Campo Basilicata 90

 

CAMPO BASILICATA ’90

Pubblicato sul n. 24 di PROGRESSIONE – Anno 1990

Dopo la riunione del Catasto Nazionale svoltasi a Bologna il 25 febbraio 1989 ebbi modo di visionare l’opuscolo, gentilmente donatoci, sulle grotte della Basilicata.
Non so perchè ma capii subito che prima o dopo avrei visitato quelle cavità.
Passò il tempo, ma non la voglia di fare una puntatina in terra lucana, e noi della Scuola di Speleologia C. Finocchiaro” pen­sammo di organizzare alla fine del Corso di Introduzione alla Speleologia, un campo speleologico in meridione, aperto agli allievi dello stesso.
Sulla base della mia conoscenza di Carmine Marotta, speleologo di Trecchina e Responsabile del Catasto della Basilicata, il gruppo dei partecipanti alla campagna speleologica mi affidò l’ingrato compito di organizzare la spedizione BASILICATA ’90.
Dopo alcune riunioni preliminari, in cui si preparono il programma ed i materiali, si giunse rapidamente alla fatidica data del 22 giugno 1990, giorno della partenza.
L’appuntamento fu fissato alle ore 11 del 23 giugno davanti al Municipio di Trecchina (PZ). Un po’ prima dell’ora concordata, tutti i componenti la spedizione si trovarono nel luogo stabilito, ed allora iniziarono i contatti con gli speleo locali.
Dopo una lunga discussione tra di noi, decidemmo di dividerci in due gruppi: il primo composto da Guidi, Bone e Martincich andò subito a battere zona sul M.te Raparo men­tre il secondo gruppo, formato da 13 perso­ne, effettuò una serie di visite ad alcune grotte già note e nelle quali si presumeva potessero esserci delle prosecuzioni. Il grup­po più consistente si diresse quindi a Villa d’Agri, base logistica per i primi giorni, dove ci incontrammo con il prof. Perilli – presidente del Gruppo Speleologico Lucano -che ci offri la sua disponibilità e quella del suo Gruppo, ad ospitarci e a condurci nelle grotte che a noi interessavano.
Il primo giorno lo passammo ad allestire il campo, riadattando una parte della casa messaci gentilmente a disposizione.
Giunse finalmente la domenica e la prima grotta. Accompagnati da Ivo (speleo di Villa d’Agri) giungemmo all’imboccatura del­la Grotta di Castel di Lepre B 38.
Alcuni di noi pensarono di dare un’oc­chiata all’attiguo Inghiottitolo di Castel di Lepre B 39, per verificare la possibilità di congiunzione con l’altra grotta più nota. Pur­troppo dopo un’attenta analisi delle fessure finali, ci si rese conto che era impossibile proseguire con i metodi tradizionali, occorrerebbero le maniere forti!
Dopo questa breve capatina tutti gli speleo si ricongiunsero e continuarono assieme la visita alla Grotta di Castel di Lepre trala­sciando l’esplorazione della parte finale a causa della presenza di una notevole quan­tità d’acqua in un passaggio sifonante.
Il gruppetto dei “tre moschettieri” iniziò invece a battere zona sul M.te Raparo. I risultati per il momento erano scarsi.
L’indomani, cioè lunedì, ci recammo, ac­compagnati da Tommaso (speleo di Villa d’Agri), a visitare la Grotta dell’Aquila B 37, che è di breve estensione ma molto ben concrezionata e dove furono effettuate delle riprese cinematografiche e molte foto. Sul fondo una stretta fessura soffiante preclude ogni prosecuzione; arrampicammo nel me­andro e ci alzammo fino ad incontrarne il tetto, anche in questa zona venimmo fermati da una stretta fessura.
Durante il pomeriggio iniziammo a batte­re zona sopra Villa d’Agri; si notarono bei fenomeni carsici, testimonianza di un carsismo semi-coperto, ma di grotte nem­meno l’ombra.
In un enorme polje notammo due inghiottitoi che però risultavano completa­mente intasati da grossi massi e da terra, probabilmente a causa dell’opera di pastori.
