1995 – Cao Bang

 

VIETNAM CAO BANG ’95

Pubblicato su Porgressione n. 34 anno 1996

 IL VIAGGIO

 Asia, continente immenso, amalgama di etnie, religioni e morfologie in un caos di colori e sensazioni che dalla vetta dell’Everest sprofonda negli oceani perdendosi poi in neri abissi; tanti tasselli di un enorme mosaico dove non basta una vita per aver visto tutto.
Possiamo farcene una vaga idea seguendo il filo conduttore delle religioni e la loro approssimativa dislocazione: immaginiamoci così gli aridi deserti e le catene montuose che dal Pamir si diramano verso il Mar Rosso e l’Oceano Indiano, dove impera I’lslam e la ferrea disciplina coranica.
Un mondo severo e solitario dove occhi scuri ti osservano mentre percorri territori che ti danno il senso dell’infinito. Poi la sabbia arida ed incandescente lascia il posto a fertili pianure a cui fan corona montagne altissime ed invalicabili: I’lndia, culla dell’induismo. Musiche, colori, aromi, vita che pulsa o che muore in un continuo cerchio dove tutto si rinnova armoniosamente, ma nel contempo in muta rassegnazione; paradossi incomprensibili a noi occidentali, forse troppo attirati da quelle cime himalayane che dividono il regno di Shiva e Ganesca, da quello della tolleranza e della meditazione di Buddha e Confucio, dello Zen e del Tao. Un mondo fatto di pace, reciproco rispetto e tolleranza per tutto ciò che è vivo e d’equilibrio per le forme inanimate. Sembra quasi che la geografia si sia integrata alle religioni e viceversa dando una logica spiegazione ad ogni nostra risposta, ma purtroppo gli uomini sono tali e (a prescindere da dove provengano colpevoli o mandanti) le guerre hanno sconvolto per sempre antiche tradizioni, rompendo millenari equilibri e creandone altri la cui stabilità spesso è irrisoria.
Il Vietnam grazie alla storia recente, è l’esempio a noi più noto, ma basta cercare nel passato per rendersi conto di come questa nazione sia stata resa partecipe dagli altri alla creazione della storia del sudest asiatico. Ciò che stupisce maggiormente è il modo con cui queste genti riescano ogni volta a rialzarsi, scrollarsi di dosso le macerie e con serenità lavorare per un futuro migliore. Questa è la filosofia di vita che aleggia ovunque: non regole ferree, ma reciproco rispetto che vale ovunque, sia in una risaia, come nel mezzo di un incrocio di Hanoi. Serenità che ti viene trasmessa, gioia di vivere e curiosità rispettosa delle tue cose così strane agli occhi di poveri contadini che, abitando in lande sperdute vicino al confine della Cina, non avevano mai visto un occidentale … e figuriamoci se vestito da speleologo!
I cambiamenti si avvicendano molto velocemente, tanto da rendere l’occupazione francese un romantico ricordo e i residuati del conflitto con gli Stati Uniti un’attrazione turistica che sta prendendo sempre più piede. Aperte le porte all’occidente si assiste nelle città ad un caotico mescolarsi di nuovo e antico, sacro e profano, in un unico vortice che non si ferma mai ed inghiotte tutto. Il ritmo di vita nelle campagne, nei paesi più remoti invece è diverso, astratto e irreale; il tempo cambia significato e ora è la natura a scandirlo e così entrando in certe valli solitarie ed isolate si varcano le porte di un mondo incantato, armonioso e silenzioso, da percorrere estasiati, alla ricerca delle cavità guardando lo scorrere delle acque dei fiumi o torrenti, sapendo già che la loro genesi o fine è sempre abbinata ad un fenomeno di natura carsica e ipogea. Tutt’intorno i “coni”, queste anomale morfologie tipiche di un carsismo tropicale, dai tratti dolci, senza spigoli, da percorrere in inverno quando non piove e la temperatura, non certo mite, ti fa apprezzare il pallido sole che traspare appena dalle nubi che tutto avvolgono e l’assenza di qualsiasi tipo di insetti o serpenti fa sembrar questi posti un eden surreale; come ovunque la natura in questa stagione è assopita, e lo testimoniano i colori smorti del mondo vegetale. Questo non disturba, anzi, fa capire quanto cambiano questi paesaggi in estate quando l’acqua scandisce I’incedere di ogni cosa o essere vivente.
Comunque è un mondo ermetico, difficile da capire, dove il sorriso diventa non solo prassi, ma obbligo in quasi tutte le situazioni dove ogni gesto può essere estremamente semplice e nel contempo complicato e incomprensibile. Ma tutto ha una risposta da scoprire con calma, meditazione e pazienza in ogni situazione. Questo, dunque, è I’oriente misterioso da percorrere contemplando questa dimensione finalmente restituita alla normalità.

 NOTIZIE ETNICO-GEOGRAFICHE

 Il Vietnam si estende per più di 1500 Km lungo la costa orientale della penisola indocinese confinando con il Laos, Cambogia e Cina. Comunemente si distinguono due regioni: il Sud come area comprende a grandi linee il delta del Mekong e come centro urbano principale la città di Saigon (oggi Ho Ci Min City) e il Nord con il delta del fiume Rosso e tutto I’altopiano carsico che si estende lungo il confine cinese fino a quello con il Laos e per città Hanoi, la capitale di tutta la nazione. La parte centrale è anch’essa caratterizzata da rilievi collinari e foreste ed in certi punti è larga appena 50 Km. Comunemente i vietnamiti chiamano rispettivamente le tre aree: Nam Bo, Bac Bo e Trung Bo.
Come clima e piovosità c’è una certa differenza tra Nord e Sud, comunque generalmente l’inverno è il periodo più secco e freddo quando l’influsso delle correnti fredde d’origine siberiana influiscono decisamente sulle regioni più settentrionali. Ovviamente il clima è determinante per la flora e la fauna. In sintesi possiamo considerare il Sud una zona con foreste “umide” subtropicali, mentre al Nord le foreste sono di tipo “secco”; gran parte del territorio è intensamente coltivato o ancora da decontaminare dalla diossina (o agente orange), usata assieme ai napalm e defolianti vari dagli Stati Uniti durante la guerra patita da queste terre nei decenni passati.
Come fauna il Nord è più “povero” rispetto il Sud, inoltre va tenuto presente che le rigide temperature invernali inibiscono la presenza di insetti e serpenti, per cui gli unici animali presenti sono solo quelli domestici, come i bufali ed i maiali.
Entrando nel dettaglio, la regione di Cao Bang presenta una morfologia montuosa con estese zone la cui altitudine varia, in media, tra i 300 m ed i 1000 m, con rilievi che raggiungono i 1500 metri.
I principali prodotti della regione provengono dalla produzione agricola, dall’allevamento e dall’estrazione mineraria di zinco, stagno e in minor quantità oro.
Le principali etnie sono: Tho, Nung, Dao e Meo. A causa del conflitto con la Cina svoltosi alla fine degli anni ’70, la regione è rimasta isolata per parecchio tempo e appena due anni fa stato permesso il transito ed il turismo ai visitatori occidentali.

 CENNI GEOLOGICI

Il carsismo in Vietnam si sviluppa prevalentemente nei calcari paleozoici e mesozoici che costituiscono l’estremità Occidentale dei grandi altipiani carsici della Cina meridionale (Yunnan e Guangxi).
La regione di Cao Bang fa parte della catena di Truong Son, una zona fortemente sollevata da movimenti tettonici al nord del paese. Abbiamo operato nei massicci carsici di Thong Nong e Nguyen Binh, dove il carsismo si sviluppa a quote comprese tra i 500 e i 1500 m s.l.m., con morfologie tipicamente tropicali come coni, torri ed estesi polje, nei calcari del Carbonifero superiore e del Permiano inferiore (Paleozoico), con spessori tra i 700 m e i 100 m. In genere i calcari formano banconate orientate lungo l’asse NO/SE, lunghe in media una ventina di chilometri, che si alternano a scisti argillosi.
Le grotte, in generale, sono molto frequentate dai locali fin dove non si incontrano rilevanti ostacoli tecnici e vengono sfruttate per I’approwigionamento idrico, estrazione di guano e minerali vari o come rifugio temporaneo.

