1994 – Uzbekistan

 

ESPLORAZIONI A BOY BULOK

(Foto P. Pezzolato)

Pubblicato sul n. 32 di PROGRESSIONE – Anno 1995

 INTRODUZIONE

Nell’agosto 1994, assieme a Tono de Vivo, ho partecipato ad una spedizione organizzata dal Gruppo Grotte di Ekaterinenburg (ex Sverdlovsk) avente lo scopo di proseguire le esplorazioni a Boy Bulok, soprattutto risalendo verso regioni sempre più remote, verso un possibile ingresso alto, gia individuato I’anno precedente (ma alquanto stretto e franoso).
Mechta, questo e il nome di questa cavità, si apre a 3425 metri slm, sull’orlo dell’altopiano di Chul Bair, mentre I’ingresso di Boy Bulok, unica via per giungere al fondo del sistema 1158 metri più in basso, si apre invece a 2700 metri slm.
Per la sua morfologia Boy Bulok e una grotta molto dura, impostata su un unico meandro attivo che scende lentamente intervallato da pochissimi pozzi e da un “invitante” tratto allagato dove si striscia in un’esigua porzione d’aria per giungere, dopo giorni di progressione, al fondo. Così si presentò la grotta agli esploratori italiani che nel 1989 parteciparono alla spedizione ‘Samarcanda 89″, organizzata dagli speleo russi di Sverdlovsk e dall’associazione ‘La Venta”.

 LE ESPLORAZIONI PRECEDENTI

Negli anni successivi i russi e gli inglesi, e poi solo i russi, molto determinati e stoici, continuarono le esplorazioni individuando un ramo parallelo a quello che porta al fondo, ma con dimensioni più ‘umane” e buone prospettive di individuare un antico livello freatico più alto di quello attivo che conduce al fondo.
II nuovo ramo proseguiva sia in discesa che in salita, dove delle impegnative risalite avevano portato il dislivello del sistema a 1415 metri (-1158 +257), entrando in una regione piuttosto remota dell’altopiano, dove tuttora I’ingresso del Boy Bulok costituisce I’unica porta d’accesso che conduce al sistema sotterraneo che comunque interessa un’area ridotta rispetto alla superficie totale dell’area carsica di Chul Bair.

 LA SPEDlZlONE 1994

Lo scopo della spedizione 1994 era dunque quello di continuare I’esplorazione del nuovo ramo e individuare degli ingressi alti sul bordo dell’altopiano di Chul Bair, presentando lo stesso delle interessanti somiglianze morfologiche con Baisun Tau, dove già nel 1991 furono individuate delle cavità molto promettenti.
Partimmo così il 24 luglio per Mosca, città piuttosto trasformata rispetto agli anni passati, spogliata del suo grigiore postcomunista per essere rivestita dal caos del consumismo occidentale più sfrenato e deviante: I’agonia del ‘Grande Orso” o solo il suo nuovo travestimento.
Ottenuti i visti per I’Uzbekistan, partimmo per Tashkent, sua capitale, dove – dopo un volo notturno dalle forti emozioni offerteci dalla tecnologia d’avanguardia dell’Aereoflot fummo accolti dai nostri compagni di spedizione.
Si inizio così a “gustare” il torrido clima uzbeko, stipati in 15  in un miniappartamento dove si doveva – con 30°C e passa all’ombra – preparare e organizzare l’enorme quantità di materiale e alimenti, rigorosamente made in CSI. Poi partimmo alla volta di Shahrisabs, viaggiando di notte in autobus per non patire il caldo; qui attendemmo I’arrivo dell’elicottero, un vetusto e sgangherato MIL8, simile più a un cetriolone arrugginito che non ad una macchina volante in grado di portare noi 15 più le nostre povere cose oltre i 4000 metri di altezza e depositarci, oltrepassato il Baisun Tau, su uno spiazzo sabbioso a poche decine di metri dal campo base.
Inutile descrivere il campo ed i costumi di vita degli speleo russi, a noi gia noti; con un piccolo particolare: questa volta eravamo anche noi ‘russi”, integrati perfettamente nei loro stranissimi ritmi di vita (all’esterno come all’interno della grotta). Ne è valsa la pena, in tutti i sensi, anche se il comfort ovviamente ne risentiva molto; ma faceva parte del gioco ed era essenziale per comprendere grotta e grottisti. Un gioco psicologico dunque con delle regole ben precise da rispettare, anche perchè Boy Bulok e una grotta particolare, che va affrontata e percorsa con animo sereno, mai di corsa, facendosi trasportare curva dopo curva, dimenticando come sono fatti i nostri abissi, i pozzi da scendere, le corde che ogni volta ci portiamo appresso.
Le righe che seguono sono tratte dal diario scritto in grotta, quasi in diretta, senza modificare il testo perchè ritengo sia giusto, se si vuole trasmettere qualcosa senza tanti narcisismi lessico grammaticali, trascrivere immutate le sensazioni percepite laggiù.