Alla sera, via radio, ci sentimmo con Pino & C., che ci comunicava che la zona che stava battendo non aveva nemmeno una grotta e che quando ci saremmo rivisti, avrei dovuto dare loro molte spiegazioni in merito ad alcune mie affermazioni a Trieste, del tipo “Te ga visto su la Rivista del Trekking che fenomeni carsici superficiali!” e poi “Carmine me gà assicurà che el potenziale xe de quasi mille metri e che senz’altro ghe xe grotte”,ecc., ecc…
Martedì si rifecero le “valigie”, dopo aver passato però la mattinata ad analizzare la zona ad Est di Villa d’Agri, che risultò dare indicazioni negative dal punto di vista speleologico.
Nel primo pomeriggio ci dirigemmo in direzione del Mie Armizzone, dove Pino & C. avevano allestito il campo “Alpestre”. Alle 18 ci ritroviamo tutti quanti per scambiare le nostre impressioni su quest’area fino ad ora sconosciuta a noi della Commissione Grot­te.
Mercoledì ci si divise in varie squadre, Jumbo, Linus, Gropo e Nuss batterono il M. Alpi scoprendo e rilevando due piccoli ripari sottoroccia, Edvino, Oliver e Cucciolo si re­carono a Castelsaraceno risalendo il torren­te Nacanallo scoprendo alcune cavità, Pino, Bosco, Roberto e Luca batterono zona sui M.te Armizzone scoprendo e rilevando alcu­ni pozzi e cavernette. Glavu e Roberta effettuarono una lunga ricognizione ai piedi del M.te Alpi, constatando che in quella zona il fenomeno carsico ipogeo risulta essere inesistente.
Alla sera quasi tutti scesero a Castel saraceno per bere alcune birre e per telefonare a casa.
Giovedì Pino, Bosco e Roberto ci lascia­rono e partirono per Trieste svegliando tutti alle 6 del mattino. Sigli!
Verso le 8 tutti, o quasi, avevano g ià fatto colazione, alcuni rimasero al campo a spiantare le tende e a ripulire e due gruppi continuarono le battute di zona. Edvino, Cuc­ciolo e Oliver si inerpicarono sulle pendici orientali del Mie Armizzone e Jumbo, Linus, Gropo ed il sottoscritto si recarono a rilevare una grotta alle pendici del M.te Rapar°.
Nel primo pomeriggio si parti alla volta di Trecchina, dove venimmo ospitati, a cura del Comune e per gentile interessamento del Sindaco, all’interno degli impianti sportivi comunali.
Venerdì mattina ci recammo, accompa­gnati da Oreste, speleologo di Trecchina, a cercare la Grotta di Castel Sant’Angelo di Trecchina B 40. Dopo una discussione ci dividemmo in due gruppi: Edvino, Cucciolo e Oliver rimasero a cercare la grotta aiutati da un ottantenne pastore locale; gli altri, dopo lunghe ricerche, dovute a dei ricordi molto vaghi sull’ubicazione dell’ingresso dell’Inghiottitoio di Patricello B 27 da parte della nostra guida, Oreste, lo discesero constatndo che la cavità terminava con un sifone.
Si ritornò al campo a Trecchina e si mangiò. Mancavano all’appello Edvino & C.; molto preoccupati ci dirigemmo verso Granbetonno per cercarli; dopo non lunghe ricerche li trovammo fermi in una trattoria ad assaporare le specialità locali e ad assag­giare i vini tipici. Alla sera con una tempera­tura meno torrida, in sei (Glavu, Roberta, Oliver, Edvino, Jumbo ed il sottoscritto) si
tornò alla base delle pendici del M.te Messi­na per visitare la stupenda Grotta di Castel Sant’Angelo di Trecchina. Dopo aver scatta­to una settantina di foto, Jumbo decise che poteva bastare così e allora si potè prendere la strada dell’uscita e si ritornò al campo, dove Gropo e Linus ci prapararono un ottimo the. Dormimmo non più di due ore poi Carmine ci svegliò e ci condusse a Maratea per indicarci la Grotta del Dragone B 30. Jumbo, Línus, Maurizio, Luca e Cucciolo visitarono la cavità scattando numerose foto, ripromettendosi di ritornare quanto prima per vedere tutta la cavità e per constatare eventuali prosecuzioni in collaborazione con gli speleo locali. Il rimanente del gruppo optò per una corroborante nuotata nelle invitanti acque della baia dell’Acquafredda.
lo ed Edvino pensammo che in realtà si sarebbe potuto dare un’occhiata a tutta la baia per verificare la presenza di grotte ma­rine. Con nostra sorpresa le grotte nuove da esplorare e rilevare c’erano e noi ne rilevam­mo alcune.
