CHI VIVE SPERANDO
Pubblicato sul n. 48 di PROGRESSIONE – anno 2003
Non era la 887 VG, ossia la «Grotta Nera di Prepotto», la grotta “fantasma” per eccellenza, anche se alcuni indizi da noi volutamente ritenuti probanti avevano fatto sperare nel ritrovamento di quella fantomatica cavità. Scoperta, esplorata, rilevata e posizionata (sigh!) nel 1904 da Giovanni Andrea Perco, pioniere della speleologia triestina e poi direttore delle Grotte di Postumia, da quella lontana data è praticamente scomparsa nel nulla. Generazioni di speleologi, il sottoscritto compreso, la hanno cercata invano. Eppure leggendo le varie relazioni dell’epoca a lei inerenti, il trovarla non dovrebbe essere problematico, anzi, abbastanza facile se si seguono le “istruzioni per l’uso”, che nel nostro caso, tanto per ingarbugliare un po’ le acque, sono addirittura tre. Una di queste “istruzioni” specifica che il sito in cui si apre la “Nera”, (esiste pure una cartina con sopra segnato il punto d’ingresso della stessa (sic)) si trova a circa mille metri a Nord dalla ben nota 90 VG (alias la Grotta Noè, ampia voragine ecc. ecc.), sul lato ovest, verso la quota di base, di una dolinetta di una decina di metri di profondità. Se così fosse, dico io, cosa c’entra il paese di Prepotto dal quale la cavità prende il nome; caso mai avrebbero dovuto chiamarla “Grotta Nera di Bristie”, visto che l’ubicazione del suo accesso è più vicina a quest’ultimo borgo. Il lettore che scorre queste righe e he è all’oscuro di questa storia, dirà senz’altro: “No problem! Basterà andare a circa mille metri a Nord della Grotta Noè, quindi passare a pettine fisso tutte le doline e dolinette aprentesi in quell’area e il gioco è fatto”. E bravo il lettore! Cosa pensa che sia stato fatto nell’arco di cinquant’anni a questa parte? Un’altra “istruzione” indica invece che la grotta in oggetto si apre a quattrocento metri a Sud di Prepotto: col nome ci siamo, ma non con la quota d’ingresso che è segnata con duecentoquaranta metri sul livello del mare. In quella zona, a Sud di Prepotto, vi è un altitudine che supera a malapena i duecento metri. In tale area poi si apre una vasta e molto vecchia cava di pietra tuttora in funzione, dove viene estratto un bellissimo calcare ornamentale ricco di presenze fossilifere come Chondrodonte e Ostree. Ma allora, torno a ripetermi, dico io, cosa c’entra in questo caso la Grotta Noè che da questo sito è lontana un paio di anni luce? Se la posizione topografica della grotta non fosse errata, i relatori di quell’epoca avrebbero indubbiamente accennato nei loro scritti sia la presenza della cava sopraccitata, che la presenzadella Caverna Lesa 237 VG, il cui ingresso si apre a un tiro di sasso più a Sud della cava stessa. La terza “istruzione” dice che la “Nera” si apre nel bosco di querce che si trova tra Prepotto e Sales (altro villaggio carsico). Pure qui ci siamo sia con il nome che con la quota d’accesso, ma non con la direzione: cosa c’entra il Sud di Prepotto se invece il suo “bosco di querce” si estende inesorabilmente verso Est? Logicamente, a puro titolo di cronaca, di quel bosco oggigiorno non rimane che qualche fiero e solitario esemplare di quercia in ricordo di tempi migliori. Comunque gli indizi, come il nome del paese, la quota d’ingresso, il “bosco di querce”, una cavità ostruita a tre metri di profondità e posta sul lato Ovest di una piccola depressione, ci hanno fatto sperare nel colpo gobbo, ossia nel ritrovamento della “Nera”. Purtroppo non è stato così. Ma a conti fatti, dirà il lettore a digiuno di ecc. ecc., che cos’ha di tanto importante questa Grotta Nera della quale spesso si parla nei circoli speleologici triestini? Niente si speciale, caro lettore: pozzetto d’accesso di dieci metri, lunghezza di metri novantadue, profondità di metri ventisette. La morfologia interna è rappresentata da una galleria comunicante con alcune caverne ben