 2 AGOSTO Ore 10.00.

Entro con Tono e tre sacchi, a metà del meandro in salita incontriamo i quattro della squadra di -560. Sosta in una saletta, sigaretta, poi ci raggiunge Andrej con un sacco e I’intenzione di attendere i due Victor, un po’ attardati nei preparativi dei loro sacchi.
Andiamo così avanti per poi scendere il P. 27, dove attenderemo per più di un’ora i due soci; fa molto freddo, per scaldarci siamo costretti a camminare in tondo e nonostante I’idrocostume non sudiamo affatto. verso le 14.30 arrivano, scarburiamo e poi giù nel nuovo ramo: P. 25 frazionato da dementi, poi strettoie in discesa con fango: ma dove saranno le ‘Big Gallery” tanto decantate da Andrej? Avanti bestemmiando, altro P. 25, altro meandro un po’ più largo e finalmente il P. 45, forte stillicidio, armo dubbio.
Alla base intersechiamo il nuovo ramo, che noi percorreremo in salita; e fortemente attivo, ma delle gallerie neanche I’ombra. Avanti con molti passaggi in roccia, strettoie e due antipatici saliscendi nel fango, poi finalmente una galleria, pure attiva. Ci fermiamo ad un vecchio campo, sotto una serie di tre pozzi da risalire.
Ore 22.30. Decidiamo. stanchissimi. di bivaccare nonostante le proteste dei russi e la loro promessa (falsa) che il prossimo campo e a sole due ore. Leviamo la tuta e I’idrocostume; freddo ai piedi e alle mani, stendiamo dei teli nel fango, cuciniamo, poi a dormire, stravolti.

3 AGOSTO Sveglia verso le 12.00.

Mi alzo e preparo la colazione, verso le 16.00 abbandoniamo il campo e saliamo i tre pozzi, poi si prosegue in un bel meandro molto acquatico, con numerosi salti in roccia sui tre quattro metri. Dopo due ore arriviamo al P. 6, forte stillicidio, scarburiamo. Oltre un meandro con acqua sotto e concrezioni in alto, dove noi camminiamo comodamente. Poi si restringe con numerosi passaggi nel fango. Aria sino al bivio con sifone, poi calma e poca acqua nel ramo di sinistra, dove continuiamo.
Avanti ci attendono delle schifose strettoie, in un micidiale fango plastico e dei saltini armati con corde gia in loco, avanti costretti a fare parecchi passamano, oltre una sala, si arrampica per dieci metri, poi con una corda recuperiamo i sacchi e finalmente siamo al campo. Ore 22.00. Bisogna darsi da fare: si tendono i teli, Victor cucina mentre sistemo ancoraggi per le amache. Verso le 4.00 andiamo a dormire, scomodamente perchè le amache sono strettissime.