Alla sera si ritornò a Trecchina e dopo aver mangiato ci recammo nella piazza del paese a vedere la partita di calcio dell’Italia ai campionati del Mondo.
L’indomani, domenica 10 luglio tutti cari­carono le automobili e ripartirono alla volta di Trieste, con tanti bei ricordi e con la convin­zione che le grotte da qualche parte ci dove­vano pur essere. Speriamo che la prossima volta la fortuna ci assista.
Hanno partecipato alla campagna di ricerche: Bone Natale, De laco Oliver, Di Gaetano Marco, Donaggio Andrea, Gallo Francesco, Glavina Maurizio, Guidi Pino, Martincich Roberto, Nalli Stefano, Nussdorfer Giacomo, Ostoich Riccardo, Soldà Roberta, Stasi Marco, Tognolli Umberto, Vatta Edvino, Vidmar Luca.
                                                                                                 Giacomo Nussdorfer

BASILICATA ’90 …29 GIUGNO

Grotta di Sant’ Angelo di Tracchina (Foto U. Tognolli)

Guidati da Oreste, ci si reca in località Granbetonno dove vogliamo lasciare le auto per procedere verso la Grotta di Castel S. Angelo di Trecchina, che noi non so ancora se per praticità o parche ci p iacè di più abbiamo preferito chiamare “grotta del bri­gante”, a causa di una vecchia storia che racconterò più avanti. Oreste non ha il tempo necessario per guidarci alla grotta, poichè deve recarsi a lavorare, quindi ci dà delle indicazioni (che riteniamo non sufficienti per trovarla a colpo sicuro). Giacomo intanto è andato su indicazione di Oreste da un tale don … che potrà aiutarci a trovare questa grotta che sembra sia introvabile da chi non sia del loco.
Mentre tutti discutono sul da farsi, fermo un ragazzino che stà arrivando in bicicletta. Questi si dice disposto ad accompagnarci ma nel frattempo ritorna il Capospedizione che non ha trovato il don…, più in là una donna ci stà guardando con curiosità-so­spetto. Inutilmente ripeto al Nuss della di­sponibilità del ragazzo, il capo è troppo im­pegnato a spiegare ciò che tutti hanno già capito senza troppe puntualizzazioni e cioè che siamo senza guida. Quando finalmente l’attenzione viene rivolta al giovane indige­no, questi è scomparso. Vedo più in là la sua bici; entro allora nel cortile di quella casa ma una anziana massaia dice che il giovane non vive n e quella bici non sa di chi sia.
Sapremo più avanti il perchè di questo comportamento. Cominciamo a pentirci per non esserci fermati lungo la strada che da Trecchina scende a Parrutta, poichè da li,con un buon binocolo avremmo potuto indi­viduare l’ingresso della cavità che si apre sulle pendici del M. Messina; purtroppo Oreste che guidava la colonna era giunto all’appuntamento con buon ritardo e di con­seguenza aveva una fretta maledetta per i suoi summenzionati impegni di lavoro.
Il sole intanto comincia a farsi sentire; da lì ad un’ora picchierà di brutto. Arrivano nel frattempo due anziani di ritorno da qualche lavoro svolto nelle ore più fresche. Uno dei due tiene in mano una scure e ci comunica che la grotta se non sappiamo dove si trova, possiamo anche arrivarci vicino, ma non la troveremo mai. Lui ci potrebbe portare, ma non se la sente. Noi usiamo rispettare gli anziani, motivo per cui nessuno è scoppiato a ridere all’idea di arrivare vicini ad una grotta con un grande ingresso a galleria e… non trovarla. Il “nonno”, abbiamo pensato, – non ci conosce, altrimenti se sapesse chi siamo non parlerebbe così -. Il sole intanto continua a salire; lancio cosi la proposta di andare alla ricerca del buco in squadra ridot­ta, almeno soffriremo in pochi. Proposta ac­colta. Gli altri andranno a visitare un’altra grotta da qualche altra parte. Afferro il se­condo vecchietto prima che anche lui se ne vada, ma questi ci sa dare solo le indicazioni che già conosciamo; la grotta si trova dietro quell’anticima sulla parete del monte, il se­condo vecchietto però decide di accompa­gnarci per un tratto, per indicarci il sentiero “buono” che loro chiamano “carrera”.
