2007 – Impatto ambientale di attivitè antropiche sulle aree carsiche della Sardegna

 

IMPATTO AMBIENTALE DI ATTIVITA’ ANTROPICHE SULLE AREE CARSICHE IN SARDEGNA

 

PUBBLICATO SU ” atti e memorie n 41″

JO DE WAELE – IMPATTO AMBIENTALE DI ATTIVITA’ ANTROPICHE SULLE AREE CARSICHE IN SARDEGNA

RIASSUNTO

Circa un decimo della superficie della Sardegna è caratterizzato all’affioramento di rocce carbonatiche di varia età. Queste aree sono spesso ricche di manifestazioni carsiche superficiali e sotterranee e costituiscono territori di elevato valore naturalistico e scientifico con una spiccata vulnerabilità
intrinseca. Le attività umane da sempre hanno avuto un ruolo nelle modificazioni dell’ambiente carsico della Sardegna, ma è soprattutto nel secolo scorso che il loro impatto è divenuto più significativo.
In questo lavoro vengono illustrati i fattori di pressione più rilevanti, tra cui meritano una particolare attenzione l’industria (soprattutto quella mineraria), gli insediamenti urbani, il turismo, l’agricoltura e le servitù militari.
Appare sempre più chiaro l’impatto ambientale delle attività antropiche nelle aree carsiche della Sardegna e la necessità di una normativa in grado di tutelare queste zone di grande importanza per l’uomo per le sue risorse ambientali e scientifiche.
SUMMARY
LAND USE AND MEN IMPACT ON KARST AREAS IN SARDINIA (ITALY)
Almost one tenth of the surface of Sardinia is characterised by the outcropping of carbonate rocks of different ages. These areas are often rich in both surface and underground karst features and are intrinsically vulnerable territories of great naturalistic and scientific value. Human activities have since long time had an important role in the geo-environmental changes of these karst areas, and
their impact has increased considerably in the last century. The most significant pressures on the environment, such as industry (especially mines and quarries), urban settlements, tourism, agriculture and military settlements are here illustrated. This continuously increasing environmental impact on the karst areas of Sardinia is making legislation, able to safeguard these delicate  geo-ecosystems,
extremely necessary. Only in this way the environmental and scientific resources of Sardinian karst areas will be protected for the future generations.
(*) Istituto Italiano di Speleologia, Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali, Via Zamboni 67,
I – 40126 Bologna – E-mail: dewaele@geomin.unibo.it