concrezionate e con la classica fessura soffiante posta nella parte terminale. Però, più che l’indubbia bellezza delle sue caverne e la ghiotta fessura soffiante, quello che maggiormente attrae di quella cavità è il mistero della sua scomparsa. L’area in cui dovrebbe essere ubicato l’ingresso, nonostante le tre posizioni topografiche assolutamente discordi tra di loro, supera di poco il chilometro quadrato. L’indicazione poi che la grotta si apre sul lato Ovest di una piccola dolina è determinante per una fruttuosa ricerca, visto anche che in quella zona non vi sono tantissime doline e dolinette. Che sia una cavità “inventata” non lo posso credere: Perco, il suo scopritore, era una persona seria! È stata senz’altro chiusa, ma in tal caso non è stata la normale ostruzione che il proprietario del terreno fa per liberare il suo fondo dalla presenza, molte volte ingombrante, di una grotta. Se si trattasse d una normale occlusione con pietre e terra, con il passare del tempo si sarebbe formato sopra l’ingresso il caratteristico imbuto di assorbimento dovuto al drenaggio delle acque piovane, imbuto che all’occhio smaliziato dello speleologo triestino non sarebbe sfuggito. Se non c’è drenaggio ciò vuol dire che la chiusura è stata fatta con una soletta di cemento, ricoperta poi con terra per mascherare il tutto. Chi potrebbe aver avuto l’interesse ad effettuare tale opera? Potrebbe darsi, ma sono solo mie congetture, che la grotta in questione fosse stata attrezzata per uno scopo bellico dall’esercito austro-ungarico durante la prima guerra mondiale e poi salvaguardata per qualche altro conflitto. Il mistero rimane. Per non lasciare nulla di , la speranza è l’ultima a morire, pur avendo individuato e aperto il P. 18 interno al futuro Abisso del Segretario Marcello, ossia della cavità ostruita a tre metri di profondità, aprentesi nel bosco di querce ecc. ecc., abbiamo provveduto al completo svuotamento del suo pozzetto iniziale nella ormai remota possibilità di sboccare nella Grotta Nera. Tra l’enorme quantità di massi estratti sono venute alla luce vecchie reminiscenze belliche e sanitarie della Grande Guerra: oltre al cartucciame marcito dal tempo, sono pure venuti alla luce flaconcini vuoti per medicinali, tra i quali spiccavano in maggioranza quelli per l’olio di ricino, ritenuto in quel tempo da tutti gli eserciti del mondo, ironicamente e non, toccasana per tutti i mali(1).
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1 Un vecchio abitante della casa sita dall’altro lato della strada, ad un centinaio di metri dalla grotta, ci ha raccontato durante una pausa dei lavori che nel corso della Grande Guerra la sua casa era stata requisita dagli austriaci che vi avevano installato un ospedale da campo.
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La cavità che si è ottenuta dopo lunghi lavori di disostruzione ed ampliamento strettoie, ha una profondità di ottantanove metri e una lunghezza di quarantacinque. La stessa si apre nei calcari grigio-chiari del Cretaceo Superiore, però scendendo nell’ipogeo si rinvengono pure litotipi del Cretaceo Medio e Inferiore. Ai calcari grigi sopra menzionati si alternano quelli neri che ad un esame macroscopico risultano essere ricchi di fossili appartenenti alle specie di Rudiste e Radioliti. La stratigrafia è molto bene evidenziata con banchi che in certi punti della grotta hanno un angolo d’immersione superiore ai 45°, in direzione NNO SSE. Le dolomie compaiono sui trentacinque metri di profondità in minuti straterelli compressi tra i calcari, quindi con banchi molto cariati e infine con lenti isolate. La dolomia che costituisce dette lenti è molto compatta, tenace e a grana cristallina. Con la disgregazione delle rocce si viene a formare una sabbia molto fine che si accumula a ridosso delle pareti alla base dei pozzi, oppure, in certi tratti, sulle pareti stesse a mo’ di spolverio.
