Ceki 2 -1500

 

CEKI 2 (-1500 MT)

Meandro a -90
Pubblicato sul n. 49 di PROGRESSIONE – anno 2003

Beh, di anni ne son passati… circa 15, da quando mi trovai a scendere per la prima volta quel meraviglioso pozzo da settanta, che in seguito avrebbe portato ad una simile profondità. Sul fondo, si sentiva l’aria, ma soffia­va attraverso la ghiaia, e dato che in quel periodo i cantieri speleologici erano pa­recchi, avevamo lasciato perdere. L’estate successiva arriva una spedi­zione di cecoslovacchi e guarda caso scoprono un pozzo da 70 non segnato con aria sul fondo che soffia tra la ghiaia. Scavano, scavano e ancora scavano e poi finalmente passano, ma il tempo scade la  pedizione è finita e tornano a casa. Saputo questo, attacchiamo noi. L’esplorazione.., una lunga serie di punte accompagnate da innumerevoli di­struzioni fisiche, ci porta alla  rofondità massima di -1370. Da -1200 al fondo abbiamo dedicato non so quanti fine settimana per cercare la continuazione che per noi c’era, ma senza esito. Abbiamo sceso pozzi com­pletamente in acqua, infilati tra i massi, arrampicato in camini impossibili, preso livelli superiori per by-passare quella zona, ma niente da fare. C’è soltanto un posto da vedere, li tra i massi sotto quel deposito di fango, però è stretto, qualcu­no mi dice “già visto, è tardi andiamo”…, “beh, ndemo va”. Risaliamo, un po’ amareggiati, ma co­munque contenti della profondità e della scommessa che il buon Lele ha perso: se superiamo i -1300 cena di pesce per tutti… e vai. Negli anni successivi, si  susseguono parecchie spedizioni, tutte forti e soprat­tutto votate a cercare qualche passaggio per superare il fondo, ma il Ceki non molla. Fino a quando, una spedizione slove­na sfonda e arriva a -1500.
Increduli, curiosi e un po’ gelosi, se­guiamo l’esplorazione a distanza e alla fine strappiamo un bonus per andarci a fare un giro. Siamo gli stessi, dopo tanti anni, in quel vecchio buco, a ripercorrere quello che a suo tempo lo vivevamo come il nostro momento. Solito parcheggio, soliti zainoni qual­che capello bianco in più, ma comunque sempre dei signori, il tempo è ottimo e le previsioni da favola. Tic e tac, agili come giovani balilla, ar­riviamo all’ingresso del buco dove, come prassi, il tempo cambia, le previsioni si fottono e inizia a nevicare. Merendiamo prima d’entrare. Prepariamo i sacchi, ci cambiamo, scherziamo un po’, ci raccontiamo le solite stronzate e finalmente entriamo. Non ricordo molto perché la mia memoria è pari a zero, però man mano che scendo mi vengono in mente quei ricordi che erano ormai passati nel dimenticatoio della mente. All’esplorazione della grotta io ho parte­cipato da -100 in poi, in quanto ero impe­gnato ad aggiustarmi un ginocchio, per cui nel primo tratto ho avuto dei ruoli seconda­ri tipo allargare la Prospettiva Nievskji, so­stituire qualche corda, portare carburo al campo e di conseguenza non apprezzo il tratto fino a -900 a differenza di Borgazzo e Beccuccio che su quei pozzi hanno pas­sato ore ed ore ad armare, aspettare e batter broche per cui rivivono meglio di me quei momenti. Alle 18 circa siamo al cam­po, li dobbiamo sostare fino alle 03:00, ora in cui abbiamo deciso di partire per il fon­do. Ma come si fa a dormire a quelle ore? Difatti non si dorme, si sonnecchia e poi si riparte. Da qui ognuno racconta qualche episodio dell’esplorazione, e… cicole e cia-cole … cazzo non