsi a 60 metri di profondità dove trovia­mo, come delicatamente sistemato, lo scheletro di un cervo. Purtroppo le ripre­se che effettuiamo con la telecamera sa­ranno in parte rovinate per una piccola entrata d’acqua nello scafandro. Ciono­nostante, anche senza il loro supporto per la memoria, mai potremo dimenticare l’enormità delle concrezioni e la dimen­sione ciclopica di questo cenote. Ritor­nando all’esterno Tony rimane vittima di un malore, fortunatamente non di caratte­re iperbarico, che comunque non gli im­pedisce di vomitarmi in testa ed avere, una volta fuori, seri problemi di equilibrio. L’«orsetto peloso» gli diagnostica una la­birintite e quindi per el “ciclope kagon” basta acqua fino a nuovo ordine. Ci tra­sferiamo a Tulum.

26.02.98 – BUDDY, CANCUN E TEQUILA BUM BUM

Prima di contattare Buddy, riusciamo ad esplorare un altro pozzo nella zona prossima a Gran Cenote, Car Wash e ad altri famosi cenotes turistici.
Ci accompagnano due ragazzi della zona a cui abbiamo chiesto informazioni.
Solita camminata nella jungla, solita sfamata alle zanzare e solito ambiente suggestivo. Scendo da solo. Il cenote porta un nome altisonante: El Conquista­dor ma nonostante ciò non ottengo nes­suna conquista anche se noto al suo in­terno degli “speleo pesci” privi di pigmentazione. Più in là, scendo in un pozzo di una quindicina di metri di pro­fondità il cui fondo però risulta ostruito. Si rientra a Tulum per ricaricare le bom­bole, bagnetto in spiaggia e cerveza.
Il giorno dopo ci ritroviamo con Buddy che è abbastanza guarito e ci tuffiamo in qualcosa di veramente molto interessante.
Siamo nella zona tra Dos Ojos e Na Hoch, due sistemi che contano decine di chilometri di gallerie sommerse.
Procediamo in tre: Buddy, Ciano ed io. Percorriamo 141 metri di galleria alla­gata ricchissima di concrezioni, visibilità incredibile, sembra un sogno.
Arrivati ad una strettoia la superiamo, la profondità aumenta, l’acqua si intorbi­disce sembra gelatina. Scendiamo se­guendo la sagola stesa da Buddy, non si vede niente.
Di colpo la strettoia si allarga, siamo a 20 metri di profondità, cambio erogatore e mi accorgo che l’acqua è salata: siamo in acqua di mare, probabilmente la spiag­gia dista da noi un paio di chilometri. Procediamo in un interstrato alto sì e no un metro, ci sono bivi e gallerie dovun­que. La roccia è formata da resti di bar­riera corallina corrosa dal mare. Non riu­sciamo a fissare la sagola guida senza rompere questi fragili speroncini di roc­cia. Il fondo è caratterizzato da frammenti taglientissimi dove ci impigliamo la muta e altre parti dell’attrezzatura, anche se ben sistemata e protetta proprio per casi come questi.
