Abisso del Pero

 

ABISSO DEL PERO (6145), PERCHÉ?

Pubblicato sul n. 39 di PROGRESSIONE – Anno 1998
Non c’è alcun albero di riferimento, semplicemente questa grotta è stata tro­vata da Gianni Cergol e Gianni è il figlio di Luciano, detto “el Pero”, speleologo ed alpinista fortissimo che dodici anni fa ebbe sfortuna sul Cimone del Montasio.
Abbiamo arrampicato insieme qualche volta: al Monte Bianco, all’Ortles, nelle Giulie.
Una volta salimmo il Canalone Comici a Forcella Berdo; eravamo con Roberto Borghesi che più spesso di me si legò alla sua corda e più profondamente gli fu amico.
                                                                                              Toni Klingendrath

Abisso del Pero. Megalodonte a -80 (foto L. Toncinich)

UN PO’ DI GEOLOGIA…

Il Pala Celar è un altipiano calcareo situato mediamente a quota 2000. L’area in esame copre una superficie di circa un kmq. Questa superficie contiene un cen­tinaio di grotte catastate.
Tale carso è geomorfologicamente classificabile secondo Maire e Renault come “carso di montagna” o alpino “di alta quota”. Le informazioni di natura geologica su quest’area sono purtroppo scarse. Per studiare approfonditamente una zona del genere è necessario diver­so tempo, sia per la ricchezza dei feno­meni presenti, sia per i problemi logistici che presenta (una copertura nevosa per circa sette mesi l’anno). Le uniche notizie disponibili provengono difatti dalle tesi di Adelchi Casale, Gasparo, Chiappini e Paulatto. Pertanto questa nota vuoi esse­re solo un’analisi superficiale dei pochi dati per ora a disposizione.
Le rocce affioranti sull’altipiano appar­tengono alla formazione del Calcare del Da-chstein, formatosi in ambiente marino circa 220 milioni di anni fa (Norico Sup.- Retico Inf.). Il colore è tipicamente bianco o grigio e la grana è fine. Il loro aspetto è compatto e per questo sono fragili agli stress defor­mativi. Sono osservabili livelli ricchi di Me-galodonti e Gasteropodi. I Megalodonti rag­giungono dimensioni fino a 50 cm di lunghezza ed hanno la caratteristica forma a cuore se le due valve sono aperte. In grotta, a causa della differente solubilità tra questi ed il calcare in cui sono inglobati, si vedono sporgere dalla roccia (Meandro dei Megalodonti – Findus-NET 15).
Il Calcare del Dachstein è nettamente stratificato, lo spessore di ciascuno strato è variabile, da un minimo di 0.5 m a 10 m. Lo spessore totale di tutta la formazio­ne (la potenza) è all’incirca di 1000 metri, condizione assolutamente non sufficiente per avere grotte con 1000 metri di pro­fondità! Bisogna innanzi tutto considera­re che gli strati hanno una certa inclina­zione, molto variabile all’interno dell’altipiano. Si passa, infatti, da deboli inclinazioni verso le creste, a strati quasi verticali (vale a dire il massimo dell’incli­nazione) nella parte centrale in corrispon­denza del campo per poi tornare a incli­nazioni blande verso il Monte Poviz. Ciò è un’importante testimonianza dell’antico assetto strutturale della zona. Dico antico perché non si vede chiaramente la piega con la concavità verso il basso, un’anti-clinale,  poiché gli eventi successivi al corrugamento hanno mascherato la for­ma originale. L’anticlinale del Pala Celar è stata sottoposta alle fasi tettoniche di­sgiuntive dell’orogenesi alpina (stress con direzione preferenziale N-S) e dell’oroge­nesi dinarica (stress principali NE-SW).
Questi sforzi hanno smembrato la pie­ga in tanti blocchi per mezzo di una serie di faglie sub-parallele con direzione E-O. Tra il M. Cergnala ed il M. Poviz sono presenti faglie con direzione NE-SW ver­ticali, di tensione, con carattere trascor­rente sinistro. La zona appare dunque molto disturbata tettonicamente.
Superficialmente sono presenti nume­rosissime morfologie carsiche. Osservan­do la zona di Pala Celar si distinguono tre distinte fasce geomorfologiche. Sotto le creste per un centinaio di metri circa di dislivello sono presenti ghiaioni, ossia falde di detrito e la roccia presenta una colorazione giallastra a causa dell’altera­zione provocata dalla lunga permanenza di una spessa coltre glaciale (si tratta in­fatti del versante nord). Questo ha impe­dito la formazione di importanti fenomeni ipogei ed ha avuto principalmente effetto di crioclastismo (intensa fratturazione a causa del ghiaccio). Per altri abbondanti cento metri di dislivello si notano ripidi pendii erbosi ricoperti per molti mesi l’an­no da coltre nevosa. Sono presenti diver­se forme carsiche tra cui molti pozzi a cielo aperto, probabili ingressi di sistemi ipogei intasati dal detrito trasportato dal ghiacciaio sovrastante. Dalla quota del campo (2000 m) fino al Monte Poviz non c’è assolutamente vegetazione ed è qui che si vedono le più svariate forme di intenso carsismo. Proprio in questo set­tore infatti si trovano gli ingressi delle più importanti grotte esplorate in questi anni.
