Gruppi grotte e cultura: biblioteche, perché?
pubblicato su ” PROGRESSIONE N 53 ” anno 2006
Le biblioteche sono state da sempre un deposito di conoscenze, un magazzino di informazioni, l’unica tangibile eredità culturale che l’umanità trasmette da una generazione all’altra. Sono state per 2500 anni la principale fonte del sapere, la base da cui partire per raggiungere nuove mete e nuove conoscenze.
Oggi la loro funzione è minacciata e messa in dubbio dall’enorme sviluppo di strumenti, quali l’informatica e l’Internet, che mettono a disposizione di tutti, a casa e in tempo reale, qualsiasi informazione si desideri.
La necessità di fermare nel tempo su di uno spazio fisico fatti, idee, conoscenze, storie, ha accompagnato l’evoluzione dell’umanità per decine di millenni, dai segni lasciati sulle pareti di grotte, caverne, ripari sotto roccia sino alla videoscrittura dei nostri giorni. Nel corso dei secoli graffiti e ideogrammi sono stati sostituiti dalla scrittura organizzata che ha utilizzato quale supporto pietra, tavolette d’argilla, lamine di metallo, papiri, pergamene ed infine la carta. L’accumularsi delle raccolte di questi prodotti è andata a formare delle biblioteche, che già nel lontano passato avevano raggiunto in alcuni casi dimensioni ragguardevoli. Che poi il tempo e le ricorrenti invasioni barbariche hanno provveduto a distruggere o a ridimensionare.
Sino a poco tempo fa le biblioteche costituivano parte integrante della nostra cultura, del nostro modo di vivere: ogni città ha la sua biblioteca comunale, c’è l’ha ogni museo, ogni istituto di ricerca, ogni consorteria sportiva, tecnica, politica, culturale. Tutte le associazioni hanno la loro biblioteca, anche quelle speleologiche: buona parte dei Gruppi Grotte ha armadi e scaffali in cui vengono conservati libri e riviste del settore. Anche la Commissione Grotte ha la sua brava raccolta di libri e riviste speleo, raccolta iniziata nell’ultimo ventennio del XIX secolo e giunta, attraverso ammanchi e arricchimenti, sino a noi. Un mucchio di libri (al 31 dicembre 2006 ne erano catalogati 807), una cospicua raccolta di riviste (500 testate, per un totale di 3500 fascicoli), 300 volumi di atti di congressi, 2500 estratti e mezzo migliaio di manoscritti o equiparabili. Un patrimonio del sapere speleo notevole, che occupa buona parte dello spazio disponibile in sede (70 metri lineari di scaffalature), un vero tesoro di conoscenza speleologica locale, nazionale e internazionale.
E ora viene la domanda: ma a che serve tutto questo?
Non è una domanda oziosa, come ben sanno tutti i responsabili di biblioteche specializzate; lo speleologo medio non legge molto, e quasi nulla di quanto stampato da più di qualche anno. L’utenza della biblioteca è piuttosto ridotta e si concretizza in poche presenze mensili (in qualche caso annuali…). Potenziali fruitori sono gli speleoturisti che cercano notizie su qualche grotta da visitare fuori della regione; i soci che vogliono programmare esplorazioni in zone lontane; nostri specialisti – biologi, botanici, storici – alla ricerca di singoli articoli inerenti il loro campo di indagine. Ed infine studenti universitari alla prese con specifiche tesi o tesine.
Quanto la frequentazione “reale” delle biblioteche scientifiche sia piuttosto ridotta è dimostrato dalla presenza nelle stesse di volumi, stampati molti decenni fa, tuttora “intonsi”: in quel museo o in quella biblioteca pubblica quel tomo è stato preso in mano soltanto il giorno della sua catalogazione e poi dal personale addetto all’annuale spolveratura. E’ successo anche a me, nel corso di una ricerca bibliografica su di un antropologo dell’altro secolo, di dover rifilare le pagine di più volumi stampati nella prima metà del Novecento e conservati nella biblioteca di un importante museo cittadino.
Viene allora tristemente di pensare che il nostro lavoro sia, se non inutile, almeno antieconomico, con un rapporto utilizzo/impegno (tempo, denaro, spazio) sproporzionato.
Alcuni decenni or sono un presidente dell’UIS, scienziato di chiara fama, mi aveva fatto presente che i lavori scientifici – e quindi anche quelli speleo che ambiscono a inserirsi nella categoria – vanno corredati con una bibliografia essenziale, succinta, possibilmente con richiami a studi usciti nel quinquennio precedente. Un tanto riferendosi al malvezzo di parecchi autori speleo di infarcire le bibliografie dei loro lavori con l’elenco dei propri scritti. Precisandomi che non erano idee sue, ma linee guida del mondo accademico occidentale, soprattutto anglosassone.
Se questo indirizzo dovesse prevalere le biblioteche vive, quelle consultate da studiosi e ricercatori, dovrebbero conservare soltanto le ultime annate delle pubblicazioni scientifiche più importanti, pubblicazioni che sempre più spesso sono disponibili in Internet. Le grandi raccolte di libri, riviste, atti di congressi non servono alla maggior parte degli utenti.
Per gli specialisti il discorso è diverso: loro hanno sovente la necessità di consultare pubblicazioni datate, di norma difficilmente reperibili in quanto stampate in numero limitato di copie e attualmente (e probabilmente ancora per molto tempo) non messe in rete. Ma, come dianzi accennato, la loro presenza in biblioteca si risolve in pochi accessi all’anno, e quasi mai (forse solo mai…) per consultare la caterva di Bollettini – ora buona parte graficamente molto ben fatti – pubblicati dai Gruppi Grotte, bollettini che costituiscono l’ossatura delle raccolte speleologiche.
Io sono un romantico, ormai in là con gli anni, affezionato alla carta stampata, che si rende conto che il mondo, informatizzato, cammina in un’altra direzione. Che il futuro prevede sempre meno scaffali (e meno polvere, meno tarli, meno profumo del passato), con le biblioteche – anche quelle dei Gruppi Grotte – on line.
Ma questo non cambia i termini del problema: lo speleologo medio legge poco o niente, per cui è il concetto stesso di “biblioteca” ad essere messo in discussione. Discussione che riguarda i singoli Gruppi Grotte, al cui interno l’anima esplorativa, legata a quella “conoscitiva” (e quindi alla carta stampata) ora deve contendere lo spazio con la componente più ludico-dopolavorsitica, a cui bastano i baedeker speleologici regionali, non per nulla sempre più diffusi.
Pino Guidi