2004 – Grottisti, cani sciolti. Ieri oggi e domani

 

Grottisti, cani sciolti. Ieri oggi e domani

pubblicato su ” PROGRESSIONE N 51 ” anno 2004

L’appassionata ricerca dell’uomo non conosce mai un limite.
Noi siamo degli esseri che non indagano soltanto sulle coese del mondo, ma anche su se stessi e sul tutto.
(Karl Jaspers, Ragione ed esistenza)

L’essere umano è uso soffermarsi a riflettere sulle cose che più colpiscono la sua immaginazione: è una affezione che colpisce un po’ tutti, chi più chi meno, a seconda della sensibilità e dell’indole ricevuti in dono. Sono pensieri che nascono e muoiono nel cuore di ognuno, avendo come unico prodotto un accrescimento – in positivo o in negativo – della personalità.
Talvolta, però, queste meditazioni pur di natura privata, intima, affrontano aspetti della vita di interesse generale e vengono sottoposte all’attenzione di tutti, provocando ulteriori riflessioni e nuove prese di coscienza. E’ questo il caso di Cane sciolto, il libro di memorie dello speleologo e alpinista Tony Klingendrath, volume in cui l’A. non solo racconta sue avventure e disavventure in grotta e in montagna, ma presenta anche delle considerazioni in margine alle stesse. La lettura di queste ultime mi ha portato ad una serie di riflessioni sul nostro “andare in grotta”, riflessioni che l’ultimo libro di Andrea Gobetti, L’ombra del tempo, uscito nello stesso periodo, allarga geograficamente ad un’area più vasta.
Tony, oggi uomo maturo, appartiene alla generazione di grottisti del Sessantotto, quella che negli anni ’70 ha sostituito la mia, e questo lui lo sottolinea nel suo libro quando accenna al cambiamento di valori fra generazioni. Il gagliardo gruppo di giovanissimi grottisti di cui faceva parte – tutti ben al di sotto dei vent’anni – non amava gli eroismi tipo “lotta con l’Alpe”, non intendeva riconoscere gerarchie, era alieno da ideali e retoriche; voleva soltanto andare in grotta, vedere, esplorare: intendeva essere, non apparire. Questo suo epigono afferma di scrivere per i figli, non per i padri o i nonni. Invece il suo libro è servito proprio a noi, già padri e ora nonni, per meglio capire la generazione a cui abbiamo cercato di lasciare in eredità un patrimonio di cultura e tradizioni che è soprattutto amore per la grotta e per la montagna.
E’ servito anche per meglio capire il nostro essere grottisti, per capire cosa ci unisce, nella grotta, attraverso le generazioni. Per intuire, almeno, cosa è stato, e forse cosa è tuttora, il nostro mondo. A cominciare dalla considerazione che lo spirito ribelle dei grottisti del Sessantotto non era una novità: cane sciolto era stato Giovanni Mornig, speleologo indipendente attivo in Carso ed in Emilia Romagna dagli anni ’20 agli anni ’60; cani sciolti sono stati tutti i grottisti che nel secolo scorso hanno dato vita, a Trieste, ad oltre un centinaio di effimeri Gruppi grotte, gruppi che volevano fare speleologia – andar per grotte – al di fuori degli schemi fissi imposti (o ritenuti tali) dal CAI o dalle strutture ufficiali. Nella nostra città, per parlare soltanto della seconda metà del secolo passato, abbiamo avuto gruppi nati, come il Gruppo Triestino Speleologi, all’ombra dell’Oratorio, come il Gruppo Grottisti delle Giulie nell’ambito dell’ENAL, come il Gruppo Escursionisti Speleologi Triestini nella sede dell’Associazione Nazionale Famiglie Caduti della Repubblica Sociale Italiana o come il Gruppo Speleologico Carso Triestino che aveva trovato ospitalità presso il Partito Nazionale Monarchico. Questi gruppi, tutti, nessuno escluso, avevano sempre mantenuto l’indipendenza tecnico-operativa e politico-culturale: l’orientamento politico o religioso poteva anche essere di un certo tipo, ma prima di tutto venivano il Gruppo e la grotta. Il grottista, cane sciolto per antonomasia, ha sempre unito l’amore per la grotta a quello per la libertà, per l’indipendenza.
Non c’è stato, quindi, nel Sessantotto un cambiamento sostanziale nel mondo speleologico: lo spirito d’indipendenza, che altrove avevo già definito un po’ anarchico, è stato per oltre un secolo una delle caratteristiche fondamentali del grottista giuliano. Grottista che si realizzava nelle escursioni domenicali entrando in contatto con una natura gelosa della sua riservatezza, ma mai percepita come ostile, nemica, aliena. Spirito d’indipendenza che caratterizza molti gruppi grotte del resto d’Italia: non è infatti una novità, ad esempio, che parecchi gruppi grotte del CAI privilegiano la SSI (come nei corsi di speleologia) al Club Alpino: non è, come si potrebbe pensare, amore sviscerato per la SSI, ma la scelta di far riferimento ad una struttura funzionante, presente sulla carta ma non sul territorio, un ente percepito come molto lontano e di cui si possono accettare i servizi (vedi assicurazione), tanto non metterà mai il naso negli affari di casa nostra. Una società che garantisce parecchi diritti ma – chissà perché – pochi doveri.