 LA SPEDIZIONE

Nel periodo 17 dicembre ’95 – 19 gennaio ’96 si è svolta una spedizione speleologica in Vietnam, più precisamente nella regione di Cao Bang, per proseguire le esplorazioni iniziate nell’estate 1994 (vedi l’articolo a riguardo sul numero 32 di “Speleologia”), sfruttando inoltre le preziose indicazioni dateci da Marc Faverjon e Anne Cholin che si erano recati nella medesima regione nell’aprile 1995. Come nel 1994 questa è stata una spedizione intergruppi coordinata da Giampiero Carrieri e sviluppata durante il convegno ‘Nebbia 95″ a Casola Val Senio.

 SINTESI DELL’ATTlVITA’ ESPLORATIVA

L’attività esplorativa si è svolta nei distretti di Thong Nong e Nguyen Binh in un periodo di circa 20 giorni durante i quali sono state esplorate e topografate una cinquantina di cavità per quasi 15 km di rilievo eseguito. I risultati più importanti sono i seguenti:
1) Inghiottitoio di Mu Cai o Mu Cai Shaft.
 Cavità ad andamento prevalentemente verticale con quasi 300 m di profondità. Tale morfologia è anomala rispetto le altre grotte della regione attualmente esplorate, tutte con un andamento orizzontale. Risulta così essere la più profonda non solo della regione, ma attualmente di tutto il Vietnam (a riguardo stiamo attendendo i dati ufficiali di una spedizione australiana che ha operato, contemporaneamente a noi, nella regione di Ha Giang, sempre nel Nord del paese dove ha esplorato un inghiottitoio fortemente attivo, raggiungendo la stessa nostra profondità, ma restando bloccati nell’esplorazione dalle piene generate da un prolungato periodo di maltempo).
2) Sistema di Ban hang – Rang Khieo
Ban Ngam. Situato presso il paese di Can Yen, si tratta della grotta più estesa (3,8 km) da noi esplorata ed è il classico esempio di traforo, una morfologia tipica del carsismo tropicale, caratterizzata da un inghiottitoio attivo alimentato da un fiume proveniente dalla Cina che, tramite un sifone, è collegato a un paleo inghiottitoio, il quale poi si trasforma in una forra con andamento orizzontale che viene interrotta verso l’uscita da un passaggio sifonante, giungendo alla fine del percorso ipogeo nella risorgiva di fondo valle.
3) Traforo di Tinh Tuc – Nguyen Binh.
Un altro fiume sotterraneo entra in una stretta forra il cui transito è reso difficoltoso dalla portata e dalla temperatura dell’acqua; vi si accede tramite un ramo fossile superiore evitando gli ostacoli più impegnativi e collegandosi poi con il corso d’acqua, dove iniziano le gallerie in concomitanza con il cambio litologico (calcescisti/calcari). Da verticale la cavità diventa orizzontale con quasi 2 km di gallerie interrotte verso la fine da un sifone evitabile tramite un by pass superiore, oltre il quale un ultimo tratto orizzontale conduce alla risorgiva nella vallata di Nguyen Binh.
4) inghiottitoio di Ban Bua o Rio Brandolin
Interessante risorgiva le cui acque sono alimentate da diversi inghiottitoi situati in alcune valli superiori; in caso di piena la portata aumenta a tal punto da render completamente impercorribile la zona d’ingresso. Sicuramente potrebbe essere un buon obiettivo esplorativo per chi vorrebbe lavorare nella zona dedicandovi, però, una notevole quantità di tempo.

ASPETTI ORGANIZZATIVI E LOGISTICI

Descriverò in maniera cronologica le varie problematiche che abbiamo dovuto risolvere citando di volta in volta i contatti presi per giungere alla soluzione.
1) Biglietto Aereo Singapore Airlines tramite l’agenzia Tim Viaggi (Vittorio Veneto) che è riuscita ad accordarci un extracarico di 10 kg a persona (peso decisivo al trasporto dei materiali occorrenti alla spedizione).
2) Vien Dia Chat – Institute of Geologica1 Sciences – National Center for Natura1 Sciences & Tecnology. Grazie a questo istituto siamo riusciti ad ottenere: – i visti presso l’ambasciata del Vietnam a Roma senza problemi burocratici; – i permessi per operare nella regione di Cao Bang (al confine con la Cina); – l’appoggio di due geologi di Hanoi che fungevano da guide e da interpreti; – la fornitura di carte al “100.000” e al “50.000” e mappe geologiche generali; – informazioni riguardo le altre spedizioni svolte nello stesso periodo o anno (in particolare va ringraziato il Dr. Pham Khang che coordina tutta l’attività speleologica svolta in Vietnam).
3) Agenzia Turistica di Hanoi per procurarci i tre mezzi fuoristrada necessari agli spostamenti, qui abbiamo avuto alcuni problemi per cui, in futuro, ci rivolgeremo al punto 2).
4) Cibo, Vettovaglie, Gas, Carburo e materiali vari da campo sono stati facilmente reperiti quasi ovunque e a prezzi decisamente molto convenienti rispetto l’Italia. Il cambio $ – Dong è libero e senza controlli di sorta.
5) Le Strade delle regioni montane sono molto dissestate e anche un fuoristrada ‘serio” può essere messo a dura prova; prevedere una media di 15/20 km orari come velocità normale.
6) per gli Alloggi abbiamo usato case private o ex ‘case del popolo”; unico problema la mancanza d’acqua in certi villaggi.

 ASPETTI MEDICI ED ALIMENTARI

La dieta di spedizione è stata sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo eccellente. In media i pasti venivano organizzati nel seguente modo:
Colazione – caffè o the, latte in polvere, cioccolato, biscotti con marmellata, avanzi della cena del giorno prima.
Pranzi – fondamentalmente sempre consumati in perlustrazione o in grotta: scatole di sardine, scatole di carne, creckers, frutta.

N. NOME DISTRETTO LATITUDINE LONGITUDINE QUOTA DISLIV. SVILUP.  
1 Ban Chang Thong Nong 25°33’30” 5° 97’ 80” 590 m      
2 Rang Zhieo Thong Nong 25°33’05” 5° 97’ 85” 530 m      
3 Ban Ngam Thong Nong 25°32’05 5°96’70” 330 m      
Nota: queste tre cavità formano un unico sistema con il traforo Bang Chang – Ban Nigam Circa 150 m Circa 3800m  
4 Mu Cai Shaft Thong Nong 25°28’45” 5°95’30” 645 m circa 300 m circa 500 m  
5 Ban Bua (Rio Brandolin) Thong Nong 25°11’90” 5°98’60” 435 m +20 m 500 m (rilev.)  
6 Pac Thai Thong Nong 25°11’45” 5°95’22” 600 m – 75 m 560 m (rilev.)  
Nota: il probabile tributario del Rio Brandolin  
7 Dong Chang (Guerr. Serpentao) Thong Nong 25°23’30” 5°99’60” 280 m – 20 m
Nota: Inghiottitoio che raccoglie le acque della valle di Ban Chang  
8 Nam Kep Nguyen Bhn 25°04’55” 5°94’75” 740 m      
9   Nguyen Bhn 25°04’50” 5°94’55” 630 m      
Nota: queste due cavità formano il traforo di Tinh Tuc – Nguyen Bhn  
10 Lung Luong Nua Nguyen Bhn 25°10’55” 5°89’45” 1200 m n  circa – 80 m 1400 m  

SINTESI:

NUMERO PARTECIPANTI: 9 + 2 geologi locali
GIORNI Dl ATTIVITA’ ESPLORATIVA: 14
GIORNI Dl TRASFERIMENTO: 6
GIORNI Dl PIOGGIA DURANTE LA SPEDIZIONE: nessuno!
CAVITA’ ESPLORATE: 50
LUNGHEZZA TOTALE ESPLORATA: 13,1 krn (i cui 11,3 rilevati)
CAVITA’ PIÙ ESTESA: complesso Bang Chang – Bang Ngarn (4,1 krn)
KM PERCORSI IN FUORISTRADA: 1500
CARBURO UTILIZZATO: 50 kg

