Sergio Coloni

SERGIO COLONI – TRIESTE 22.04.32 – 17.01.2010

Il 17 gennaio 2010 è venuto a mancare Sergio Coloni. Sicuramente è un nome che non dirà molto agli speleologi di oggi, ma che ha un posto importante nella storia della speleologia del Friuli Venezia Giulia in quanto è legato alla prima legge speleologica.
Sergio Coloni era nato a Trieste il 22 marzo 1932; entrato nell’Azione Cattolica e nell’Associazione Silvio Pellico si dedicò alla vita politica nelle file della Democrazia Cristiana (ne fu segretario provinciale dal 1967 al 1973 e segretario regionale dal 1975 al 1978). La sua carriera politica lo vide percorrere tutte le tappe: consigliere comunale, consigliere regionale, assessore regionale prima alle Finanze e poi alla Pianificazione Territoriale, deputato, sottosegretario al Tesoro nel Governo Ciampi. Alla caduta, nel 1994, di quest’ultimo si ritirò – a 62 anni! –  dalla vita politica, rifiutando poi (caso piuttosto raro nel mondo politico italiano) incarichi e poltrone.
Ma non è sicuramente per questo che il mondo speleologico lo ricorderà: Coloni fu l’artefice, su suggerimento di Marino Vianello (come ha rammentato lui stesso in occasione del trentennale), della Legge Speleologica. Infatti fu lui a presentare, il 3 marzo 1966, la proposta di legge “Norme d’integrazione della legge statale 29 giugno 1939, n. 1497, per la tutela del patrimonio speleologico della Regione Friuli Venezia Giulia”. La prima “Legge speleologica”, che doveva far da modello a tante altre che seguirono nei decenni successivi, era stata preparata con Vianello e Finocchiaro e presentata con le firme dei consiglieri Bianchini, Metus, Moro, Ramani, Rigutti, Urli Stopper e Vigolini, uno schieramento trasversale che permise la sua approvazione in tempi rapidissimi: adottata dal Consiglio Regionale il 31 maggio 1966, rinviata dal Governo con osservazioni il 1° luglio, ripresentata in Commissione il 19 luglio, approvata il 1° settembre sub n. 27 e pubblicata sul BUR il 6 settembre. Il primo articolo della legge autorizza la Regione ad emanare provvedimenti per la difesa del patrimonio speleologico, ad incoraggiare le ricerche scientifiche e gli studi sul fenomeno carsico anche mediante concessione di premi, sovvenzioni e contributi, a promuovere l’organizzazione di convegni, corsi di studio e conferenze.
Grazie a quella Legge la speleologia regionale ha fatto un notevole passo avanti: non solo si è assicurata una vita dignitosa grazie ai contributi che hanno permesso l’acquisto di materiali, l’organizzazione di spedizioni e la pubblicazione di bollettini e riviste, ma ha riconosciuto formalmente l’esistenza del fenomeno carsico e delle grotte, fornendo le norme per la loro protezione.
Sergio Coloni e stato un amico del mondo delle grotte e di quello della montagna, ed è giusto che questo mondo lo ricordi.

Pubblicato su Cronache ipogee  1/2011: 8-11 a firma di Rino Semeraro

 Ricordando l’on. Sergio Coloni

II 28 gennaio 2011 ho avuto modo di commemorare al Savoia Excelsior Palace Hotel di Trieste la figura dell’on. Sergio Coloni a un anno dalla morte, invitato dalla famiglia, per quanto concerne l’attività istituzionale che egli svolse a favore della speleologia, di fronte a un folto e raccolto pubblico. L’incontro “Ricordando Sergio Coloni”, rivolto a inquadrare il percorso ecclesiale, sociale e politico dell’on. Coloni, è stato aperto dal prof. Raoul Pupo docente di Storia Contemporanea dell’Università di Trieste e chiuso dall’on. Pierluigi Castagnetti già vicepresidente vicario della Camera dei Deputati nella XV Legislatura.

