CAMPAGNA DI SCAVI NELLA 87 VG, ALIAS GROTTA PRESSO IL CASELLO FERROVIARIO DI FERNETTI (4° PUNTATA)
Pubblicato sul n. 56 di PROGRESSIONE – Anno 2009
Ci stiamo vestendo con i nostri stracci da grotta, sempre infangati ed umidi nonostante la stufetta a gas sistemata nel comodo prefabbricato di cui disponiamo, per scendere per la centosettantesima volta (sic) in quella sacramentata grotta citata nel titolo. Quando l’intramontabile, l’indistruttibile, insostituibile Pino Guidi, amico e compagno di innumerevoli peripezie speleologiche mi disse: “Per il prossimo numero di ‘Progressione’ non abbiamo ancora nessun articolo che parli si attività speleo sul Carso. Vedi un po’ tu se riesci a scrivere qualcosa in proposito”.
Bella proposta! Sono passati i bei tempi, chiamiamoli così, quando potevo sciorinare sulle pagine della nostra rivista gli elenchi delle cavità scoperte, esplorate e rilevate. E’ ovvio che non tutte le grotte di cui sopra siano state degne di nota, però, in fin dei conti, il gioco era valso la candela
Scoprire, aprire, esplorare! La vecchia “Squadra Scavi” della Commissione Grotte si è dedicata da decenni a questo tipo di speleologia, attività ridotta poi al lumicino nell’arco degli ultimi quattro anni. Il perché di tale fatto è notorio, presumo lo sappiano tutti: da quasi quattro anni la squadra addetta ai lavori sopra citati è impegnata nella 87 VG, dove spera di raggiungere il Timavo o qualche suo ramo secondario che sicuramente scorre nelle abissali profondità di questa grotta che poco o nulla ci ha regalato e che temo continuerà a darci niente. Il motivo è abbastanza semplice, ogni tanto lo ricordo agli amici: abbiamo iniziato i lavori in questa malefica cavità un milione di anni troppo presto; la grotta è ancora in formazione, è in fase giovanile che più giovanile non si può. Trascorso tale lasso di tempo l’acqua, che è il miglior attrezzo per allargare le strettoie, provvederà ad unire la miriade di pozzi, camini, cunicoli, cavernette (pochissime…) che abbiamo aperto, allargato o costruito, in un unico vano in contatto diretto con il Timavo, anche se dubito che in quel lontano futuro il fiume possa ancora esistere.
Dopo questo preambolo, con il quale ho esternato le mie solite pessimistiche opinioni, passerò a descrivere i lavori effettuati in questa grotta che ancora non può fregiarsi (se mai si fregerà) col titolo di “Meravigliosa”.
Il resoconto della campagna di scavi relativa a questa quarta puntata (la più sfigata) inizia con l’apertura del famoso bucolino nero individuato con la coda dell’occhio dall’amico Furio alla fine del 2008. Dopo parecchie giornate di lavoro atte ad allargare il minuscolo pertugio di cui sopra, con la conseguente difficoltosa sistemazione del pietrame di risulta lungo le pareti del pozzetto terminale, a metà marzo siamo riusciti ad aprire l’accesso di un pozzo strettissimo, impostato su una frattura allungata, profondo metri sei. Prima che il raziocinio avesse la meglio sull’imprudenza, mi ci sono infilato e dopo qualche contorcimento ne ho raggiunto il fondo angustissimo, costituito da roccia cosparsa di detriti. Davanti a me, quasi a contatto di naso, si stagliava una frattura verticale alta circa un metro, profonda altrettanto e larga una spanna. Le pietre lanciate, non senza difficoltà, nella frattura medesima si fermavano ad un metro sotto i miei piedi. La circolazione d’aria era praticamene assente.
L’idea di rendere agibile il pozzetto, nel quale mi ero infilato, per poter poi forzare la successiva frattura non è realizzabile in quanto non c’è più spazio disponibile per depositare i detriti.
Così, in attesa di qualche piena timavica (quando c’era “lei” non c’eravamo noi…) in aprile abbiamo deciso di ricorrere al forzamento dell’aria tramite un ventilatore portato dal sempre disponibile amico Gianluca Depretis. Questa tecnica di sollecitazione dell’aria in molte cavità (Gr. Martina, Gr. Delle Gallerie, Gr. Del Campo Profughi di Padriciano ecc.) aveva già dato risultati positivi.