Cene – quasi sempre preparate al campo base: pasta, riso, verdure, fagioli, funghi secchi, frutta.
Sono da considerare anche molti pasti ‘locali” con noodles (spaghetti di riso), e zuppette di vario genere a base di verdure lesse, carne e riso.
Quindi un’alimentazione sufficientemente varia e completa di proteine, carboidrati complessi, vitamine e sali minerali essenziali.
Non si sono verificati casi di deperimento fisico, e nemmeno casi di diarrea e di dissenteria; I’acqua veniva regolarmente potabilizzata, sia quella necessaria per cucinare, sia quella per lavare le stoviglie.
Per quanto riguarda I’acqua da bere si comprava quella in bottiglia. Naturalmente di sera I’acqua era spesso sostituita da birra e grappa di riso.
A due soggetti della spedizione sono stati somministrati durante la seconda parte della medesima “amminoacidi ramificati” ovvero leucina, isoleucina e valina, nella quantità idonea rispetto al peso corporeo.
Lo scopo era di verificare qualche beneficio a livello di “prestazione” in seguito all’assunzione di questi. È stato infatti appurato che l’introduzione di amminoacidi ramificati nella dieta stimola la sintesi proteica e/o inibisce il processo di proteolisi, rimandando o riducendo l’insorgere dell’affaticamento. Inoltre aiuta lo smaltimento dell’ammoniaca (tossica per l’organismo) e riduce quindi la produzione di acido lattico.
Purtroppo non ci sono state variazioni evidenti nè di forma fisica nè mentale (sembra che gli amminoacidi ramificati siano pure responsabili della ridistribuzione di sostanze neuroattive con maggiore produzione di endorfine) rispetto al resto del gruppo.
A mio avviso questo fatto è imputabile alla brevità del periodo di somministrazione. Qualche problema a livello di “salute” si è verificato a causa dell’ inaspettata temperatura ‘tropicale” che si aggirava attorno ai 5-6 gradi durante la notte. Questo, ovviamente accompagnato da spifferi (quasi vento) all’interno delle stanze dove si dormiva e con un abbigliamento quasi insufficiente, ha causato raffreddore, tosse, bronchite e “febbri influenzali” in quattro soggetti su nove della spedizione.
In conclusione per salvaguardare la propria salute in paesi tropicali come il Vietnam è fondamentale prestare molta attenzione alla potabilizzazione dell’acqua a prescindere dal suo impiego nel campo igienico-almentare, mentre per quanto riguarda l’alimentazione di base non vi è alcun problema; rispetto ai nostri cibi troppo spesso additivati da conservanti o coloranti i loro sono sicuramente più “sani”. Sufficiente è cuocere tutto adeguatamente, specialmente le verdure!

 CONCLUSIONI

 Sembra piccolo, molto piccolo il Vietnam sull’atlante, ma in realtà è lungo più di 1500 km e la rete stradale è talmente mal ridotta che una percorrenza giornaliera di 100 km sulle piste di montagna diventa già un’impresa; a ciò si può sommare la vastità dei territori carsici per rendersi conto di come in un mese di tempo si riesca a fare ben poco, quando l’area da esplorare ha 800 km quadrati ed è una delle più limitate …
Bisogna così puntare sugli obbiettivi più grandi ed evidenti, sfruttando una cartografia spesso incompleta ed imprecisa, individuando i grossi corsi d’acqua che formano risorgive o inghiottitoi, comunque da verificare sul posto.
Il tipico carso a coni che caratterizza in pratica un’enorme banconata di calcari che parte dalla Cina ed arriva fino al Laos presenta due morfologie ben distinte: una, pianeggiante quasi sempre coltivata e quindi di facile accesso dove facilmente si individuano i fenomeni carsici ed una articolata, caratterizzata dai rilievi comunemente chiamati coni. In questo caso la vegetazione spesso non è stata interessata dall’intervento dell’uomo per cui l’accesso alle zone sommitali quasi sempre è problematico, ma sicuramente darà in futuro notevoli sorprese per quanto riguarda una speleologia verticale, quasi assente oggi in Vietnam, a parte un paio di “- 300 m”, nonostante dei potenziali a volte superiori ai 1000 metri. A riguardo penso che chiunque sia costretto ad aprirsi con il machete il cammino verso una qualsiasi cavità locale, avrebbe inveito contro l’uso passato ed improprio dell’elicottero durante il celebre conflitto, ma pazienza, prima o poi ci si arriva comunque.
Da questa analisi si capisce come le possibilità siano enormi ed appena intraviste, ma non solo nella regione di Cao Bang dove abbiamo operato.
Infatti: inglesi, belgi, australiani, bulgari e polacchi hanno anch’essi sviluppato una minuziosa opera esplorativa in altre regioni con notevoli risultati.
Sicuramente bisognerà ritornare anche perché il Vietnam attualmente è una nazione ideale per intraprendere una spedizione, essendo i problemi logistici ed organizzativi facilmente risolvibili; i costi si possono quantificare sui 2.500.000 – 3.000.000 di Lire a testa, tutto compreso.

 ELENCO DEI PARTECIPANTI

Gianpiero Carrieri G. S. P.
Tonno Riccardo Pozzo G.S. P Torino + G.S.B.
Luca Impeno e Stefano Candida G.S.Sacile
Elisabetta Preziosi G. G. Pipistrelli Temi + Speleo Club de la Seine
Giovanni Polletti e Andrea Benassi dello Speleo Club Roma + Speleo Club de la Seine
Elisabetta Stenner e Paolo Pezzolato della C. G.E.B. Trieste
Dr. Pham Tich Xuan e Dr. Tran Thanh Son guide e interpreti.
                                                                                                  Paolo Pezzolato

L’INGHIOITITOIO DI MU CAI

 Nei giorni precedenti si era parlato tanto del pozzo Gabriel, di tutti i problemi sorti durante l’armo e della sua effettiva profondità ora però sembrava che le gallerie erano giunte, l’entusiasmo era alle stelle e I’ottimismo pure, tanto da decidere di portare il canotto in previsione dei futuri laghi …
L’ambiente esterno era a dir poco idilliaco; si partiva da un paesino in fondovalle dove la tappa era costituita dal bar con annessa sala da biliardo, poi non rimaneva che camminare lungo un ameno sentiero in salita tra i campi, case in bambù e piccoli appezzamentl dove rigogliosi crescevano i generi ricreativi messi colà ad uso e consumo delle popolazioni locali o di occasionali viandanti, come noi del resto.
Il giorno stabilito per la punta decisiva vide il formarsi di un gruppo di marpioni un po’ attempati lasciando ai giovinetti ed alle signore il compito di continuare le esplorazioni a Ban Chang. Non c’era fretta e cosi attendemmo volentieri la nostra guida nella locanda del paese bevendo e fumando come orchi, ma forse vi chiederete come mai avevamo assoldato una guida per fare un sentiero ormai già noto; ma il motivo era semplice o eruditi lettori, essendo lo svilupparsi del transito in zone interessate da una intensa produzione ‘agricola” era meglio aver con sè uno dei coltivatori locali che ci indicasse la retta via onde evitar il calpestare dei teneri ranuncoli così duramente cresciuti …, si sa come son fatti certi contadini e del resto anche chi frequenta il Mugello conosce I’irascibilità di certuni. Arrivata la guida non ci rimase che saldare il conto e incamminarci lungo l’ameno percorso arrivando dopo un’ora e mezza all’imbocco della dolina dove si apriva l’ingresso del nostro inghiottitoio alimentato dalle acque di un rio che irrigava le risaie circostanti per cui l’acqua non era proprio cosi limpida da poter essere bevuta senza conseguenze. Dopo i soliti riti della vestizione si iniziò a scendere, Giovanni e Luca avanti ad armare, dietro io con Riccardo e Gianpiero a far foto e rilevare. Dall’ingresso, alquanto imponente, si iniziava a scendere quasi subito su corde non proprio ben frazionate visto che già a -20 i trefoli dell’anima biancheggiavano minacciosi su un tratto lesionato da una lama vigliacca; pazienza e cautela, altro non si poteva fare con l’unica speranza che almeno sugli 8 mm gli spits non sarebbero mancati. Scendemmo così il pozzo Gabriel molto molto lentamente anche perchè successe di tutto ma le entità awerse (leggi nodi, traversi demenziali sotto l’acqua, scariche di pietre, cordelle metriche incastrate in posti assurdi, flash che non partono, ed altre amenità …) non riuscirono a bloccare il nostro entusiasmo. In compenso alla fine del pozzone (120 m umidi umidi …) trovammo il canotto ma nè laghi nè gallerie. Un dubbio atroce ci fece trasalire ma a quel punto non ci rimase che continuare seguendo l’acqua nella fanga tra massi di frana dove Riccardino ci faceva da battistrada per darci la possibilità di realizzare un rilievo logico. Tra turpi imprecazioni e foto a mordaci animaletti troglobi trovammo una corda che ci condusse ad un terrazzo dove trovammo Luca avvolto in una nube di vapor acqueo e nicotina.
Tanto caldo e poca circolazione d’aria ma sotto i nostri stivali infangati c’era un P 30 e Giovanni lo stava stoicamente armando, imprecando contro la roccia alquanto friabile alla base del medesimo Gianpiero gli diede il cambio mentre con Luca continuai a rilevare; unico conforto la grappa di riso ed un altro pozzo che sembrava immettersi in una galleria. Così fu, ma purtroppo dopo alcune centinaia di metri un enorme specchio di faglia sancì la fine e a nulla valse prostrarsi nella fanga putrida della frana; finiva e basta!
Ci stendemmo un attimo per organizzare le idee e senza perdere troppo tempo iniziammo il disarmo consapevoli della mancanza di carburo. Gli altri così riuscirono ad assaporare l’alba, mentre io che disarmavo sfruttando ormai l’alfabeto braille, rischiavo addirittura di rimanere sotto il pozzone e ciò a posteriori lo posso dedurre pensando alle lame che il “buon” Gianpiero mi scaricò.
L’aria fredda del mattino ci svegliò completamente e così scendemmo il nostro golgota vietnamita carichi come somari, ma beati tra la rigogliosa e generosa vegetazione del posto che tanto potè per lenir i nostri dolori e le fatiche ipogee