Ricordo che l’on. Sergio Coloni morì a Trieste il 17 gennaio 2010, a 77 anni. Esponente di spicco della Democrazia Cristiana del Friuli Venezia Giulia, dove occupò pure la carica di segretario dal 1975 al 1978, fu anche consigliere comunale di Trieste e consigliere regionale per circa vent’anni, vicepresidente della Giunta regionale sotto la presidenza di Antonio Comelli. Fu eletto per la prima volta alla Camera nel 1984 e vi rimase fino al 1994, ricoprendo tra l’altro anche la carica di sottosegretario al Tesoro dal 1993 al 1994. L’on. Sergio Coloni, amante della montagna e sensibile interprete dei suoi problemi, aderì all’associazione parlamentare “Amici della Montagna” (di cui divenne vicepresidente), l’associazione degli eletti al Parlamento che ha per finalità la promozione e sensibilizzazione dell’azione legislativa al fine di valorizzare le regioni di montagna italiane e di tutto il mondo, di promuoverne lo sviluppo sostenibile, migliorare la qualità della vita degli abitanti, proteggere il fragile ecosistema, conservare e perpetuare le culture e le tradizioni delle montagne.

Per noi speleologi giuliani e friulani, il suo nome è legato alla cosiddetta “Legge speleologica”, ovvero la legge regionale 1 settembre 1966, n. 27, “Norme di integrazione della legge statale 29 giugno 1939, n. 1497, per la tutela del patrimonio speleologico della Regione Friuli-Venezia Giulia”. Cioè la prima legge, specifica, sulla speleologia varata in Italia.

La “Legge regionale 27/1966” ebbe un iter piuttosto breve. Presentata da Sergio Coloni e altri otto consiglieri regionali il 3 marzo del 1966 fu definitivamente approvata il 1° settembre dello stesso anno.

Vale la pena ricordare come nell’associazionismo speleologico regionale del 1966 vi fosse ancora una scarsa cultura generale in materia, e perciò una limitata percezione e capacità di valutazione sulla necessità e utilità di una legge che tutelasse le grotte e che favorisse l’attività speleologica. Il sostegno all’attività, nei gruppi grotte regionali, era fondamentalmente e tradizionalmente legato all’autotassazione dei soci per l’acquisto delle attrezzature speleologiche, agli esigui benefit di vari enti pubblici o privati sul territorio per la disponibilità di una sede sociale, all’ottenimento di, eventuali, modeste sovvenzioni da parte di enti pubblici locali, quest’ultime sostanzialmente legate alla conoscenza personale di qualche personaggio politico o della pubblica amministrazione. Pochissimi erano i gruppi grotte regionali che avevano esperienze di altro tipo e conseguentemente avuto introiti diversi. Come, per esempio, mezzi finanziari derivanti da investimenti produttivi nel turismo speleologico (citiamo un caso, la Commissione Grotte “E. Boegan” grazie alla gestione della Grotta Gigante), o da contributi statali specifici (citiamo un caso, la Sezione Geospeleologica della Società Adriatica di Scienze grazie ai contributi C.N.R. assegnati per studi di geospeleologia sul Carso e ricerche nell’ambito delle spedizioni all’Antro del Corchia), mezzi che erano appannaggio e alla portata solo di alcuni. Ovviamente, solo di “strutture” speleologiche molto avanzate.

In quel contesto la “Legge speleologica” nasce, storicamente, dall’intesa tra Sergio Coloni e Marino Vianello, entrambi all’epoca colleghi alla R.A.S. di Trieste (la Riunione Adriatica di Sicurtà S.p.A., oggi fusa in Allianz) e amici. Cioè l’idea di una proposta di legge nacque tra persone autorevoli nel campo della politica e della speleologia, in quel momento fortemente impegnate e ormai già valorizzate nella propria sfera d’interesse. La relazione sulla proposta di legge, oltre all’ispiratore e relatore Sergio Coloni, fu pure d’iniziativa dei consiglieri Bianchini, Metus, Moro, Ramani, Rigutto, Urli, Stopper e Virgolini, quindi sostenuta dall’intero arco giuliano-friulano.