Introduzione
Le aree carsiche sono considerate tra gli ambienti più interessanti dal punto di vista scientifico, con una ricca e diversificata fauna e flora. Ospitano spesso sedimenti con un importante contenuto paleontologico ed archeologico, preservate dall’erosione nei ripari e nelle grotte. Nelle fratture e nei condotti carsici scorrono acque sotterranee di buona qualità che riaffiorano abbondanti in corrispondenza di sorgenti e risorgenti talvolta inseriti in un paesaggio di incomparabile bellezza. Purtroppo esse anche aree molto vulnerabili,
esposte a rischi sia naturali che antropici in modo sempre più preoccupante. Esistono molti studi che trattano il problema dell’impatto umano sulle aree carsiche, spesso riuniti in volumi monografici o atti di simposi (AA.VV., 1989; Sauro et al., 1991; Gili & Peano, 2003; Chiesi et al., 2006). Per diverse aree geografiche italiane esistono studi specifici che mettono in luce e cercano di quantificare l’impatto antropico sull’ambiente carsico (Burri, 1989; Cucchi, 1990; Sauro, 1993; Burri, 1994; Burri et al., 1999; Drysdale et al., 2001; Parise & Pascali, 2003). Anche in Sardegna, dove l’impatto antropico sulle aree carsiche è diverso rispetto al resto d’Italia a causa dell’alta incidenza di attività estrattive,
sono stati fatti alcuni studi (Aru et al., 1982; Forti et al., 1988; De Waele & Pisano, 1998): in questo lavoro si cerca di aggiornare tali dati. Le aree carsiche in Sardegna In Sardegna affiora un basamento Paleozoico, per lo più costituito da rocce intrusive e metamorfiche, sul quale poggiano in discordanza varie unità sedimentarie e vulcaniche di età più recente. L’orografia è molto varia, caratterizzata da estese aree subpianeggianti corrispondenti a fosse tettoniche (es. Campidano) oppure ad altipiani basaltici (es. le “giare”, l’altopiano di Abbasanta), interrotte da alcuni grandi apparati vulcanici (Monte Arci, Monti Ferru) oppure da aree montuose, spesso composte da rocce granitoidi, carbonatiche o metamorfiche. Le quote massime si raggiungono nel massiccio del Gennargentu (Punta La Marmora, 1834 m s.l.m.). Le rocce carbonatiche occupano meno di un decimo della superficie isolana. Questi affioramenti, che si trovano sia in zone costiere sia in aree montane fino a quota 1500, costituiscono spesso aree carsiche. Dal punto di vista geologico-
geografico si possono distinguere diversi gruppi carsici, che riuniscono un numero più o meno grande di aree carsiche dalle caratteristiche piuttosto omogenee, i più importanti dei quali sono il gruppo Cambriano del Sulcis-Iglesiente, le aree Giurassico-Cretacee del Supramonte, dei Tacchi (o Tonneri) e della Nurra, l’esteso altopiano Eocenico del Salto di Quirra e le grandi coperture calcaree Mioceniche del Turritano-Logudoro-Anglona, del Cagliaritano e dell’Alta Marmilla. Esistono inoltre diversi affioramenti più piccoli, di età Siluro-Devoniana, Triassica e Giurassica, che completano il quadro delle rocce carsiche
regionali (De Waele & Grafitti, 1998a).
L’inventario delle aree carsiche della Sardegna, pubblicato alcuni anni fa, conta ben 219 aree carsiche che coprono una superficie totale di 2088 km2,  corrispondenti a 8,7 % della superficie dell’Isola (De Waele, 2003b) (fig. 1).
Le aree carsiche, malgrado questa ridotta superficie, occupano un posto di rilievo nei lineamenti del territorio sardo (De Waele, 2003a). Insieme al paesaggio granitico, quello carsico è il più rappresentativo della Sardegna, con moltissimi geomorfositi ben conosciuti al grande pubblico, come Perda Liana, le splendide cale del Golfo di Orosei, Su Gologone, la voragine del Golgo (De Waele et al., 1999) e diverse grotte turistiche (Nettuno Bue Marino, Ispinigoli, Su Marmuri ecc.) (De Waele & Grafitti, 1998b).

Fig. 1 – Gruppi oro-geografici ed aree carsiche della Sardegna con cenni sulla geologia (modificato
da De Waele, 2003b): le sigle si riferiscono all’elenco catastale delle aree carsiche.

Fin dalla sua comparsa nell’Isola, probabilmente circa 20.000 anni fa (Sondar et al., 1995), l’uomo ha spesso trovato rifugio nei ripari e nelle grotte. La frequentazione delle aree carsiche, in molti casi piuttosto inospitali e di difficile accesso, è aumentata soprattutto con l’arrivo di invasori stranieri che spingevano le popolazioni locali a difendersi nelle regioni interne dell’Isola (fig. 2). Così anche nei monti carbonatici dell’interno nascevano villaggi, costruzioni di difesa (nuraghi) e varie strutture di adattamento (raccolta d’acqua,
deforestazioni, miglioramenti del pascolo). L’impronta geomorfologica di queste attività umane sui territori carsici, inizialmente molta ridotta, è andata via via crescendo, con un notevole aumento d’incidenza soprattutto negli ultimi due secoli. Il presente lavoro intende proprio mettere in luce questi fattori di pressione più importanti.
Lo studio di queste dinamiche evolutive fornisce una chiave di lettura  indispensabile per la comprensione globale dei geo-ecosistemi carsici che potrà, in un prossimo futuro, costituire la base per i piani di gestione di questi fragili ambienti.

Fig. 2 – Il villaggio nuragico di Tiscali, costruito all’interno di una dolina di crollo nel Supramonte (Oliena-Dorgali).