 DATI ESSENZIALI

Le esplorazioni si sono svolte nei giorni 24-25-26-27-28/12/1995. La cavità ha un andamento prevalentemente verticale e supera di poco i 300 m di; profondità. Un discreto stillicidio interessa i pozzi ma senza creare problemi alla progressione
SVILUPPO 500 m
QUOTA D’INGRESSO: 645 m slm
                                                                                             Paolo Pezzolato

IL SISTEMA BAN CHANG – BAN NGAM secondo Fox e Betty

Fox: Nell’aprile ’95 Anne Cholin e Marc Faverjon nel corso della loro mini spedizione passarono per le regioni in cui abbiamo sviluppato la nostra attività esplorativa, fornendoci delle preziose indicazioni (come,ad esempio, I’ubicazione degli ingressi di questo sistema di 4 km di sviluppo, modello classico di carsismo tropicale, ovvero “un bel traforo”).
Il 26 dicembre arrivammo all’ingresso della risorgiva di Ban Ngam, nei pressi dell’omonimo villaggio scatenando la solita curiosità da parte dei contadini … del resto non poteva che essere così, visto che ci trovavamo a circa 2 km dalla Cina e che quasi sicuramente noi eravamo i primi europei che vedevano, non solo: pure speleologi! Con Betty, Riccardo, Betta e Gianpiero mi incamminai sull’altopiano sovrastante andando un po’ ad intuito per un dedalo di sentierini in mezzo ad una vegetazione a tratti molto fitta e grandi campi solcati di calcare nero come la pece. Avanti così per quasi due ore di marcia fino ad un’altra valle dove il fiume che la solcava spariva nell’inghiottitoio di Ban Chang; ciò che più ci impressionò fu un pozzone dal diametro di un centinaio di metri che Marc aveva stimato altrettanto profondo. Mentre Gianpiero con Betta e Riccardo partivano alla volta dell’inghiottitoio, io mi dedicai con Betty alla “verta” ma, mentre preoccupati cercavamo una partenza sgombra dalla vegetazione, notai una traccia in discesa che seguimmo un po’ dubbiosi ed incuriositi e che ci portò, lungo un sistema di cenge e ripiani ingombri di vegetazione, sul fondo di ciò che era un dolinone dalle pareti scoscese: là c’era l’ingresso del traforo che alitava sui nostri volti esterefatti un gran volume d’aria fredda.
Il mio groppone aveva portato fin là quasi 200 metri di corda che rimasero inutilizzati, ma non dispiaceva affatto l’idea di aver evitato un armo cosi arboreo. L’ingresso era imponente e suggestivo, da pelle d’oca … Cominciammo ad entrare e senza corde la natura ci permise di proseguire scendendo per cenge e facili colate di calcite. Giungemmo in una sala piuttosto grande, molto concrezionata … ma sembrava il “gioco” fosse finito lì. Provai ad infilarmi in un passaggio un po’ stretto, per scaramanzia; ci trovammo così in un’altra sala, anche questa molto grande. Lasciai Betty al punto di partenza del rilievo e mentre lei disegnava curiosando qua e la, con qualche vispa arrampicata mi ritrovai in una galleria dalla quale proveniva un rumore che mentre procedevo aumentava impetuoso: l’acqua! Ritornai così da Betty per iniziare il rilievo e tornare alla base a comunicare la lieta notizia agli amici.
Betty: Così per precisare, visto che Fox ha fatto in modo di non dirlo, io sono stata letteralmente (ma giustamente) abbandonata nella caverna, mentre lui preso da “delirium explorantis” causa possibile eccezionale scoperta si era totalmente dimenticato della sottoscritta e si era drogato solo soletto dell’emozione di tale scoperta. La sera si decise di sorteggiare i nomi delle squadre di lavoro: una avrebbe avuto come obiettivo Mu Cai, l’altra “il traforo”. Volle il caso che Fossile finisse nell’altra squadra, aiutato pure dalla Betta che per fargli una cortesia gli concesse la sua carta e si sacrificò al posto suo per venire con noi al traforo. Ebbene la squadra era composta da me, Betta, Andrea e Stefano.
Partimmo dal campo base alla mattina presto e schivando i vari inviti della popolazione locale per bere le solite grappe di riso ci incamminammo, come da rituale, verso la grotta scortati da un folto gruppo di personaggi incuriositi del villaggio. Breve merenda, sigaretta, vestizione e via, pronti per l’esplorazione. In un battibaleno ci ritrovammo al punto dove ero arrivata io il giorno prima e seguendo le precise indicazioni di Fossile giungemmo al tanto desiderato ‘river”. Lì ad aspettarci un simpatico granchio color rosso vivo … inevitabile la nostra sorpresa e le seguenti scaramanzie per evitare incontri spiacevoli con serpenti o simili. L’umore era alto … Betta, la più professionale, dirigeva un po’ le mosse di noi tre piccoli esploratori, un po’ caotici nei movimenti e piuttosto rumorosi nell’esibire il nostro entusiasmo. Gallerie enormi, almeno per me, dalle sezioni spettacolari, caratterizzate da altissime colate scintillanti; camminavamo con l’acqua alle volte alle caviglie ed altre alle ascelle. Non servivano certo grandi abilità e fiuto per trovare la strada giusta: era sufficiente seguire il fiume. Continuammo così per ore, guardando attorno stregati dalla bellezza di questo posto e godendo di essere lì … Il freddo ancora non si faceva sentire e nuotare nei punti totalmente allagati era diventato un divertimento (un po’ meno per me, visto che non si può dire che sappia nuotare). Il cuore batteva forte ed il desiderio di trovare l’uscita cresceva. Di colpo la volta della galleria cominciò ad abbassarsi; un attimo di tensione … c’era un sifone sulla nostra strada. A me venne da ridere, io I’antiacquatica per eccellenza, lì ad esplorare una grotta … o meglio a scendere un fiume! Incredibilmente unico!
Stefano, che fa anche sub, si proiettò verso il sifoncino, seguito da Andrea; lo passarono e poi … il nulla. Guardai Betta e senza parole fu deciso: passiamo anche noi!. Un po’ di tremarella, salvagente di sicurezza e per mano andammo al punto chiave: prima Betta poi io. Ero super felice e velocissime seguimmo gli altri. I passaggi acquatici erano sempre più frequenti ed una strana colata concrezionata affondava nell’acqua come una bocca aperta dai mille denti. Sembrava viva, l’acqua che la colpiva le donava la parola … proseguimmo con la sensazione che era fatta! Voci eccitate attirarono la nostra attenzione! Erano Andrea e Stefano che stavano tornando indietro per dirci che eravamo usciti in paese, due metri sopra la risorgiva, usata dai locali come lavatoio. Sbuchiamo fuori anche noi … un freddo incredibile, una felicità indescrivibile. È bello in questi casi non avere questa gran esperienza; si assapora sicuramente di più la situazione.
Le parole di Betta ci fecero calare gli entusiasmi, bisognava rientrare e rilevare. Fu una specie di incubo, il freddo ci paralizzava e dopo un chilometro o poco più lasciammo il rilievo ed uscimmo. Tornati giù al paese inaspettatamente trovammo le persone ad attenderci, già tutti informati della nostra scoperta … fummo invitati in una casa a bere grappa e a sfamarci col riso cotto appositamente per noi, tenuto al caldo, avvolto nelle foglie di banano.
Gran festa in paese e gran orgoglio del proprietario della casa dove eravamo stati invitati e fra una foto e l’altra lasciammo questa gente, quasi commossi dalla loro simpatia e generosità. Il giorno dopo ritornammo più numerosi che mai per completare il rilievo e testimoniare la presenza di questa grotta con numerosi rullini di foto