Sempre rimanendo nei limiti di sicu­rezza, percorriamo 150 metri in queste condizioni un po’ difficili e poi torniamo indietro.
Torneremo ancora due volte, Ciano ed io per riprendere con la telecamera i tratti più significativi della cavità ed eseguire il rilievo del tratto esplorato.
Ormai ci rimane un solo giorno per sistemare i bagagli, riposare, trasferirci a Cancun per lo shopping di rito ed esegui­re il rilassamento decompressivo a base di “tequila bum bum” prima del volo di rientro. Anche questa è fatta.
Entonces ..somos cansados, y luego vamonos a tornar cerveza!!!!!
Per la “Commissione Grotte” hanno preso parte all’avventura gli speleosub Massimo Baxa (el Nanetto portafortuna), Tony Klingendrath (el Ciclope kagon), Luciano Russo (Testina de Elefante) e gli speleologi Luciano Filipas (Capelli d’Ar­gento) e Umberto Tognolli (Orsetto Pelo­so), medico, quest’ultimo, del gruppo.
Si ringraziano gli amici: Buddy Quatt-lebaum, Eulogio Kaamal Kuxin, Miguel A. Kuri, Martin Campos Cabeza, Leon Villa, Rafael Mendiburu, Felipe Bolio Mier y Teran (!)
Nota: come promesso riportiamo, sicuri della sua validità, tanto per il corpo quanto per lo spirito, la dieta del ristorante Tres Reyes di Tizimin. Sembrandoci sufficentemente chiare anche in spagnolo tutte le prescrizioni non ri­teniamo necessario effettuarne la traduzione. Comunque a chi fosse interessato a chiarimenti o approfondimenti suggeriamo di telefonare direttamente a Willy Canto, titolare del ristoran­te ed elaboratore su base scientifica, ben spe­rimentata, della dieta medesima, al (986) 32106.
in hacer ejercicio, sin aguantar hambre y sin usar pastillas, usted puede perder hasta 15 kilos en una semana o 2 kilos diarios, solo siga al pie de la letra las siguientes instrucciones:
Lunes – La dieta del serrucho: corner poco ycoger mucho.Martes – La dieta de los jugos: por la magnana Tang, al medio dia Frutsi y por la noche culey y mas culey. Miercoles – La dieta de Andrés: un palo al derecho y otro al revés. Jueves – La dieta de Paco de la Fioche: tornar de dia y coger en la noche. Viernes – La dieta de la Granada: en la magnana una granada y en la noche una mamada. Sabado – La dieta del mingo: meterla el sabado y sacarla el domingo.
Domingo – La dieta de Eloy: con tanto ayuno al que me lo pìda se lo doy. Cualquier menù se puede remplazar por la dieta del Tres fìeyes: corner corno fìeyes y coger corno bueyes!
                                                                                              Massimo Baxa