Il concrezionamento è presente in abbondanza soltanto nel pozzetto iniziale e per pochi metri nel primo pozzo interno, poi scompare quasi del tutto per riapparire sulle pareti Sud dei pozzi terminali. Lungo tutta la grotta rimane attaccato alla roccia madre nelle nicchie laterali, fuori dalla portata delle acque aggressive, che nelle altre parti della cavità lo hanno demolito. Oltre a questo ringiovanimento, possiamo dire che tutto il complesso sotterraneo è tuttora in fase giovanile. Ciò appare evidente sul fondo del pozzo finale la cui base rocciosa è interessata per tutta la sua lunghezza da una frattura larga una decina di centimetri in cui vengono convogliate le acque d’infiltrazione, molto abbondanti in regime piovoso, con il conseguente approfondimento della cavità. La pronunciata inclinazione degli strati ha favorito un rapido e forte drenaggio dell’acquifero che ha creato con la sua opera di dissoluzione, nella parte mediana della grotta, alcuni notevoli ponti naturali staccati per oltre due terzi dalla parete. Guardandoli ci si chiede come fanno a reggersi! Ovviamente oltre ai ponti naturali l’acqua ha isolato pure massi e pietrame vario che in certi punti si trovano in un equilibrio piuttosto precario per cui si rende necessario procedere con la dovuta cautela. La massima gamma degli effetti dissolutivi si può osservare alla base del penultimo pozzo, ovvero nella parte più pittoresca del complesso sotterraneo. Essi sono rappresentati da profonde scannellature in un bancone di calcare micritico colà esistente, in minuscole forre in fase di approfondimento e brevi diramazioni meandriformi. Sono pure presenti le dolomie con i soliti minuti straterelli incastrati tra il calcare grigio e nero.
Tirando le somme possiamo dire che si tratta di una cavità abbastanza interessante dal punto di vista geologico ed anche attraente per la sua orrida bellezza dal punto di vista speleologico. Sono sicuro che i futuri visitatori ne rimarranno soddisfatti. Non ci sono le usuali note d’armo: la grotta è stata da noi attrezzata con scalette leggere e corde, facendo gli attacchi su colonnine e ponticelli naturali. Per la progressione verticale usavamo i discensori, per la risalita le scale autoassicurati col bloccante ventrale. Ah, quasi dimenticavo! Anche in questa grotta ho avuto la mia solita e dolorosa disavventura speleologica. Mi trovavo a circa – 40, sul fondo di un pozzetto laterale, intento a rimuovere un grosso macigno che impediva, chiamiamola così, l’avanzata. Inutile dire che durante quei lavori la mano destra è rimasta schiacciata tra le pareti e il macigno, procurandomi in tal modo una profonda ferita alla prima falange del dito anulare, cosa che mi ha messo “out” per un paio di settimane. La grotta, anzi, l’abisso in questione è stato dedicato a Marcello Delise, appassionato grottista degli anni ’50 del secolo ventesimo e poi per un lungo lasso di tempo segretario della “Commissione Grotte”. Ma di questo, e di una più razionale descrizione del buco in oggetto, ve ne parlerà l’ineguagliabile Pino Guidi nelle pagine che seguono. Hanno partecipato ai lavori di scavo, esplorazione e rilievo della grotta (che si sono protratti dal primo gennaio al 26 aprile 2003): Bosco Natale Bone, Furio e Giuliano Carini, Pino Guidi, Roberto Prelli, Glauco Savi.
Bosco Natale Bone


ABISSO DEL SEGRETARIO MARCELLO
LOCALIZZAZIONE
La cavità si apre nella pineta sita sul fianco settentrionale del dosso che separa Baita da Prepotto Superiore. Il suo ingresso – un ovale irregolare di cm 180 x 100 è sito in una depressione, tre metri ad Est di una masiera che dalla cima del dosso scende, pur senza raggiungerla, verso la strada. A NE dell’imbocco dell’abisso si trova l’ingresso della Grotta 16a di Capodanno, un non troppo largo cunicolo-pozzo che scende per una dozzina di metri sino ad una strettoia non forzata; gli imbocchi delle due grotte sono separati da un muretto a secco che impedisce cadute accidentali nella seconda.