Il ’68 ha, in Italia, cercato di cancellare – dimostrare che non avevano senso – alcuni miti che erano stati dei punti fermi per le generazioni precedenti. Ma i miti non sono scomparsi, hanno semplicemente cambiato etichetta. Il trinomio Dio, Patria, Famiglia è stato sostituito da Pace, Universalità, Ecologia; nel nostro ambiente la lotta con l’alpe è ora rimpiazzata dalla lotta con gli altri, con se stessi, con il tempo. In compenso l’entusiasmo di quei giovani neppur ventenni, i loro ideali disinteressati, i loro sogni di un futuro da modificare in meglio si sono arenati nelle secche della lotta per la vita, seppelliti dal cumulo di necessità (vere o fittizie) imposte dalla cultura dominante.
E il nostro mondo? Cosa è cambiato e cosa è rimasto della speleologia e del grottismo della mia generazione, e di quelle di Klingendrath e di Gobetti?
Le poche centinaia di grottisti straccioni di allora (si andava in grotta con fotofore autocostruite e con tute mimetiche riciclate) sono state sostituite dalle migliaia di speleologi di oggi, bardati con tute multicolori e attrezzatura, prodotta su scala industriale, del costo di parecchie centinaia di euro. Oggi gli speleologi sono tantissimi, basta recarsi ai megaraduni annuali per sincerarsene. Ma nella maggioranza non sono più quelli ante ’68 – rimasti tali per oltre un secolo – e neppure quelli del ’68. Ora il nostro universo umano è un prodotto nuovo, generato dal benessere: con tot. euro puoi frequentare un corso di speleologia, fare una certa esperienza e chiamarti speleologo. Se poi non c’è un gruppo coeso in cui entrare, di cui sentirsi parte, l’esperienza finisce lì, mentre se c’è puoi frequentare l’ambiente ancora per qualche anno, giusto il tempo per visitare un po’ di grotte in giro per l’Italia e per partecipare ad un paio di raduni la cui funzione sembra essere quella di coniugare speleologia con discoteca. Certo, ci sono ancora gli appassionati, quelli che qui a Trieste ci ostiniamo a chiamare “grottisti”, ma credo che il loro numero non si discosti da quelle poche centinaia che costituivano tutto l’universo speleologico degli anni ’60.
Il fatto è che il Gruppo non è più sentito come una seconda famiglia (era addirittura considerato, nell’età adolescenziale, la prima famiglia), ma soltanto come una struttura che eroga servizi: ti organizza le uscite, ti procura le corde, ti fornisce una documentazione sulla grotte da visitare. E basta.
Sembrano scomparsi, o passati in secondo piano, i rituali che un tempo contraddistinguevano il gruppo e quindi il mondo delle grotte: l’abbigliamento, il gergo, i canti. Rituali che avevano la duplice funzione di marcatori esteriori e collante interno: ci distinguevano dagli altri e ci tenevano uniti. Sempre più rari anche la condivisione di valori, di interessi, di mete da raggiungere, quasi ignorata la gara all’abisso più fondo (tanto ormai non fa più notizia).
Sembrano. Perché forse non è che questi aspetti della speleologia siano spariti, forse sono soltanto diluiti, annacquati, nel grande numero di praticanti. Certo è che quest’attività attira sempre meno i giovani, soprattutto dove il Gruppo è diventato una Società in cui i bilanci sono più importanti dell’amicizia. Notizia fanno ormai soltanto le imprese della speleologia trasversale che unisce temporaneamente singoli elementi di gruppi diversi in vista di un unico obiettivo, e gli elaborati di studiosi per i quali la conoscenza delle grotte è divenuto soltanto un mezzo e non più un fine.
Comunque, sulla base di quanto osservo attorno a me, posso dire che ancora una volta è mutato il mostro mondo, ma non il grottista. Nei centosessant’anni di storia della speleologia in quest’angolo d’Europa la speleologia è cambiata più volte, a partire dalle ricerche condotte nella seconda metà dell’Ottocento da un’élite borghese illuminata, per passare alla primavera proletaria dei primi decenni del ventesimo secolo e quindi all’esplosione gitaiola del ventennio fascista, all’incredibile rinascita della speleologia triestina dei decenni del secondo dopoguerra. Al Sessantotto iconoclasta, per poi approdare negli opulenti anni di fine secolo. In tutti questi periodi l’anima dei gruppi e gruppetti era sempre lui, il grottista, a cui si affiancavano gli altri, i desiderosi di svago e avventura.
Attraverso queste temperie l’associazionismo speleologico ha dovuto via via adeguarsi alle nuove esigenze, trasformandosi sino a diventare irriconoscibile. Unico punto fermo, il grottista, il selvatico è un po’ asociale innamorato delle grotte che, divenuto ormai quasi inutile nei gruppi grotte, puoi incontrare molto più facilmente sulle pietraie del Carso che non agli incontri festaioli.
Una minoranza, nella speleologia italiana, che vede sempre di più abbassare percentualmente la sua presenza, a fronte dell’aumento del numero degli speleologi rientrante nella categoria di chi nella grotta cerca temporaneo svago e avventura.
Pino Guidi