Le risorse dell’ambiente carsico e la loro vulnerabilità L’ambiente ed il paesaggio carsico risultano generalmente molto vulnerabili alle pressioni
ambientali indotte da processi naturali e/o antropici. Inoltre, le aree carsiche sono state spesso preferite dall’uomo per tutta una serie di motivi, tra cui l’esistenza di cavità e ripari sottoroccia e, in particolare sui bordi dei massicci carbonatici, la presenza di ricchi boschi, ottimi suoli e fonti idriche consistenti.
Le risorse delle aree carsiche possono schematicamente essere suddivise in 4 grandi categorie: l’acqua (e, in connessione con essa, l’atmosfera), l’ambiente geomorfologico in generale, la risorsa biologica e quella culturale.
L’inquinamento ed il depauperamento della risorsa idrica rappresentano sicuramente i problemi più importanti. A causa della continua e crescente urbanizzazione, infatti, queste aree, ed in particolare la risorsa acqua in loro contenuta, sono sempre più esposte ad elevati rischi di contaminazione e di sovrasfruttamento. L’alta velocità di flusso delle acque sotterranee
e la scarsa capacità di autodepurazione dell’acquifero carsico determinano un’elevata vulnerabilità all’inquinamento. Fattori che possono attenuare gli effetti della contaminazione sono la presenza di suoli e coperture vegetali, una zona epicarsica ben sviluppata, il deflusso più lento in microfratture invece che in condotte carsiche e la diluizione da parte di acque meteoriche non contaminate (Vigna & Calandri, 2001; Forti 2002; Vigna, 2002). L’inquinamento delle acque carsiche non è un processo del tutto irreversibile, tuttavia
certi tipi di contaminazione possono perdurare nel tempo e compromettere la risorsa per molti decenni, se non secoli. Esiste infatti il fenomeno, tipico per gli acquiferi carsici, dell’accumulo degli inquinanti, i quali vengono mobilizzati soltanto durante le piene con improvvisi picchi di inquinamento. Non va dimenticato, inoltre, il crescente problema dello sfruttamento incontrollato della falda idrica che tende ad abbassare la superficie freatica, causando il prosciugamento di sorgenti oltre che dissesti in superficie (subsidenze e doline
di crollo) (AA.VV., 2000; Nisio, 2004) oppure richiamando, specie nelle zone costiere, acqua salmastre con conseguenze gravi dal punto di vista qualitativo (Delle Rose et al., 2003). La risorsa geomorfologica è molto più articolata e comprende la morfologia carsica superficiale (macro-e microforme), il suolo, l’epicarso e le grotte con i loro depositi. Si tratta in genere di risorse difficilmente rinnovabili, e il loro degrado può avere conseguenze gravi anche a lungo termine. Il sistema geomorfologico poi è strettamente legato a quello idrogeologico, quindi ogni eventuale modificazione dell’ambiente superficiale ed epicarsico ha dirette conseguenze anche sulla dinamica con cui è alimentato l’acquifero (Jones et al., 2003). Le aree carsiche costituiscono anche degli ecosistemi unici in cui trovano rifugio tantissime specie animali e vegetali. Sulle rupi calcaree, nelle garighe montane, sul fondo delle depressioni carsiche e sui litosuoli carbonatici vegetano innumerevoli varietà di piante endemiche che compongono un’associazione floristica molto ricca, mentre nell’epicarso
e nelle cavità naturali abita un’importante fauna troglobia e troglofila con numerose specie endemiche d’elevato valore scientifico e biogeografico (Bani, 2001). Sempre negli anfratti e nelle grotte inoltre si sono conservati dei sedimenti ricchi di reperti paleontologici e archeologici d’inestimabile valore culturale. Il paesaggio carsico spesso custodisce anche antichi segni dell’opera dell’uomo, con adattamenti della morfologia ed insediamenti spesso tipici di queste aree. Un esempio è dato dall’impermeabilizzazione di doline per lo stoccaggio di acque superficiali (Laureano, 2001), dai muretti a secco prodotti dallo spietramento dei terreni calcarei (Burri et al., 1999) oppure dagli ingegnosi
sistemi di raccolta delle acque costruiti dai pastori (De Waele & Nieddu, 2005).
Tutte queste modificazioni del paesaggio rendono uniche le aree carsiche nell’ambito del Mediterraneo (Gams et al., 1993).
I fattori d’impatto sull’ambiente carsico Le azioni che possono cambiare i delicati equilibri dei geo-ecosistemi carsici sono molteplici e sono riportate in tabella 1. Le modificazioni sull’ambiente carsico possono essere reversibili, ma spesso sono di carattere irreversibile con la perdita della risorsa. Tra le azioni che portano a danni irreversibili citiamo le cave e le miniere, l’erosione del suolo,
l’asportazione di elementi naturali (flora, fauna, minerali, fossili, concrezioni, ecc.) e manufatti (reperti archeologici). Modificazioni reversibili, anche se il ripristino delle condizioni di partenza è spesso difficilmente attuabile, sono le varie opere dell’uomo (urbanizzazioni, strade ecc.), pompaggi ed allagamenti, incendi, riempimenti vari (discariche di varie dimensioni, sia solidi sia liquidi) e compattazione del suolo. In molti casi il ritorno alle condizioni naturali richiede molto tempo (in genere diversi anni, talvolta anche secoli) e spesso grandi investimenti finanziari.