Per quanto riguarda le microforme si osservano:
Rillenkarren (scannellature) ossia sol­chi rettilinei profondi circa 1 cm, larghi 1-4 cm e lunghi 5-50 cm a sezione rotonda presenti su superfici poco inclinate. Sono scavati dall’acqua piovana che scende secondo la linea di massima pendenza. Rinnenkarren  (solchi carsici)  larghi più di 5 cm, profondi più di 3 cm e lunghi almeno 1 metro con sezione a U e fondo liscio. Possono essere rettilinei o meandriformi. Sono scavati dallo scorrere delle acque di ruscellamento. Vaschette di corrosione, cioè con­ che di dimensioni di larghezza da 5 a 200
cm e di profondità da 2 a 50 cm, tondeg­gianti con fondo piatto. Sono formate dal­ l’acqua stagnante che diventa più acida, quindi aggressiva, lungo i bordi, cioè nel­l’interfaccia aria-acqua, aumentando così la larghezza della vaschetta più che la profondità. Kluftkarren, fratture profonde con fianchi molto inclinati generate dal deflus­so preferenziale dell’acqua lungo i piani di discontinuità.
Sono inoltre frequentissimi i “pozzi a neve”. In questi ultimi anni c’è molta meno neve ed è stato possibile scenderne alcu­ni, senza esito. Le loro dimensioni sono notevoli, vicino al campo un pozzo sigla­to D8 ha un diametro di circa 5 metri ed una profondità di almeno 35 metri, perfet­tamente circolare che sembra chiudere sul fondo. Bisogna tener presente che il ghiaccio e la neve hanno un particolare effetto sulla capacità dissolutiva delle acque. Quando il ghiaccio si scioglie li­bera anidride carbonica, componente essenziale per la solubilità del bicarbona­to di calcio (trasformatosi dal carbonato di calcio insolubile). In breve lo scioglier­si del ghiaccio accelera la dissoluzione creando così fenomeni imponenti ma “fine a se stessi”.
Inoltre gli ingressi delle grotte princi­pali di questa zona non mostrano nessu­na caratteristica geologica particolare a prima vista. Anche quando andiamo in battuta a cercare nuovi abissi quasi non guardiamo gli ingressi più invitanti ma piuttosto si inizia a pensare di fare qual­che breve disgaggio (vedi NET 24), cosa impensabile fino a poco tempo fa per questa zona. È chiaro che praticamente ogni abisso è impostato su fratture/faglie o interstrato ma spesso non è evidente.
Passando ad osservare gli sviluppi plani­metrici degli abissi nell’area in questione si nota che non si tratta di grotte molto estese, prevalendo lo sviluppo verticale.
Allargando lo sguardo alle zone limi­trofe c’è una notevole disomogeneità. Ai confini del ristretto altipiano si aprono diversi ed importanti abissi. Gli sviluppi planimetrici delle quattro grotte principali del Pala Celar (NET 10-La storia infinita, NET 15-Capitan Findus, NET 21-Amore quanto latte e NET 22-Abisso del Pero) sono rispettivamente: metri 407, circa metri 2000 (in esplorazione), metri 852 e metri 297. Tali grotte sono poste in una fascia compresa tra i 1940 e i 2050 metri slm. Al confine superiore con l’altipiano si trovano due abissi molto particolari. A quota 2130 m slm c’è l’abisso Led Zep­pelin con metri 960 di profondità e ben metri 2507 di sviluppo; a quota 2080 m slm si trova il NET 8 con soli metri 200 di profondità ma metri 1000 di sviluppo. Al­l’interno di questa fascia alta non si ri­scontrano analogie, i due abissi sono mor­fologicamente diversi trovandosi pur a quote simili ma a una distanza tale (circa 400 metri) da essere interessati da situa­zioni strutturali diverse.
Al confine inferiore ci sono quattro abissi: OP 3, l’abisso del Poviz, il Martini e il Gronda Pipote con quote d’ingresso rispettivamente a metri 1880, 1885, 1886 e 1888 slm. I relativi sviluppi planimetrici sono di metri 400, 310, 275 e 685. In questa fascia bassa si trovano dunque abissi prettamente verticali.
