LA GROTTA MERAVIGLIOSA DI LAZZARO JERKO
Pubblicato sul n. 43 di PROGRESSIONE – Anno 2000
FRA STORIA E LEGGENDA
Favola moderna per romantici cercatori di fiumi sotterranei, la dolina soffiante di Monrupino aveva prima ancora trovato una sua connotazione bucolica nella tradizione popolare del luogo, secondo la quale i pastorelli un tempo infilavano zufoli negli sfiatatoi per realizzare un singolare concerto di suoni, grazie al mantice possente del fiume sotterraneo in piena. Si racconta che nel 1910 sarebbero addirittura scaturiti zampilli d’acqua ad allagare il fondo della dolina e che dell’avvenimento si sarebbero informate, ma senza alcun risultato, le autorità municipali di Trieste. Di questo fatto in realtà, nelle pazienti ricerche d’archivio in stretta intimità con I’acaro, non è stato possibile trovare alcuna traccia, ma altri simili ben anteriori sono rimasti rigorosamente documentati. Il primo risale al gennaio 1832, quando si è presentato al Comune di Trieste un “villico” di Opicina per rilasciare un’interessante deposizione:
Trieste 30 Gennaro 1832 Nell’Ufficio dell’I. R. Magistrato politico economico
Comparso: Lazzaro Jerco abitante in Opchiena al N. 123.
Espone: Venerdì scorso 27 corrente trovandomi in Grisa vicino a Percedou per andare a Reppen Tabor, hò scoperto non lontano più di circa venti Klafter dalla strada, una sorgente d’acqua che per quanto ho potuto congetturare con dei altri miei convillici possa provenire dal fiume Reca, mentre dal corso della medesima e dal forte rumito che si sente sotto terra mi persuade che possa essere questo Fiume, aggiungendo che per quanto hò potuto arguire, coll’escavo di circa due Klafter di terra si verrebbe al scuoprimento di tale acqua la quale dal suo veloce corso, ed in conseguenza dal strepito che fa, da evidentemente da conoscere essere vicina alla superfice della terra.
+ di Lazzaro Jerco illetterato.
L’lmperial-regio Magistrato in quell’occasione non ha lasciato senza seguito la singolare segnalazione ed ha prontamente richiesto ulteriori informazioni … al parroco di Opicina, ricevendo conferma che in tempo di grandi piogge scaturiscano delle colonne di acqua oltrechè si sente il mormorio di una forte corrente sotterranea, la quale da quanto dicono i villici scuote e fa tremare il suolo della valletta, ove esistono i buchi, che danno sfogo ad una, e talvolta a due colonne di acqua.
Veniva allora ordinato al “suppano” (capo-villa) di Opicina di dare tempestive informazioni sull’eventuale ripetersi di questi fenomeni “affinchè possa recarsi sopraluogo una commissione apposita e farvi le necessarie osservazioni”, anche se I’lspezione Civica Edile non sembrava molto propensa a dare credito ad informazioni del genere.
Erano infatti trascorsi appena tre anni da quando un certo Matteo Bilz aveva tempestato il Magistrato e la Camera Aulica di istanze e di ricorsi per ottenere un qualche aiuto nei suoi lavori sul Carso, cominciati in due pertugi “uno in fronte ad una montagna tutta di scoglio vivo e l’altro in una valletta chiamata Recca, non lungi dalla medesima montagna … nel centro del quadrato degli villaggi Trebiz, Orle, Fernetich e Banni”. Anch’egli sperava di poter raggiungere a poca profondità il fiume sotterraneo, “finchè esausto di mezzi pecuniari, combattuto dal proprietario del fondo, bersagliato dai creditori, dovette abbandonare quest’impresa”.
Nella relazione sulla dolina di Monrupino, I’ispezione Civica Edile rispondeva infatti in questi termini:
Inclito I. R. Magistrato! Nel tempo delle grandi pioggie il Carso manifesta quà e là varie sorgenti d’acqua procedenti dai scoli dei seni montuo-si, e queste poco tempo dopo cessate le pioggie spariscono del tutto. Per essere però certi che una sorgente d’acqua sia perenne, si converrebbe rinvenirla nei mesi della sicità, laddove la penuria di questo elemento renda preciosa ogni scoperta del medesimo. Quindi l’insinuazione fatta da Lazzaro Jerco nel tempo delle abbondanti pioggie dello spirare del mese decorso non sembra avere nessun merito, ne potersi basare alcun tentativo sulla medesima, e ciò molto meno in quantoche è notorio che varj privati hanno fatto degl’esperimenti senza frutto, come consta benissimo alI’lnclito Magistrato, che Matteo Bilz, à intrapreso varj escavi per rinvenire l’acqua della Recca appunto dietro dati simili a quelli di Lazzaro Jerco, e non conseguì altro risultato che quello del consumo proprio peculio. Se però I’lnclito I. R. Magistrato fosse disposto di spendere del danaro per fare dei tentativi di escavo laddove in tempi di pioggia si senta un sordo mormorio sotterraneo di acqua nel Carso, in allora converrebbe mettere un fondo a disposizione per tali esperementi, onde essere solleciti, e si potrebbe cominciare dal dar retta all’insinuazione del deponente Jerco, che qui viene retrocessa in ossequio del venerato rescritto dalli 6 febbr. a.C. N. 872.
Ferrari
Erano gli stessi indizi che pochi anni dopo avrebbero guidato Antonio Federico Lindner nella scoperta della grotta di Trebiciano, ma a quel tempo si pensava ancora ad una vera “sorgente” e ad un fiume sotterraneo la Recca, naturalmente a pochi metri di profondità. Si credeva che il rumore e che l’acqua “eruttata” provenissero davvero da questo fiume: in realtà il fragore di un torrente impetuoso era provocato dalla corrente d’aria pompata verso l’alto dall’acqua rimontante durante le piene, corrente d’aria che impediva all’acqua piovana di infiltrarsi nel fondo della dolina e la faceva gorgogliare a somiglianza di piccole polle.