 DATI ESSENZIALI

Le esplorazioni si sono svolte n i giorni 26, 27, un dislivello di 150 metri i 28, 29/12/1995. Lo sviluppo è di circa 4 km p e r Il sistema in questione è composto da: inghiottitoio di Ban Ngam di 400 metri di sviluppo (già esplorato da Cholin e Favetjon) collegato dal sifone del ramo a monte dell’inghiottitoio fossile di Rang Khieo, seguendo invece il ramo a valle dopo 3,5 km si arriva alla risorgiva di Ban Chang (anch’essa vista da Cholin e Favetjon, ma impraticabile in quel periodo a causa del regime idrico) vedi sezione allegata.
                                                                       Paolo Pezzolato e Elisabetta Stenner

RISORGIVA DI BAN BUA Rio Brandolin

 ITINERARIO DI AVVICINAMENTO

 Dal paese di Thong Nong ci si sposta in fuoristrada verso Sud-Ovest lungo una pista accidentata giungendo a Thanh Long in circa un’ora; da questo villaggio si prosegue verso la valle di Binh Lang girando all’unico bivio a destra proseguendo fin dove la pista finisce trasformandosi in sentiero. Circa 16 km complessivi per due ore di percorrenza.
Da dove finisce la pista ci si incammina lungo il sentiero in piano verso un gruppo di case (Phia Rai) si intravede il corso d’acqua e i mulini costruiti lungo il suo alveo. In 5 minuti di marcia si arriva all’entrata della risorgiva (8×20 m) dalla quale esce un corso d’acqua ora in magra con una portata di circa 100 l/s.
 QUOTA INGRESSO: 436 m slm altimetrica
SVILUPPO: 500 m
DISLIVELLO: +20 m continua

 DESCRIZIONE

 L’ingresso molto ampio è caratterizzato sulla destra da un lago che si evita a sinistra in arrampicata lungo una paretina nascosta parzialmente da una quinta di roccia che dà accesso a un piano superiore asciutto che dopo 150 m riporta al piano inferiore attivo. Da qui inizia il tratto allagato percorribile solo con I’ausilio dei canotti. Si nota in questa prima parte della cavità un notevole flusso d’aria aspirante che si perde progressivamente nella parte successiva di dimensioni più grandi. Come anticipato inizia ora la parte “acquatica” alta 10-15 m e larga tra i 2 e i 5 m.
Questa zona si sviluppa per circa 350 m, la progressione con i canotti per due volte è interrotta da grossi blocchi di frana che ci hanno costretto a dei funambolici trasbordi. In certi tratti si nota una galleria superiore che comunica con il tratto allagato sottostante, alla fine la via d’acqua si restringe permettendo di proseguire in opposizione e poi d’arrampicare per 4 m (fango), raggiungendo il piano superiore.
La volta s’abbassa (5 m d’altezza), non c’è circolazione d’aria, la progressione sul fondo risulta impossibile; bisogna proseguire per la galleria fossile ora in salita fin dove si trasforma in un malagevole budello comunque percorribile. Oltre tale passaggio gli ambienti ritornano grandi, in basso si ritrova l’acqua stagnante in una grande marmitta di 5 m di diametro, in alto invece c’è una galleria impostata in diaclasi, ma per raggiungerla sarebbero necessari circa 7 m di arrampicata in artificiale. La mancanza di circolazione d’aria ci ha convinto a rinunciare alla risalita.
In regime idrico di piena il livello dei laghi si alza di 10 m o più, la corrente d’aria percepita nella prima parte è probabilmente generata da un ingresso superiore la cui presenza è stata individuata grazie a della luce filtrante.

 CONCLUSIONE

 Rio Brandolin può riservare ulteriori sviluppi; l’aria presente nei primi 150 m potrebbe essere sintomo della presenza di livelli fossili superiori alla via da noi percorsa. I lavori futuri andrebbero impostati su tre linee diverse: la risalita dei vani interni, la ricerca di eventuali ulteriori ingressi sul rilievo sovrastante la cavità, e l’effettuazione di colorazioni per stabilire il collegamento idrico con I’inghiottitoio di Pac Thay o quello di Coc Cang.
 NOTA: Presenza di lame affilate nel tratto acquatico con il conseguente rischio di forare il canotto.
DATE SIGNIFICATIVE 23.12.95 Scoperta ingresso risorgiva e parziale esplorazione in zona asciutte 25.12.95 Parziale esplorazione e foratura del canotto 30.12.95
                                                 Conclusione dell’esplorazione e rilievo Paolo Pezzolato

INGHIOTTITOIO DI DONG CHANG – IL GUERRIERO DEL SERPENTAO

ITINERARIO DI AVVICINAMENTO

 Dal paese di Thong Nong ci si sposta in fuoristrada verso nord (Valle di Song Tse Lao), prima in salita poi scendendo in una valle chiusa lunga circa 5 Km. (Fin qui 6 km di pista per 45 minuti di viaggio effettivo).
Dal paese di Ban Chang, vicino la strada, si percorrono poche centinaia di metri fino a raggiungere una grande polla d’acqua sorgiva che genera un corso d’acqua che percorre tutta la valle. Alla fine dopo un ultimo tratto meandreggiante entra nell’inghiottiio in questione che si apre sul fianco della collina che chiude la valle. Sopra l’inghiottitoio si notano gli altri ingressi della cavità in questione. La strada si sviluppa parallela al fiume per cui I’inghiottitoio viene raggiunto 5 minuti da dove si lascia il fuoristrada.
QUOTA INGRESSO: 280 m slm
SVILUPPO: circa 600 m
DISLIVELLO: circa 20 m

 DESCRIZIONE

 L’ingresso è costituito da un inghiottitoio attivo parzialmente intasato da tronchi e detriti alluvionali; vi è circolazione d’aria e presenza di serpenti da cui il nome.
Seguendo l’acqua si percorre una sessantina di metri intralciati dai suddetti detriti fino a giungere in una zona sifonante. A metà strada si nota una galleria superiore trasversale che seguita in salita porta dopo poche decine di metri ad un ingresso superiore posto una ventina di metri sopra il precedente. Seguendola in discesa, accompagnati da una decisa corrente d’aria soffiante, si giunge in breve ad un lago di dieci metri oltre il quale continua la galleria. È un piano freatico superiore a quello attivo, caratterizzato anch’esso da depositi alluvionali; sintomo evidente che nella stagione delle piogge anche questa zona si allaga. Si continua per la galleria per circa 300 m, alta in certi punti anche 20 m e larga tra i 3 ed i110 m. In corrispondenza di uno scivolo fangoso (dove noi abbiamo trovato uno scheletro di serpente lungo circa 3 metri) si accede ad un ulteriore piano superiore caratterizzato da una sala di notevoli dimensioni (20×10~60) ;qui ci sono dei notevoli depositi di guano ed è stata inoltre rinvenuta una pala.
Ritornando alla galleria, si continua per circa 50 m e si arriva ad un approfondimento (lago-fango) che si aggira in arrampicata sulla sinistra dove si nota un’altra piccola galleria trasversale che chiude progressivamente. La galleria prosegue per circa 120 m ancora diventando mano a mano di dimensioni sempre più piccole; si passano due agevoli strettoie nella concrezione, si giunge quindi in una saletta dalla bassa volta dove si notano delle lunghe radici che fanno supporre un’uscita immediata. Purtroppo non è così e quasi sicuramente questa è stata occlusa da detriti di vario genere causati dalla costruzione recente di una strada nella valle attigua.
Il corso d’acqua scorre più basso e fuoriesce nella valle da un’altra polla sorgiva.
 NOTA: Presenza di serpenti vivi e morti. Paolo Pezzolato