4 AGOSTO

 Non sono riuscito a dormire, mi alzo verso le 10.00, poi riprovo a dormire, freddo ai piedi; verso le 14.00 ci svegliamo per mangiare. II trapano è inutile perchè gli ambienti sono piccoli e la corrente d’aria quasi assente. Gli altri tre vanno a vedere la strettoia da minare mentre io rimango al campo, mi fa male la spalla sinistra, meglio riposare in vista del lungo recupero. Le sensazioni in questa grotta, qui al campo, sono strane, ci vuole calma e disciplina per vincere il freddo e la fatica.
C’è poi il problema della lingua, incomprensione reciproca, ci capiamo a gesti o a mezze frasi in inglese. Loro sono cordiali e simpatici, peccato che non ci siano le gallerie e che ci muoviamo in un terreno difficile e sconosciuto. Staremo a vedere al ritorno, ora è importante il feeling con Tono.
Ore 19.00. Sono di ritorno e a gran voce invocano un olà nella strettoia e nelle concrezioni per due metri, oltre si sente lo scorrere dell’acqua. Aria poca. speriamo bene. Preparo la merenda a base di noci, miele, biscotti e cioccolata e sigarette in quantità.
Verso le 22.00 ripartono. lasciandomi solo con il buio, il silenzio e le gocce di stillicidio che cadono sui teli. Nonostante la fatica e il freddo sono contento. un’esperienza anche questa e va bene cosi; magari dopo aver riflettuto un attimo, dopo aver fatto sbollire I’incazzatura per il fango e le strettoie non previste.
I due Victor sono dei ragazzi in gamba e nonostante gli scazzi e le incomprensioni ci si diverte, il più piccolo dei due e una Vera forza della natura: attento, pratico, parsimonioso e pieno d’inventiva. Con un po’ di più tecnica in corda e in arrampicata sarebbe veramente super.
Boy Bulok non e solo una grotta ma anche ferrea disciplina, calma interiore e riflessione. Guai lasciarsi andare perchè e dura, molto dura; e tutta un meandro, ogni tanto un pozzo. Fa freddo, molto freddo, devi stare sempre con I’idrocostume, mani e piedi patiscono, devi stare attento a non strapparti la tuta e soprattutto a non farti male. Qui o esci da solo o ci rimani!
Devi esplorare in zone remote in un pianeta sotterraneo tra i più ostili finora conosciuti, ma affascina: affascina I’esplorazione, la ricerca del passaggio e la continuazione, sempre più giù o su a seconda dei ramo, sempre stretto comunque.
Ammirevoli i russi con i lori mezzi e le loro tecniche quasi primordiali. Sono dei duri e basta! Ritornano ogni anno ad aggiungere un nuovo tassello a questo labirinto meandriforme pagando con freddo e fatica la gioia d’esplorare, d’andare avanti, per fuggire una realtà ancora restia a dar loro un po’ di benessere. Ma anche questo è un esempio lampante di come gli uomini, certi uomini, vogliono esser liberi e felici in un mondo tutto da scoprire; da assaporare pero quando hai percorso I’ultimo metro di budello fangoso per rivedere il sole e bearti del suo calore.
Un botto impreciso scuote la tenda del campo: sono iniziate “le danze” dunque, escono veloci perchè c’e troppo gas. Ceniamo e poi a dormire.

  5 AGOSTO Sveglia verso le 12.00

fa sempre freddo, piscio scomodamente in una busta di minestra, non c’è spazio per muoversi sul terrazzino dove abbiamo allestito il campo. Lentamente, molto lentamente ci alziamo tutti; si fa da mangiare, si riempiono i sacchi.
lmpazienza atroce, verso le 18.30 pare sia tutto pronto, I’ennesimo pasto cucinato da Victor poi la vestizione dell’ idrocostume bagnato e della tuta fradicia di fango colloso. Alle 20.30 caliamo i sacchi dal campo, poi si va a vedere la strettoia, I’acre odore della mina e ancora presente, fanno male le tempie, manca I’aria, non si e fatto granchè, bisognerà tornare ma I’aria e pochissima ed ora irrespirabile.
Ore 21.00. Si riparte in quattro con sei sacchi, scendendo abbastanza velocemente e alle 23.30 siamo già all’altro campo; sosta per il te.