La visione di Sergio Coloni — e l’occasione legislativa colta — considerata l’epoca, fu d’avanguardia, tenuto conto che non esistevano precedenti in Italia che riguardassero la speleologia.

Com’è noto, la “Legge regionale 27/1966” era— ed è – imperniata, sostanzialmente, su tre obiettivi: a) la tutela delle grotte, tant’è che essa nasceva proprio come integrazione della legge statale 29 giugno 1939, n. 1497, quale aggancio a una giurisprudenza esistente e consolidata, b) l’istituzione di un catasto regionale delle grotte, e) l’incentivazione di studi, ricerche, stampa, congressi, etc, nell’ambito della speleologia. Le tre parti, negli anni, ebbero vita diversa.

Nel 1966 la speleologia della regione Friuli Venezia Giulia, e in particolare (direi sostanzialmente) quella triestina, era ancora all’avanguardia in ambito nazionale. Anche se, da molti anni, erano sorte “altre” speleologie in Italia che avevano già ampiamente dato prova, sia in campo esplorativo sia scientifico, del loro valore e mostrato la loro propensione a staccarsi da quella che era stata considerata, nei decenni passati, la “guida” ispiratrice triestina. Anzi, se n’erano già staccate. Però, nel 1966, quando la “Legge regionale 27/1966” fu emanata, e pubblicata sul B.U.R. il 6 settembre, essa aveva di nuovo un forte credito giacché il prestigio dato dalle grandi esplorazioni sul Monte Canin, iniziate dalla Commissione Grotte nel 1963, aveva avuto un grande impatto sulla speleologia nazionale. La conoscenza della nuova legge, e dei suoi benefìci, per quanto concerne la speleologia regionale fu trasmessa attraverso riunioni ad hoc, e pubblicizzata da una nota di Marino Vianello sulla rivista Alpi Giulie (‘), allora piuttosto diffusa tra gli speleologi giacché, per tradizione (mai dismessa) riportava articoli e notizie speleologiche sezionali ma d’interesse generale. Poi, la legge fu pubblicata sulla rivista Rassegna Speleologica Italiana (2), che all’epoca era l’organo ufficiale di stampa dei gruppi grotte italiani (ed emanazione della Società Speleologica Italiana), rivista diffusa a livello nazionale che condivideva con Le Grotte d’Italia, dell’Istituto Italiano di Speleologia, l’editoria speleologica “di livello” in Italia. Parliamo -per quest’ultime – di riviste nate come “nazionali”, giacché da sei anni a Trieste si pubblicava Atti e Memorie della Commissione Grotte “Eugenio Boegan”, che, all’epoca, era sì di pari livello scientifico però considerata espressione locale. Infine — da non sottacere – l’informazione e la divulgazione fu data, a livello nazionale, nell’ambito dei vertici della Società Speleologica Italiana, in primis da Carlo Finocchiaro che in quegli anni era nel Consiglio direttivo, dove ebbe modo – e l’onore – di presentarla. Sempre all’epoca, a livello nazionale fu (dai miei ricordi) in particolare attraverso la Società Speleologica Italiana, con i suoi consiglieri e soci attivi, negli incontri, convegni e congressi in Italia, che si diffuse la conoscenza della legge, anche se dovettero trascorrere molti anni affinchè altre regioni emanassero leggi simili. Resta il fatto, che l’iniziativa legislativa di Sergio Coloni fu “apripista” e trainante per l’avvio e l’adozione di una più diffusa normativa sulla speleologia in Italia.

Sulla “Legge regionale 27/1966”, per quanto riguarda gli approfondimenti legislativi, dei contenuti e di una parte importante di ciò che produsse, rimando il lettore al volume edito congiuntamente nel 1996 tra la Commissione Grotte “E. Boegan” e il Catasto regionale delle grotte del Frìuli Venezia Giulia (3), in occasione dei trent’anni dall’emanazione della legge che, salvo le ultime azioni e vicissitudini, è ancora una buona antologia.

