2012 – Maja Hekurave dall’altra Parte

 

MAJA HEKURAVE,DALL’ALTRA PARTE

PREMESSA

La quarta spedizione in Albania (contando quelle svolte a partire dal 2009), prevede ancora, anche giustamente, di prendere a testate il meandro finale di “Zeze”, dove già l’anno prima la poca voglia o lo scarso occhio ci aveva fatto tornare indietro senza risultati, se non tanta sabbia negli occhi e un rincoglionimento generale regalato dal fortissimo vento gelido che per dozzine di ore ci prese a schiaffi: poca voglia di tornare lì. Anche perché il potenziale degli altipiani rimaneva sospeso in punti di domanda patinati di delusione e continuo mistero, le poche e brevi punte svolte sui versanti ovest del massiccio dell’ Hekurave erano stati deludenti, pochissime grotte e scarso fenomeno carsico di superficie. D’altra parte però, l’altipiano era molto esteso e indagato solo dal versante più accessibile (si fa per dire…) dal campo fissato a Qerec Mulaj: eppure “Rasse” (Sergio Serra) nella sua gita sci-alpinistica della primavera prima, naufragata nel maltempo, aveva tentato l’assalto dal versante SE, direttamente da sopra la cittadina di Bajram Curri. C’era un lago alpino situato a 1400 m slm, ove ci si poteva arrivare con un fuoristrada e piazzare un campo, c’era una porzione di montagna mai indagata: decidemmo che quest’anno saremmo andati lì.

PARTENZA, ARRIVO A BAJRAM CURRI E SALITA AL LAGO

Da Trieste parte una ganga di 7 personaggi mirabolanti, di cui la metà a digiuno d’Albania, ma va bene così, caricheranno d’entusiasmo anche gli altri. L’infinita linea d’asfalto adriatica ci porta a varcare il sempre imprevedibile confine montenegrino-albanese di Sukobin-Muriqan, morti di sonno e scazzati dalla mancanza del traghetto sulla via d’acqua interna Koman-Fierze: la siccità che dura oramai da mesi ha paurosamente abbassato il livello navigabile del tratto, la linea è chiusa e tocca guidare per le infinite serpentine della strada per Fushe, ove sbagliare un tornante significa sparire dalla faccia della terra, in fondo a qualche profondo burrone ove nessun corpo verrà mai ritrovato. Arriviamo alla fine, dopo 20 ore dalla partenza, a Bajram Curri, c’è l’appuntamento con il sig. Ndoc Mulaj che dovrebbe aver trovato il pick-up per portarci in quota, a me, Lucio ed Eugenio. Siccome in questi luoghi il possibile, l’impossibile e l’incredibile convivono spesso assieme a formare una inestricabile forma di modus vivendi, rimaniamo sorpresi dal vedere che il pick up arriva davvero: lo carichiamo del nostro equipaggiamento, salutiamo tutti, saltiamo su anche noi e partiamo, con il guidatore che non parla una parola che non sia il suo dialetto albanese e noi di conseguenza che non parliamo una parola che non sia il dialetto triestino. La strada che porta al lago noi ovviamente non la conosciamo, il bello è che non la conosce neanche la nostra guida: dovrebbero essere una dozzina di chilometri da Bajram Curri. La strada è da subito bianca, e dopo un paio di chilometri il nostro prende secco una diramazione a destra che inizia a salire, sembra la via giusta, sinchè la strada, dopo un bel tratto, termina in un viottolo sul nulla, ove abbiamo difficoltà pure nel girare il mezzo fuoristrada per tornare indietro. Bestemmioni, naturalmente. L’albanese suda, cerca conforto in qualche abitante del luogo (…non trova nessuno ovviamente…) e torniamo giù, riprendiamo la strada principale. Botta di culo! Un pastore di età indefinibile sta passeggiando, deve salire al lago, ci guida lui: provo sempre vergogna dal vedere il mio abbigliamento tecnico a sfidare gli avversi numi delle montagne e come vive e va in giro questa gente vestita di stracci, a fare cose inimmaginabili per noi. Unica vanteria che riconosco al pastore, è di puzzare come mai nessuno abbiamo sentito, veramente straordinario e da uscirne storditi. Lo molliamo presso una fonte perpetua d’acqua, dopo aver attraversato vari incendi ancora attivi, dove si trova la sua casa-capanna: è una costruzione eneolitica in pietre e rami che merita ogni pensiero commosso verso questo uomo. La strada oramai è una carrareccia marcatissima e certa, saliamo di quota e puntiamo un’incisione d’origine glaciale, entrando in un magnifico bosco a latifoglie, dentro una forra calcarea: dopo innumerevoli discorsi, ricerche e foto satellitari, eccolo il lago, siamo arrivati al “Liqeni Ponarit”, sede del nostro campo di una settimana.