Preparativi d’immersione in X-Bis (foto U. Tognolli)

QUINTANA ROO – UNA IMMERSIONE CERCANDO DOS OJOS

Siamo tornati in questa regione, con­siderata paradiso della speleosubacquea, con qualche sospetto e tante speranze. I sospetti erano dovuti alla consapevolez­za della probabile infondatezza per igno­ranza di alcune informazioni dell’anno passato che hanno ricevuto puntuale con­ferma. Le speranze, anch’esse in parte deluse, erano alimentate più dal nostro entusiasmo che sorrette da basi scientifi­che, mancando quasi completamente studi razionali ed approfonditi sul carsi­smo di questo paese. È inevitabile che la nostra mentalità, speleologicamente par­lando, sia influenzata dalle esperienze fatte nelle nostre regioni e che le nostre aspettative avessero come base appunto la nostra esperienza. Difficilmente quindi potevano essere completamente soddi­sfatte in ambienti tanto diversi dai nostri quanto si sono rivelati quelli incontrati nello Yucatan. Ad esempio la nostra gui­da già l’altr’anno ci aveva rivelato l’esi­stenza di una grotta “secca” molto lunga rivelatasi poi il perimetro, fra grandi bloc­chi, di una grande caverna di crollo! Op­pure il calcare formante il territorio è di natura corallina, non molto compatto, soprattutto vicino al mare ed è estrema­mente solubile.
Comunque proprio nelle zone vicino alla costa si trovano le gallerie più lunghe e complesse d’America ed in prossimità della statale Cancun-Tulum si trovano, a pochi chilometri dal mare i cenotes cono­sciuti con i nomi di Dos Ojos, Car Wash, Temple of Doom, Gran Cenote e Nohoch Na Chich (letteralmente “Gabbia per Uc­celli”). Quest’ultimo è stato recentemente collegato a Dos Ojos, formando un com­plesso sommerso di quasi 80 chilometri!
Con Buddy Quattlebaum, uno degli americani esploratori del fantastico siste­ma, pianifichiamo una serie di immersioni in una cavità posta fra Dos Ojos e Noho­ch Na Chich che potrebbe rappresentare una porta intermedia al loro complesso.
Adopereremo le bombole da 12 litri, indipendenti, in alluminio, normalmente usate dai locali. Sono pesanti e ingom­branti ma sono le uniche a disposizione e Massimo ed io ci dobbiamo accontenta­re.
Ci immergiamo: Buddy ci fa da guida nella parte già sagolata della galleria che sembra un labirinto, poi procediamo in­sieme all’esplorazione. La temperatura dell’acqua rappresenta un problema al-l’incontrario, secondo i nostri parametri, perché è fin troppo calda! La trasparenza è assoluta. Procediamo uno dietro all’al­tro, seguendo una sagola sottile ma ben sistemata; gli ambienti sono a volte molto stretti e le rubinetterie toccano spesso la volta, per fortuna sono protette! Le stalat­titi che tappezzano il soffitto si infilano nei tubi degli erogatori costringendoci talvol­ta a brusche frenate. Proseguiamo in un passaggio creato rompendo un fascio di sottili stalattiti, dopo 200 metri una sala più vasta con un pozzo a fessura ci porta su un piano più basso della grotta. Pas­siamo attraverso una strettoia non pro­prio piacevole a causa del sedimento che, improvvisamente, riduce la visibilità a 50 centimetri. La temperatura aumenta, rag­giungendo i 28 gradi e l’acqua diventa completamente salata, siamo entrati in mare.
Dopo poco tocchiamo il fondo della galleria a -20 metri e la situazione che troviamo è completamente diversa dalla precedente: dinanzi a noi si apre una galleria di m 10 x m 4 con le pareti tra­punte quasi come merletti causa l’azione chimica dell’acqua sul calcare. Purtrop­po, oltre a queste forme incredibili, che non avevamo mai visto prima, ritroviamo il sedimento leggero, impalpabile come borotalco, che ci toglierà la visibilità in uscita. Svolgiamo rapidamente la sagola fissandola ai “merletti”; mano a mano che procediamo la volta della galleria si abbassa fino ad arrivare a 60 centimetri; superiamo la strettoia e dopo aver per­corso circa 200 metri possiamo scorgere davanti a noi la fine della galleria. Retro­cediamo allora fino alla sala ed imboc­chiamo un passaggio più alto, in una zona abbastanza agevole anche se caratteriz­zata da grandi massi di crollo. Dopo cir­ca 700 metri esauriamo il primo terzo d’aria e ritorniamo indietro. Grazie al com­pressore possiamo ricaricare le bombole e ripetere, poco dopo, una parte di que­sta bellissima immersione con la teleca­mera.
                                                                                                  Luciano Russo

Risalita in Chakan (foto U. Tognolli)

