..TEN YEARS GONE, HOLDIN’ ON..*
Pubblicato sul n. 56 di PROGRESSIONE – Anno 2009
Quattro secondi e sento il primo botto, sono 70m in libera … vabbè, penso, se si ferma lì…. trattengo il fiato per i successivi quattro, cinque secondi poi il boato che segue, spazza via ogni residua speranza.
La mia macchina fotografica è andata.
Scendo il P70 ed i successivi 190m del Ludovico e, mentre attendo gli altri, mi ritrovo ad ispezionare quel che resta del sacchetto personale e della borraccia, letteralmente esplosi; più in là ritrovo un patetico micro ammasso metalloplastico color azzurro, da cui estraggo, ridicola consolazione, la scheda di memoria intatta.
La partenza del P70 è piuttosto stretta ma non mi spiego come il moschettone del sacchetto personale abbia potuto aprirsi, svincolandosi dall’imbrago; c’è poco da far buon viso a cattivo gioco: mi girano a mille, non tanto per la macchina in sé (praticamente nuova) ma per non poter portare a casa nemmeno una foto.
E’ passato un decennio dall’ultima esplorazione all’S3, buco anni ’70 della Trenta Ottobre posto fra il Col Delle Erbe e la Conca Dei Camosci, ripreso da alcuni di noi nel ’97 e portato a quota
– 500m ca. nel 2000 con il nuovo ramo Arancia Meccanica.
Eh già, credo fosse proprio durante il febbraio del 2000 quando ci fermammo, Riki, Fede ed io (allora tutti ancora AXXXO), davanti ad un’impraticabile strettoia in frana; oltre scorgemmo il largo ma non avevamo nulla con cui disostruire e la mollammo lì.
Intendiamoci, non che in quel momento s’avesse particolari velleità di proseguire nel marcio in quell’inferno d’acqua, tant’è che, indefinibilmente fradici ed ipotermici, schizzammo via il più velocemente possibile.
Lo stillicidio era ovunque, ma nessun punto facile ove poter riempire le lampade, infatti mi ritrovai a “pisciare” nella carburo di Gino perché a lui, in tutto quello scrosciar d’acque, paradossalmente non “teneva”.
Ad ogni modo le esplorazioni sarebbero state interrotte quello stesso giorno, perché, sebbene al momento ne fossimo ignari, di lì a qualche mese ci saremmo trovati a traghettare verso la Commissione Grotte.
La curiosità ovviamente rimase e così, dopo aver lasciato passare un tempo infinito, ci accordammo con “Celerà” e “Giusto” (gli unici due della Trenta che nel frattempo avevano preso in mano il testimone sostituendo attacchi e cordame vario fino a –400m), a collaborare per il seguito delle esplorazioni.
Collaborazione beffardamente breve, come vedremo.
Torniamo a noi: siamo a –350, le imprecazioni fanno a gara per uscirmi dalla bocca tanto mi sto maledicendo per la disattenzione; con me solo Riki e Davide, Gino è assente ingiustificato (it’s real love baby…) mentre Celerà e Giusto si trovano in altro affaccendati.
Siamo arrivati fin qui praticamente asciutti, il che è già un bene vista “l’umidità” che sicuramente ci attende più avanti; ci infiliamo nel meandro e dopo qualche strettoia, che onestamente ricordavo più amichevole, ci ritroviamo nello slargo a – 420.
Ho riesumato, per l’occasione, la giacca di una cerata da barca vecchia di venticinque anni che non esito ad indossare prima di imbucarmi nella prosecuzione che tanti anni addietro avevo liberato spalando con le mani un misto acquoso di ghiaino e fango, imbocco nascosto di un pozzetto che s’infila fra massi di conglomerato e conduce, tramite una strettoia franosa, nuovamente al meandro.
Pochi metri belli dritti, il rombo dell’acqua che scorre sotto di noi, e giungiamo ad un primo salto di una decina di metri, lì ci attende la prima vera doccia pronta a darci la sveglia come si deve; Davide indossa il poncho mentre Riki lotta con un risibilissimo “mantellino” trasparente “made in China” da € 2,00 e spessore micrometrico.