Oggi, a 45 anni di distanza dall’entrata in vigore della “Legge regionale 27/1966”, si può ben affermare che il lavoro legislativo di Sergio Coloni a favore della speleologia regionale ha dato, complessivamente. buoni frutti. Certo, l’attuazione delta legge, per alcuni aspetti, non fu facile e tempestiva, se alcuni punti ebbero forte e immediato impatto altri invece no, ma ciò non toglie importanza all’iniziativa, che rappresentò il vero volano per un forte sviluppo alla nostra speleologia, e in pochi anni.

Sicuramente, la parte della legge riguardante l’attività speleologica ebbe un riscontro immediato. In effetti, ci si basò su un’interpretazione abbastanza libera delle lettere a) e b) dell’art. 1, con i relativi capitoli di spesa, poiché le finalità erano un po’ diverse, ma fu una scelta che non ebbe effetti negativi. Dal 1966 si ebbe un notevole incremento dei gruppi grotte nella regione, anche con localizzazioni “in periferia’1 e non solo nelle grandi città; i gruppi grotte, beneficiati stabilmente da contributi, poterono estendere la loro attività, soprattutto esplorativa, giungendo alla scoperta di numerosissime cavità, che così incrementarono il catasto grotte, mentre fioriva la stampa speleologica, iniziando pure una stagione di convegni regionali di speleologia, che però col tempo purtroppo perse di vigore. In questi 45 anni, grazie alla spinta data dalla “Legge regionale 27/1966”, ogni lembo carsico regionale è stato calcato dai nostri speleologi, tanto che oggi si può dire come la distribuzione e, grosso modo, l’entità del carsismo ipogeo, dal Carso alle Prealpi alle Alpi, siano ben delineati. Anche se, sicuramente, non mancheranno grandi scoperte future. Purtroppo, con il passaggio recente di queste competenze di gestione alle amministrazioni provinciali l’incisività è scaduta giacché, oltre alle difficoltà di livello burocratico, ci si scontra con una visione territoriale localistica che non tiene conto dell’operatività delle associazioni speleologiche che è invece a tutto campo nell’intera area regionale.

Per quanto concerne la tutela delle grotte, questa si avviò tardivamente, ma ciò dipese dal fatto che con la “Legge 1497/1939” gli strumenti utilizzabili, in materia di cavità carsiche, erano lacunosi e affatto delineati. Ci volle l’interpretazione dell’Avvocatura Generate dello Stato, di oltre dieci anni dopo l’emanazione della “Legge regionale 27/1966” – che tra i punti più qualificanti chiarì il concetto dell’estendibilità della tutela dell’intera cavità rispetto all’ingresso quale oggetto preciso di tutela, mentre in passato la speleologia si era dibattuta nella fumosità di tale principio come il giurista Almini insegnava (4) – e, soprattutto, ancor più avanti servì la legge delega del trasferimento di competenze specifiche da stato a regioni, per poter efficacemente procedere. In sostanza trascorsero vent’anni prima che si potesse far qualcosa di concreto. Poi, dopo l’individuazione e tutela di un primo stralcio di cavità (circa una trentina) le cose divennero più semplici e l’Amministrazione regionale, tramite il Catasto grotte e i propri uffici, fu in grado di procedere alla tutela di un numero molto più consistente di grotte. Ricordo bene l’avvio del primo procedimento di tutela giacché, all’epoca, fu incaricata la mia vecchia società d’ingegneria di provvedere alla raccolta dei dati tavolali, catastali e delle relazioni sui pregi geologici, naturalistici, archeologici, etc, oltre all’esecuzione dei rilievi topografici strumentali in natura, necessari per iscrivere dette cavità. Oggi, con la “Legge regionale 27/1966” è ormai agevole, se necessario, procedere alla tutela di una grotta (non solo l’imbocco ma la sua intera estensione), attraverso decreto, secondo le procedure previste dalla “Legge regionale 29/1988”.