CRONISTORIA
L’imbocco del futuro abisso è stato individuato da Bosco Natale Bone nel corso di una solitaria battuta di zona già una ventina di anni or sono; su sua indicazione è stata esplorata da Pino Guidi e Roberto Prelli il 7 aprile 2001 e rilevata la settimana successiva, durante una pausa dei lavori nella grotta vicina. Successivamente al suo inserimento in catasto (allora come Grotticella del Lavarno, 6137 VG) è risultato che era stata rilevata poco tempo prima dagli speleologi del Grmada, e catastata sub numero 6136 VG.Al momento della prima esplorazione (e del primo rilievo, 14 aprile 2001) la frana occludeva completamente il pozzo a poco più di cinque metri di profondità; l’avvio della campagna di scavi nell’adiacente futura Grotta 16a di Capodanno (che allora pareva soffiare molto di più), ne aveva rimandato di oltre un anno l’esame più approfondito. Il primo gennaio 2003, dopo aver rilevato la Grotta di Capodanno si è data mano, seguendo un filo d’aria che si faceva via via sempre più forte, al parziale svuotamento del pozzetto e alla sua provvisoria messa in sicurezza con tavole; a otto metri di profondità, dopo tre giornate di lavoro, l’abbattimento di un diaframma di roccia (punto 2) ha permesso di accedere al primo pozzo interno. Due giornate sono state necessarie per aver ragione dell’ostruzione a -36, e quindi un’ulteriore giornata per allargare la strettoia a -62. Le operazioni di rilievo hanno richiesto ulteriori tre giornate di lavoro. La frana del pozzo d’accesso, originariamente molto instabile (durante le operazioni di rilevamento alcuni massi sono precipitati colpendo – per fortuna senza gravi conseguenze – uno degli uomini che stavano operando), è stata eliminata portando in superficie il materiale, per cui la profondità del pozzo esterno è passata da poco più di due metri agli attuali sei. Anche in alcuni dei tratti all’interno ci sono dei passaggi da affrontare con estrema prudenza a causa della presenza di massi in equilibrio precario.
DESCRIZIONE
Un pozzo ben concrezionato e di sei metri di profondità dà inizio a questa cavità; la parte più interna del pozzo, che si sviluppa in direzione N-S, è sormontata da un breve e stretto camino. Al suo fondo (punto 2), alla base della parete Sud, un basso passaggio sbocca su un pozzo di 18 metri, interrotto da un ripiano inclinato e da qualche ponte naturale; le sue pareti, in parte nude, in parte rivestite da un velo di calcite, si allargano verso il centro, per poi riavvicinarsi al fondo in cui una strozzatura costringe a passare fra grosse lame di roccia. A dieci metri dall’inizio di questo pozzo una serie di ponti naturali e di massi incastrati fra le pareti lo divide dalla sua logica prosecuzione, una frattura che si sviluppa in direzione Nord per alcuni metri; l’ambiente, dapprima concrezionato, diviene poi più scabro e severo ed è sormontato da un alto camino. La cavità prosegue in direzione SW con una serie di scivoli di roccia viva presentanti evidenti e marcate tracce di dissoluzione, intervallati da un piccolo pozzo (punto 3); la parte finale di questo tratto, che risulta essere scavato nella dolomia (o nei calcari dolomitici) si strozza in un angusto passaggio, allargato artificialmente (punto 4), che sbocca in direzione Sud su di un ampio pozzo profondo poco più di mezza dozzina di metri, interrotto verso la metà da un massiccio ponte naturale, forse non troppo stabile, cui segue un ripiano inclinato. Sulla parete Nord del ripiano, ad un paio di metri di altezza, è stata aperta con tre giornate di lavoro una finestra che immette su di un piccolo