Abisso Michele Gortani

 

ABISSO MICHELE GORTANI (FR 585) IL REVIVAL

Abisso Gortani. Galleria “Little Vento” (foto D. Crevatin)

Pubblicato sul N. 39 di PROGRESSIONE – Anno 1998

PREMESSA

L’inizio di questo nuovo capitolo esplo­rativo risale al 1994 ad opera di alcuni speleologi ungheresi che, in seguito ad una ripetizione al fondo di -920 m, deci­dono di effettuare qualche nuova risalita, alla ricerca di nuove esplorazioni. Duran­te la stessa spedizione esplorano un ramo a monte nella parte terminale della Galle­ria del Vento e l’anno successivo (Feb­braio ’95), salendo una successione di salti (P25, P7, P12), raggiungono un me­andro di 115 m che risalgono fino ad un piccolo sifone, vicino al complesso Via-nello-Bus d’Aiar.
In accordo con la C.G.E.B., che arma preventivamente la grotta, l’anno succes­sivo si dedicano alla risalita di un enorme camino sito a 720 m di profondità, tra l’uscita del By-pass e l’inizio del Meandro di un chilometro. Quindi, con stoica per­severanza, durante due campi interni di una settimana (uno nel 1996 ed uno nel 1997), risalgono in artificiale l’enorme ar­rivo che si rivela un pozzo unico di 200 m. All’uscita della verticale li aspetta un ventoso meandro, con evidenti forme fre-atiche nella parte alta, ma (ahimè!!) di pic­cole dimensioni. Aria e freatici a questa quota (1450 m s.l.m., un po’ più in alto rispetto la Galleria del Vento) sono le carte in regola per una buona esplorazione: siamo infatti al margine del complesso dove si può spaziare verso zone ancora sconosciute, molto vicine ai ripidi pendii che dal Col delle Erbe degradano verso Sella Nevea.