Il catasto delle grotte, invece, ebbe vita tormentata. Il problema sorgeva alla fonte, giacché la “Legge regionale 27/1966” prevedeva che esso potesse essere affidato a società del C.A.I. Ciò creo sin dall’inizio un problema etico, poiché se era ben vero che Punica società del C.A.l. in grado di gestirlo era la Società Alpina delle Giulie (con la Commissione Grotte “E. Boegan”) che, da sempre, teneva autorevolmente il catasto delle grotte della Venezia Giulia, era anche ben vero, pure in questo caso da sempre, come fosse il Circolo Speleologico e Idrologico Friulano a tenere quello delle grotte del Friuli. Ed entrambi i catasti VG e FR erano tenuti, esattamente, allo stesso modo e con i medesimi criteri, e le caratteristiche di storicità, tradizione e solidità dei due gruppi erano di uguale spessore morale. Da questa discriminazione, o meglio da questo monopolio sancito, sorsero i problemi che attanagliarono, nell’ultimo decennio poi con virulenza, la speleologia regionale sul problema del catasto, oltre al non eccessivo valore dei contenuti del catasto stesso. Un banale problema di pari dignità tra tutti. Sarebbe bastato – e nel 1966 erano formule già da tempo utilizzate — che la legge riportasse, per esempio, “da affidarsi ad associazione speleologica, o associazioni speleologiche consorziate o in altro modo all’uopo col legate, con sede stabile sul territorio regionale, che dimostrino e garantiscano la capacità tecnica, organizzativa, logistica, e la progettualità, necessari a svolgere efficacemente tale servizio, rispetto ad altri soggetti proponenti” (tale possibilità avrebbe aperto, con il passare degli anni e con la crescita delle associazioni, una sana competitivita, probabilmente con sviluppi positivi). Tanto, nel 1966, il catasto sarebbe andato in ogni caso alla Commissione Grotte e nessuno avrebbe avuto nulla da ridire poiché sarebbe stato non solo logico ma – aggiungo – doveroso. It catasto regionale delle grotte, anche causa delle norme regolamentari attuati ve rigide e allo stesso tempo limi tanti l’inserimento di dati e contenuti (che sì potevano cambiare, ma non si volle fare, o non vi fu la capacità o la visione), fu sempre uno strumento imperfetto. Anche perché, se non si fossero raccolti i dati “storici”, i rilievi originali etc, all’interno dei rispettivi catasti VG e FR, in che cosa questi (così valorizzati nei confronti del catasto pubblico!) si sarebbero differenziati rispetto al Catasto regionale? In nulla, hi sostanza, dati suscettibili di grande interesse non confluirono nel Catasto regionale mentre altri inseriti furono rielaborati a volte malamente. Naturalmente, accanto ad errori dì fondo vi furono iniziative, pertinenti al Catasto regionale, molto importanti, e che ebbero ritorni assai positivi, come l’avvio alla revisione delle posizioni topografiche delle cavità, la pubblicazione di “Quaderni”, una prima informatizzazione, l’apposizione di targhette agli ingressi, e così avanti. L’insanabile conflitto tra le parti finì con una modifica della legge nel 2007 che affidò il Catasto regionale alla Federazione Speleologica Regionale, anche qui creando, di nuovo, un monopolio, senza ottenere risultati apprezzabili. Oggi, il catasto grotte rimane quel che era, cioè uno strumento imperfetto, poiché per riportarlo — o portarlo (non è un gioco di parole) – a un buon livello, e renderlo strumento di maggior utilità, ce ne vuole.

I risvolti negativi, in altre parole le colpe, sono da ricercarsi in massima parte all’interno dello stesso associazionismo speleologico, che ha fatto “politica speleologica” sterile, per mere questioni d’immagine e potere (risibile poi, quest’ultimo), mentre le questioni dovevano essere affrontate esclusivamente su basi tecniche e utilitaristiche a favore di un più alto interesse generale nei confronti della comunità speleologica, non scordando la società civile che si avvale degli strumenti messi a disposizione dalla legge in questione.