Grotta inesplorata a doppio ingresso

Da Trieste parte una ganga di 7 personaggi mirabolanti, di cui la metà a digiuno d’Albania, ma va bene così, caricheranno d’entusiasmo anche gli altri. L’infinita linea d’asfalto adriatica ci porta a varcare il sempre imprevedibile confine montenegrino-albanese di Sukobin-Muriqan, morti di sonno e scazzati dalla mancanza del traghetto sulla via d’acqua interna Koman-Fierze: la siccità che dura oramai da mesi ha paurosamente abbassato il livello navigabile del tratto, la linea è chiusa e tocca guidare per le infinite serpentine della strada per Fushe, ove sbagliare un tornante significa sparire dalla faccia della terra, in fondo a qualche profondo burrone ove nessun corpo verrà mai ritrovato. Arriviamo alla fine, dopo 20 ore dalla partenza, a Bajram Curri, c’è l’appuntamento con il sig. Ndoc Mulaj che dovrebbe aver trovato il pick-up per portarci in quota, a me, Lucio ed Eugenio. Siccome in questi luoghi il possibile, l’impossibile e l’incredibile convivono spesso assieme a formare una inestricabile forma di modus vivendi, rimaniamo sorpresi dal vedere che il pick up arriva davvero: lo carichiamo del nostro equipaggiamento, salutiamo tutti, saltiamo su anche noi e partiamo, con il guidatore che non parla una parola che non sia il suo dialetto albanese e noi di conseguenza che non parliamo una parola che non sia il dialetto triestino. La strada che porta al lago noi ovviamente non la conosciamo, il bello è che non la conosce neanche la nostra guida: dovrebbero essere una dozzina di chilometri da Bajram Curri. La strada è da subito bianca, e dopo un paio di chilometri il nostro prende secco una diramazione a destra che inizia a salire, sembra la via giusta, sinchè la strada, dopo un bel tratto, termina in un viottolo sul nulla, ove abbiamo difficoltà pure nel girare il mezzo fuoristrada per tornare indietro. Bestemmioni, naturalmente. L’albanese suda, cerca conforto in qualche abitante del luogo (…non trova nessuno ovviamente…) e torniamo giù, riprendiamo la strada principale. Botta di culo! Un pastore di età indefinibile sta passeggiando, deve salire al lago, ci guida lui: provo sempre vergogna dal vedere il mio abbigliamento tecnico a sfidare gli avversi numi delle montagne e come vive e va in giro questa gente vestita di stracci, a fare cose inimmaginabili per noi. Unica vanteria che riconosco al pastore, è di puzzare come mai nessuno abbiamo sentito, veramente straordinario e da uscirne storditi. Lo molliamo presso una fonte perpetua d’acqua, dopo aver attraversato vari incendi ancora attivi, dove si trova la sua casa-capanna: è una costruzione eneolitica in pietre e rami che merita ogni pensiero commosso verso questo uomo. La strada oramai è una carrareccia marcatissima e certa, saliamo di quota e puntiamo un’incisione d’origine glaciale, entrando in un magnifico bosco a latifoglie, dentro una forra calcarea: dopo innumerevoli discorsi, ricerche e foto satellitari, eccolo il lago, siamo arrivati al “Liqeni Ponarit”, sede del nostro campo di una settimana.