  Traforo di Nguyen Binh – Tinh Tuc

Probabile nome locale: Nam Kep – Pac Bò

  ITINERARIO DI AVVICINAMENTO

Da Tinh Tuc ci si cala nella valle sottostante seguendo poi I’alveo del fiume che la percorre; sono notevoli i lavori di canalizzazione (ad opera dei cercatori d’oro) tali da frazionare in minimi rivoli la portata del corso d’acqua. Verso la fine della valle si innalza lo sbarramento naturale della medesima; il fiume devia verso destra per entrare in una profonda forra che sparisce nel fianco della montagna. Questa è l’entrata attiva del nostro traforo (Forra/inghiottitoio attivo a m 700 slm) raggiungibile in circa un’ora di cammino agevole. Una cinquantina di metri più in alto c’è invece l’ingresso fossile (m 740 slm) caratterizzato da un’antro sotto parete il cui pavimento è costituito da massi di crollo dai quali filtra una consistente corrente d’aria. Questo secondo ingresso, da noi preferito per intraprendere l’esplorazione, evitando così la zona attiva decisamente più difficile dal punto di vista tecnico, si raggiunge abbandonando il fiume 100 m prima della forra, in circa 15′ attraverso delle risaie e poi seguendo in discesa una traccia che costeggia la parete. Una cinquantina di metri più in alto c’è un evidente ingresso (m 740 slm). Questo non ècomunicante con il sistema sottostante; probabilmente si tratta di un paleoinghiottitoio con uno sviluppo stimato di 100 m.
TEMPERATURA ARIA NELLA FORRA: 12°C.
TEMPERATURA ACQUA NELLA FORRA: 6°C.
QUOTA RISORGIVA (già parzialmente esplorata nel 1994): 630 m slm altimetrica.
SVILUPPO DEL TRAFORO: circa 2000 m
DISLIVELLO: circa 110 m

 DESCRIZIONE

A) L’ingresso attivo è dal punto di vista morfologico una forra percorsa da un corso d’acqua della portata approssimativa di 200- 300 1/s. L’acqua a causa dei lavori minerari intrapresi a monte dalla popolazione locale è molto torbida ed assume un colore rosso.
La forra dopo una cinquantina di metri entra nel fianco della montagna creando un ambiente ipogeo di notevoli dimensioni (largo 50 m ed atto fino a quaranta m). Suggestivo e tetro a causa della roccia nerastra con venature bianche (calcescisti).
In fase esplorativa sono stati scesi P15, PB, P3, P1 0, intervallati da brevi tratti rettilinei fermandosi alla fine dell’ultimo salto su un lago profondo del diametro di 10-15 m. Date le difficoltà tecniche inerenti la progressione fortemente acquatica si decideva d’abbandonare l’esplorazione dell’attivo preferendo proseguire lungo il ramo fossile scoperto lo stesso giorno.
B) L’ingresso fossile, sito sotto parete una cinquantina di metri più in alto della zona attiva, inizia con un P15 tra i blocchi di frana ridossati alla parete e costituenti l’ingresso. Questa zona è caratterizzata da un notevole flusso d’aria che inverte il senso durante I’avvicendarsi delle fasi “giorno/notte”.
Alla base del P15 si prosegue in un antico freatico con massi di frana e notevoli accumuli di guano di pipistrello, a sinistra c’è un bivio che riporta sulla volta del ramo attivo. Si prosegue invece a destra e dopo un altro salto (PB) si giunge in una sala dove mantenendosi sempre a destra ci si cala in uno sfondamento del pavimento; qui ci troviamo a circa 40 m di altezza rispetto al fiume ipogeo che letteralmente romba nella forra sottostante.
Per evitare l’acqua, che già ci aveva creato dei problemi tecnici di temperatura e portata durante l’esplorazione del ramo attivo, abbiamo attrezzato un lungo traverso sfruttando le zone morfologicamente più adatte a questo tipo di progressione (clessidre, ripiani, cenge e scivoli) arrivando poi nuovamente sull’acqua in una caverna con grossi blocchi di frana superati i quali con altri due saltini di 5 m si giungeva in un lago, largo 5 m, le cui acque raggiungevano il metro di profondità. Nel totale per attrezzare il traverso si utilizzavano circa 180 m di corda ed una trentina di spits per un dislivello complessivo inferiore ai 100 m!
Dal lago la grotta cambiava morfologia grazie anche al cambio litologico (i calcescisti lasciavano ora posto ai calcari), si entrava in un meandro allagato che dopo un centinaio di metri si trasformava in galleria larga ed alta in media 10 m. Si proseguiva così per quasi 1,5 km notando alcuni arrivi secondari giungendo ad un passaggio sifonante evitabile attraverso un by-pass superiore che dava nuovamente in una galleria dalle dimensioni più grandi rispetto alla precedente; si notava la presenza di due livelli distinti e di diversi rami paralleli; dopo circa 700 m si raggiungeva l’uscita nella piana di Nguyen-Binh.

 CONCLUSIONI

La prima parte di questo traforo presenta ostacoli riscontrabili in una forra di media difficoltà. Ad eventuali ripetitori si potrebbe consigliare di affrontare tale traversata con tecniche ed attrezzature di torrentismo, stando ovviamente attenti alla portata dell’acqua e ad eventuali ostacoli celati dal color rossastro dell’acqua.
NOTE: Dalla risorgiva di Nguyen-Binh al sifone il sistema era già stato esplorato e topografato nel 1994; purtroppo all’epoca una piena (frequente nel periodo estivo a causa delle abbondanti precipitazioni) aveva impedito ulteriori sviluppi esplorativi. Va aggiunto inoltre che sempre da tale ingresso (basso) fino al lago raggiunto da noi dall’alto le popolazioni locali sviluppano nei periodi di magra (inverno) una consistente attività di ricerca aurifera. Infatti abbiamo trovato in grotta minatori che bivaccavano con mezzi di fortuna, utilizzando lumi a petrolio, scale e passerelle di bambù e rudimentali attrezzi per dragare le sabbie. Incontrandoli lo stupore è stato rilevante e reciproco.

 DATE SALIENTI

3-1-96 esplorazione “attivo” e scoperta ingresso “fossile”
4-1-96 esplorazione “fossile” e rilievo
5-1-96 esplorazione “fossile”, rilievo e foto
6-1-96 fine esplorazione e disarmo Paolo Pezzolato

Esplorazioni a Rio Brandolin

 Cosi abbiamo voluto chiamare la risorgiva di BAN BUA in onore dell’orso Papponcio perchè con tal nome ormai e chiamato dai più rinomati fautori della speleologia nel belpaese.
Arrivammo nella valle il 23 dicembre, io Betty e l’autista giovane a bordo della “Uaz” più malridotta lungo una pista nemmeno citata sulla carta dataci dai vietnamiti. Si trattava di un posto a dir poco idilliaco quieto, caratterizzato da tante risaie e da un fiume che le percorreva. Qual’era la sua genesi era il problema al quale dovevamo dare una risposta; ci incamminammo verso una casa isolata il cui proprietario alquanto sorpreso ci invitò ad entrare offrendoci grappa di riso e del tabacco locale molto aromatico …. il tutto era allietato da una vecchia radio da dove uscivano delle strane nenie che rendevano il tutto ancora più suggestivo. Mi feci capire a gesti e disegni fatti su un pezzo di carta e così mi accompagnarono all’entrata della grotta da dove usciva il fiume: un bel portale alto una decina di metri e largo altrettanto; le acque uscivano quasi senza corrente da un lago che spariva nella oscurità ipogea. Dopo un paio di giorni ritornai con Gianpiero ed il canotto Titanic. Entrammo seguendo un percorso abbastanza agevole lungo una galleria superiore che dopo un centinaio di metri si collegava nuovamente con I’acqua in un punto dove era inequivocabile l’uso del canotto e cosi l’allestimmo per poi iniziare la navigazione sotterranea percorrendo un primo lago che finiva in concomitanza di grossi blocchi di frana al di là dei quali si trovava un altro lago. Sbarcati iniziammo il trasbordo dei materiali e del canotto; l’idea fu però infausta perchè una volta riempito il natante e salitoci sopra questo toccò una lama e si squarciò. Rapidamente mi trovai in acqua riuscendo a recuperare solamente uno dei due sacchi ed ad uscire in un posto un po’ meno umido; a tal punto constatammo che la situazione non era affatto allegra: perso tutto il materiale necessario per la progressione e canotto inutilizzabile. Fumammo così una sigaretta miracolosamente scampata ai flutti e decidemmo di continuare l’esplorazione a nuoto, nonostante I’acqua non molto tiepida ….  Dopo 350 m di laghi intervallati da blocchi di frana giungemmo ad un restringimento dove I’acqua spariva in una zona sifonante mentre sopra di noi si vedeva l’inizio di una galleria in salita; bisognava però risalire circa quattro metri su una parete resa viscida da un abbondante strato di fango. Senza corde e con il freddo che cominciava a farsi sentire non ci rimase che rientrare il più velocemente possibile trascinando il canotto, ormai moscio, lungo il primo lago.
Decidemmo di rilevare solo dall’inizio della parte emersa, ma evidentemente non era la “nostra” giornata: mancava infatti la matita nella trousse da rilievo perchè, a nostra insaputa l’aveva presa Riccardino per scrivere il suo memoriale al campo. Non rimaneva che uscire bagnati fradici, con sul groppone il Titanic bucato accolti dalla solita notte tropicale, ovvero 5°C pronti ad infierire su noi medesimi alla faccia di tutti i films d’azione visti finora sul Vietnam, dove i protagonisti sudavano anche rinchiusi dentro una cella frigorifera!
Passarono cosi altri giorni durante i quali riparammo il canotto e, tramite Giovanni, trovammo un fabbro che ci costruì un ancorotto con il quale speravamo di recuperare il sacco sparito nella liquida oscurità.