Ad ogni modo, tutto ciò – ribadisco il concetto – non inficia assolutamente il valore della “Legge regionale 27/1966” e l’apporto di Sergio Coloni, il quale con lungimiranza, in tempi ormai lontani comprese la portata e ciò che poteva comportare una legge innovativa, su un problema specifico della Regione Friuli Venezia Giulia, come quello delle grotte, sostenendo e valorizzando la grande tradizione negli studi speleologici che è propria di queste terre. Non va neanche sottaciuto che, esplorazione, studio, tutela delle
grotte, significa (attraverso la conoscenza) oculata gestione dell’ambiente naturale,  soprattutto nella nostra regione ove te aree carsiche sono una superfìcie percentualmente importante della fascia collinare e montana.
E ciò tanto più ha valore poiché molte delle fonti per l’approvvigionamento idrico della popolazione e delle industrie, da noi, sono legate a bacini carsici, e numerose sono le opere d’ingegneria – realizzate o da realizzarsi – che pure insistono nelle zone carsiche.

Quanto sopra ricordato, e sull’avvedutezza di Sergio Coloni che (grazie a Vianello) approfondì la materia per predisporre una bozza di legge, si rileva dalla relazione sulla proposta di legge stessa. Non sono, infatti, casuali i passi come “…le grotte naturali non rappresentano però soltanto un argomento di ricerca scientifica teorica: attraverso lo studio di esse è possibile, a volte, portare sostanziali contributi alla soluzione di problemi economici o sociali dipendenti dal ritrovamento di fonti di approvvigionamento idrico”, ed ancora “…si sono avuti casi di cavità importanti per la loro bellezza e interesse scientifico ostruite da scarichi di immondizie o distrutte da cave di pietra o irrimediabilmente devastate dall ‘azione vandalica di pochi scriteriati che hanno asportato o semplicemente distrutto le concrezioni. Sono, quest’ultime, espressioni – direi edulcorate per il rispetto all’aula consigliare – per nascondere una situazione ben più grave, in quei primi anni Sessanta, o meglio per stenderne un velo. Dove, per esempio, farsi la piccola collezione domestica di stalattiti da parte dello stesso grottista, se non addirittura venderle, o sversare liquami inquinanti in grotta, erano purtroppo all’ordine del giorno. Il rispetto del patrimonio speleologico, all’epoca, non bisogna nasconderlo, era solamente sentito dalla classe più colta e avanzata degli speleologi, cioè un’esigua minoranza, mentre per un industriale – anche qui salvo un’esigua minoranza – la grotta non aveva alcun valore, ma ne acquisiva se diveniva fonte di guadagno illecito. Erano anni in cui le politiche e le sfide ambientali non erano ancora all’orizzonte!

L’occasione della commemorazione, all’Hotel Savoia, di un anno dalla morte dell’on. Coloni ci fa cogliere, come comunità speleologica, l’insperata opportunità di pubblicare il presente articolo. Direi obbligatorio. Tanto più che la scomparsa di questo grande sostenitore della speleologia regionale, avvenuta nel gennaio dello scorso anno, non ha visto proprio da parte della nostra speleologia che tanto gli deve, un particolare riscontro di scritti e testimonianze pubbliche. Anzi. La nostra speleologia, più che disorganizzata direi male organizzata, o è stata ingrata o semplicemente è stata sbadata. Propenderei per la seconda ipotesi, dato che “La gazzetta dello speleologo” era da tempo in dismissione e “Cronache ipogee” era proprio nella primissima fase di avvio. Pazienza. Oggi abbiamo cercato di rimediare, ed è questo ciò che conta!

