Grotta delle Geodi

Geodi

 

pubblicato su ” PROGRESSIONE N 51 ” anno 2004

Alcuni grottisti triestini pare abbiano la passione per gli scavi insita nel loro DNA e le grotte, se non ci sono, se le costruiscono. Uno dei più determinati di questi è indubbiamente Luciano Filipas, protagonista in questi ultimi anni degli scavi più duri – e più fortunati – intrapresi dalla Commissione.
Dopo i successi ottenuti alla Lazzaro Jerko, 4737 VG, alla Grotta delle Gallerie, 420 VG, alla Supernova 4053 VG, al nuovo abisso del Lanaro, Luciano si è interessato del sistema Grotta delle Geodi, 21 VG – Grotta Costantino Doria, 3875 VG – Grotta II ad est di Borgo Grotta Gigante, 3876 VG, ipotizzato nei primi anni ’50 del secolo scorso sulla base delle risultanze dell’accostamento dei tre rilievi. La prima grotta era stata esplorata già nel 1897 dai grottisti del Club Touristi Triestini, che la avevano chiamata Grotta delle Druse (o delle Geodi) per la presenza di particolari concrezioni; due pozzi in successione portavano ad un’ampia caverna caratterizzata da grossi crolli e pareti riccamente arabescate. La profondità totale era di 32 metri su di uno sviluppo di una sessantina. Nel 1951 la Commissione individuò una fessura sul fondo che, ben presto allargata, permise di aggiungere al vecchio rilievo una galleria di una ventina di metri. La seconda e la terza, individuate e aperte dai giovani della Commissione nel marzo 1950, sono rispettivamente una bella e ampia galleria in leggera discesa cui si accede attraverso un pozzo di 17 metri (dal 1956 attrezzato con scale fisse) e un cunicolo lungo 35 metri su di un dislivello di cinque. La 3875 VG, profonda 34 metri e lunga 111, e sul cui fondo sono state trovate delle firme risalenti al 1917 (poste da qualcuno entrato sicuramente dalla 21 VG, visto che l’attuale ingresso non esisteva), è stata quindi acquistata dalla Commissione Grotte ed attrezzata a stazione sperimentale di meteorologia ipogea. La distanza fra la parte terminale della 3876 e la parte a monte della 3875 è di 26 metri, mentre l’ampia galleria di quest’ultima finisce con una grande frana che le planimetrie indicano trovarsi immediatamente sotto il pozzo d’accesso della 21. Che, trovandosi all’interno della caserma di Borgo Grotta Gigante, è stato ostruito con materiale vario. Nei mesi di marzo aprile 1969 un gruppo di giovani e meno giovani della CGEB (fra gli altri c’erano Tommasini, Vianello, Davanzo), con uno scavo nella frana e con il forzamento di una fessura, hanno aperto il passaggio che conduce nella 21. I lavori, protrattisi per varie domeniche, hanno avuto dei momenti drammatici a causa di grosse frane (una delle quali ha bloccato per alcune ore Enrico Davanzo in una nicchia). Nella nuova tornata di lavori Luciano, coadiuvato da vari soci, ha iniziato nel luglio 2002 attaccando il ramo a monte della Grotta Doria collegandola, alla fine di una impegnativa campagna di scavi durata un paio di mesi, con la Grotta II ad est di Borgo Grotta Gigante. Quindi, considerato che il sistema si sviluppa per oltre 200 metri in direzione E-W ed è costituito da una lunga galleria intervallata da slarghi e crolli anche di notevoli dimensioni, ha pensato bene di affrontare il problema di un suo prolungamento verso valle, prendendo spunto – in assenza di fessure soffianti o di altri indizi validi nella Grotta delle Druse – dalla morfologia della parte finale della cavità. In sostanza, cercare la prosecuzione della galleria seguendone il soffitto (dapprima) e le pareti (poi).
I lavori hanno preso l’avvio negli ultimi mesi del 2002, intaccando la sommità della colata calcitica che chiude la galleria terminale delle Geodi. Varie dozzine di giornate di sbancamenti hanno portato allo svuotamento di un cunicolo lungo una quindicina di metri, sormontato da una decina di camini, uno più stretto dell’altro; a sei metri dall’inizio del nuovo tratto, seguendo delle micro fratture, è stata scavata una serie di pozzetti per un dislivello complessivo di 13 metri che modificano di poco profondità del sistema.
Lasciati per il momento i lavori nei pozzetti terminali, diventati troppo onerosi per il ristretto gruppo di scavatori – il materiale di scavo doveva essere sollevato lungo i pozzetti e quindi trascinato nel cunicolo sino alla galleria delle Geodi ove sarebbe stato sistemato – nel 2004 il cantiere si è spostato alla base della colata di calcite. Rimosso tutto il materiale proveniente dai primi sbancamenti e ivi depositato, si è dato l’avvio, seguendo la parete sud della galleria, allo scavo di un pozzo. Il materiale di risulta – crostello calcitico, argilla, pietre – viene sistemato ora lungo i fianchi della galleria con una muraglia che si avvicina sempre di più alla caverna centrale delle Geodi.
I lavori sono portati avanti con uscite bi-trisettimanali dallo zoccolo duro della compagnia (Filipas e Besenghi) cui si aggregano di volta in volta scavatori di ruolo (presenti almeno un paio di volte al mese) e occasionali. Le uscite sono facilitate da un impianto di illuminazione elettrica e da una serie di scale fisse, corde, graffe e appigli sistemati lungo il percorso, e vengono rese più gradevoli dalla presenza nel cantiere di un punto di ristoro ben attrezzato e ancor meglio fornito: caffè, tè, biscotti, gubane, alcolici e superalcolici, merende varie sono pronti a soddisfare ogni richiesta dei grottisti più epicurei.
La profondità del nuovo pozzo, lungo il quale si sono incontrati brevi cunicoli ciechi e spazi vari fra roccia e calcite, attualmente è di poco meno di una decina di metri.
Pino Guidi