La prima citazione “stampata” della dolina di Lazzaro Jerco risale invece al 1863 e si trova nella Storia cronografica di Trieste dalle sue origini sino all’anno 1695 del canonico D. Vincenzo Scussa triestino, più precisamente nel capitolo “Li Aquedotti” (sic), inserito da Pietro Kandler nella corposa appendice dell’opera insieme ad una miscellanea di altri suoi lavori, in buona parte già pubblicati sul settimanale “L’lstria” da lui diretto e quasi interamente scritto dal 1846 al 1852. “Li Aquedotti” è costituito a sua volta da vari articoli sulle acque del Carso ed è comparso già nel 1861 come fascicolo della Raccolta delle leggi, ordinanze e regolamenti speciali per Trieste; in questa nuova edizione il capitolo viene arricchito con uno stralcio del “discorso tenuto dall’ingegnere Sforzi il dì 24 marzo 1861 sulla scoperta del Timavo nella Caverna di Trebiciano , una delle conferenze domenicali organizzate dalla Società di Minerva, nella quale si fa appunto riferimento agli indizi dell’acqua sotterranea:
“Nelle vicinanze di Orleg udivasi un rumore cupo come di grosso volume di acque scorrenti sotto ai piedi degli astanti fino a produrre un traballamento del suolo e contemporaneamente veniva espulsa dai crepacci dei massi vicini una fortissima corrente d’aria. Altrove apparivano delle acque eruttate dal terreno che allagavano, per disperdersi nelle prossime fessure, come nel 1844 al mezzogiorno del 10 febbraio successe nella depressione d’una vallicola in vicinanza della via comunale presso Repentabor”.
Su questo episodio, registrato con tanta precisione, I’ing. Sforzi aveva inviato già a suo tempo una relazione alle autorità municipali, come risulta dal protocollo del Comune (conservato nelllArchivio Storico) dove è rimasta traccia di un documento oggi irreperibile, presentato il 12 marzo 1844: “L’Assessore Giusto Conti e l’Aggiunto Edilizio Giuseppe Sforzi informano sul fenomeno presentatosi sotto il monte Tabor”. Pochi anni dopo Sforzi deve averne sicuramente parlato, nella sua veste di accompagnatore ed esperto locale, con Adolf Schmidl, I’inviato del Ministero del Commercio per uno studio idrografico sul bacino del Timavo, precursore degli abili rielaboratori delle idee altrui (e come tale a buon titolo denominato “il padre della speleologia scientifica”). Nel suo lavoro conclusivo: Ueber den unterirdischen Lauf der Recca, pubblicato a Vienna nel 1851, egli inserisce anche una cartina del Carso dove sono segnate una trentina di grotte (alcune esplorate ma la maggior parte soltanto scandagliate) e quattro “punti dove si sente rumoreggiare I’acqua”, tra i quali la “vallicola” in questione.
Dopo più di mezzo secolo dalla deposizione di Lazzaro Jerco, il “vice-suppano” di Repentabor scriveva una lettera al podestà di Trieste con una nuova versione aggiornata della storia della sorgente:
Traduzione:
** Per notizia all’Eccelso Magistrato di Trieste lo qui sottofirmato spesse volte ho compreso e letto nel foglio “Edinost” che la città Trieste brama d’aver acqua e per ciò credo, che non sarebbe superfluo di parlare in proposito: E’ veramente una ** Traduzione d’ufficio. Il testo della lettera era in lingua slovena. pazzia di cercare così lontano un acqua, la quale scorre propriamente vicino di Trieste e più abbondante di quella sopra, essendo chè la scorre sotto terra e di non tanta fondezza. Questa acqua scorre fra Repentabor e fra ObCina dietro di “PerCa dola” distante dal confine di Trieste in circa 150 tese (Kla fter) sotto la strada di Vipacco. Quando è un anno piovoso, si sente un forte romore in una piccola valletta, così che I’intiera valletta trema sotto i piedi, e presso ogni cespuglio sporge I’acqua a tre piedi in alto e per i sassi scorre I’acqua come d’un soffietto di fabbro. Molte volte sentivo parlare di quest’acqua, ma non volevo credere, finchè non ho veduto coi proprii occhi. Nell’anno scorso un giorno sono andato da Trieste perchè in quell’epoca ha piovuto diversi giorni. Arrivo a canto di quella vallata sento il romore e mi reccai vedere da vicino, ma sono rimasto sorpreso, perché I’intiera vallata tremava e I’acqua scorreva in alto, mentre sotto la terra si udiva un gran sussuro d’acqua corrente. Per ciò sarebbe bene di scavare in quella vallata un gran fossale fino all’acqua e se fosse possibile condurre quelI’acqua fino Trieste, perché è vicino e non lontano di Trieste come quella di Risano. Se alcuno desiderebbe fare le indagini in proposito, che si rivolga pure a me, e questo non gli costerà niente.
Verhovlah 241311 882
Rocco Raubar m.p. vicepodestà al N. 10 sotto la parrocchia di Repentabor
Stranamente la dolina non è stata menzionata dall’ing. Antonio Polley, attento verificatore di sfiatatoi carsici nonché sfortunato impresario di grandi lavori speleologici alla ricerca dell’acqua sotterranea. Sulla sua famosa cartina del 1908, dalle “fessure soffianti” di Fernetti egli non ne ha segnato altri fino ad una località imprecisata nei pressi dell’attuale svincolo ferroviario di Opicina Campagna.
Mario Galli