pozzo dalle pareti erose e interessato da marcati fenomeni di ringiovanimento. Questi è sormontato da un camino e prosegue verso il basso fra massi incastrati che impediscono l’accesso ad una fessura non molto larga oltre la quale le pietre cadono, battendo fra le pareti, per alcuni metri. Alla fine del ripiano inclinato il pozzo prosegue (punto 5), in parte concrezionato e in parte eroso, per ulteriori sedici metri e nuovamente in direzione SW; sulla parete opposta si notano alcune finestre che forse varrebbe la pena di raggiungere. Al suo fondo, costituito da un ammasso di sfasciumi lapidei, alla base della parete SW è stato aperto un passaggio, tuttora abbastanza disagevole, (punto 6) oltre il quale si scende un P. 8 seguito da uno scivolo molto inclinato e da un P. 4; le pareti, che distano fra di loro alcuni metri, si presentano erose e frastagliate, con accenni di concrezionamento rari ma comunque chiaramente osservabili. Sul ripiano terminale di questo che potremmo considerare un unico pozzo di quindici metri – una frattura orientata NNW-SSE – a breve distanza dall’orlo del pozzo successivo (punto 7), si apre un pozzo cieco di sei metri. Dal punto 7 la cavità si approfondisce ancora verso SW con un altro pozzo inclinato, profondo una dozzina di metri, chiuso al fondo da massi incastrati sotto i quali Grotta II di Val. Marcello Delise all’inizio del secondo pozzo un ulteriore salto di due metri e mezzo, scendibile in arrampicata, conduce alla fessura finale (punto 8) con cui attualmente la grotta finisce. Dal ripiano sito tre metri più in basso del Punto 7 in direzione NW si apre una finestra, oggetto di sterile scavo, oltre la quale s’apre un minuscolo vano al cui fondo la grotta potrebbe proseguire ancora per qualche metro. Tutta la cavità si sviluppa lungo un piano inclinato che talvolta dà l’impressione di seguire l’andamento degli strati, immergendosi in direzione SW, intercettando lungo il percorso fratture quasi ortogonali (NW-SE) e attraversando via via serie di litotipi differenti: ai calcari grigiastri del tratto iniziale seguono calcari dolomitici o dolomie e quindi calcari neri in alternanza a calcari grigi. Nel corso dell’esplorazione (mesi di gennaio e febbraio 2003) lo stillicidio è stato sempre molto abbondante, quasi scomparso nei due mesi successivi.
DERIVATIO NOMINIS
I grottisti che hanno trovato e quindi trasformato un pozzetto di cinque metri in una cavità degna di tutto rispetto per il nostro Carso hanno ritenuto doveroso dedicarla alla memoria di Marcello Delise, entusiasta grottista degli anni ’50 del secolo passato che, dopo aver fondato e diretto per alcuni anni l’Associazione Grottistica del Pipistrello (1952-1954) è stato per oltre trent’anni segretario della Commissione Grotte Boegan e per più mandati anche dell’Alpina. Segretario quasi per vocazione, lo è stato pure per alcuni congressi di speleologia. Fra la fine degli anni ’50 ed i primi anni ‘70 ha curato il giornaletto “El Buso”, prima voce autonoma dei grottisti della Commissione. Non sarà stato un grande speleologo, secondo i parametri attuali, ma è stato un vero e appassionato grottista nel tormentato secondo dopoguerra, ed è con questo spirito che gli ultimi grottisti del secolo ventesimo hanno voluto ricordarlo. Pino Guidi
GROTTA DEL SEGRETARIO MARCELLO (6136 VG) CTR: San Pelagio, 110013 – Long.: 13° 42′ 09.2″ -Lat.: 45° 45′ 49.4″ – Quota ingresso: m 255 – Prof.: m 89 – Lungh.: m 45 – Pozzo est.: m 6 – Pozzi int.: m 18-4-7-4 (laterale) – 16-8-4-6 (laterale) – 12-2,5 -Rilevatori: Pino Guidi, Glauco Savi, SAG, 15 febbraio – 26 aprile 2003