CHAKAN

Mi sono immerso due volte in Chakan, cenote bellissimo e malefico. La prima volta con Luciano e con Martin, la secon­da con Massimo e la telecamera ma evi dentemente non avrei dovuto farlo, come ho fatto, senza sacrificare agli dei. Mi presentò un conto abbastanza alto che pagai, comunque, di buon grado. Da quelle parti e sott’acqua l’«esattore» può, molto facilmente, pretendere tutto.
Lui, il cenote un po’ stregato, si trova vicino ad una antica piramide completa­mente ricoperta dalla foresta. Anche per questa vicinanza ci è subito apparso spe­ciale. I costruttori di quella piramide non potevano averlo ignorato. È un cenote di quelli a campana con due piccoli ingres­si, uno proprio sulla volta e l’altro legger-mente più in basso, laterale, che permet­te un colpo d’occhio magnifico sulla cupola sotterranea dalla quale pendono inconsuete gigantesche stalattiti.
Il primo ingresso, quello scelto da noi per scendere, è perfettamente circolare e permette solo alla luce meridiana di col­pire, con un piccolo raggio, la superficie dell’acqua che intorno appare come un inquietante specchio nero. Non abbiamo capito perché ma, scendendo, gli ultimi metri, quelli proprio sopra il pelo dell’ac­qua erano anche poveri di ossigeno. Alla prima discesa, sia Ciano che io, provam­mo subito un certo affanno che ci rese penosa la vestizione delle bombole e che passò solo dopo aver addentato l’eroga­tore ed inspirata una buona boccata d’aria compressa.
L’immersione non presentò problemi e fu veramente, di nuovo, un “viaggio in un sogno”. I forti fari rivolti verso il basso dardeggiavano l’acqua buia e cristallina dissolvendosi nel nero senza raggiunge­re il fondo. Dopo una prima manciata di metri di discesa un bisogno psicologico di sicurezza ci spinse verso la parete a cercare un posto ove fissare una sagola lungo la quale scendere. È ridicolo con­statare, una volta fuori dall’acqua, quanta sicurezza sia in grado di infondere la vi­cinanza di un semplice spago bianco; eppure una discesa nel nero più assolu­to, senza alcun riferimento, è meno sem­plice di quanto sembri, almeno per la psiche. L’ambiente era fantastico e sempre imponente: enormi stalattiti ed alcuni gi­ganteschi veli sprofondavano per quasi venti metri nell’acqua limpidissima, impre­ziositi da una miriade di eccentriche non ancora disciolte. Poi più niente, solo pa­reti di roccia strapiombanti, sempre più scampanate, fino a -60 metri ove un gran­de cono di fango chiudeva il pozzo.
Semi sepolti alcuni rami, ai quali at­taccammo la sagola, e un vecchio sec­chio. Girammo intorno ma non vedemmo prosecuzioni. Quasi in cima al cono di fango giaceva lo scheletro di un cervo. Non potei fare a meno di immaginare la fine di quell’animale che doveva essere precipitato, chissà quanto tempo fa, dal­l’insidioso buco sceso anche da noi: la zampa in fallo, la sorpresa, la paura, il volo nel buio, il tuffo in acqua. Sarà anne­gato subito per lo spavento o avrà nuota­to per ore, terrorizzato, fino a stremarsi, prima di annegare e morire scivolando sul fondo?
Quando hanno dragato il Gran Ceno­te di Chichen Itzà hanno recuperato, oltre a un infinità di oggetti, anche scheletri umani, testimonianza degli antichi sacrifi­ci.
Cosa si celerà sotto quel cumulo di fango? Sentiamo che deve esserci qual­cosa; quel posto così vicino alla piramide ha potere ma non è un potere buono. Però, così come siamo, non possiamo fare niente, dovremmo dragare anche noi. Ri­salimmo cercando inutilmente passaggi laterali fra le grandi stalattiti, simili a spa­de che trafiggono l’acqua, fino a riemer­gere; fuori ancora affanno e mancanza di ossigeno. Solo dopo i primi sette metri di risalita su corda ricominciammo a respi­rare bene.
Uscimmo provati ma soddisfatti ripro­mettendoci, se avessimo avuto un po’ di tempo, di ritornare con la telecamera perché gli ambienti appena esplorati era­no tali da valere veramente qualche ripre­sa.
Qualche giorno dopo trovammo quel tempo. Scendiamo nuovamente in due: Mas­simo con la telecamera e io.
Forti dell’esperienza precedente appe­na l’attrezzatura, calata dai compagni, ci raggiunge, imbocchiamo subito un ero­gatore e grazie alla sana aria compressa indossiamo senza problemi le bombole e tutti gli ammennicoli che rendono più in­teressante la vita del subacqueo di grotta rispetto quello marino!
