MUCHO CALOR

Pubblicato sul n. 9 di PROGRESSIONE – Anno 1982
Eravamo in quattro la mattina del 15 luglio, tutti quanti piuttosto scettici sul fatto di trovare il numero cinque a 2700 km di distanza. Naturalmente in Spagna con noi, fino all’ultimo momento, dovevano venire cani & porci; fu come sempre la sera prima della partenza che ci guardammo in faccia ed eravamo in quattro.
Sono cose che succedono.
Partimmo con la solita Talpot, col solito Refe alla guida e col generoso contributo della CGEB che ci permise di affrontare con un po’ più di serenità le paurose spese per benzina e autostrade, soprattutto francesi.
Montecarlo vide Refe sfoggiare gli orrendi short da gran sera color oro e Susi scacciata dalla sala delle slot-machines perchè ritenuta minorenne. Alle tre del mattino in spiaggia a Cap d’Antibes si cerca di dormire mentre un Arsenio Lupin fallito tenta di fregarci la macchina: la Quaglia starnazza in tempo. Sono le sei quando alcuni pescatori insoddisfatti tentano di pescarci a strascico. Riusciamo a fuggire.
Cannes – Aix – Montpellier, caldo osceno, confine spagnolo e fuga in «autopista» fino a Barcellona. Sono di nuovo le sei del mattinoi, usciamo dall’autostrada nello squallore disgustoso di Hospitalet de l’Infante. Siamo ormai in pieno Venerdì 17. L’alba ci mostra una sconfinata playa sabbiosa costellata di rottami; Refe col suo solito entusiasmo giovanile si getta urlando nei flutti. Riemerge a razzo ululando con sentimento e con il mignolo del piede formato alluce: aveva scoperto l’unico macigno sommerso nel raggio di alcuni chilometri.
L’esito della spedizione appare quanto mai incerto. Valencia – Alicante (ciao mare) – Lorca. Temutissimo deserto di Almeria fortunatamente affrontato sul far della sera e concluso con una luna da licantropi condita con i Doors: momento magico.
Sosta notturna a venti km da Granada sulla quale caliamo l’indomani; qui ci trovano gli speleologi locali ed in breve, complici il cibo piccante, il caldo ed il vino — Fino – Tinto e — Tanto, siamo indecentemente ubriachi. Mario tenta di tuffarsi da una diga (metri. 30) ma gli spagnoli lo sviano portandoci a mangiare e bere ancora altrove: gente meravigliosa.
Abbandonati a Granada, i 42° all’ombra, ultima tappa di 140 km verso Ronda, grazioso paesino andaluso con la Plaza de Toros più antica di Spagna nei cui pressi inciampiamo stupiti ed increduli in Marino dormiente. Questo incontro col nostro amico della SAS non sarà mai benedetto abbastanza.
Siamo in cinque quindi, più Guillermo e sua moglie, sulla Serrania de Tolox (quota 1700), dove lasciamo la macchina e penetriamo in un’insolita nebbia con forte vento. Bivacchiamo tra i massi.
All’alba Guillermo trascina Mauro in zona Sima GESM e a vedere Los Pilones, le uniche sorgenti esistenti nella catena montuosa. Gli spagnoli ci lasciano. In un solo viaggio portiamo tutto il materiale all’esterno della cavità: da morire. Siamo soli sull’altopiano. Lunedì la Sima GESM ha finito di aspettarci. Scendiamo tutti e cinque col materiale (1000 m di corda e accessori vari) più lentamente del previsto; perdiamo un sacco di tempo per frazionare e far viaggiare il materiale, 9 sacchi.
Stop a —655, sopra il grande 160; 17 ore di punta ci vedono uscire un pò strapazzati in tempo per scoprire che le capre hanno pascolato con le nostre già misere cibarie. Bontà loro ci hanno lasciato le scatole di sardine. Fortunatamente Marino possiede una piccola scorta di viveri procurata nel suo viaggio solitario: sardine.
Martedì ci lecchiamo le ferite in attesa dell’ultimo assalto e passiamo il tempo facendo spola tra il campo e le sorgenti, un km più in là, con le ghirbe d’acqua e un sole senza incertezze.