 L’ERA DELLE SETTIMANE BIANCHE

E per l’ennesima volta si riparla di Gortani. I più convinti sono i veterani, la maggior parte oltre gli anta che, dopo vent’anni che esplorano da queste parti, hanno ancora l’entusiasmo di tornarci. “Xe come una babà veda” spiega Guido “ba­sta pitturarghe le onge e darghe de stuc­co e pittura che la par figa de novo!!”. Purtroppo trascineranno con loro “figli e nipoti”, astutamente adescati in osmizza dopo qualche bicchiere di vino. È l’inizio delle nuove “Mariolimpiadi” a cui le dodi­ci fatiche di Èrcole potrebbero fare solo da prologo!!
Una prima punta esplorativa nel ’97 è dedicata a dare un’occhiata in giro, ma soprattutto a sostituire le corde degli Ungheresi con le nostre Edelrid (che han­no un aspetto nettamente migliore!).
Sopra la risalita, più di 200 m di me­andri e condottine portano ad un pozzo di 60 m sotto il quale prosegue una gal­leria, che ben presto diventa una scomo­dissima condottina, spazzata però da un vento micidiale: arrivati ad un bivio ci af­facciamo da un parte su un pozzo di cir­ca 150 metri e dall’altra su un’altra verti cale valutata un centinaio di metri. Ci ren­diamo conto che siamo capitati in qual­cosa di molto serio e che il lavoro esplo­rativo sarà enorme; data la quantità di ore che ci separa dall’ingresso (circa otto) de­cidiamo per le prossime volte di adottare la tecnica ungherese, organizzandoci con punte prolungate di diversi giorni. Infatti con l’esplorazione successiva incomincia l’era delle settimane bianche, cioè dei campi interni di una settimana: se ne or­ganizzano uno a fine estate ’97 e l’altro nell’agosto ’98. Il problema logistico di questa tecnica è che la squadra interna deve essere sempre in contatto con l’esterno in modo da essere sempre ag­giornata sulle condizioni meteorologiche e poter esplorare così in totale sicurezza, senza il rischio di piene improvvise. Que­sto implica una linea telefonica dall’ester­no fino al campo che, chiaramente, deve essere in un posto sicuro, e qualcuno all’esterno che aggiorni periodicamente la squadra in punta.
Viene allestito così un campo base, lo “Spogliatoio degli Artisti” appunto, in un’arieggiata ansa di un meandro, già sfruttato a campo dai colleghi nordici. Il campo è a -508 m, ma è come se fossi­mo a -950 e più.
Nel ’97 quindi, si proseguono le esplo­razioni scendendo un largo pozzo di 140 m piuttosto bagnato, alla cui base parto­no più di 300 m di meandri e condotte, intercalate da qualche salto. Qualche numero da circo per arrampicare un poz­zo di 30 m e si riprende una bassa galle­ria, esplorata tuttora solo in parte. La via più promettente è però una finestra oltre la partenza del 140, prosecuzione logica della galleria precedente. Ma purtroppo il tempo peggiora e per ben tre giorni si è costretti a restare al campo, aspettando che la piena smaltisca. Durante l’inverno tornano gli ungheresi e traversano sul pozzo di 140 m raggiungendo la finestra. Da lì proseguono per più di un chilometro di “gallerie” (come le chiamano loro), esplo­randole e rilevandole in maniera somma­ria, più che altro per mancanza di tempo.
Arriva così l’estate ’98 e con lei la 29 settimana bianca, chiamata ormai: “Setti­mana Fitness – 7 kg in 7 giorni”, data la mole di lavoro che ci aspetta.
Entriamo chiaramente con due sacchi a testa, scandalizzando anche gli ospiti bresciani: ….poco male perché dalla base del 200 in poi ne avremo tre!
Scendendo controlliamo anche la piat­tina, ripristinando la linea telefonica tran­ciata in più punti da qualche “sbadato”, un lavoretto che ci porterà via più di sei ore.
In quei giorni mentre Davide ed io pensiamo seriamente di cambiare sport e dedicarci al windsurf (sole e babe), la grotta decide prepotentemente di proseguire, oltretutto in maniera seria. La con­dotta oltre il P 140 si presenta con una violentissima corrente d’aria che segue il ramo principale, sebbene le varie dirama-zioni laterali non sono da meno. L’unica vera spina dolente di queste “gallerie” sono le dimensioni: larghe anche 3-4 m e alte mediamente 80 cm, veramente pochi anche per i “pici” (giuro!).
Si prosegue a carponi e per ottimizzare al meglio il tempo ci si divide in due squadre: gli arrampicatori che andranno a provare qualche risalita ed i rilevatori che si cureranno più di dodici ore di rilie­vo continuato, con vento sulla cervicale e 200 m di meandro sfigatissimo (“mean­dro fitness” per l’appunto).
Passano i giorni e mentre Papo deci­de di restare in amaca (con le ginocchia come due meloni) a finire il Voltaren, noto antidolorifico, gli altri si dedicano al rilie­vo del ramo dei Trapezisti, chiamato così in onore di Mario che per l’occasione si è trasformato in ballerina bulgara monogam­ba, esibitasi in loco con un doppio mor­tale sulla fune, numero eseguito rigorosa­mente senza rete (sopra un pozzo di 30 m). Da qui rileviamo delle gallerie ampis­sime, probabilmente le più vaste del Com­plesso (finalmente!) che seguiamo per circa duecento metri fino ad una frana che le ostruisce.
Scaviamo per un paio d’ore cercando la prosecuzione, proviamo ad arrampica-re cercando passaggi alti, mettiamo in campo lo “straniero”, Paolone, che si tra­sforma in una “ruspa” …ma invano: la gal­leria chiude e l’aria si caccia dove per passare ci vorrebbe la Mari-Mazzaroli (dit­ta giuliana specializzata in scavi ciclopi­ci). Non ci resta che l’ultimo “cicchin”, osservando il fumo che se ne va quasi orizzontale, autoscatto e via verso il cam­po per una sana Carbonara Knorr.
Sfortunatamente (o per fortuna?!) si rompe il telefono esterno e visto che Max, o meglio il nostro frate indovino, dava pioggia, passiamo l’ultimo giorno in sac­co a pelo fra cantici e sigarette, finendo l’ultimo vinello rimasto ed a dormire in maniera seria, visto che nei giorni prima le ore di sonno erano calcolate con il con­tagocce.