Sergio Coloni – sempre dai miei ricordi personali, giacché molti furono i miei incontri con lui – in tanti anni di attività politica è stato sempre vicino alla nostra speleologia, favorendola quando poteva ed era il caso di farlo e fu sempre a disposizione degli speleologi, concretamente. Difficile trovare un altro esponente politico, poi di grande rilievo, che abbia mostrato uguale solerzia e intelligenza mirata alle nostre problematiche. Premio San Benedetto Abate patrono degli speleologi nel 1984. così la speleologia regionale gli tributò a suo tempo il proprio riconoscimento e apprezzamento. A un anno dalla sua scomparsa, quindi, esso va ricordato nel modo più coerente, per l’apporto sostanziale che diede, soprattutto per l’efficacia del suo intervento e per i grandi e positivi effetti duraturi che la sua azione produsse nella speleologia.

L’incontro “Ricordando Sergio Coloni” si è sviluppato attraverso tutta una serie di qualificati interventi, che si sono distinti quali contributi riflessivi, sobri e pacati (eccetto uno scaturito da un suo vecchio avversario politico, scaduto da un momento di volgarità abilmente mascherato da un anticonformismo di maniera; ma, avrebbe detto cristianamente Coloni: perdoniamo). L’incontro, protrattosi per ben tre ore, ha messo in luce le notevoli qualità caratteriali, di acutezza politica, più che di mediazione di capacità compositiva, di sintesi illuminata, di grande professionalità e dell’eccezionale forza di lavoro dell’on. Coloni. Il suo collega in Parlamento, l’on. Castagnetti, nel suo intervento ha posto in evidenza come egli sia stato un talento naturale e un leader: del tutto condivisibile! Ne è emersa, anche, la sua straordinaria capacità di ascoltare: qualità assai rara in un politico (che è stata paragonata a quella di Aldo Moro), indirizzata all’apprendere, all’allargare la propria visuale, al capire i problemi degli altri, per poi estrapolarne i reali bisogni e trasformarli in azione politica qualora ne beneficiasse l’intera società. Azione politica che, nel caso della speleologia, come abbiamo visto fu veramente di grande rilievo. Nel corso degli interventi (senza citare il mio che ovviamente era calibrato sulla speleologia) più e più volte ritornavano nei discorsi le testimonianze del suo amore per la montagna, come del resto la nutrita serie d’immagini di Sergio Coloni in sosta o in cammino verso i rifugi e le cime delle Alpi, proiettate, hanno mostrato: un amore per la natura e la montagna in particolare che proveniva sicuramente anche dalla sua fede e dal suo rispetto per il Creato.

Alla famiglia di Sergio Coloni che giustamente, assieme alla società civile, ne conserva la memoria, va il nostro pensiero, come pure l’espressione della nostra riconoscenza.

 Note bibliografiche

  • (1) Vianello M. (1966): Una legge sulla speleologia emanata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia. Alpi Giulie, Rass. Sez. Trieste C.A.I. Soc. Alpina delle Giulie, 61, Trieste, 87-92.
  • (2) Regione Friuli-Venezia Giulia- Legge 1° settembre 1966, n. 27 per la tutela del patrimonio speleologico (1967): Legge regionale 1° settembre 1966, n. 27. Norme di integrazione della legge statale 29 giugno 1939, n.  1497, per la tutela del patrimonio speleologico della Regione Friuli-Venezia Giulia. Rass. Spel. It., 19, 1-2, aprile 1967, Corno, 5-7.
  • (3) AA.VV. (1996): La legge regionale sulla speleologia ha treni’anni: i risultati, le proposte per il futuro. Auditorium del Mus. Civ. Revoltella, 12 ott. 1996, Ed. Comm. Grotte “E. Boegan” S.A.G.-CA1 Trieste & Catasto regionale delle grotte del Friuli-Venezia Giulia, Trieste, 128 pp.
  • Presentazione, in “La Legge Regionale sulla speleologia ha trent’anni: i risultati, le proposte per il futuro”, Trieste 12 ottobre 1996: 9-10
  • (4) Almini M. (1956): Alcune considerazioni giuridiche in tema di speleologia. Atti 7° Congr. Naz. Spel., Sardegna 1955, Rass. Spel. It.Soc. Spel. It., Mem. 111-1955, Corno, 24-30.