 IL CAMPO E LA GENTE

Arrivati nel tardo pomeriggio quasi sera, paghiamo il loffio che ci ha portato sino a qui, scarichiamo il pick-up e guardiamo ove installare le tende. La prima sorpresa è legata al fatto che il lago e la sua vallecola alpino-glaciale sono sede di attività di pastorizia, la zona è abitata dal due nuclei familiari estesi. Mentre piazziamo le tende, arriva un vecchio dalla faccia simpatica e ben vestito e ci dice (intendiamo a gesti…) di spostarci nel centro della valle, rispetto al bordo superiore ove ci troviamo: già penso che inizia ad andare male, e invece a fine campo dovremmo già ringraziarlo solo per questo consiglio: la zona superiore è regno di due cani che difendono il gregge di pecore, e con questi scopriremo che non c’è tanto da scherzare, mordono e corrono sul serio. Mettiamo le robe ed arriva un spilungone con barba, giovane ma già adulto nei modi e nel presentarsi: è Edjion, ragazzo ventenne che parla sia italiano che inglese, si rivelerà un amico, una guida ed un indispensabile supporto per tutta la settimana a venire. Man mano che passano i giorni veniamo a conoscenza di tutto l’insediamento di pastorizia che ci sta attorno: Edjion e i suoi parenti, la nonna (altra persona straordinaria per dignità morale e per i sacrifici per cui deve aver lottato tutta la vita), lo zio Granit Ponari (padrone di tutto il lago e valle annessa, con una incredibile storia alle spalle legate ai suoi avi, possidenti terrieri e padroni di tutte le cime e altipiani attorno), Lupo, pastore scacciaorsi e insensibile a qualunque fatica e l’altro nucleo familiare riferito al pastore Skelcin, che non parla tanto bene perchè da ragazzo ha voluto ubriacarsi con la benzina, con il nonno patriarca dai capelli bianchissimi sempre sorridente e tutto uno stuolo di figlie e nipoti che passano l’estate agli alpeggi, facendosi tutti un mazzo tanto. Il nostro arrivo è ovviamente la novità degli ultimi anni, e con tutti loro riusciremmo nel corso della settimana ad instaurare un rapporto di rispetto, amicizia e aiuto reciproco. Ogni mattina arriverà latte fresco (che ad Eugenio non piace in quanto è solo abituato a bere quello fasullo ed annacquato di città…), burro salato, ricotta, formaggio e quanto hanno da offrire. Noi invece abbiamo fatto bene a caricare delle casse d’acqua nel fuoristrada, quella poca che rimane nel lago è assolutamente inutilizzabile, viene usata come piscina privata dalle vacche; in ogni caso scopriamo che c’è a circa un’ora di cammino questa magnifica fonte d’acqua perpetua che sgorga direttamente dal versante verso valle (probabilmente per condensazione notturna dell’umidità): è la vita per tutti. La valle è tranquilla, solo ogni tanto popolata da alcuni ragazzi che vanno a fare i boscaioli un chilometro più in alto (con sistemi e tecniche d’abbattimento da aspiranti suicidi) ed alla notte da qualche schivo orso che bagola sopra ai canaloni tirando giù pietre. Ancora, rapidamente, ci abituiamo anche noi al ritmo biologico della vita rupestre, a dormire al massimo alle 21.00 e già in piedi alle 07.30, se non prima, quando Skelcin passa con tutto il suo scampanio di pecore verso gli alti pascoli, verso le 5.30 del mattino… vien da pensare se la nostra esistenza da occidentali dipendenti da petrolio e supermercati e vestiti e telefonini è solo un grande e grigio bluff.