Ci fiondiamo giù nel nero specchio ed è di nuovo un emozione. Grazie ai potenti fari della telecamera rintracciamo a -30 metri la sagola lasciata durante la prima immersione e, senza raggiungerla conti­nuiamo a scendere verso la cima del cono di fondo che, da questo punto, si vede nitidamente 20 metri più sotto. Ci fermia­mo, stabilizzandoci a -55 metri, facciamo qualche breve ripresa e ricominciamo a risalire. La parte più spettacolare da fil­mare va da -30 metri in su.
Procediamo lentamente percorrendo una spirale ascendente lungo le pareti drappeggiate del pozzo, Massimo filman­do, io cercando altre prosecuzioni. Im­provvisamente comincio a non sentirmi più bene. Mi giro verso l’alto e provo una strana vertigine ed un forte senso di nau­sea! Guardo gli strumenti: tutto regolare. La velocità di risalita, controllata costan­temente non è eccessiva, il computer non sta lampeggiando; come decompressio­ne, siamo a -18 metri, quella poca accu­mulata sul fondo è già rientrata. Provo a scendere un po’, compensando, e a risa­lire, controllando i timpani. La vertigine aumenta e anche il senso di nausea. Mi concentro, mi rilasso, mi metto in assetto e pinneggio lentamente guardando vicino a me, il computer e la mia mane Va un po’ meglio. Ragiono: la testa mi dice che non ho fatto sciocchezze e che quindi non dovrebbe essere niente di grave. Mi sen­to relativamente tranquillo. A quel punto Massimo, ignaro dei miei problemi, mi passa la telecamera per essere ripreso un po’ anche lui. Decido che non è il caso di segnalare il mio disagio per evitare una risalita frettolosa. Inoltre fuori dall’acqua non posso neppure contare su una buo­na boccata d’aria!
Provo a riprendere con la telecamera facendo finta di niente ma come alzo un po’ la testa tutto gira. Insisto, riprendo un po’ cercando di controllarmi ma non ce la faccio e restituisco la telecamera a Massimo che naturalmente si è accorto che c’è qualcosa che non va. Mentendo gli rispondo che è tutto OK e gli dico di proseguire lui. Penso fra me e me che comunque, per la mia stessa sicurezza, è meglio portare a buon fine tutta la de­compressione ed è quello che, filmando, lentamente stiamo facendo. Un problema iperbarico, da queste parti, mi spaventa molto e in quella manciata di minuti che mancano alla riemersione controllo conti­nuamente gli strumenti rimuginando su cosa può essermi successo, senza ricor dare alcunché di anormale in profondità durante tutta l’immersione. Finalmente emergiamo.
Comunico tutto a Massimo che, an­che se in cuor suo si preoccupa, mi tran­quillizza. Come immaginavo l’aria a pelo d’acqua non mi da sollievo. Devo uscire ma mancano 15 metri da fare in corda. Praticamente niente a condizioni normali: due minuti, tre andando piano.
Non so quanto ci ho messo, so che mi sono fermato una decina di volte per la nausea continua e che alla fine, pochi metri prima di uscire, ho vomitato ripetu-tamente! Rotolato fuori mi sono disteso all’ombra cercando subito conforto nella scienza di Jumbo che, pur apparendo perplesso, non mi nega parole tranquilliz­zanti e non da a vedere la sua preoccu­pazione.
Leggermente rinfrancato analizzo con Ciano tutta l’immersione e anche lui concorda che, in teoria, non dovrebbe trat­tarsi di niente di iperbarico.
Da quel momento per alcuni giorni cam­minai come un ubriaco. Avevo perso l’equi­librio! E, naturalmente, finito di fare immer­sioni. Presi vari tipi di pastiglie, un po’ per tutto e dopo 48 ore anche la riserva su pro­blemi legati all’azoto e alla decompressio­ne fu sciolta. Fummo tutti più tranquilli, tra­ballavo sempre meno, doveva esser stata una labirintite. Rientrato a Trieste dieci giorni dopo non stavo ancora bene. Fatte tutte le prove del caso in ospedale e consultati gli amici medici iperbarici mi fu confermata una labirintite virale all’orecchio destro proba­bilmente scatenata, in immersione, dalle manovre di compensazione, solo Iddio sa perché proprio in quel posto, o Chakan?
                                                                                          Toni Klingendrath

Siesta a Yokdzonol Presentados (foto T. Klingendrath)