finisce mai è lunghissi­ma, ma siete sicuri che era sempre così lunga arrivare sul fondo? La zona dell’«Omino Verde» è interminabile. Strada facendo, passiamo i vari campi che gli slo­veni hanno allestito per l’esplorazione, ma una cosa mi è rimasta impressa oltre che ad una luganiga de carburo fatta (e non scherzo) con una camera d’aria di camion, lungo il percorso, attaccati alla linea telefo­nica, c’erano dei piccoli rilievi plastificati della grotta con la freccia rossa indicando la posizione attuale, tipo “voi siete qui”. Usanze locali! Ancora un po’ e siamo arri­vati a -1370. Qui oramai basta cercare il passaggio. Non nego il fatto che ci abbia­mo messo un bel po’ a trovarlo, anche per­ché abbiamo dovuto rovistare negli stessi posti di tanti anni fa, sotto agli stessi mas­si, le stesse frane, i vecchi camini ancora con la corda che pende, insomma tutto da rifare. Per un attimo ho pensato alla bella figura che avremmo fatto uscendo senza aver trovato niente, oppure esiste davvero il passaggio? Ad un tratto, gira che ti gira, Borgazzo mi chiama: xe qua, xe za andà Beccuc­cio. Dove? Qua! Guardo bene, e giuro che è quel posto tra i massi sotto quel deposito di fango, stretto, che a suo tem­po abbiamo detto “già visto, è tardi an­diamo”. Non vi dico che giramento comunque si scende tra i massi, si passa una strettoia, si continua in disce­sa fino ad un inizio di un meandro, lo si segue e questo si allarga sempre più fino a diventare forra. Un’ora circa e 130 m di dislivello e finisce su un sifone. Meravi­glioso, meritava ritornare quaggiù sola­mente per vedere questo. Non so se è stata fortuna o bravura, comunque trovare il passaggio, andare oltre e continuare l’esplorazione è stata una grande cosa. Bravi!! Scattata qualche foto risaliamo. La risa­lita ce la prendiamo con comodo, come con la discesa, e tra una sosta ed un the arriviamo nuovamente al campo a -900. Strada facendo incontriamo tre sloveni che stavano andando a -1200 a finire del lavo­ro e ci siamo fermati a parlare un po’ sul­l’esplorazione della grotta e un po’ su tutte le altre da noi fatte sull’altipiano. Mentre si parla, faccio caso all’età di uno dei tre: quando noi esploravamo il “Ceki”, lui aveva 13 anni. No, non siamo noi anziani, è lui che è giovane. Al campo, un po’ infastidito, mi risveglio per il forte scuotere della ten­da, come se entrasse qualcuno, ma non si trattava di un qualcuno, ma bensì di aria mossa dall’acqua. Bella sorpresa. Via velo­ci. Fradici dall’inizio alla fine, acqua dove non s’era mai vista, pozze a filo del superamento, un inferno. Finalmente fuori. Con­tenti. Abbiamo fatto una bella gita. Soprattut­to abbiamo esplorato una grotta, veramente bella, che merita d’essere vista, ma soprat­tutto ha meritato viverla tredici anni fa. Scendendo verso valle, ci vengono incontro Scarno, Dodi ed Eliana con una sana bottiglia. Brindisi, racconti e perché no, un ri­posino sull’erba, sotto il sole; qualche telefonata d’obbligo e un messaggio al buon Mario: Ricordando i tuoi riccioli bion­di, siamo arrivati ancora più fondi. A cena a les Campanellis e… alla prossima Beccuccio, Borgazzo e Scratapo
                                                                                 Spartaco Savio

Sifone finale a -1500. Da sinistra: Stefano Borghi
Uscita al “Terrano Lake a -1300 (Foto S.Savio)

Pubblichiamo di seguito le parti salienti delle esplorazioni slovene.