Percorso del Rio Brandolin (Foto P. Pezzolato)

Il 30 dicembre assieme a Gianpiero e Stefano decisi che era giunto il momento di vendicare la nostra “Caporetto” nautica, schierando la flotta al completo, arrivando così in zona naufragio dove armammo un traverso per lavorare più comodamente: con la paleria della tenda creammo una sonda atta a scandagliare il lago; poi constatata la profondità del lago sui 4 m decisi di lanciare I’ancorotto verso la preda, con un colpo di fortuna pazzesco agganciai al primo tentativo il sacco, issandolo a riva tra l’incredulità dei presenti, ai quali però feci credere innate qualità medianiche ed una mira eccezionale. Ritornammo cosi felicemente a navigare per raggiungere il limite precedente. Con degli equilibrismi da circo scendemmo dal canotto per intraprendere la risalita che non risultò poi cosi ostica, ed entrammo cosi in una galleria in salita collegata da uno stretto budello nelle concrezioni ad un altro ambiente più grande, dove però ogni prosecuzione era preclusa da pareti strapiombanti … in alto però continuava. Purtroppo la mancanza di tempo ma soprattutto la mancanza di una decisa circolazione d’aria ci faceva desistere dal continuare; non rimaneva che uscire rilevando e fotografando in relax … mentre fuori un’altra notte dal freddo tropicale ci attendeva.

  DATI ESSENZIALI

Le esplorazioni si sono svolte nei giorni 23-25-30/12/1995: La risorgiva è stata rilevata ed esplorata per più di 500 m di sviluppo ed un dislivello di circa 20 m in risalita. Sicuramente continua, ma si prospetta un lungo lavoro per effettuare le risalite; non c ‘ è grossa circolazione d’aria ma forse questa si sviluppa nelle zone più alte delle gallerie.
QUOTA INGRESSO: 435 slm
                                                                                            Paolo Pezzolato

ESPLORAZIONI DEL TRAFORO DI TINH TUC NGUYEN BINH

Le gallerie del traforo del Tinh Tuc (Foto P. Pezzolato)