Strada facendo ci comunica che verreb­be volentieri con noi fino alla grotta, ma deve rinunciare a certe fatiche perchè la “macchi­netta” che gli hanno messo per il cuore non gliela consente. Così, dopo aver appreso che potevamo tranquillamente traversare dei terreni privati ed aver avuto altre indicazioni che comunque ripetevano quanto già appre­so (cambiava, ma in meglio, solo il nostro punto di osservazione), Cucciolo, Oliver (al­lievi dell’ultimo corso) ed io salutato e ringra­ziato il “nonno” iniziavamo la marcia di avvi­cinamento portando con noi lo stretto neces­sario in quanto il compito era di individuare la grotta ed in notturna far da guida agli altri. Appuntamento al campo nel tardo pomeriggio.
All’attento lettore non sarà sfuggito il gran numero di volte che ci è stata spiegata l’ubicazione dell’ipogeo, ma bisogna capire che le spiegazioni ci venivano fornite con una fonetica locale di non facile comprensio­ne. Dovevamo perciò usare molto intuito per mettere assieme le varie frasi e ricavarne qualcosa di logico.
L’avvicinamento non è lungo, ma con quel sole è alquanto faticoso. Finalmente attraversiamo una frana che ricopre il sentie­ro e siamo subito sulla sella dietro l’anticima. Lì ci sono dei paletti che assieme a del filo spinato servono a confinare non abbiamo capito che cosa. Esiste comunque un pas­saggio sufficientemente largo da rendere inutile la presenza del filo spinato. Di fronte a noi un bel numero di caproni; alla nostra destra l’anticima; tra questa ed i caproni lo strapiombo; a sinistra in parete e ben visibile un grande ingresso facilmente raggiungibile per facili roccette. I due “gamei” sono entu­siasti a quella vista, abbiamo trovato la “grot­ta del brigante”. Tento inutilmente di smorzare il loro entusiamo giovanile spiegando che se era così facile trovarla, gli indigeni non ci avrebbero messo in guardia su tutte quelle difficoltà. Decidiamo che sarà Oliver l’indomito esploratore che dovrà percorrere la cinquantina di metri che ci separa dall’an­tro per poi riferire mentre il resto della squa­dra (Cucciolo ed io) prenderà fiato. Oliver a tempo di record (ma non poteva impiegarci un po’ di più?) comunica che quella non è la grotta. Deduco dalle spiegazioni che siamo riusciti ad interpretare dai villici che quasi ci siamo ma per arrivarci dobbiamo passare oltre ai caproni. Mi vengono in mente così certe scene che si vedono nei cartoni animati quando Paperino ha da fare con tali animali. Così mentre esprimo i miei pensieri ad alta voce, Cucciolo mi riporta alla realtà ricordan­domi che le decisioni devo prenderle io e qualunque cosa decidessi loro avrebbero eseguito.
Ancora adesso che scrivo questo artico­lo vi dico grazie per la piena fiducia che in quel momento mi avete dato; io però avevo l’impegno verso le vostre famiglie e verso la società di riportarvi indietro senza un graffio, per questo decisi di affrontare con poco onore, ma molto buon senso la via della ritirata (comunque strategica). I caproni in fondo si sentivano padroni del loro territorio e noi per loro eravamo solo degli intrusi. Per fortuna non devono aver pensato a noi come a dei possibili fruitori di quella poca erba vicina al filo spinato, altrimenti non so come sarebbe finita perchè nelle battaglie, anche chi vince riporta dei danni.
Si tornava così a Granbetonno, ma sen­za accettare l’idea della “sconfitta”. Strada facendo, si rafforzava in noi la convinzione che la grotta non era lontana, e visto che la strada seppur faticosa per la calura non è lunghissima si deve poterci arrivare risol­vendo il problema dei caproni. Sono circa le 13 ed in giro non c’è nessuno. Si entra con circospezione in un cortile in quanto nessu­no risponde ai nostri “buongiorno; conpermesso, ecc.” che se non erano pro­prio urlati erano detti con un buon volume di voce. La circospezione o prudente attenzio­ne è dovuta ad un’eventuale presenza di cani, magari sciolti, di quelli del tipo vigliacco che ti si avvicinano di nascosto e poi partono mordendo il polpaccio. Nel cortile, non vi sono cani e sentiamo più in là delle voci. Sono radunati in sereno chiacchierio i due vecchietti, uno dei quali è quello con la scu­re, ed altre persone di famiglia. Chissà, forse parlavano di noi.