Un tremendo desiderio di vendetta ci spinge a ingozzare le capre con pane saturo di Tabasco. Le maledette bestie apprezzano molto il gesto e ci diventano definitivamente «amiche»: d’ora in poi guarderanno con amore e condiscendenza anche Marino che urla selvaggiamente per scacciarle.
Mercoledì giornata decisiva. Susi non sta molto bene per un motivo periodicamente femminile; decide di rinunciare e ci accompagna frignando fino all’ingresso.
In 3 ore a — 800 alla base del 160. Purtroppo nel meandro seguente si sbaglia strada tentando di passare troppo in alto: un sacco di tempo perso. Sui salti successivi il caos è totale. Non si riesce a capire in che punto della grotta ci troviamo e quanti e quali pozzi ci separino ancora dal fondo. Andiamo avanti e ben presto sbuchiamo in una vasta sala letteralmente tappezzata da concrezioni; questo posto fiabesco ci permette di fare il punto della situazione: siamo a —900 nella «sala delle meraviglie» e la strada per il fondo è ancora lunga! Ci attendono infatti un P25 e un P60 completamente sotto cascata e un altro meandro in cui all’inizio bisogna quasi sdraiarsi nell’acqua che scorre sul fondo per poter superare i punti più stretti. Questa grotta comincia proprio a rompere, anche se la parte finale è indubbiamente la più bella. Ancora un P30, P10 con l’acqua che aumenta a vista d’occhio man mano che si procede. All’improvviso, dopo aver disceso alcuni lastroni, Mauro e Marino arrivano sulla sponda di un vasto lago verde e immobile: è il sifone finale a —1074. Quando tutti sono sul fondo, foto di rito e inizia subito la risalita. Comincia il triste recupero e bagnati fradici siamo sotto al 160. I sacchi aumentano in modo preoccupante e da — 400 ne abbiamo due a testa; paurose bestemmie sull’interminabile serie di Saltini & Laghetti che caratterizza la parte iniziale della Sima, portano i primi due a —180, alla base del 115. Sale Mauro e contemporaneamente scende la Quaglia ignara: gioioso incontro. Da qui ci vogliono ben tre ore per far passare i sacchi oltre le strettoie iniziali. Fuori! Sono le 15 di Giovedì 23 e non vediamo capre da 29 ore. Dopo altre quattro escono Mario e Refe orrendamente scorticati da tute e imbraghi.
Passiamo il resto della giornata a dormire mentre Marino — il folle — colto da crisi di astinenza si dirige verso Ronda alla ricerca di alcool: ovviamente si perde e passa la notte bruciando sterpi sull’altopiano. «Son stato alla Sima due volte e la terza no! L’umidità mi fa male lo so». (N. d. A.: sull’aria di «Nessuno mi può giudicare»). Refe canta, il sole sorge, Marino torna, Mario dorme e Mauro e Susi scendono per l’ultima volta a —180 per recuperare i sacchi rimanenti e disarmare, aiutati da Mario sui pozzi finali.
La grotta e le nostre riserve di sardine sono entrambe finalmente finite. Dopo un penosissimo trasporto del materiale alla macchina, inizia l’agognata discesa dei famelici a Ronda.
Trascorreremo il resto dei giorni familiarizzando con gli speleologi locali e granadini con grave pericolo per la nostra funzionalità epatica e per le riserve enologico-alimentari iberiche.
Serata di addio con Gran Pampel di mezzanotte in piscina (!) nella fresca notte andalusa (35°).
Appena cominciato il lungo viaggio di ritorno, un guasto alla spia della benzina ci lascia a secco nel deserto di Almeria
A Barcellona Susi, Mario e Refe sono rasi al suolo da una specie di colera in forma virulenta: lasceremo ovunque numerose tracce del nostro passaggio, anche nel gigantesco Van Gogh delle paludi alla foce del Rodano. Un incubo ci porta a «dormire* a San Remo. Il morbo de los italianos si allontana dai tre appestati e azzanna Mauro accompagnandolo fino a casa; a Trieste spira un pò di vento: sono solo 25° Ci mettiamo una maglia.
