INSEGUENDO BASSABURUKU
Pubblicato sul n. 31 di PROGRESIONE – Anno 1994
Mi ricordo quella mattina fredda e bagnata: ero assieme a Gigi ed altri alla ricerca della Grotta Martino in quel Carso oltre confine. Orientati da un istinto antico la trovammo, o almeno pensavamo fosse quella. Una volta entrati cominciammo a percorrere magnifiche gallerie, sale dalle dimensioni notevoli, pero l’incantesimo venne rotto dai miei soliti discorsi di abissi profondi. esplorazioni storiche, ecc …
Fu cosi che parlammo in quell’occasione di organizzare un giro in qualche abisso lontano, magari la traversata della Pierre St. Martin, ripercorrendo la storia della speleologia mondiale. Avevo letto un sacco di storie su quel Norbert Casteret, sulle sue sfide continue a tu per tu con il pozzo “Lepineux”; doveva essere una grotta incredibile … (il rumore delle cascate della sala della Verna, il Gran Canyon, insomma tutto quello che i Pirenei potevano esprimere proiettandoci in un’altra dimensione).
Nell’agosto 1994, dopo ben 22 ore di viaggio, giùngemmo allo Chalet du Bracas, punto in cui avevamo deciso di stabilire il nostro campo. L’indomani seduti attorno al caffè che brontolava formammo un quartetto volonteroso che doveva percorrere a ritroso quel tratto di grotta dal tunnel artificiale (l’uscita), al tunnel del vento, punto questo che collega la grotta dall’attivo al fossile, rendendo cosi più sicura la traversata.
Tutto filò liscio; ci eravamo resi conto che la “Pierre” era semplicemente spettacolare. Gallerie cosi grandi non le avevo viste mai, la volta quasi sempre invisibile, sembrava di salire una montagna immersi in una notte senza stelle.
Dopo una giornata di giusto riposo variammo la formazione d’attacco, prearmando la “Tete Sauvage”, ingresso intermedio del sistema, sorretto da una costruzione in legno dalla forma bizzarra, utilizzato per le esplorazioni invernali. Era tutto pronto, ma un problema grave fece slittare la partenza a 35 ore più tardi: uno spagnolo, appartenente al Gruppo di Alcoy, era scivolato nel gran Canyon, producendosi numerose contusioni. Per fortuna il Soccorso francese fu rapido ed efficace.
TRAVERSATA TETE SAUVAGE – VERNA
Apro gli occhi, svegliato dall’abitudinale campanone da mucca che tranquillamente pascola a fianco della tenda. Maci e Louis hanno già abbandonato il loro giaciglio; uno sguardo all’orologio: e venerdì e sono già le 10, ora di alzarsi. Stranamente il cielo è limpido, di un azzurro molto intenso che fa sperare in una giornata più fortunata delle precedenti. Saluto Paola, la quale immancabilmente mi invita al solito tè. Lo accetto ben volentieri assieme a Calvario, Diadora e Aldo, anche loro da poco svegli, chiaccherando come al solito sulle possibilità di poter finalmente entrare in grotta. “Ooplop … preparate gli zaini, la Pierre è libera: si entra!” La voce di Maci ci arriva inaspettata tra un biscotto e un caffè e ben presto, di ritorno dalla capanna dell’Arsip dopo aver parlato con il responsabile assieme a Louis; ci spiega che il recupero dello sfortunato spagnolo è finito e che per noi è arrivato il momento tanto aspettato.
In poche decine di minuti siamo pronti per lasciare il campo, e in macchina ci dirigiamo verso le piste da sci dove Louis sale per uno sterrato in macchina e noi ovviamente andiamo a piedi onde evitare lesioni irreparabili del mezzo. Dopo mezz’ora di avvicinamento siamo all’ingresso della “Tete Sauvage”: qualche foto ricordo e poi via in due piccoli gruppetti.
Entriamo Aldo ed io, facendo foto assieme a Paola e Calvario che ci superano per armare ancora le due ultime verticali; seguono a breve distanza Louis e Maci. I pozzi si susseguono veloci: il P.20. P.45, P.46. saltini, il P.30, altri saltini e siamo sul P.90 (da armare). Una sigaretta e via. Alla base di quest’ultimo un grido si impone: “.. la gavemo … in povton!”