Molto cordialmente ci viene offerta della birra fresca e si attacca a parlare della infrut­tuosa mattinata con gran soddisfazione del­l’anziano che ci aveva predetto il fallimento della ricerca. Faccio presente al nonno che il fallimento è maturato a causa dei caproni, in quanto sicuramente eravamo vicini all’in­gresso; e questi insiste che nonostante la vicinanza, non avremmo trovato la grotta. Ad un certo punto, l’inaspettata offerta dell’an­ziano di accompagnarci.
E’ un’offerta da non perdere; quindi dopo esserci riforniti di acqua, riprendiamo a sali­re, ma questa volta da un’altra parte. Ad un certo punto del percorso c’è una sorgente attorno alla quale è stato costruito un riparo-serbatoio e dal quale parte un solido tubo in gomma che scende fino ad un grosso conte­nitore in un terreno privato. Da lì si procede e poco dopo si arriva alla cima del ghiaione, dalla parte dove erano i caproni, che nel frattempo se ne sono andati. Da quel punto, il “nonno”, che nel frattempo abbiamo saputo si chiama Biagio, ci invita a vedere se c’è la grotta, ma questa si nasconde alla nostra vista. Ci indica allora una cengia e lungo quella ci fa da guida. Ci invita inoltre, contra­riamente a tutte le regole alpinistiche, ad aggrapparci alle erbe ed abbiamo così modo di scoprire che lì le erbe hanno le radici particolarmente robuste. Si giunge così alla grotta che a suo tempo era stata protetta con un cancello del quale notiamo i resti. Diamo un’occhiata fin dove possibile e quindi tor­niamo a valle. Ci fermiamo un po’ a chiac­chierare con la nostra guida a casa sua, di fronte ad un buon bicchiere di vino e venia­mo a sapere che Biagio Lippo farà 81 anni il 12 del mese successivo. E’ il caso di dire “complimenti nonno”. Tornati a casa gli man­deremo seppur con ritardo un biglietto di auguri. ormai sono le 17 quando riprendiamo la strada per Trecchina e poichè i due giovani virgulti stanno quasi piangendo per la fame, non sapendo se al campo troveremo qualcu­no, decido che è il caso di farli mangiare qualcosa in località Parrutta; in fondo per tutta la giornata non abbiamo toccato cibo. Mentre stiamo addentando una bella pizza vediamo transitare l’auto del capo con a bordo lui e Chiodo che sono partiti alla nostra ricerca. Messili al corrente della situazione, continuiamo a rifocillarci. Alla sera si riparte per Trecchina per l’esplorazione della grotta, ormai il problema più grosso, grazie a Biagio, lo abbiamo risolto.
Da voci popolari raccolte, abbiamo ap­preso che la zona era frequentata da briganti che si rifugiavano, quando braccati, in quella grotta difficile da trovare e ben difendibile. Qualcuno dei nostri intervistati ci ha pure raccontato che la grotta attraversava tutto il monte, ma poi una frana interruppe il pas­saggio. Sembra che l’ultimo capo-brigante, abbia avuto come tomba la grotta, e che lo stesso sia stato ucciso nel sonno con del­l’olio bollente versatogli in un orecchio dalla sua donna che se la faceva con un’altro. Ci hanno anche detto che quando fu trovato il corpo dell’ucciso era privo di testa. Vien da chiedersi, come hanno stabilito la storia del­l’olio, se non c’era la testa da esaminare? Forse qualcuno al tempo dell’uccisione ha parlato e poi la storia si è tramandata, questo comunque ci riguarda relativamente, poichè siamo andati lì come speleo, non come detectives.
All’inizio della cronaca dicevo di un ra­gazzo in bici poi scomparso. Siamo stati messi al corrente dopo aver fatto amicizia coi residenti che una donna, molto probabil­mente quella che ci guardava con sospetto, abbia messo in giro la voce che esistono dei rapitori di bambini. Così il ragazzo era stato nascosto a casa dalla famiglia. Insomma siamo stati anche sospettati di essere dei rapitori di bambini, del resto c’è sempre un prima volta nella vita.
                                                                                                        Edvino Vatta