Los gitanos, in ordine di età:
— Refe (el nonito Alvaron de la Gota), Fabio Feresin;
— Mauro (Don Pedro Magnapoco), Mauro Stocchi;
— Mario (Kid Paloma alias Zorry Kid), Mario Bianchetti;
— Marino (Martin Pelota), Marino Petronio;
— Quaglia (Alonsa Alonsa y Alonsa detta Alonsa), Susi Martinuzzi.
Muchas gracias da parte di tutti noi agli amici di Granada e Ronda.
VIVA LA ANDALUCIAI
Mauro Stocchi, S.Martinuzzi
PERMESSO PER VISITARE LA CAVITÀ

Per visitare parecchie cavità spagnole occorre ottenere il permesso della Federazione Nazionale di speleologia. Poichè tale organismo si limita a smistare le domande pervenute rispedendole ai gruppi o associazioni competenti per territorio, è molto opportuno, nel caso della Sima GESM, indirizzare eventuali richieste direttamente alla Federazione Andalusa di Speleologia. In questo modo si evita di perdere un sacco di tempo a causa di lungaggini burocratiche o ritardi postali. D’altra parte la FAE autorizza le varie spedizioni in modo che non vi siano sovrapposizioni ed intralci, specie in grotte come la Sima GESM o il sistema Hundidero-Gato, piuttosto affollate nei mesi estivi (noi ad esempio avevamo a disposizione il periodo di tempo tra il 15 ed il 31 luglio, subito dopo una spedizione belga e prima di una inglese … ). Attualmente di ciò si occupa Guillermo Garcia Gonzales, amico che non ringrazieremo mai abbastanza.
Ecco dunque l’indirizzo completo: FEDERACION ANDALUZA de ESPELEOLOGIA
Vocalia de expediciones CL San Isidro 45 B, Apartado 227 GRANADA – Espania
Attenzione; il permesso è OBBLIGATORIO; non costa nulla ottenerlo e viceversa si può andare incontro a spiacevoli conseguenze se colti in «flagrante».
Descrizione della zona e della cavità.
L’ingresso della cavità, scoperta nel 1972 da alcuni soci del GES di Malaga, si trova a quota 1670 al centro di un altopiano, detto Hoyos del Pilar, delimitato da tre elevazioni: Torrecilla (m 1919), Akazaba (1712) e Cerro Mateo (1834), sulla Sierra de Tolox, sopra Ronda. Si tratta di una zona dall’aspetto lunare: la terra rossa, o meglio la sabbia, bruciata dal sole, è di tanto in tanto interrotta da affioramenti di banchi calcarei molto tormentati e scurissimi, ben diversi dalle candide balconate del Canin. La vegetazione è ancora più strana: poca erba, qualche mugo e degli incredibili alberi giganteschi e isolati. Si tratta di una specie di quercia che ha pochi e corti rami ma tronchi grossissimi. Non c’è altro.
L’acqua è il problema principale: le uniche sorgenti (di tutta la catena montuosa!) si trovano a circa un km dalla cavità in una località detta Los Pilones nota, pare, già ai Romani e situata di fronte alla Torrecilla. Sotto alcuni paretoni calcarci alti una ventina di metri sgorga in più punti dell’acqua pulita e fresca che va a finire in un antichissimo abbeveratoio (per capre) in muratura. La portata è comunque molto modesta e si impiega moltissimo tempo anche per riempire un misero pentolino da te; indispensabile l’uso delle ghirbe.
Il fenomeno carsico, evidente in superficie, è pressochè nullo in profondità: a parte alcuni pozzetti sui 5+10 m e un grande pozzo di 140 m situato a 200 a S della Sima GESM ma indipendente da questa, non esiste alcuna cavità degna di rilievo in tutta la zona. La Sima GESM è in effetti un fenomeno veramente unico!
Il terreno ondulato dell’altopiano mostra delle doline a fondo piatto che, date le dimensioni, sarebbe più opportuno chiamare valli chiuse. Quella che ospita la Sima si trasforma in inverno in un enorme lago poichè la grotta non riesce a smaltire l’acqua delle violente precipitazioni stagionali a causa dell’esiguità dei primi ambienti ipogei. Sui massi e lastroni all’esterno è ben visibile il limite raggiunto dall’acqua ed è veramente incredibile pensare che in quei luoghi ve ne possa essere tanta!