Impossibile, la relazione ci dice “passaggio basso”, ma non menziona l’acqua. Sfiga, un passaggio semi sifonante ci obbliga ad indossare le “pontonniere” ben prima del previsto, e con qualche peripezia per non inumidirci le reni andiamo avanti. P.6. P.8 e finalmente “The River”. Sala Cosyns si apre ai nostri occhi con qualche scritta storica e I’immancabile rumore in lontananza di Bassaburuki.
Maci ed io ci guardiamo: quante volte abbiamo insieme sognato questo momento, ironicamente mitizzato ed invidiato; ora ci siamo dentro pronti per vivere la realtà di quel sogno. Gallerie fossili, frane e salette si susseguono velocemente e noi procediamo ansiosi di arrivare alle zone acquatiche. Ed infatti, dopo aver superato la stupenda “Sala Monique” ci ritroviamo su di una fessura discendente di sei metri che ci immette nella prima vasca degna delle tute in lattice. Marmitte, arrampicate, una piccola sosta: “ok, ora attacca il Gran Canyon !” Descrivere il Gran Canyon è come riportare il sogno della maggior parte di noi, Grottisti e speleologi.
Alla vista di un canyon largo dai 2 ai 5 metri, alto chissà quanto, dalle pareti tutte levigate ed addolcite dal fiume che scorre calmo e tranquillo, ci sciogliamo come dei bambini davanti ad un grande gelato di cioccolato e panna. L’euforia e al massimo e le macchine fotografiche a pieno ritmo; divertimento ed entusiasmo si mescolano in me permettendomi di assaporare il gusto ed il piacere di essere in grotta. Ma anche il G. C, dopo i suoi 2.6 km di sviluppo, ci abbandona e dopo la Galleria delle Marmitte, la Gran Cornice. il Pozzo Hidalga con il suo by-pass, la Galleria Principe di Viana ed ormai nove ore di progressione, una forte corrente d’aria in una galleria allagata ci ricorda che le zone acquatiche stanno per finire e che le pontonniere non serviranno più: siamo al Tunnel del Vento.
La squadra d’assalto si compone di due apri-pista (Paola e Calvario) in acqua, il potente mezzo da sbarco (Victoria nobis vita) con Maci a prua, tutti i sacchi sottocoperta ed io a poppa anche se più in acqua che a bordo, ed infine a chiudere la colonna Aldo e Louis scattando qualche foto che ovviamente non riusciranno come previsto. Dieci minuti di vento gelido e di iperdivertimento e siamo sull’altra sponda per cambiarci all’asciutto; qualche te, un paio di buste Saleva e qualche cilindretto balsamico. La progressione continua ormai uguale seguendo i nastri bianchi e rossi del sentiero che ci conduce attraverso gallerie e saloni sempre più grandi e sempre più vicini alla Verna. Ma che cos’è La Verna?
Mi ci ritrovo immerso dopo 14 ore di attraversata ed a tre minuti dall’esterno, a meditare appoggiato alla passerella costruita su di un pulpito, ascoltando attonito il rumore dell’acqua ottanta metri più in basso. Il buio è assoluto come assoluta e la sensazione di impotenza nei confronti della natura, che mi rende piccolo e insignificante speleo, mentre il mio sguardo spazia in quella immensa caverna (la seconda nel mondo) e la mia vista si intreccia con il sogno.
Dietro front, è ora di uscire! Settecento metri di tunnel artificiale e un cielo impudentemente stellato ci accoglie all’esterno, signore indiscusso di una calda serata d’agosto sui Pirenei atlantici (y las estrellas estan a mirar…).
Hanno partecipato alla spedizione, (in ordine di apparizione): LOUIS Torelli, Aldo Fedel, Massimo Hrvatin, Paola Santinelli (GSM), Diadora Bussani (logistica), e gli scriventi
Massimiliano Fabi, Massimiliano Palmieri