6 AGOSTO Verso le 11.00

ripartiamo, io e Tono davanti poi i due Victor; con tre sacchi in due andiamo veloci e verso le 4.00 siamo sotto il P. 45, ci mettiamo i bloccanti e via. Non siamo più stanchi e la grotta così ci appare più larga e più bella; dopo circa un’ora siamo tutti sopra il P. 25 ove scarburiamo. Proseguiamo verso I’antipatica zona di strettoie fangose, arrivando al P. 30 dove non ci fermiamo, su verso il caldo del giorno.
Ore 5.00, siamo sotto il P. 27 (o di Mustafa), manca poco ormai, acqua ie carburo e via. Pozzo, meandro, risalita, poi un altro meandro, I’ultimo in discesa, non sembra vero! Veloci, veloci, i numeri delle battute del rilievo (posizionate con dei cartoncini numerati) scorrono mentre aumentano gli strappi sulle tute. Passano i numeri come quelli della tombola, ora siamo tranquilli, chiacchierando come durante una passeggiata, passandoci i sacchi, sapendo che manca veramente poco. intravediamo il fango d’uscita, ci siamo.
Ore 8.30 luce. caldo e una tazza di tè. finita! I piedi sono freddi, dolenti, percorsi da continui formicolii; i talloni sono insensibili, ora a malapena riesco a camminare verso la tenda per dormire.

CONCLUSIONI

L’altopiano di Chul Bair, quando lo percorri in cresta, manifesta tutta la sua desolata e monotona intensità: 30 e passa km che si perdono nell’orizzonte del torrido mattino mentre nella foschia del fondovalle si pub intuire dov’e I’Afganistan.
Boy Bulok e I’unica grotta conosciuta su questa porzione di pianeta ma e impossibile che sia I’unica; la forra dove c’e I’entrata è già un segnale. Difatti ogni valle laterale dell’altopiano (ce ne sono una decina) e costituita da una forra con evidenti analogie morfologiche. Nessuno dei nostri aveva mai intrapreso una battuta di zona! Chul Bair presenta in scala un po’ ridotta I’andamento dell’imponente struttura di Baisun Tau: la stessa cresta pazzesca e la stessa parete vertiginosa, anche qui ci sono le grotte in parete, come dall’altra parte; non abbiamo trovato un’altra Ulug Beg, ma ci siamo calati ugualmente per più di 60 metri, scendendo una parete incredibilmente marcia e giungendo davanti ad un ingresso che beffardo chiudeva subito la porta della montagna.
Non avevamo più tempo, dovevamo ritornare a casa, lasciando qualcosa di cosmicamente enorme, un universo sotterraneo da lasciare ad un’altra speleologia, dotata di altri mezzi e di altra mentalità. Gli speleologi russi sono ancora molto arretrati come metodologie di ricerca esterna, non conoscono le prospezioni invernali; per ora si stanno dannando l’anima nel dedalo di meandri di Boy Bulok; forse in futuro cambieranno mentalità e metodi, oppure passeranno dieci anni a rincorrere I’aria a Mechta, violentando strettoia dopo strettoia, inseguendo il miraggio di un record mondiale piuttosto probabile, quasi 2000 metri di dislivelio da fare percorrendo un unico meandro, dall’inizio alla fine.
Punizione biblica o un girone dell’inferno dantesco, ma a loro non importa, il loro sguardo semplice vola oltre questo orizzonte, mentre il sole compie un altro semicerchio nella volta celeste che sovrasta Baisun Tau, enorme meridiana arenata in questo deserto dove solo il vento o I’aquila riescono a rompere il silenzio che tutto avvolge.
Se vuoi andare laggiù, ad esplorare o solamente a percorrere quei posti, abbandona a casa i tuoi schemi e la tua retorica; solo cosi forse capirai e gusterai gli aridi altipiani desertici del Pamir. Forse capirai che sei solo un granello di sabbia in una clessidra, corri, corri, per andare dove? Vuoi esplorare tutto ma sei pazzo, esplora prima te stesso, e solo dopo sarai capace di utilizzare gli occhi fermando lo sguardo perso nell’infinito. Lasciandoti sorpassare da chi corre ansimando inseguito dalla propria ombra.
                                                                                                 Paolo Pezzolato
Hanno partecipato al Gulag Boy Bulok 1994: Chebikin Jgor, Kalachov Volodio, Soip Pavel, Mamontov Volodia, Sapozhnikov Georgy, Afonasiev Victor, Karpov Andrey, Kamenev Valery, Bogatov Victor, Vishnevskiy Alexander (Ekaterinburg. C.S.I.), Dupuy Jerome (Parigi, Francia), De Vivo Tono (Padova, ltalia) e Pezzolato Paolo (Trieste, ltalia)