ZOMBIES ON THE HIGHWAY ovvero l’ennesima rivisita del Berger
Pubblicato sul n. 18 di PROGRESSIONE – Anno 1987
Settembre 1987: Trieste – Grenoble, 800 km, lento stillicidio d’asfalto lungo una notte afosa. Confine con la Francia senza cinture di sicurezza ma niente paura rimediamo con la fantasia utilizzando la bandoliera di Vasko riuscendo così ad ingannare l’assonnato doganiere. Avanti nonostante il sonno, giù per la Val d’Isere fino alla meta o quasi. Ora bisogna fare i conti con il budello d’asfalto, che circonda Grenoble, scarso d’indicazioni ma alla fine Sassenage si fa scoprire e con lei la strada verso il plateau de la Moliere ultimo metro prima del sonno, sono le 4 e vien quasi voglia d’attendere l’alba ma siamo troppo stanchi o quasi. Dormiamo poche ore disturbati dai bovini che quassù pascolano liberi e alla fine «molliamo il colpo» grazie a 2 giovinastri già svegli avendo dormito tutto il viaggio.
Alba tragica; il sole picchia mentre insacchiamo le Corde, 6 in tuta PVC con 7 sacchi, rapporto quasi giusto avanti così verso l’entrata che troviamo molto tardi traditi – specie io – dalla presunzione di conoscere qui la zona fin troppo bene. Altra siesta prima d’entrare, pigro tramestio mentre prepariamo con molto scrupolo i nostri «ferri del mestiere». Altre ore di sonno abulico disturbati da escursionisti, cani e speleo belgi alquanto perplessi dalla nostra tattica, troppo veloce per le loro abitudini. Ore 17 giù per primi i più giovani ad armare, dietro gli altri a far fotografie con il resto del materiale. Tutto OK verso —250 dove incuriositi dalle condizioni del lago Cadoux tiriamo avanti fino al medesimo. Atmosfera pigra ma avanziamo decisi; oggi siamo graziati, niente acqua nel lago quindi abbiamo risparmiato un bagno. Qui aspettiamo Vasko e Bobo prendendo una «mezzoretta». Scambio di sacchi e giù verso la Sala dei Tredici, Sala St. Germain e quindi il «Balcon» porta d’accesso verso il fiume senza stelle che da qui scorre verso il fondo.
Piccoli casini, grandi tragedie: si scambiano un paio di corde, urla mie nella notte ma alla fine si raggiunge «La Vestiaire» dove mangiamo qualcosa per infilarci poi le pontonierre. Ora bisogna seguire l’acqua, traverso, lago, traverso fino alla prima cascata; ritorna l’allegria, presto smorzata più in là da uno spit di partenza che gira e un lago nero 20 metri più sotto. Bisogna lavorare di fantasia ed estrarre il Jolly, l’unico ahimè. Pazienza per l’armo, ma ora sono quasi in acqua, la riva è lontana sono perplesso poi l’idea: lancio il sacco con la corda su di una lama, si incastra al primo colpo, culo! Pendolo raggiungendo lo spit d’ancoraggio. Si prosegue felici per essere in periodo di magra, guai se arriva la piena, noi ci scherziamo sopra (comunque ascoltando sempre il rumore delle acque perché non si sa mai).
Pozzo Gachè: monumento alla stupidità umana, 50 kg di tubo per spostare l’armo di un metro! Ora ci sono 2 spits poi di nuovo in acqua magari con la corda sbagliata ma fa niente.
Altro canyon, corde marce sui traversi poi un pozzo che sulla relazione non esisteva quindi tagliare, tagliare una corda e poi chissà! Si entra nei saloni fossili a —800; fango e scivoli; imprecando per la poca luce si arriva barcollando al fiume di nuovo, dove siamo? Non si sa perché la scheda d’armo è rimasta fuori, nel mio zaino. Pozzo, cascata, traverso, sorpresa: passaggio sifonante quasi una scommessa 30 cm d’aria adesso, dopo …anche! Dov’è l’Uragano? Mancano le «Vire tu oses» ma le abbiamo già passate senza saperlo, più in alto degli altri con un nuovo traverso da dove ci caliamo per arrivare su un ballatoio. Strano c’è un’enorme piastrina, dove siamo? Giù è tutto nero, il pozzo è grande quindi siamo arrivati, ultima corda, 2 frazionamenti, poi doccia generosa. Qui alla base finiscono i sacchi, lasciamo tutti i ferri ora dobbiamo solo camminare; come in un museo vediamo dove Mario e Icaro sono rimasti 3 giorni bloccati, più in giù la confluenza con la Fromagere, poi il Pseudosiphon e la saletta dove si cambiano i sub. Avanti cadendo in acqua, magari contenti ma stanchi. Siamo nella mitica forra sempre più giù —1000, —1050, —1100 dove siamo ora solo acqua e buio. Sonno, il lago s’allarga un po’, avanti dritti, non si tocca più, nebbia di condensa, ultima sigaretta, foto di gruppo; questo è il fondo! The End.
Ora la musica cambia, su verso la luce ma passeranno ancora molte ore in compagnia di pozzi, sacchi e gallerie. La storia si fa monotona. È già domenica siamo nuovamente alla «Vestiaire», un pensiero alla piena non arrivata a guastar la festa mentre mangiamo una minestra, ora la parte più difficile, ossia vincere la stanchezza mentale, quasi un rifiuto a ritornare dove troppe volte sono passato. In quelle gallerie cammino pigramente, è finito un sogno realizzato dopo tanti anni, davanti a me il buio ma non solo quello della Riviere sans Étoiles.
Per fortuna Maurizio mi fa ritornare l’allegria grazie a un suo tuffo in una marmitta – senza trampolino – per evitare, su di un traverso, l’uso di una corda da panico. Più su ci incontriamo con i 2 «anziani» del gruppo spinti fin qua dalla voglia di far foto. Altra merenda e poi ancora su, mancano 250 metri di pozzi, il sonno incalza, saremo fuori dopo 28 ore di punta.
Lasciamo la grotta ai belgi pronti ad entrare, mentre quasi come automi risaliamo la china; l’ultima che ci separa dal sacco a pelo dove cadremo in trance. Nasce un’altra alba e a noi non resta che ingannare la monotonia di altri chilometri per ritornare alla nostra routine quotidiana, contenti come pochi.
Partecipanti:
Maurizio Glavina, Paolo Pezzolato, Tullio Dagnello, Giampaolo Vascotto, Stefano Krisciak, Fabio Benedetti
Paolo Pezzolato