LA SCOPERTA DELLA PROSECUZIONE ALL’ABISSO CEHI 2*
Resoconto di Tomaž Česnik […]
La spedizione in “Cehi 2” era riu­scita. Avevamo raggiunto il suo fondo. In­numerevoli punte autunnali avevano as­sorbito moltissime delle nostre energie, la maggior parte dei week-end sul Rombon e Kanin venivano prolungati con gior­ni di ferie. Ci eravamo già saziati e stava­mo accumulando nuove energie per le susseguenti ricerche. Si andava cercan­do informazioni sulla così detta continua­zione di Klimebouk (“Klimchoukovem”), che si fonda su una storia epica dell’ar­rampicata degli Ucraini attraverso il “pas­saggio dei dieci metri” con infinite possi­bilità di esplorazione. Ma informazioni certe delle possibilità in quel tratto della grotta non c’è n’erano. All’inizio di febbraio decidemmo per una visita più accurata della grotta, ovve­ro ci si preparava alla possibilità di allar­gare la strettoia in fondo, dove avrebbero smesso di scavare gli Ucraini nel 1999. L’intenzione era soprattutto la sistemazio­ne del secondo campo dopo il Passaggio del “Pollice Verde” e la discesa dell’ulti­ma cascata di 60 metri, che scende fino a -1380 metri di profondità. Con l’aiuto della squadra di Borovo, Rakovo e del Carso… portammo nelle grotte tutto il materiale necessario. C’erano stati però dei problemi, indisposto, mancava infatti Janko Marinsek contagiato dalla borrelia, mi aggregai quindi con Bojan Stanek ed Ales Strazar che volevano scendere al fondo dell’abisso. Venerdì 8.2.2002 dalle 11.00 raggiun­gemmo l’ingresso battendo traccia nella neve fresca alta 60 centimetri in zona. Se­guì l’iter abituale: quattro ore di discesa fino al bivacco a -900 m, un po’ di brodo e del tè, ed altre tre ore sino a -1200 m dove poggiammo i nostri sacchi a pelo. Questo abisso ha luoghi di bivacco splendidi in confronto a quelli delle altre grotte del Kanin. A -900 m possono dormire otto persone, a -1200 m si sta ancora meglio nonostante il minor spazio disponibile, ma la temperatura della grotta è più mite ed accogliente. Quando riesci a passare il Passaggio del “Pollice Verde” ti trovi in una saletta di 3 metri di diametro e con il sof­fitto basso. Una “sistematina” per terra e con l’installazione della “transportka” ti ri­trovi in una accogliente e calda “camera da letto”. Manca il wc e il lavabo e per ogni bisogno devi passare una difficile strettoia, ma imparammo subito anche questo. Così dormimmo egregiamente ed en­trammo belli freschi nella sala “Chi è Cagoul?”. Da lì iniziava una nuova frontiera. Ero scettico riguardo la possibilità di con­tinuare nella parte della grande sala. Le sue dimensioni si possono paragonare ad un palazzo che raggiunge i 50 metri di altezza e quasi altrettanti in larghezza. Il fondo della grotta è movimentato e ricco di blocchi rocciosi tra i quali spiccano cinque fessure da arrampicata libera pro­fonde sui 10 metri. Ero convinto che gli Italiani avessero già visionato tutto. Ciò che avessero tralasciato sarebbe stato si­curamente trovato dagli Ucraini. Bojan insistette e si inserì repentinamente nella prima fessura tra i blocchi, nella seconda s’immise Ales; io ero dubbioso: a me in­teressava calarmi nella cascata ancora inesplorata. La fessura di Ales si rivelò interessan­te! In fondo dovette spostare delle pietre per accedere con difficoltà in una saletta più piccola dove c’erano più passaggi ine­splorati. La maggior parte di essi però terminava, per cui fu d’obbligo il ritorno. In uno di essi si sentiva un giro d’aria. Nel labirinto presso la “podornih skal” dopo 20 metri un passaggio portava ad un ramo inattivo, di dimensioni superiori, discendente in spirale sotto la “sala” prin­cipale fino a circa 60 