Quella mattina scendemmo nella valle allegramente con soltanto con due corde da dieci metri, un paio di spits e qualche imbrago con relative attrezzature. Una facile gita pensavamo; tanto il traforo ci doveva essere per forza e il dislivello non eccessivo faceva prevedere una serie di comode gallerie con forse qualche saltino in roccia all’ingresso.
Il fiume non si vedeva perchè a monte era imbrigliato nel bacino della miniera e giù nella valle centinaia di cercatori d’oro avevano frazionato il corso d’acqua in una miriade di canalizzazioni onde facilitare il lavoro di stallo e setaccio del materiale alluvionale contenente le pagliuzze d’oro. Anche qui tanta allegria e curiosità, reciprochi saluti e avanti fin dove la valle si chiude e le acque ritornano a congiungersi formando un unico alveo dove scorrono intorbidite dal fango rosso. Arriviamo così all’ingresso del nostro inghiottitoio e già lì cala il nostro buon umore: infatti ci troviamo davanti ad una successione di salti in cascata, abbastanza stretti, intervallati da laghi; è la morfologia di una forra sotterranea con una portata di circa 300 1/s ed una temperatura dell’acqua di circa 6°C, e non l’ambiente “tropicale” che ci aspettavamo.
Non importa: armiamo stoicamente i primi salti consapevoli che con cosi poco materiale faremo poca strada. Le corde si esauriscono subito come pure gli spits: ci troviamo sopra una marmitta dal diametro superiore di 10 metri, alimentata da una turbinosa cascata che rende il tutto un’enorme frullatore di fango liquido. Constatato che I’ambiente ipogeo in questione non è dei più simpatici, quasi quasi ci rallegriamo d’aver finito il materiale e usciamo convinti che davanti a qualche bottiglia di birra cinese troveremo la soluzione al problema.
Altro che grotte tropicali! Qui siamo in un ambiente che come morfologia e temperatura non sfigura certo con il nostro Carso.
Prima di rientrare alla base decidiamo di proseguire in salita costeggiando la parete che sovrasta I’inghiottitoio attirati da un bell’ingresso in parete, nero come la pece, che raggiungiamo comodamente utilizzando delle cenge insperate, nascoste dalla vegetazione lussureggiante. Bell’ingresso per fare merenda osservando le risaie sottostanti ma nulla più, poichè chiude.
Un po’ sfiduciati ritorniamo sui nostri passi, cercando di progettare un minisommergibile in bambù per affrontare i Rutti rossastri ed ecco che pochi metri più in basso del sentiero appena percorso c’è una grande nicchia ingombra di massi da crollo dove filtra una forte corrente d’aria. Il passaggio è agevole cosi Giovanni ed io decidiamo di dare un’occhiata, ci caliamo lungo un pozzo da 15 m, poi iniziamo a scendere una galleria e, in lontananza, sentiamo un rombo minaccioso che si amplifica mano a mano che percorriamo quello che un tempo era l’antico freatico del fiume che scorre impetuoso una cinquantina di metri sotto di noi. Da un aereo ballatoio, grazie alla luce che filtra dall’enorme portale d’ingresso dell’inghiottitoio che poche ore prima cercavamo di scendere, vediamo sotto di noi la tumultuosa marmitta, dove c’eravamo fermati; ora possiamo passare ben alti grazie a questa galleria che percorriamo però ancora per poco dovendoci arrestare davanti al nero più assoluto; siamo sul soffitto della forra e da qui saremo costretti a scendere verso l’alquanto fragoroso ignoto. Ormai è tardi, le corde sono finite e non resta che tornare al paese ed organizzarsi per I’indomani.
Passa la notte tra bevute e partite a “tressette”, così da tonificare il corpo e l’anima a tutta la “ciurma”. La voglia di andare a vedere cosa ci aspetta laggiù è tanta, ma si decide di fare una squadra ridotta: Giovanni, Riccardo, Betty ed io, permettendo agli altri cosi d’operare in altre due zone.
Solita camminata ristoratrice nella valle, soliti saluti a tutti i cercatori e via, di nuovo dentro, raggiungendo rapidamente il punto dove c’eravamo fermati il giorno prima. Inizio ad armare e in poco più di un’ora raggiungiamo il fondo della forra, ma la situazione non è allegra: infatti la forra continua stretta, con tratti allagati e cascate di 5-10 metri in successione. Assicurato da Giovanni vado a dare ‘un’occhiata” facendomi trasportare dalla corrente ma ben presto mi rendo conto che con quell’acqua non c’è molto da scherzare a causa della sua temperatura e della sua portata. Sarebbe necessaria la muta in neoprene, ma qua ai tropici eravamo convinti che usarla fosse una assurdità tale da far rischiare un infarto per la disidratazione e il troppo caldo … Non rimase che un’unica alternativa: attraversare in alto, fuori dai flutti, sfruttando la morfologia favorevole che si sarebbe presentata durante la progressione; iniziai ad armare mentre gli altri si misero “comodi” in una nicchia a far merenda. Passarono così 8 ore durante le quali piantai 20 spit, finii la corda e mi arrestai sopra I’ennesimo salto dopo un traverso demenziale dove ogni trucco fu lecito per guadagnare metri, compreso il lancio del sacco dietro qualche spuntone o incastrare il moschettone pesante del rinvio dentro una fessura creando un ibrido tra il nut e un chiodo di roccia. L’unico conforto al mal di schiena che poderosamente s’era impadronito della mia zona lombare era l’aver intravisto con “l’elettrica” un cavernone ingombro di massi di crollo, inequivocabile e sperato inizio di grandi gallerie dove l’ira delle acque si sarebbe placata in amene spiagge sotterranee … A malincuore cominciai a risalire ripercorrendo l’aereo cammino appena tracciato, compiacendomi con me stesso come sono solito fare in tali frangenti; tanto preso dal piantare spits e intontito dal rombo assordante delle acque, quasi mi dimenticavo dei tre compagni d’esplorazione, ma niente paura, li rincontrai tutti seduti su un terrazzino intirizziti dal freddo; ciò che più preoccupò era il fatto che, finite tutte le sigarette, si erano fumati anche le matitine della trousse di rilievo e questo visibilmente aveva influito sul loro stato d’animo. Feci finta di nulla, sussurrando li salutai e lesto m’avviai all’uscita ostentando noncuranza …  Ritornammo al campo con un unico pensiero: sarebbero bastate la corde per finire quella miriade di traversi? … Boh! Ci addormentammo gonfi di birra e carne di maiale vecchia ormai di tre giorni sognando delle gallerie sempre più improbabili. Un altro giorno ci attendeva ma questa volta Betty preferiva una attività alternativa alle lunghe attese, così rimanemmo in tre: Riccardo, Giovanni ed io.
Ci rimpinzammo di cibo e caricati gli zaini di corde e ferraglie varie ci incamminammo per la terza volta lungo la valle oramai senza destar curiosità tra i villici. Tra una sigaretta ed una sorsata di grappa di riso arrivammo al punto raggiunto il giorno prima e da lì si ripetè la solita musica: io davanti ad armare, gli altri dietro a rilevare questa volta con una buona scorta di matite … con un paio di spit giunsi finalmente nella caverna, ma non la si poteva chiamare tale; era solo un’enorme ansa del fiume ipogeo dove il medesimo passava tra enormi blocchi di crollo alti 5 e più metri. La roccia viscida non permetteva virtuosismi arrampicatori così fui costretto a riutilizzare il solito trucco del lancio del sacco sperando in un buon incastro tra i blocchi …; la fortuna mi arrise e così facilmente ci trovammo su un’enorme pulpito dove riordinammo le idee e la merenda. Avanti dunque ma sempre in traverso, la faccenda cominciava a diventare lunga e faticosa, pendolai una decina di metri, sfruttando una tacchetta mi misi in equilibrio e cominciai a piantare l’ennesimo spit; non ero riuscito a praticare nemmeno metà foro che il piede scivolò e mi ritrovai a ripercorrere il pendolo a velocità supersonica. Un attimo durante il quale mi resi conto di essermi capovolto e che a tenermi era una corda da 8 mm ancorata su un solo spit. Nel buio più assoluto, stringendo spasmodicamente mazzetta e battitore, mi ritrovai dentro una capiente marmitta e fortuna volle che l’acqua profonda avesse reso alquanto ‘morbido” l’impatto per cui, ristabilita la mia verticalità, non mi rimase che salire grondante d’acqua con il dubbio che la corda fosse lesa.. Ritornato al punto di partenza per tranquillizzarmi consumai letteralmente un paio di sigarette poi ripresi ad armare in maniera meno funambolica sperando che il vigoroso lavoro fisico riuscisse a riscaldarmi un po’! Due saltini da 5 armati fuori dall’acqua ci fecero arrivare dentro un lago dove ci si bagnava fino alle ascelle ma oltre sembrava che finalmente la morfologia cambiasse, le acque ora si erano calmate e imboccavano un bel meandrone largo e molto alto. Avevamo utilizzato più di duecento metri di corda ed infisso più di trenta spits per arrivare a -100 m, ma ora sembrava che la nostra pazienza fosse stata premiata. Lasciai Riccardo e Giovanni a rilevare e di buon passo mi incamminai lungo la promettente galleria meandriforme che dopo un paio di curve mi diede un’inaspettata sorpresa: passerelle di bambu e diversi attrezzi da scavo erano seminati un po’ ovunque; più avanti una scala di bambu conduceva in una galleria superiore permettendo cosi di superare un altro lago profondo. Mistero presto risolto: una cinquantina di metri più avanti c’era una luce. Senza attendere gli altri giunsi cosi al cospetto della soluzione dei nostri quesiti: in una nicchia c’erano due minatori locali che alquanto stupiti mi videro arrivare (penso che un astronauta non avrebbe fatto di meglio in fatto di colori e stranezze appese addosso). Mi invitarono a bere un thè e cosi iniziò un dialogo a gesti e monosillabi, ma ci capimmo comunque: erano là da una settimana e si dedicavano al setaccio della sabbia fluviale che a banchi ingombrava la anse del fiume estraendo, evidentemente, del materiale aurifero. Rimanevano in quei posti anche per dieci giorni, dormendo su stuoie di bambu e lavorando alla luce di un lume a petrolio nell’acqua sempre a 6 “C; dopo un po’ Giovanni e Riccardo arrivarono e i due furono alquanto incuriositi dalla cordella metrica usata per il rilievo; ci sistemammo tutti nella nicchia bevendo thé e grappa di riso, scambiandoci cibo e sigarette; l’atmosfera era gaia e distesa, capimmo che mancavano meno di 2 km all’uscita, tutti in galleria e tutti senza difficoltà di sorta. Giunse poi l’ora di accomiatarsi e cosi loro andarono a dormire mentre noi riprendemmo il cammino rilevando in gallerie sempre più ampie e trovando altri insediamenti umani a testimonianza di una intensa attività estrattiva. C’era un’altra luce accesa ma il proprietario dormiva per cui non lo svegliammo ma continuammo giungendo al sifone che nel ’94 aveva bloccato I’esplorazione dei nostri predecessori, poichè in quell’occasione la grotta era in piena!
Il bypass era costituito da un salto tra le concrezioni che si superava con una rudimentale scala di bambu. Oltre Giovanni individuò il punto del rilievo dell’anno precedente per cui la nostra fatica topografica era finita! Proseguimmo quindi per ancora 700 m sempre in belle gallerie fino ad uscire tra le risaie illuminate dalla luna piena in una notte decisamente fredda, troppo fredda per noi completamente bagnati, cosi decidemmo di andare a fumare la “rituale” sigaretta di “fine lavori” all’interno, in una nicchia, riparati dall’aria insistente. Questa, scoprimmo, invertiva il suo flusso nella fase giorno/notte, ovvero l’ingresso alto di giorno espirava, mentre di notte inspirava, cosi, al ritorno, con la corrente gelida alle spalle fu un piacevole delirio fotografare. Ormai era fatta e impressionammo rullini su rullini in quelle gallerie cosi faticosamente guadagnate; non c’era più fretta e così uscimmo il mattino seguente godendoci l’alba, anch’essa fredda, lasciando i minatori al loro sonno meritato e le corde sui traversi a chi avrebbe avuto voglia di disarmarle …

 DATI ESSENZIALI

Le esplorazioni si sono svolte nei giorni 3-4-5-6/1/ 96. Il traforo ha circa 2000 m di sviluppo ed un dislivello di circa 110 m. La quota d’ingresso è 740 metri slm. L’inghiottitoio d’entrata si sviluppa nei calcescisti neri a striature bianche poi, con il cambio litologico, entrando nei calcari, la morfologia cambia e la cavità si trasforma in una serie di gallerie concrezionate in qualche punto fino ad uscire nella risorgiva di Nguyen Binh.
                                                                     Paolo Pezzolato e Elisabetta Stenner