IL TERRITORIO E LE GROTTE

Come spesso accade, ho in testa tutta una serie di attività per la settimana, pianificate a tavolino a Trieste, davanti alla mappe di GoogleEarth: bello farneticare sulle mappe, muovendo uomini e intenti, giocando a fare gli esploratori! Arrivati lì chiaramente tutto si rimodula, e di brutto anche. Gli altipiani che sulle foto sembrano a portata di mano, sono estesi per kmq e incisi da valli, faglie, frane e quant’altro si possa trovare su montagne selvagge. Una bella scoperta è data dal vedere che a differenza dell’altra valle di Qerec Mulaj, qui i sentieri insistono ancora ben marcati e logici. Edjion racconta subito perché: la valle e i pianori circostanti sono stati sino al 1990 utilizzati in modo quotidiano dai minatori, che utilizzavano i cavalli per portare al lago i minerali di bauxite estratti in quota, ove ancora abbiamo visto e visitato gli ingressi di alcune miniere dimesse. Infatti, ancora tutto attorno è possibile raccogliere grandi pezzi di bauxite, che cadevano dai basti dei cavalli: oggi, a chi si reputa simpatizzante della dottrina comunista, suggerisco un soggiorno in tali miniere, a 2200 m di quota, in pieno inverno, senza lavorare, solo stare lì, non per scelta propria, ma perché è il partito che lo vuole ( infatti dei minatori, a parte alcuni russi, nessuno era volontario, venivano cooptati, presi di notte e portati per sei mesi almeno nelle miniere, senza tante discussioni, la famiglia non ne sapeva nulla. Nel 1990, con l’abbandono del regime a partito unico di Hoxha, i minatori salirono al lago e demolirono, a mano, tutte le strutture minerarie e la pensione-rifugio dove soggiornavano al centro del lago). Torniamo a noi comunque. La prima cosa da fare è stata farci dare supporto da Edi (Edjion), che ci ha fatto vedere alcune grotte nei dintorni, sui ripidi versanti che salgono dal lago, dove sono state esplorate due cavità, una risorgiva fossile e un grande meandro in parete raggiunto con una certa difficoltà. Altro supporto è stato dato da Skelcin, che ci ha indicato una grotta a pozzo (profonda 40 m) sui versanti che scendono a Bajram Curri e da un altro giovanissimo pastore di nome Azem, che ci ha portato sopra una voragine di 30 m, purtroppo entrambe chiuse al fondo. Battute di zona si sono svolte presso il versante E del monte Dhive (2334 m slm), a NE del monte Sthylles (2028 m slm) ed a E del Lucu i Thiut (2108 m slm) rinvenendo ed esplorando delle cavità minori, che in ogni caso necessitano di un ulteriore sopralluogo per poter dire che siano del tutto chiuse. L’attesa di una giornata di sicuro bel tempo per salire sui pianori in zona Hekurave, ci ha relegato ad utilizzare l’ultimo giorno disponibile, ove già dal mattino, si intuiva una giornata di alta pressione. Partiti alle 7, abbiamo da subito seguito Edi su tracce ben marcate, sino ad una casera abbandonata a quota 1700 m slm: da qui si entra in ambiente alpino, continuando su depressioni e catini ghiaiosi di facile intuizione, in ambiente splendido e selvaggio, su orientamento E prima e poi ESE rispetto alla cima. Saliti ancora di quota, attorno ai 2100 m slm, abbiamo trovato un paio di cavità ad andamento verticale, in ogni caso lontane dalle zone battute negli anni prima: finalmente arrivati ad alte quote, abbiamo potuto capire ove si trova la valle di Qerec Mulaj, da dove si era saliti gli anni precedenti e sino a che margini si erano spinte le battute di zona. In effetti, le aree setacciate nelle precedenti spedizioni non presentano delle evidenti forme di carsismo, perlomeno superficiale. Saliti in cima Hekurave a 2561 m slm (doveroso visto la giornata di sole e per la conoscenza del territorio), abbiamo seguito la proposta di Edi di ritornare al campo per un altro versante, più orientato verso i bacini E dalla cima: dall’alto s’intuiva una carsificazione superficiale. Quindi con una bella camminata extra sentiero, ci siamo riavvicinati piano piano verso il lago, dico piano perché ci siamo imbattuti in una amplissima zona decisamente interessante dal punto di vista speleologico, ove sono state marcate una dozzina di cavità ad andamento verticale, tra i 2400 m slm e 2100 m slm. Questi ingressi sono stati trovati senza spostamenti dalla traccia scelta per il ritorno, praticamente ci siamo caduti sopra…lascio immaginare che risultati potremmo ottenere da specifiche battute di zona. Arrivati alla sella erbosa a 2018 m slm posta a N dal lago, un’ultima sosta e poi giù di botto a fare gli ultimi 600 m di dislivello sino alle tende, dove siamo ritornati alquanto stanchini verso le 20:00. Niente riposo, abbiamo iniziato a sbaraccare ed a preparare i materiali, visto che l’autista che doveva venirci a prendere, come nelle migliori occasioni, non si è fatto trovare e quindi ci aspettava per il giorno dopo una ritirata a piedi per 15 km con tutti i materiali del campo.