La grotta comincia con uno sprofondamento molto grande (m 30×15) e con un pozzetto di 7 m si arriva in una saletta; qui si incontra un primo passaggio basso e, dopo un saltino di un paio di metri, uno dei punti più caratteristici di tutta la grotta: una condotta dal pavimento reinciso che, a causa delle sue dimensioni, è adattissima al passaggio delle persone e soprattutto dei sacchi, motivo per cui è chiamata dagli spagnoli «gatera puta». Ancora un esiguo passaggio e finalmente, alla fine di un’ampia sala, si incontra il primo vero pozzo della cavità (P14), piuttosto stretto all’ingresso. Gli spagnoli mattacchioni lo hanno battezzato «Sima de los Siete» a causa dei graziosi ricami a forma di 7 che senza fatica ci si può procurare sulle lame iniziali.
Si arriva quindi in una sala più vasta, ingombra di enormi massi franati; dopo alcuni metri in una galleria concrezionata si arriva ad un nuovo pozzo, P10, che immette direttamente sull’orlo del P115. Questo pozzo è di dimensioni gigantesche ma è anche molto terrazzato per cui vi sono parecchi frazionamenti; alla base vi è una spaziosa caverna dal suolo, al solito, coperto da massi franati, Quasi assente l’acqua, a parte un debole stillicidio.
La grotta continua con una grande galleria/meandro in discesa, interrotta da piccoli salti la cui base è spesso occupata da spaziosi laghetti. Due di questi richiedono lunghe traversate sul lato sinistro per non finire direttamente in acqua (vecchie corde marce in loco). Si procede superando parecchi saltini (P5, P7, P17, P5, P10) finchè si arriva in una sala spaziosa; tra i massi del pavimento è possibile allestire un bivacco (quota —270).
Ancora qualche saltino con le stesse caratteristiche dei precedenti (P10, P5, P7) e si arriva su una grande verticale, il P60: è un pozzo molto concrezionato e vasto; la discesa avviene completamente in libera. Segue subito un P40, due saltini (P5, P6) un P15 con il solito laghetto alla base: anche stavolta è necessaria una traversata (sul lato destro); si è a quota —409. Pur mantenendo dimensioni piuttosto grandi, la galleria si trasforma gradatamente in un vero proprio meandro, scompaiono le concrezioni che lasciano il posto a fenomeni erosivi marcati ed aumenta anche l’acqua presente sui fondo. Dopo un P28 e altri due saltini (P4, P5), il meandro si restringe alquanto e aumenta molto la pendenza: con una nuova serie di piccole verticali (P16, P7, P10) si arriva in una caverna il cui suolo è inciso dalla continuazione del meandro. In questa caverna (quota —515) è possibile allestire un secondo bivacco; calandosi invece nel meandro, molto più stretto del precedente e proseguendo per una sessantina di metri, dopo due saltini di m 5 si arriva ad un nuovo grande pozzo, il P40. Alla base, un saltino di m 6 oltre un ponte permette di spostarsi in fuori, via dall’acqua piuttosto abbondante. Segue subito un P28 ed un meandro di circa 40 m che, a causa delle dimensioni molto ridotte nella parte bassa, può essere percorso solo lungo la condotta sommitale. Alla fine uno stretto passaggio immette direttamente nel P32, a campana; la base è costituita da una saletta molto «umida» che, per mezzo di un meandrino di un paio di metri, comunica col sottostante P160 (pozzo Paco de la Torre). Per i primi 20 m, fino ad un terrazzo, il pozzo ha dimensioni normali, ma poi l’ambiente ingrandisce in maniera veramente impressionante e non si distinguono i contorni. Vi è molta acqua che per fortuna non scende in cascata ma si nebulizza in alto, riempiendo tutto l’ambiente di una fine pioggerella che, tutto sommato, non dà eccessivamente fastidio. Per evitare tiri troppo lunghi, il pozzo è stato frazionato (dagli spagnoli) tre o quattro volte; a parte i primi metri è comunque percorribile tutto in libera (!). A 20 metri dal fondo infine, vi è un ripiano formato da un enorme ponte naturale, ove è posto un ulteriore bivacco.
