SISMOGRAFO DIDATTICO IN GROTTA GIGANTE
Nell’aula didattica della Grotta Gigante è stato montato un sismografo didattico che sta suscitando l’interesse e la curiosità delle scolaresche in visita. Visto il successo, mi è stato chiesto di descriverlo e di raccontarne la storia.
Negli anni ’70, la nostra regione e quelle limitrofe furono interessate da una serie di terremoti di forte intensità che ne sconvolsero la vita e ne cambiarono la storia.
L’Osservatorio Geofisico di Trieste con la sua stazione sismologica, la più vicina agli epicentri, assurse immediatamente a notorietà nazionale (quella internazionale l’aveva già). Pochi però erano informati che i sismografi veri e propri, cioè i sensori che rilevano i terremoti, erano posti in una nicchia scavata in fondo alla Grotta Gigante. Ubicazione questa che li rendeva tra i più sensibili in quel momento (e probabilmente ancora adesso). Gli eventi contribuirono a colmare questa lacuna e i visitatori della Grotta Gigante, incuriositi e interessati cominciarono a chiedere informazioni. L’allora presidente della CGEB Carlo Finocchiaro, memore del mio passato di dipendente dell’OGS e del lavoro che avevo svolto nel campo delle ricerche sismiche, mi chiese di verificare la possibilità di realizzare un sismografo didattico da esporre nella struttura della Grotta Gigante. Trovando assurdo inventare l’acqua calda, mi recai immediatamente presso l’OGS, dove avevo mantenuto ottimi rapporti e ottenni il permesso di pescare nei magazzini tutto quello che mi poteva servire allo scopo. Recuperai così la parte di registrazione di un vecchio sismografo Wickers e il sensore (danneggiato) di una degli elementi orizzontali. Questo elemento faceva parte di un gruppo di strumenti realizzati dall’OGS nei propri laboratori/officine per lo studio di fenomeni sismici a breve raggio. Essendo di piccole dimensioni si prestava perfettamente allo scopo didattico. Ci volle un certo lavoro di precisione per riparare l’elemento oscillante, ricostruire i pezzi mancanti e far funzionare il tamburo, ma alla fine il risultato fu soddisfacente.
Quando tutto fu pronto, fu deciso di disporlo sul piazzale di fondo della Grotta Gigante in una cabina vetrata con un sistema di deumidificazione.
La sistemazione però non ebbe vita lunga. Per vari motivi fu modificato il percorso turistico e il piazzale di fondo ne fu escluso. Anche l’idea di spostare la presentazione nella zona del bivio, dopo l’inizio di alcuni lavori per realizzare un piazzale adatto, fu abbandonata. In seguito, una serie di interventi nel complesso della Grotta Gigante, fecero passare nell’oblio il sismografo che finì in un angolo. A quel punto, memore del lavoro profuso e per evitare che andasse perso, recuperai quello che era possibile sistemandolo in luogo sicuro.
Con la creazione dell’aula didattica, qualcuno si ricordò del sismografo e mi contattò. Non ci volle molto a rimetterlo insieme e a ricostruire, anche stavolta, i pezzi che erano stati danneggiati o perduti. L’amico Paolo Toffanin si accollò il compito di realizzare un nuovo telaio per il montaggio in sostituzione di quello vecchio andato perduto e il tutto è stato allestito nell’aula didattica.
Descrizione
Il sismografo è composto di due parti distinte, il registratore e il sensore.
Registratore:
Esso è costituito da un tamburo su cui, in origine, era posto un foglio di carta lucida spessa, chiusa ad anello, e coperta di nerofumo. L’affumicatura avveniva in un locale attrezzato bruciando una miscela apposita. E’ chiaro che il rivestimento di nerofumo era molto delicato e non doveva essere toccato per non danneggiarlo. Il tamburo era messo in rotazione continua tramite un’asta scorrevole comandata da un meccanismo a contrappeso. Il pennino del sensore, appoggiato sulla carta, graffiava il nerofumo lasciando una traccia continua. Il tamburo girando su un’asta filettata, a ogni giro, si spostava lateralmente presentando sotto il pennino sempre una zona pulita. Ogni ventiquattro ore, la carta era tolta con delicatezza per essere sostituita e il nerofumo fissato in un bagno di gommalacca rendendola maneggiabile.
Sensore.
Prima di descriverlo bisogna spiegare alcune cose. Una stazione sismica è composta di tre sensori di cui due per le componenti orizzontali e uno per quella verticale. I tre elementi permettono di determinare le caratteristiche del movimento sismico. Per componente orizzontale s’intende quella rilevata da un sensore libero di oscillare solo orizzontalmente in una determinata direzione (es.: Nord-Sud). Questa è la caratteristica di quello esposto.
Esso consiste in un cubo di acciaio di dieci centimetri di lato incernierato al centro di una delle superfici mediante due sottili lamelle d’acciaio. Tramite queste lamelle il cubo è libero di oscillare orizzontalmente. Sulla faccia opposta è ancorato un braccio di trentacinque centimetri su cui può scorrere un’astina verticale che muove un pennino montato su una forcella verticale. L’estremità del pennino, appoggiata sul tamburo, riporta, sulla carta affumicata, ogni movimento della massa oscillante. Il sistema di leve formato dall’asta e dal pennino, amplifica ogni movimento da trentacinque a settantacinque volte e può essere variata agendo sulla posizione dell’astina verticale. Lo smorzamento delle oscillazioni è effettuato tramite una paletta ancorata sull’asta in prossimità della massa oscillante ed immersa in una vaschetta riempita di glicerina.
Il sistema, in origine, era completato da un marcatempo elettromeccanico collegato a una pendola di precisione che sollevava contemporaneamente, per un paio di secondi ogni minuto, i tre pennini interrompendo così la traccia sulla carta. In tal modo si permetteva la correlazione fra le tre registrazioni e l’interpretazione dell’evento sismico.
Augusto DIQUAL