BREVI NOTE GEOMORFOLOGICHE E METEOROLOGICHE

Tutto il nuovo sistema di gallerie coin­cide con il livello di condotte freatiche fossili di quota 1400 m s.l.m., comune alle maggiori cavità della zona. I tratti oriz­zontali dopo la risalita di 200 m presenta­no una profonda incisione vadosa, fino al pozzo di 60 m. Questa verticale è impo­stata su una importante discontinuità tet­tonica, orientata N-S, che probabilmente ha ribassato il livello precedente. Le con­dotte oltre il pozzo di 140 m, invece, man­tengono la loro primitiva morfologia a tubo, allungata in ellissoide lungo la di­scontinuità nella quale si sono generate (spesso piani di strato).
Dalle sole osservazioni morfologiche sembra che il sistema orizzontale sia cro­nologicamente precedente alle verticali che lo intercettano. Queste si sarebbero generate su fratture successivamente al­largate e su faglie che talvolta avrebbero dislocato le condotte stesse.
I nuovi rami presentano una circola­zione meteorologica molto significativa, con notevoli intensità di flusso. Dall’ana­lisi delle correnti d’aria sono stati indivi­duati almeno tre rami che potrebbero essere connessi con ingressi meteobas-si: il ramo dei Trapezisti (che termina in frana), la prosecuzione in salita del P 35 ed il camino nella parte finale del ramo del Boulder. Queste due ultime risalite rap­presentano infatti le prospettive esplorati­ve più alettanti.
Fino ad oggi, in questo ramo, sono stati esplorati 4630 m di sviluppo per un dislivello di ±430 m. Si estende in una zona relativamente vergine: a NNO del M. Bila Pec, cioè a Est del Complesso: alcu­ne gallerie passano praticamente sotto il Principe di Piemonte (cavità che si apre sul ripido versante orientale dello Spric) ed altre ancora puntano verso l’Abisso Vianello, sebbene a quote più basse. Un possibile collegamento sarebbe quindi più comodo rivisitando alcuni rami del Vianello…
Inoltre alcuni tratti di grotta sono mol­to vicini alla superficie topografica: un ramo risalito dagli ungheresi sale fino a -290 m (quota 1628) e mancano meno di duecento metri per uscire all’esterno pres­so i terrazzi del “Livinal de le Cialderie”, dietro il M. Bila Pec. Alcune gallerie, po­ste sempre a quota 1400 m, si sviluppa­no parallele alle pareti del M. Spric, con qualche arrivo da quella direzione. Pro­prio in queste zone si sta cercando di individuare un ingresso basso, che ren­derebbe più facili le esplorazioni nei posti più lontani. Con le nuove esplorazioni, il Complesso del Col delle Erbe sfiora i 18 km di sviluppo rilevato, con la profondità inva­riata di -935 m, sifone incluso.

Abisso Michele Gortani. Base P 60 verso “Litlle Vento” (foto D. Crevalin)

RINGRAZIAMENTI

Un primissimo ringraziamento va so­prattutto agli speleologi ungheresi e al loro costante impegno, in particolare a Péter Bòrcsòk e Attila Nyer-ges. Poi a tutti coloro che hanno dato l’ap­poggio logistico ester­no, sia durante la setti­mana bianca ’97, che quella del ’98 ed in par­ticolare: Maurizio Glavina, Claudio Dedenaro, Fabio Feresin, Massimiliano Fabi e Mario Pre­te.
Un particolare meri­to a tutti coloro che hanno partecipato al prearmo della cavità ed ai vari trasporti di materiale interni ed esterni, in particolare Alberto Lazzarini che è risultato semplicemente indispensabile. Da non dimenticare poi la C.G.E.B. che ha am­mortizzato molte spese. I vari speleonauti, protagonisti delle vicen­de narrate sono: Giampaolo Vascotto, Mario Bianchetti, Guido Sol­lazzi, Spartaco Savio, Paolo Manca, Davide Crevatin, Giacomo Casagrande nel 1997 e di nuovo M. Bianchetti, D. Crevatin, P. Manca, in­sieme a Paolo De Curtis (Paolone) e Paolo Alberti (Papo), nel 1998. Un ringraziamen­to inoltre a Matteo Rivadossi e Luca Tanfoglio che ci hanno aiutato nei primi gior­ni di campo.
Si ringrazia inoltre la Knorr per i suoi liofilizzati, che rendono assolutamente superfluo l’utilizzo di carta igienica e la ditta Diana tabacchi che, anche questa volta, ha ottimizzato l’equilibrio psicofisico di Papo.
                                                                                               Paolo Manca