1995 – Insuyu Magarasi

 

INSUYU MAGARASI (BURDUR – TURCHIA MERIDIONALE)

Pubblicato sul n. 32 di Progressione – Anno 1995
Nel settembre 1994, durante una vacan­za balneare con mia figlia Erica sulla costa di Antalya, ho dedicato una giornata alla visita di una delle più note grotte della zona, che, dalle citazioni della bibliografia speleo-turistica e biospeleologica consultata prima della partenza, sembrava meritevole di un’escursione.
La cavità, che si trova circa 12 chilome­tri a SE di Burdur (capoluogo del vilayet omonimo), è la Insuyu Magarasi, importan­te stazione di fauna ipogea, conosciuta anche dai non addetti ai lavori in quanto resa accessibile al pubblico alla fine degli anni ’60, per la vastità e l’interesse degli ambienti ipogei e la felice posizione del luogo: l’ingresso dista appena un chilome­tro (di buona strada asfaltata!) dalla strada nazionale n. 650, percorsa giornalmente da decine di pullman di turisti che dal litorale effettuano escursioni nelle più note località dell’ interno (Pammukale, Hierapolis, Aphro-disias, ecc).
Si tratta di una risorgiva suborizzontale, costituita da un reticolo di gallerie e caver­ne, che sbocca al margine orientale di una grande depressione carsica alla quota di m 1150 s.l.m. (rilevata con altimetro elettroni­co tarato al vicino passo di Celtikci Gecidi, m 1225: i dati in bibliografia riportano per la grotta una quota di 100 metri superiore).
Buona parte dei vani, che presentano uno sviluppo di circa 600 metri, è percorsa da un torrente che forma una serie di baci­ni, il maggiore dei quali corrisponde al lago-sifone terminale, lungo 100 metri, largo al massimo 45 e avente una notevole profon­dità. L’ingresso naturale, dal quale fuorie­scono le acque del torrente, presenta vani piuttosto angusti; per tale motivo, e per rendere accessibile la grotta anche in caso di intensa attività idrica, è stato aperto un ingresso superiore, rappresentato da un breve tunnel artificiale che conduce diretta­mente alle parti superiori (asciutte) dei vani interni.
Il percorso turistico, illuminato elettricamente, attraversa tutta la grotta in un alter­narsi di vani fossili e tratti di lago o torren­te, con sentieri e ponticelli che si manten­gono a quota “di sicurezza” nei confronti delle acque. Nei periodi di magra estiva l’at­tività idrica cessa ed il livello dell’acqua nei laghi si abbassa di parecchi metri determi­nando in pratica la loro scomparsa, ecce-zion fatta per il sifone finale.
Le strutture ricettive esterne sono costi­tuite da un ampio parcheggio – con una grande vasca-fontana in cui vengono con­vogliate le acque che sboccano dall’ingres­so naturale – e da un rustico posto di risto­ro (con servizi igienici) che offre spuntini a base di semplici pietanze turche che ven­gono cucinate all’aperto, oltre a gelati e bibite occidentali, nonché alcune bancarel­le di articoli di artigianato locale e frutta secca.
Per entrare nella grotta si paga un modesto importo alla biglietteria posta al­l’ingresso (10.000 lire turche, pari a circa 500 lire italiane a persona) e la visita si svolge liberamente, senza guide, né limiti di tempo per la permanenza sottoterra (dove data la differenza di temperatura con l’ester­no, si gode un bel fresco!), né divieti di riprese foto o video, con la sola proibizione di fumare.
Dal punto di vista biospeleologico (ave­vo con me tutta I’ attrezzatura e – con gran­de gioia di mia figlia – l’ho usata per ben tre ore!) la situazione è molto cambiata – ov­viamente in peggio – dai tempi delle ricer­che dei colleghi del Circolo Speleologico Romano (fine anni ’60 – inizio anni 70), so­prattutto per la cementificazione del fondo delle gallerie ed un discreto livello di inqui­namento operato dai turisti, che non si nota tanto lungo i sentieri – che evidentemente vengono puliti – quanto nei rami laterali.
Una divagazione, a questo proposito, merita l’acqua della grotta, alla quale i lo­cali attribuiscono particolari qualità terapeu-tiche e che pertanto viene raccolta dai visi­tatori turchi impiegando contenitori di natura, foggia e volume quanto mai vari e, nei periodi di magra, con un certo rischio e non poche peripezie dato il dislivello fra il sentiero e la superficie del sifone terminale.
Personalmente dubito delle asserite porten­tose qualità di queste acque carsiche, che non mi sognerei mai di bere (almeno in periodo di magra) avendone verificato con attenzione l’aspetto mentre effettuavo le retinate planctoniche. Mi riferisco a mate­riale vario osservato in acqua e presso le sponde del lago: stracci, resti di spuntini e relativi involti, pezzi di legno, residui filac­ciosi di origine indefinibile ed addirittura escrementi umani (questi ultimi – per la verità rari – sui sassi appena sopra il pelo dell’acqua).
Le conseguenze per la salute pubblica non dovrebbero tuttavia essere gravi, dato che il tutto è presente in quantità limitata (se riferita alle decine di migliaia di metri cubi d’acqua del bacino) e gli inquinanti non sono soggetti ad accumulo per lunghi peri­odi, essendo anzi destinati ad essere espulsi con la ripresa dell’attività idrica.
Un tipo particolare di inquinamento è poi quello delle monetine, che vengono lancia­te nel lago, com’è uso ormai comune in tutti i luoghi turistici dove esiste uno spec­chio d’acqua, in stile “Fontana di Trevi”. Il problema è che qui i soldi – che andrebbero recuperati dal personale della grotta duran­te le magre estive – non vengono raccolti da nessuno, dato l’elevatissimo tasso di inflazione della lira turca (oltre il 150 % nel 1994), che rende antieconomica l’operazio­ne già poco tempo dopo i “lanci”.
Chi si sognerebbe infatti di spendere un’ora per raccogliere un chiletto di spiccioli, che nel migliore dei casi sarebbero appena suffi­cienti a comperare un gelato al chiosco all’entrata della grotta? E così i soldini, un po’ rugginosi, restano nella cavità a testi­moniare quali impensabili relazioni possa­no intercorrere fra l’andamento dell’econo­mia di una nazione e la compromissione dell’ambiente sotterraneo.
Le tre ore di ricerche faunistiche mi hanno consentito di ritrovare buona parte delle specie già note per la grotta, purtrop­po in pochissimi esemplari, oltre a qualche reperto originale di un certo interesse. Si tratta di Crostacei Ciclopoidi (Diacyclops paolae Pesce et Galassi – det. Stoch; gli esemplari, raccolti nel lago-sifone, rappre­sentano i primi reperti della specie in Tur­chia), Isopodi (una specie cieca), Ragni (Ca-taleptoneta sbordonii (Brignoli) e Diplocephalus turcicus Brignoli, entrambi descritti di questa grotta, oltre a Lepthyphan-tes leprosus (Ohlert), L cf. tenuis (Blackwall) e Tegenaria sp.- det. Gasparo), Collemboli (una specie), Coleotteri Carabidi (alcuni Trechini all’ingresso naturale ed uno Sfo-drino nella parte interna) e Batiscini (Coif-faitiola rudis Jeannel, adulti e larve topoti­pici – det. Gasparo).
Poiché – da quanto ho potuto constata­re – il rilievo della cavità non è mai stato pubblicato, approfitto dell’occasione per ri­portare la planimetria della grotta, ricavata da una fotografia della mappa in scala 1:125 disegnata sulla parete sinistra della trincea che porta all’ingresso turistico.
Fulvio Gasparo