Una nota particolare va concessa al­l’abisso NET 15-Capitan Findus che es­sendo in fase esplorativa sta concedendo continuamente sorprese. La sua profon­dità sembra fermarsi a -735 m ma na­sconde ancora molto sviluppo sempre e necessariamente per mezzo di lunghi e impegnativi meandri. Da questi noiosissi­mi dati pare che non si possa trarre nes­suna conclusione ed è quindi tutto da scoprire sperando di trovare qualche lo­gica. Come detto all’inizio la zona è mol­to disturbata tettonicamente e ogni abisso fa parte di un settore a sé. Molto più interessante risulta infatti l’osservazione delle direzioni di sviluppo. Le catene alpi­ne hanno subito una particolare flessione da E-0 a SE-NO. La pila stratigrafica è interessata da due sistemi principali di frat­ture: uno, di solito più marcato secondo la direzione SE-NO corrispondente al­l’orientamento delle pieghe dinariche; L’al­tro invece diretto all’incirca da SO a NE corrispondente alle direzioni degli alline­amenti tettonici del Pontico delle Prealpi Carniche. Le grotte dell’altipiano seguo­no queste due principali direzioni, esten­dendosi principalmente verso NO, seguen­do cioè le faglie osservate in direzione del Torrente Raccolana. Unica eccezione la faglia condizionante parte dell’abisso Led Zeppelin diretta N-S.
Restando all’interno del Pala Celar c’è coerenza anche analizzando le quote di fondo, comprese tra i 1213 e i 1331 metri di quota slm. Tra questi estremi si ritrova­no anche i fondi degli abissi OP 3 e Martini. Il Gronda Pipote si spinge fino a 1168 metri slm, il Led Zeppelin si ferma a 1170 metri slm, mentre le sue acque sboc­cano 600 metri più in basso in Slovenia.
Le strutture interne delle grotte del Pala Celar hanno molti aspetti in comune tra loro, generalmente caratterizzate da grosse ver­ticali collegate da esigui passaggi a mean­dro. La sequenza pozzo – strettoia è tipica. Principale rappresentante è il NET 10-La storia infinita, con pozzi interni di metri 157 (No frost), 128 (Stanlio e Ollio), 85 (Gli Ammutinati del Bounty), 100 (il congedan­te) in rapida sequenza separati da mean­dri non più lunghi di dieci metri a volte da allargare per renderli praticabili.
Le maggiori verticali si trovano in NET 15-Capitan Findus con il P. 280 (Alien) ed in NET 21-Amore quanto latte con la maggior verticale del Canin italiano, un P. 293 (A. Cunanan). Entrambi gli abissi sono caratterizzati anche da tratti a me­andro di 500 metri.
Finché non è stato scoperto NET 22-Abisso del Pero si pensava che ogni grotta fosse indipendente dalle altre, mantenendo però simile morfologia. Il Pero è una strut­tura nuova per la zona. Non presenta né grossi pozzi, né meandri esigui. Da -80 metri parte un meandro largo circa 1-2 metri con una classica forma a cipolla, con gros­se mensole e allargamenti testimoni della ripresa ciclica dell’attività erosiva, che arri­va fino al fondo, cioè nella Sala delle Me­teore in NET 10-La storia infinta (140X80X50 m). Del tutto particolare è una condotta a -200 metri che si sviluppa per circa 100 metri in lieve discesa, con approfondimento a meandro per una quarantina di metri. La sezione è pseudo-circolare, con canali di volta sulle pareti, impostata su una faglia SE-NO. Sulle pareti sono presenti depositi ciottolosi cementati e stratificati a diverse altezze. I ciottoli, di dimensioni da uno a cinque centimetri, sono ben arrotondati ed appiattiti. Non si erano mai visti depositi simili in Pala Celar né si era mai potuto percorrere 100 metri comodamente in pie­di. La prima giunzione del Pala Celar scre­dita un po’ chi crede che in questo altipia­no non possa esistere un piccolo sistema. L’abisso del Pero è sicuramente più antico del NET 10 ma soprattutto morfologicamen­te diversissimo, eppure hanno a che fare.
Alla banale osservazione dei fatti fin qui svolta, nulla è da escludere.
Confrontando la situazione geologica del vicino Col delle Erbe si nota che c’è una grossa differenza nella giacitura de­gli strati. In questa zona sono molto meno inclinati (8-10 gradi). Ciò potrebbe diffe­renziare l’andamento delle grotte nelle due aree; nel Col delle Erbe si trovano grossi sviluppi e soprattutto sistemi di gallerie molto estesi. Spesso però è la condizio­ne strutturale a prevalere come si osser­va dalle progressioni di sviluppo, quindi a mio parere non si può escludere l’esi­stenza anche in Pala Celar di tratti oriz­zontali a galleria. Ed è proprio questo l’obiettivo: lo sviluppo. Speriamo che la costanza sia premiata sia speleologica­mente sia scientificamente acquisendo sempre più informazioni su questo picco­lo ma ricchissimo fazzoletto di calcare.
                                                                                            Licoris Toncinich