A queste azioni dirette si dovrebbe anche aggiungere il cambiamento globale con una spesso progressiva desertificazione delle aree carsiche ed un crescente verificarsi di eventi meteorologici estremi. In tutti questi cambiamenti la responsabilità dell’uomo è ormai chiara, e soltanto pianificando attentamente le azioni antropiche sarà possibile mitigare l’impatto sull’ambiente carsico. Spesso questo richiede l’adeguamento della legislazione internazionale, nazionale, regionale e locale, oltre che una diffusione delle conoscenze sull’ambiente carsico e la sua vulnerabilità non solo in ambito speleologico e scientifico, ma anche a livello della popolazione e delle varie istituzioni coinvolte.
L’impatto antropico sul carso in Sardegna Le attività antropiche da sempre hanno avuto un ruolo rilevante nelle modificazioni dell’ambiente carsico della Sardegna, ma è soprattutto nel secolo scorso che il loro effetto si è fatto più indicativo. In linea generale, l’impatto umano sulle aree carsiche è ancora
abbastanza contenuto ed è principalmente legato alle attività minerarie, alla deforestazione operata soprattutto nei secoli scorsi, agli incendi, alle attività pastorali, a varie forme d’urbanizzazione, allo sfruttamento degli acquiferi, all’inquinamento della falda, alla discarica di materiali più o meno pericolosi, alle servitù militari ed, in misura minore seppur non trascurabile, alle attività escursionistiche e speleologiche. Quello dovuto all’industria, le grandi opere, l’agricoltura e la zootecnia, che assume talvolta grande rilevanza in altre
regioni italiane, presenta nell’Isola una dimensione più contenuta.
In tabella 2 è riassunta l’evoluzione nel tempo dell’influenza dell’azione umana sul carso in Sardegna.
L’impatto ambientale legato alle attività industriali si concentra soprattutto nelle aree minerarie dell’Iglesiente e del Sulcis, ma anche in altre aree estrattive dell’Isola (Baronie, Sarcidano) ove sono presenti piccole miniere (fig. 3) oppure cave lapidei ornamentali e per l’industria (fig. 4). Questa forte impronta minerario-storica in Sardegna ha recentemente portato all’istituzione del Parco Geominerario, Storico ed Ambientale della Sardegna, riconosciuto dall’UNESCO e comprendente 8 aree distinte (De Waele et al., 1998) (fig 5). In alcune di queste il paesaggio è profondamente modificato non soltanto dagli scavi a cielo aperto ed in sotterraneo, ma anche dalle discariche di varia natura, mentre i sistemi
idrici superficiali e sotterranei sono stati interessati spesso da intensi fenomeni di contaminazione da metalli pesanti (Cidu et al., 2005). È rilevante, a tale proposito, l’esempio del distretto minerario d’Iglesias dove l’abbassamento della falda freatica, per consentire lo sfruttamento economico dei giacimenti piombo-zinciferi fino a 200 m al di sotto del livello del mare, operato sin dalla fine dell’800, ha pesantemente modificato il sistema idrologico.
L’impianto d’eduzione nella Miniera di Monteponi non solo ha richiamato acque
salate e profonde con conseguente peggioramento delle qualità delle acque, ma ha avuto effetti negativi anche sui bacini idrogeologici adiacenti. Con la chiusura degli impianti nel 1997 la situazione si sta lentamente normalizzando, ma ci vorranno ancora diversi anni per far tornare l’acquifero al suo equilibrio naturale. Ancora oggi molte sorgenti carsiche mostrano contenuti in metalli pesanti fuori norma (Cidu, 2005), ed anche i suoli sono spesso caratterizzati da alti contenuti in metalli (Harres et al., 1987; Aru et al., 1994).
Le discariche minerarie ed i fanghi di flottazione, questi ultimi talvolta abbandonati in piccole dighe costruite lungo gli alvei dei torrenti, portano, in particolare durante le sempre più frequenti piene, nel sistema carsico delle torbide ricche in metalli pesanti che rendono inutilizzabili le acque alle sorgenti captate. Esempi ben noti sono la sorgente di San Giovanni presso Domusnovas (fig. 6), che raccoglie le acque di un bacino idrogeologico molto grande comprendente la vallata di Rio Sa Duchessa, lunga la quale sono ubicate alcune
importanti miniere piombo-zincifere (De Waele & Pisano, 1998).