Installato l’apparecchio sull’ingresso della grotta si è dato il via alle prove di aspirazione. L’aria forzata che risaliva i pozzi, vuoi dalla quota -96 metri (fondo del Ramo Nord) che da quella appena raggiunta di -100 (meno qualche decimetro) nel nuovo Ramo Sud, era assolutamente insignificante. Un deciso flusso dell’aria stessa invece è stato localizzato a quota -47 e proveniva da una esigua fessura ubicata nella parete del camino che sovrasta il P. 22 del Ramo Sud e la cui volta frastagliata fa da base al P.27. Inutile dire che abbiamo spostato il cantiere in quel sito e, dopo aver armato la risalita del camino stesso con alcune scale fisse, si è dato il via, a quota -62, ai lavori di sbancamento. Le fratture venivano allargate abbastanza speditamente anche perché non avevamo più problemi di spazio per sistemare il solito materiale di scavo. Infatti, il pietrame di ogni dimensione veniva fatto precipitare nel P.22 terminale (quello che portava a quota -96), dopo naturalmente aver tolto le scale fisse con le quali era stato attrezzato.
Dopo alcune giornate di intensi lavori a metà maggio ci siamo affacciati ad un meandrino alto circa tre metri, piuttosto angusto, sul cui fondo roccioso si aprivano numerose fratture orizzontali che immettevano in altrettanti pozzetti. I lavori di ampliamento si sono accentrati sulla frattura aprentesi all’inizio del meandrino, in cui il lancio di pietre faceva presagire l’esistenza di un pozzo sulla quindicina di metri di profondità. Con uno scavo in viva roccia ci siamo abbassati per due metri e passa, senza incontrare uno slargo che ci permettesse di valutare il lavoro ancora da svolgere. Anzi, il foro che stavamo ampliando si restringeva sempre di più fino a ridursi a pochi centimetri di diametro.
L’aria circolante negli angusti ambienti nei quali operavamo era scarsa, non affidabile quale indicatore. Sicuramente il suo movimento, labile sotto tutti i punti di vista, veniva innescato dalla nostra presenza. Un flusso d’aria, debole ma costane, sembra provenire dalla volta accidentata del meandrino sopra citato, però, a tutt’oggi, non siamo riusciti ancora a localizzare il punto dove inizia la sua caduta.
Vista l’onerosità di proseguire lo scavo in viva roccia testé descritto, abbiamo optato di allargare un’altra frattura vicina, che immetteva anche lei in un altro pozzetto nel quale, durante il tentativo di scenderlo, mi sono atrocemente incastrato. Per non incorrere ulteriormente in tali poco simpatiche situazioni, il pozzetto in questione (un P.8) è stato allargato da capo a piedi, altrettanto dicasi della esigua fessura aprentesi sul suo fondo che, per il momento, resta sempre un passaggio per supermagri. Detta fessura immette in un ulteriore pozzo profondo una decina scarsa di metri disceso unicamente da Furio, a fine dicembre, tra tanti patemi d’animo: pietre in bilico, lame sporgenti e piacevolezze del genere, che gli hanno sconsigliato di procedere oltre. Il fondo, da lui intravisto qualche metro più in basso dal punto raggiunto, ha forma allungata ed è costituito da numerose lame strutturali.
Ciò conferma quello che ho accennato nelle righe precedenti: la grotta è ancora in fase di formazione e approfondimento.
L’ultima uscita, la centosettantesima, è stata dedicata a nuove prove con l’aria forzata (sempre con il ventilatore gentilmente prestatoci da Gianluca) e sembra che questa provenga dagli interstizi del fondo non ancora raggiunto. Per poter effettuare un’accurata ispezione in tale luogo bisognerà eseguire una radicale opera di bonifica lungo le pareti di quest’ultimo pozzo per togliere tutte le “incombenze” ivi esistenti.
Concludo con queste note il resoconto della 4a puntata della campagna di scavi nella 87 VG, sperando che dopo quasi quattro anni di lavori in quest’ostica cavità, si riesca finalmente a individuare il punto giusto dove indirizzare i futuri lavori.
Bosco Natale Bone