Cappuccio sopra il casco e ci si lancia letteralmente giù; ne usciamo quasi indenni e ci ritroviamo, dopo altri venti metri di progressione in faglia, alla stretta partenza del P60; abbiamo con noi ottanta metri di corda più gli attacchi da sostituire sul pozzo, e, anche se il materiale in loco appare più che dignitoso, procedo a riattrezzare comunque.
Non passano cinque minuti che già mi prendo ad insulti, la velocità cui sono obbligato fa sì che l’acqua abbia tutto il tempo per ridurmi in uno stato patetico, poi, una volta alla base della verticale, mi consolo osservando chi sta peggio di me: metà del poncho di Riki è a brandelli, l’altra metà è sessanta metri più in alto.
Scendiamo ancora di cinque metri e ci ritroviamo dove avevamo lasciato 10 anni prima; sopra di noi incombono svariati metri cubi di massi di conglomerato in equilibrio precario, il passaggio da forzare è là sotto in mezzo a tutto quello sfasciume.
Sistemiamo l’attrezzatura nei pochi metri quadri a disposizione mentre, nell’unico angolino semiasciutto, si procede con lo speleo-ricettario made in Crevatinlandia.
Osservo il passaggio e mi rendo conto di averne un ricordo molto diverso, non escludo si sia modificato in tutti questi anni, vista la precarietà strutturale e la natura incoerente del materiale che ci circonda.
Iniziamo timidamente a disostruire a mano e, mentre spostiamo alcuni blocchi, ci appare sempre più evidente l’ambiente che ci attende, il meandro prosegue ampio ed invitante e d’aria ce n’è anche troppa.
Man mano che procediamo prendiamo coraggio e, cercando di ignorare quello che abbiamo sopra la testa, cominciamo a farci largo a calci.
Il tempo di rovesciare metà dei tortellini perdendo pezzi di fornello in anfratti impenetrabili (aprendo un contenzioso tuttora in corso), ingurgitarne l’altra metà ed in ultimo “rifinire” il passaggio con due colpi di Ryobi, che ci si ritrova nuovamente in esplorazione.
Scendo per un paio di salti e poi mi tengo alto mentre Davide si abbassa di qualche metro seguendo l’acqua; quando poco dopo ci chiama, intuisco che è finita lì, il fango nero che ricopre le pareti davanti a me non lascia adito a speranza. Lo raggiungiamo davanti alla fessura centimetrica da cui transita tutta l’aria e, sotto i nostri piedi, fissiamo attoniti la ghiaia attraverso cui permea l’acqua.
-542, fine dei giochi.
Il livello di fango sopra di noi indica chiaramente che durante il disgelo e la stagione estiva, l’acqua, già abbondante in periodo di magra, non riesce a defluire rapidamente, allagando i vani diversi metri più in alto.
Ingoio amaro per quei cinquanta metri di sviluppo e venticinque di dislivello di grotta “nuova” perché, a saperlo, avremmo potuto concludere tanto tempo fa.
Poi penso che l’attesa ha reso il tutto più bello, a quanto sia stato strano rivedermi là dopo tanti anni, ma che in quel momento sembrano essersi compressi in un giorno solo, ed alla fortuna di esserci quando un ciclo cui sei sinceramente legato si chiude.
Il freddo incalza, e, inserito il pilota automatico, concentrandoci su visioni d’idromassaggi e saune di terra austriaca, raggiungiamo nuovamente quota –350.
Sacco “ignorante” e pantin al piede (perché ad una certa età diventa psico-fisicamente necessario) e dopo qualche ora siamo fuori.
La delusione è un ricordo mentre muoviamo stanchi verso il DVP; lo spettacolo attorno a noi, come ogni notte, dopo ogni “punta”, in qualsivoglia stagione, mozza semplicemente il fiato.
L’indomani, prima di andarcene, Riki ironicamente annota sul libro del bivacco: << ..Totò ai “suoi primi quarant’anni”…>> io quasi me lo ero scordato.. eh già … ten years gone holdin’on.
Paolo de Curtis
Oltre a me, presenti:
Riccardo Corazzi C.G.E.B.
Davide Crevatin C.G.E.B.
* “Ten Years Gone”
Physical Graffiti album
Led Zeppelin
Purtroppo no:
Federico “Gino” Deponte C.G.E.B.
Roberto “Celera’” Trevi G.G. AXXXO
Stefano “Giusto” Guarniero G.G. AXXXO