Pranzo tradizionale albanese al campo base (foto L. Torelli)

Al mattino, riposto tutto e salutata tutta la gente dell’alpeggio, abbracciati i vecchi, Edi si è aggiunto a noi per scendere a valle, caricandosi di materiale e guidandoci su un sentiero che ci ha permesso di arrivare in sole 3 ore al borgo di Markaj, rispetto alle 6 preventivate. A Markaj sosta da un suo amico (mezzo bandito) che ci ha accolto nel suo bar (qui il termine bar va inteso come senso generico per indicare una casupola in cui si poteva comprare dalla birra al detersivo…e tanto altro…sottobanco…) e vista la generosa accoglienza ci siamo sentiti in debito di vuotare il frigo della birre: Eugenio grugniva con un elmetto italiano della II guerra in testa, si è presentato così poi conciato anche in albergo a Bajram Curri…
Stracchi della settimana e della birra,abbiamo chiamato un taxi (anche qui il termine va inteso in senso fantasioso…) per fare l’ultima ora di camminata, che caricato all’inverosimile ci ha portato a 10 km/h in centro a Bajram Curri (il taxi, il guidatore e la situazione continuano a farmi venire in mente l’ambientazione del film “Fuga di mezzanotte”…).
Nella cittadina poi, abbiamo preso una camera per lavarci, finalmente, allagando la stanza di acqua e birra (ancora….), facendo poi un giretto nel “centro” (popolato di macchine anni ’70 e mucche al pascolo…) e attendendo sonnacchiosi l’arrivo dell’altra ganga, avvenuto nel tardo pomeriggio.

 IMPRESSIONI

Possiamo dire di aver finalmente aperto una pagina di conoscenza concreta sulla possibilità di svolgere attività di ricerca speleologica nel settore E del bacino dell’Hekurave. Mentre shpella Zeze continua ad articolarsi dentro il massiccio da SO verso NNE, quindi ancora considerevolmente distante dai bacini E, la zona più interessante da noi indagata sembra rivolgere le sue acque e sviluppi verso la valle NE del massiccio, ove i pianori precipitano nella valle del villaggio di Dragobi: ciò è solo una pura ipotesi dettata da una singola visita a tali bacini, e considerando gli sviluppi futuri di Zeze associati ad un inizio d’indagine sotterranea delle cavità in zona 2100 m slm, tutto può venir ribaltato e ridiscusso. Diciamo che per il momento shpella Zeze è ancora molto lontana dalle cavità in alta quota trovate in questa spedizione, nell’ipotesi (a cui io credo molto) di un ingresso alto di Zeze che permetta un giorno di compiere una traversata. In ogni caso, questo bacino carsico va a mio modo assolutamente esplorato, credo sia uno scrigno ancora chiuso di dozzine di cavità alpine, tra i 2100 e 2400 m slm. Posto che sino a 1400 al lago Ponarit ci si arriva con un fuoristrada, e che un campo alto potrebbe essere posto a 2018 m slm nella sella sopra il lago, ove arriva un sentiero marcato utilizzabile anche dai cavalli per fornire acqua al campo stesso, tale zona potrebbe essere utilizzata come trampolino di lancio per iniziare a scendere qualche buco, che dista non più di 30 minuti dalla sella erbosa di quota 2018.
Per la CGEB:
Riccardo Corazzi, Lucio Comello, Eugenio Dreolin
Riccardo Corazzi