m più in basso, giun­gemmo così al collettore principale. Da lì tentai di continuare nella direzione monte e (immagino) verso il “fondo ucrai­no” che è a 50 m verso N-O. Da questa parte il ramo è impenetrabile per cui l’am­pliamento degli Ucraini sarebbe risultato invano o perlomeno molto lungo. Dalla “sala” sino all’acqua libera ci sono intorno ai 150 metri di percorso per 70 metri di discesa, e comunque instal­lammo circa 30 metri di corda. Nel collet­tore la corrente ci sembrò uguale a quel­la delle altre parti della grotta; poco probabile che non si trattasse dello stes­so corso d’acqua. Similarmente come ai livelli superiori dove nella sala “Vancar”, sala “Floriana” e “Sala Don Ermenegildo” il corso d’acqua si perde dopo il canale fossile e si ricongiunge più in basso. Avanzammo camminando nell’acqua per 200 metri sino a -1440 m, dove la strada è sbarrata dal primo sifone, l’ac­qua poco profonda si accumula nel laghetto lungo qualche metro e profondo poco più di 1 metro. Fu il tempo di uscire dalla grotta, era­no le 15.00 di domenica, il giorno seguente uscivano ancora gli altri membri della squadra con a capo Palcic, che aveva rag­giunto il secondo bivacco a -1200 m. Adesso la spedizione speleologica slo­vena aveva acquisito una nuova dimen­sione: si trattava di una grande esplora­zione, misurazione e documentazione di nuove parti profonde del sistema. Consi­dero questa grotta abbastanza “difficile” ed il suo impegno è nel suo sviluppo. Quando scendi ai meno 1000 metri (ma­gici), sei appena all’inizio del tuo cammi­no. Ogni ridiscesa, esplorazione e ritorno richiedono almeno quattro giorni con tre pernottamenti. Scendere sino al fondo ed uscire non è fattibile in una “punta”. Biso­gna rendersi conto che la grotta si allon­tana dai meno mille metri, e si avvicina sempre di più ai meno millesettecento-dieci del “Voronji”. Dunque “rifletta” chiun­que voglia mettere dei dubbi sulle diffi­coltà del “nuovo” Cehi 2.
LA CONTINUAZIONE DELL’ABISSO
INTRODUZIONE di Janko Marinsek […]
Con ansia si attendeva il ritorno dei ragazzi dalla montagna perché ci rac­contassero a noi, speleologi, venuti da Ka-rek, Borovnic, e Postojna come erano le nuove parti della grotta. Seguì il resocon­to di Tomaž circa la sua esplorazione nella grotta. Appena finita la narrazione, già pensavo alla possibilità di verifica in pri­ma persona.
LA PUNTA ESPLORATIVA DI FEBBRAIO
Quattordici giorni più tardi, il 22.2.2002 mi recai nella grotta con Tomaž Esnik, Matjaž Milharcic, Marko Gombac. A Krni-ca ci aspettavano le solite condizioni per l’accesso: camminare nella neve fino al­l’ingresso della grotta. Poi la discesa ver­so il bivacco a meno 900 m, in media avremmo impiegato dalle tre alle sei ore, il tempo ovviamente dipende dal peso e dal volume del materiale che ci si deve portare appresso. Dormire nella grotta era diventata un’abitudine sebbene il sonno non durava più di 6 o 7 ore. Urgeva scen­dere il prima possibile verso il fondo at­traverso le antipatiche strettoie “Azza canaway” ed il lago verso la sala “Chi è Cagoul?” a -1370 m. Per raggiungerla impiegammo dalle 6 alle 8 ore. Iniziammo di buona lena, c’erano da topografare tutte le nuove diramazioni scoperte nella spedizione precedente, dal ramo nuovo “Vidicev preduh” in avanti. Tomaž e Matjaž per ragioni di sicurezza armarono la diramazione sconosciuta sotto la sala, usando due corde da 15 m e poi iniziarono col “Lago delle Buone Speranze”, (Jezero dobrih obetov) dove s’era fermata la spedizione precedente. Scegliemmo di non camminare nell’ac­qua, bensì ci spostammo arrampicando usando il materiale di Tomaž. Dall’altro lato del lago dove l’acqua si abbassava e dopo 50 