Fig. 3 – Il ponticello in ferro sul torrente Bau Adrussi, all’uscita dalla galleria nella miniera di piombo e fluorite di Ualla (Asuni), ormai dismessa. (Foto Laura Sanna)

L’abbassamento della falda freatica per consentire lo sfruttamento dei ricchi giacimenti
Paleozoici non è avvenuto soltanto nell’Iglesiente. Nella zona di Narcao e Nuxis,
nel Sulcis, il pompaggio in una vicina miniera ha provocato la formazione di una serie di
sinkholes, fortunatamente situati tutti in terreni agricoli, tuttavia non lontano da abitazioni
(De Waele & Frau, 2001).
Altri imponenti crolli sono avvenuti nella zona di Aquaresi (Iglesias), ma in questo
caso sono i grandi vuoti minerari stessi, scavati nelle rocce carbonatiche Cambriane, ad
aver causato i dissesti. Calcoli errati della stabilità dei vuoti, infatti, hanno creato una serie
di collassi gravitazionali che hanno interessato sia il versante, sia la vallata sottostante
causando danni alla strada che collega la frazione mineraria di Masua a Buggerru (Grosso
et al., 2005).
L’impatto delle miniere dell’Iglesiente sulle aree carsiche, tuttavia, non è stato soltanto
negativo. Grazie alle coltivazioni in sotterraneo, infatti, sono stati scoperti innumerevoli
ambienti carsici e grotte di miniera, alcuni di eccezionale valore estetico e scientifico
come la grotta di Santa Barbara (De Waele & Naseddu, 2005).
Molti paesi minerari, come Buggerru, Iglesias e Carbonia, si sono sviluppati almeno
parzialmente su aree carsiche, con conseguente impatto negativo sull’ambiente (fig.
7). Sassari, Sadali ed Alghero, per nominare le più importanti, sono altre città edificate su
aree carbonatiche. In tutti questi casi esistono problemi legati alla costruzione d’impianti
ed infrastrutture (strade, acquedotti e fognature, discariche, pozzi per acqua, ecc). Ol34
tre alle modificazioni nel paesaggio dovuto all’urbanizzazione, spesso si accentuano anche
i fenomeni di degrado dell’ambiente carsico (De Waele, 1999; Soro & Crobu, 1999;
Villani, 2005). L’approvvigionamento idropotabile per queste popolazioni si basa spesso
sulla captazione di sorgenti carsiche (De Waele & Murgia, 2001). Su molte di queste,
che spesso sono anche dei siti di grande importanza paesaggistico ed ecologico, sono state
realizzate in passato delle opere di captazione che ne stravolgono la natura, purtroppo
spesso in modo pressoché irreversibile. Esempi tipici sono le sorgenti carsiche di San Giovanni
Su Anzu (Dorgali) (fig. 8), Pubusinu (Fluminimaggiore), San Giovanni (Domusnovas)
(cfr. fig. 6), Fruncu ‘e Oche (Siniscola), Caput Acquas (Villamassargia), Su Gologone
(Oliena), soltanto per citare le più importanti.
Anche l’agricoltura ha avuto un impatto non trascurabile sull’ambiente carsico, soprattutto
con la realizzazione di numerosi pozzi, che ha provocato un abbassamento della
falda idrica ed indotto numerosi dissesti idrogeologici. Alcune sorgenti carsiche importanti,
come quella di Caput Acquas (Cixerri), si sono prosciugate completamente e le acque,
che alimentano gli acquedotti di Iglesias, Villamassargia e Carbonia, vengono ormai pompate
da oltre 80 metri di profondità (Bianco & De Waele, 1992; Ardau et al., 2006). Sempre
nella stessa zona si sono verificati importanti fenomeni di subsidenza, con doline di