Dalla base del pozzo incomincia un nuovo meandro lungo un centinaio di metri: in basso è piuttosto scomodo e percorso da un gaio torrentello mentre la parte alta è asciutta e più larga, ma anche molto pericolosa per la presenza di materiale di frana, incuneato a vari livelli tra le pareti, rivestite da minuscole concrezioni coralloidi che vanno in frantumi al minimo urto. Seguendo la via più comoda, con continui saliscendi si arriva ad una nuova serie di saltini (P7, P10, P6, P5, P8) sormontati tutti da camini da dove arrivano nuovi apporti di acqua.
L’ultimo salto immette in una vasta caverna, molto larga, ma alta in genere solo pochi metri; pavimento e soffitto sono completamente rivestiti da concrezioni di ogni tipo e, lungo una parete, in un letto sabbioso scorre un rivolo d’acqua. E’ questa la «Sala delle Meraviglie» ed il nome non è per niente esagerato poiché è sicuramente uno dei posti più belli di tutta la grotta. Anche qui, a quota —900, è possibile allestire un bivacco.
La sala termina sull’orlo di un pozzo vastissimo, profondo però solo 22 metri e separato da un grande ripiano dal pozzo successivo, il P60. Il superamento di questo pozzo in discesa e ancor più in salita, si è rivelato la parte più penosa di tutta l’esplorazione poichè, a parte i primissimi metri, tutto il resto si svolge sotto una copiosa cascata che è impossibile evitare. La base del pozzo ospita il solito laghetto e l’acqua si incanala in un nuovo meandro, lungo 150 m, che in principio è completamente eroso ma poi, dopo una svolta, compaiono le prime concrezioni. Ben presto colate e colonne riempiono l’ambiente e si riesce a procedere solo attraverso esigui passaggi nella parte bassa del meandro, ad un palmo dall’acqua … Per fortuna tutto ciò dura una cinquantina di metri; dopo, il meandro si allarga considerevolmente e lo si percorre in tutta comodità.
Da un camino arriva un nuovo apporto d’acqua che, almeno nel periodo della nostra visita, era della stessa importanza del torrente seguito fino a quel punto. I due corsi d’acqua riuniti diventavano così un «affar serio» ed il rombo dell’acqua giù per le rapide successive ostacolava persino i dialoghi.
Alla fine del meandro si incontra un P30 e, tranne gli ultimi metri, si riesce ad evitare l’acqua completamente. Segue un ulteriore meandro che ben presto si trasforma in una serie di fessure; si scendono in arrampicata alcuni saltini sopra l’acqua finchè un P 10 conduce direttamente a dei grandi lastroni inclinati. Seguendoli si arriva nell’ultima sala della grotta, molto larga e alta, completamente occupata dal lago/sifone finale, a quota —1074.
Il sifone, con acque limpidissime e ferme dai riflessi verdi, è stato esplorato nel settembre del 1979 da due speleo-sub francesi (Fred Poggia e Fred Vergier), membri di una spedizione franco-belga-spagnola tra i cui componenti vi erano, tra gli altri, nientemeno che Paul Courbon ed Etienne Degrave. Si tratta di un’ampia galleria sommersa che è stata percorsa per 200 m con una profondità massima di 24 m. Oltre non è stato possibile andare solo per l’esaurirsi delle scorte d’aria. La profondità totale della Sima GESM è dunque di 1098 m.
Quasi tutti gli ancoraggi sono fatti su spit (circa 60 in tutto) a parte qualche spuntone o ponte naturale. Noi abbiamo usato esclusivamente il materiale trovato in loco e circa 1000 metri di corda. La grotta in complesso è molto bella e, a parte il notevole dislivello, piuttosto facile. Merita senza altro una visita facendo però attenzione a come vestirsi. Non bisogna infatti esagerare con maglie e maglioni perchè la grotta è calda, sicuramente attorno ai 10° C., anche se la sua effettiva temperatura è un argomento dibattuto tra gli stessi spagnoli.
Mauro Stocchi