m scendeva in una cascata di 5 m che attraverso varie cascatelle scorre­va più in basso. Queste diramazioni sono attraversabili anche se larghe da 1 a 10 m. L’acqua è bassa e non sale oltre gli stivali per cui la corrente non comporta un problema. Questa parte è molto simile alla parte superiore della “Strada lunga” (Dolga cesta) verso Bovec, tranne che per l’ampiezza e l’altezza delle diramazione a causa della maggior quantità d’acqua che vi può scorrere. La parte superiore dei rami rivela che l’acqua non tocca il soffit­to e probabilmente sopra ci saranno altri rami paralleli, ovvero sale come sopra “Chi è Cagoul”. In nove ore di preparazione avevano rilevato 450 m di diramazioni e ricontrol­lato i circa 300 m della continuazione. Ci fermammo sopra la cascata da 10-15 m che non potemmo superare per mancan­za di corde. Anche i tempi erano stretti. Bisognava ritornare al più presto al bi­vacco e ai sacchi a pelo. L’altimetro se­gnava la profondità circa 1485 m, al fon­do della cascata erano quasi -1500 m, la grotta era stata misurata fino alla profon­dità -1460 m. […] Due giorni nella grotta resero fati­coso il rientro che durò sei ore fino al Pas­saggio del pollice verde da -1370 m. Dopo ventiquattro ore d’insonnia ci concedemmo del sonno che non ci riposò del tutto. Il rientro a -900 m era previsto in quattro ore. Altre 6-10 ore erano necessarie per riemer­gere dalle viscere della terra. […] Dopo questa spedizione non c’è ne furono delle altre a causa delle condi­zioni climatiche e stagionali: lo sciogliersi della neve. L’aumentare dell’acqua rap­presenta un rischio altissimo perciò la ri­cerca nelle parti più profonde della grotta fu spostata a quando le temperature sa­rebbero scese sotto il livello di glaciazio­ne. Nonostante ciò d’estate cercammo in­gressi inferiori lavorando nella grotta già conosciuta come “Abisso sopra Koriti” (Brezno nad Koriti) che si trova nella dire­zione della continuazione del Cehi e che ci permetterebbe di avvicinare l’accesso alle parti nuove. […]
LA SPEDIZIONE DI DICEMBRE
Condizioni meteorologiche favorevoli si presentarono alla fine dell’anno. Con To­maž Esnik, Matjaž Milhari e i ragazzi di Rakek, Janez Puc, Mitja Mršek e Aleš Strukelj, Klanfa ci mettemmo d’accordo per la spedizione subito dopo Natale. Il 26 dicembre ci trovammo ad Unec, a noi si unì anche Ana Makovec. Partim­mo per Bovec con due automobili cari­che di materiale. A mezzanotte eravamo giù sulla strada che da Krnica va al cam­po di Banderi. Dopo due ore di cammino raggiungemmo il campo, riposammo per un’ora e preparandoci per le 12.30 quan­do scendemmo nell’abisso. […] Intorno alle 17.00 eravamo riuniti al bivacco a -900 m. […] Decidemmo di dividerci in due gruppi: Il primo (Tomaž, Ana, Klanfa e Matjaž) continuava il per­corso recandosi a dormire al Passaggio del “Pollice Verde”, il secondo (Mršek, Puc e io) dormimmo. Sabato alle 02.00 erava­mo in piedi: dopo la colazione raccogliem­mo i nostri materiali (transportke) e scen­demmo verso il fondo. Al “Pollice” svegliammo il primo gruppo col quale ci dirigemmo verso “Cagoul”. A “Cagoul” c’era già il bivacco con la tenda da due, un sacco a pelo e un chilo di carburo. Metà del gruppo optò per il riposo mentre Esnik, Matjaž e Klanfa proseguirono ad attrezzare la grotta oltre la cascata e avanti ancora. L’aspettativa della continuazione era troppo forte così i ragazzi scalarono la cascata, attrezzaro­no il traverso raggiungendo il lago. Poi stanchi ritornarono a “Cagoul”. Sulla via di ritorno Klanfa cadde nell’acqua gelata fortunatamente tanto profonda da evitar­gli di procurarsi delle lesioni. A questa profondità la caduta nell’acqua gelida rap­presenta