crollo che superano i 10 metri di profondità, formatesi a pochi metri da importanti vie di
comunicazione (Balia et al., 2001; Ardau et al., 2006) (fig. 9).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un effetto contrario ha invece avuto la costruzione della diga di Pedra ‘e Othoni, sul
fiume Cedrino. Questa diga, costruita essenzialmente sui basalti Plio-Pleistocenici del
Gollei poco a Nord del Supramonte carbonatico per fini irrigui, laminazione delle piene,
industriali e civili, causa stagionalmente l’inondazione della piana alluvionale a monte,
sommergendo alcune importanti sorgenti carsiche (San Pantaleo, Su Gologone) (Bianco,
1993; De Waele, 2006). È questo uno dei rari esempi di impatto sulle aree carsiche dovuto
36 a grandi opere. Un altro caso è il tracciato della orientale sarda (SS 125) che collega Baunei
a Dorgali. Qui il paesaggio delle strapiombanti pareti calcareo-dolomitiche del Supramonte
di Baunei è disturbato dalle ingombranti opere in cemento armato. Un caso a parte
è rappresentato dalla già citata grotta di San Giovanni a Domusnovas, il cui traforo naturale
è interamente percorso, per una lunghezza di circa 800 metri, da una strada asfaltata
percorribile in auto (anche se il transito veicolare è vietato ed impedito con transenne oramai
da diversi anni). Tale opera, certamente impattante, ha tuttavia una importanza storica,
in quanto la grotta da sempre ha costituito un accesso naturale che collega la pianura
del Riu Cixerri a Sud con la boscosa vallata del Riu Sa Duchessa a Nord. In quest’ultima
valle, infatti, a partire dalla metà del XIX secolo, furono aperte alcune importanti coltivazioni
di Pb-Zn; il minerale estratto transitava proprio attraverso la grotta, in principio su
carri trainati da asini, successivamente su mezzi motorizzati, con un notevole risparmio
economico per le compagnie minerarie (cfr. fig. 6).

Fig. 6 – L’ingresso Sud della grotta di San Giovanni (Domusnovas, Iglesiente) con la strada asfaltata che la percorre per oltre 800 metri e, sulla sinistra dell’ingresso, le opere di presa della sorgente carsica.

Un’altra pratica che ha avuto un impatto negativo sull’ambiente, diffusa in molte aree carsiche dell’Isola a partire dal 1700 e perdurata fino agli anni ’50 del secolo scorso, è stata il taglio del legname che ha causato un incremento dell’erosione del suolo. I segni di queste attività sono ben visibili un po’ ovunque con mulattiere, piazze dei carbonai ed antiche costruzioni che contribuiscono ad arricchire, malgrado tutto, il paesaggio culturale. A questa si deve aggiungere il verificarsi di incendi e il sovraccarico pastorale, che hanno ulteriormente contribuito a far ridurre o scomparire del tutto la copertura vegetale, con una conseguente accelerazione di preoccupanti fenomeni di erosione del suolo e conseguente desertificazione (Vaca et al., 2000).
Un aspetto assai particolare della Sardegna è la presenza di servitù militari in aree carsiche, come a Capo Teulada e nel Salto di Quirra che, se da un lato hanno salvaguardato il carso dagli insediamenti e dalla sovrafrequentazione, dall’altro invece hanno lasciato rifiuti di varia natura, talvolta pericolosi non solo per l’ambiente ma anche per l’uomo.

