Battute di zona a Tavolara

CALABRIA ’81

Uno dei tanti buchi indagati (foto Durnik)

Pubblicato sul n. 9 di PROGRESSIONE – Anno 1982
Con la macchina carica all’inverosimile di materiali speleologici e da sub partiamo per la Calabria con lo scopo di battere zone nuove e di tentare di passare un sifone visto in spedizioni precedenti.
Dopo verune ore di macchina, e con un intermezzo balneare, arriviamo a Baronissi, dove Sabato ci ospita per la cena e la notte.
Il primo sole del giorno seguente (ma­gari ce ne fosse N.D.R.) ci trova già con gli zaini sulle spalle, che, guidati da Sabatino e in compagnia di alcuni amici del C.A.I. di Napoli ci dirigiamo, dopo aver lasciato la macchina al rif. De Gasperi (Pian del Ruggio), verso Serra del Prete.
Nella zona non notiamo fenomeni carsici rilevanti e i calcari sono molto fessurati e scuri, a parte nei pressi della cima dove la stratificazione si presenta più evidente e troviamo tre punti idrovori purtroppo ostruiti (con molta probabilità dai pastori).
Ritorniamo al rifugio (abbandonato) do­ve salutiamo Sabatino e amici che tornano a casa mentre noi pernottiamo in loco. Tempo da lupi nel vero senso della parola; infatti si sentono ululare a 2 – 300 metri e dovendo uscire lo si fa armati di coltello.
Passiamo ancora due giorni in zona, bat­tendo il M. Eremita, tutto il Pian del Rug­gio e dintorni. Visto il tempo, impietoso nei nostri confronti, ci spostiamo verso la costa e arrivati a Scalea, dopo pochi minuti ci troviamo a lottare contro gigantesche onde nelle calde acque del Tirreno. Purtroppo la festa dura sempre poco e dopo aver passato la notte sulla spiaggia, partiamo per Verbicaro, dove domandiamo informazioni sulla strada che porta a Tavolara. Dopo essere stati sconsigliati di tentare, proviamo lo stesso e dopo pochi minuti cominciamo a salire per quella che all’inizio sembra una strada confortevole, anche se non asfaltata, ma che ad un tratto si trasfor­ma in un vero percorso da fuoristrada; pur­troppo ad un certo punto troppo ripido, sconnesso e fangoso, al punto di far fermare la nostra povera Peugeot, che si rifiuta di continuare con le proprie forze, per cui, approntato un paranco, la recuperiamo di peso. Questo scherzetto ci ha costato di viaggiare alla favolosa media di circa 50 m in poco più di 3 ore, e verune vesciche alle mani.
Qui dopo aver stabilito, non senza diffi­coltà, la nostra posizione (q. 914 NE da Verbicaro tra «la Cerasia» ed «i Campicelli» iniziamo una battuta tra la q. 889 e la q. 906 che dura più giorni a causa del maltem­po che ci perseguita. Qui incontriamo dei pastori, uno dei quali, Lucchese Vito di Ver­bicaro, ci fornisce buone indicazioni sull’en­tità di due cavità, una l’abbiamo esplo­rata ma non rilevata per mancanza di tempo e comunque posizionata sul 10.000 a SW di Serra del Lepre a quota 990, l’altra invece si tratta di un pozzetto posizionato e reso rintracciabile con due punti rossi, che sareb­be esplorabile solo dopo aver spostato alcuni massi. Continuiamo nella battuta di zona e la sera siamo nuovamente a Scalea. Dopo due giorni di fiaschi completi in zone imper­vie, ritentiamo di raggiungere Tavolara e finalmente vi riusciamo nel nostro intento. La notte veniamo ospitati dai boscaioli nelle proprie baracche e in special modo dal sig Duilio amico di Sabatino. La mattina partiamo subito per il Pian del Ferrocinto che raggiungiamo dopo circa 2 ore e da qui ci portiamo alle doline a NW del Cozzo Mortale intorno alla quota 1308; dopo aver­le battute in lungo e in largo con esito nega­tivo saliamo in località Valle Lupa, dove troviamo una cavità posta al fondo di un punto idrovoro (q. 1591), dalla quale esce una corrente d’aria fredda. Essa si presenta con un ingresso abbastanza stretto e con un cunicolo di circa 5 metri, un pozzetto di 3, che non è stato disceso e poi sembrerebbe con un altro cunicolo. Abbiamo rinunciato all’esplorazione perchè lo scopo della nostra «gita» era quello di trovare per lo più zone speleologicamente valide, senza soffermarci su qualche zona o cavità in particolare.
La zona tutt’attorno a Tavolara, meri­terebbe senz’altro una ulteriore e più appro­fondita indagine.
Si conclude praticamente qui la nostra ricognizione speleologica e la mancanza di tempo ci impedisce di controllare molte zone. Tante indicazioni riguardano il comu­ne di Grisolia, in zona Petralia dovrebbe esserci un pozzo profondo e un altro in zona Tamai. Da notare che i pozzi in dia­letto sono chiamati «Laus». Altre indicazio­ni riguardano la zona dove ha termine la strada che parte da S. Mario e segue il fiume Abbatemarco. Ricca di grotte, secon­do alcuni operai, è poi la zona del M. la Mula, dove durante gli scavi si aprivano spesso pozzi e cavernette.
Sabatino ci consiglia inoltre di battere: la zona verso Serra del Crispo (si arriva in macchina fino alla Madonna del Crispo); a Nord del M. Pollino sotto Cima Boscosa (inizio Bosco Basso); a Tavolara ci parla di un luogo chiamato Acqua Pertosa in zona Camagna (carta 1:10.000 Cozzo dell’Orso), dove dovrebbe esserci un pozzo con acqua sul fondo.
In conclusione abbiamo lavorato molto e ottenuto pochi risultati edificanti, ma spe­ro che alle prossime spedizioni partecipi più gente, con la speranza e forse la sicu­rezza che la Calabria in genere si rivelerà una terra speleologicamente valida.
                                                                                                           Mauro Drioli