un serio problema. Il pericolo di abbassamento della temperatura corpo­rea è elevato e la strada per uscire molto lunga. Alle 17.00 i due gruppi trovatisi al bivacco si diedero il cambio. Klanfa entrò nel sacco a pelo bello e bagnato con tutti gli abiti per scaldarsi un po’ ed evitare il raffreddamento. Il gruppo riposato andò a rilevare le parti della grotta scoperte in febbraio ol­tre a quelle nuove che avevamo esplora­to noi. Ana si fermò al bivacco preparan­dosi per uscire dalla grotta. Con le misurazioni partimmo da dove ci erava­mo fermati a febbraio. In quel punto la grotta inizia a scendere leggermente. […] Ci accorgemmo che il canale deviava verso sud. Poi salimmo nella parte asciut­ta superiore e dopo 20 m ci calammo, arrivando all’acqua corrente e ad un lago minore. Continuammo il percorso tra bloc­chi più o meno grandi seguendo l’acqua. La continuazione del canale si restrinse un po’ sino all’ultimo livello inferiore che con­duceva al lago e un sifone sopra il quale si ergeva un camino di 30 m d’altezza. Il rientro a “Cagoul” era alle 21.00 Ana e Klanfa avevano scelto di muoversi ver­so il Passaggio del “Pollice Verde”; To­maž, Matjaž si riposarono un po’ poi ri­presero la via dell’ultimo lago, lo prepararono attaccando successivamen­te il camino. […] Česnik salì e armò il ca­mino per 30 m dove risentì il rumore del­l’acqua. Ma di corda per scendere dall’altra parte non c’era più. Resta dub­bio se la grotta continua oltre il lago op­pure se il camino gira verso la parte già nota della grotta. Per adesso consideriamo il livello più profondo della grotta, quello del lago a -1533 m. Ritornando fotografavano le nuove parti esplorate della grotta e tornando dopo otto ore al nostro bivacco provvisorio. Dopo il loro arrivo decidemmo di muo­verci verso il lago per verificare da dove arriva il rumore dell’acqua. Sulla via per il Lago delle Buone Speranze ci accorgem­mo che il livello dell’acqua si stava alzan­do velocemente. Sul passaggio messo lungo il lago l’acqua era salita di 20 cm in due ore. Era un brutto segno per cui tor­nammo verso “Cagoul”. Durante il breve riposo nella sala “Ca­goul” ascoltammo lo sgocciolare dell’acqua che diveniva sempre più forte finché in cin­que minuti non si trasformò in un rigagnolo d’acqua che scendeva dal soffitto. Nel bi­vacco furono svegliati Tomaž e Matjaž che avevano dormito 2 o 3 ore. Caricammo le nostre cose spostandoci di comune accor­do nel campo russo. Tornando notammo che l’acqua fuoriusciva da tutte le fessure e dal soffitto. Sul passaggio prima del lago non era possibile camminare senza bagnar­si. Al lago trovammo il livello dell’acqua au­mentato di 35 cm. Al passaggio lungo “jek-lenica” ci bagnammo di nuovo tutti. Nel bivacco russo lasciammo l’equipaggiamen­to e ci avviammo per il Passaggio del “Pol­lice Verde” dove raggiungemmo Ana e Klan­fa. […] Nessuno aveva dubbi sul fatto di dover risalire: l’acqua alta avrebbe potuto raggiungerci bloccandoci dall’altro lato del lago. […] Alle 20.00 con Tomaž eravamo nel sacco a pelo nel bivacco a -900, gli altri ci raggiunsero un po’ più tardi. Alle 3.00 erano partiti per l’uscita Ana e Klanfa, alle 6.00 anche il resto del gruppo fu unito. Dopo otto ore eravamo fuori dove c’era un bel sole e 20 cm di neve fresca. Rag­giungemmo il campo dove ci attendeva­no sorridenti Luka e Fobec. […] Con questa spedizione abbiamo allun­gato la grotta di 781 metri scendendo per ulteriori 163 metri raggiungendo la pro­fondità di meno 1533 metri. Il Cehi 2 è al sesto posto nella graduatoria universale delle grotte più profonde.
                                                        (Da Naše Jame, 44, 2002 Ljiubljana)