In ultimo menzioniamo la pratica del turismo, in continua crescita, che ha avuto un ruolo importante nella destabilizzazione dell’equilibrio naturale in diverse aree carsiche ed in particolare nel Golfo di Orosei e a Capo Caccia, con la scomparsa di specie animali come la Foca monaca (Monachus monachus) (Argano, 1992). L’impatto del turismo in aree carsiche è particolarmente sentito nelle grotte aperte al pubblico, in particolare quelle massicciamente visitate soprattutto durante i mesi estivi, come le grotte del Bue Marino e Ispinigoli (Dorgali), di Nettuno (Alghero), di Is Zuddas (Santadi), di Su Mannau (Fluminimaggiore), di Santa Barbara (Iglesias), di San Giovanni (Domusnovas), di Su Marmuri (Ulassai) e di Is Janas (Sadali) (De Waele & Grafitti, 1998b), oltre che la grotta del Fico (Baunei), resa fruibile di recente. In molte di queste manca del tutto un controllo microclimatico e geoambientale che consentirebbe di stimare la capacità di carico di questi siti particolarmente sensibili. Un’altra alterazione dell’ambiente carsico, da non trascurare, è quella legata all’escursionismo.
Sulle cale (spiagge) del Golfo di Orosei, durante i mesi estivi, vengono scaricati
da barconi migliaia di turisti al giorno. Tale massiccia frequentazione lascia evidenti segni di sofferenza nell’ambiente, come ad esempio nei famosi grottini e nel laghetto retrospiaggia di Cala Luna, causa la mancanzadi adeguate strutture di accoglienza e di smaltimento dei rifiuti (Arisci et al., 2000).

Un aspetto assai particolare della Sardegna è la presenza di servitù militari in aree carsiche, come a Capo Teulada e nel Salto di Quirra che, se da un lato hanno salvaguardato il carso dagli insediamenti e dalla sovrafrequentazione, dall’altro invece hanno lasciato rifiuti di varia natura, talvolta pericolosi non solo per l’ambiente ma anche per l’uomo.

Fig. 9 – Dolina di crollo nei pressi di Guardia su Merti (Iglesias), apertasi improvvisamente nell’ottobre del 1998 a poca distanza dal tracciato delle Ferrovie che collega la città di Iglesias a Cagliari.

In ultimo menzioniamo la pratica del turismo, in continua crescita, che ha avuto un ruolo importante nella destabilizzazione dell’equilibrio naturale in diverse aree carsiche ed in particolare nel Golfo di Orosei e a Capo Caccia, con la scomparsa di specie animali come la Foca monaca (Monachus monachus) (Argano, 1992). L’impatto del turismo in aree carsiche è particolarmente sentito nelle grotte aperte al pubblico, in particolare quelle massicciamente visitate soprattutto durante i mesi estivi, come le grotte del Bue Marino e Ispinigoli (Dorgali), di Nettuno (Alghero), di Is Zuddas (Santadi), di Su Mannau (Fluminimaggiore), di Santa Barbara (Iglesias), di San Giovanni (Domusnovas), di Su Marmuri (Ulassai) e di Is Janas (Sadali) (De Waele & Grafitti, 1998b), oltre che la grotta del Fico (Baunei), resa fruibile di recente. In molte di queste manca del tutto un controllo microclimatico e geoambientale che consentirebbe di stimare la capacità di carico di questi siti particolarmente sensibili. Un’altra alterazione dell’ambiente carsico, da non trascurare, è quella legata all’escursionismo.
Sulle cale (spiagge) del Golfo di Orosei, durante i mesi estivi, vengono scaricati
da barconi migliaia di turisti al giorno. Tale massiccia frequentazione lascia evidenti segni di sofferenza nell’ambiente, come ad esempio nei famosi grottini e nel laghetto retrospiaggia di Cala Luna, causa la mancanzadi adeguate strutture di accoglienza e di smaltimento dei rifiuti (Arisci et al., 2000).

Fig. 10 – La catasta di concrezioni negli ambienti iniziali della grotta di Elighes Artas (Oliena)