L’ARTE DI ADRIANO STOK
COME HA SAPUTO FONDERE NEL LIBRO-OGGETTO: PIETRA E CARTA, MENTE E CUORE
Pubblicato sul n. 37 di PROGRESSIONE – anno 1997
Il trascorrere del tempo, lento quanto inesorabile, dilava ogni memoria del passato, mentre con la sua forza corrosiva incide solchi profondi, indelebili orme del proprio passaggio. Da sempre, l’uomo combatte contro un oblìo sentito come ineluttabile, imprimendo caparbiamente i segni della propria presenza, del proprio essere al mondo. A questo desiderio di conservazione della memoria, si unisce il bisogno di comunicare, di lasciare ai posteri, in dono, le proprie esperienze intese anche come testimonianza viva della propria esistenza. Proprio osservando la natura, l’uomo ha carpito il segreto del segno, dell’impronta, della traccia. Il libro della natura offriva ed offre infatti continue occasioni di lettura, ad esempio guardando la stratigrafia delle rocce, lo scavo dell’acqua, le orme degli animali, il calco dei fossili sulla pietra. La parete rocciosa delle grotte, primo habitat umano, si è offerta come iniziale supporto al mistero del segno, alla magia del simbolo. Dalla natura dunque l’uomo ha imparato a decifrare e a lasciare un messaggio “scritto”, ha scoperto la forza del testo, che gli spalancava le porte del tempo e dello spazio. Il testo scritto, il libro che abitualmente utilizziamo, sono il risultato di questa sofferta ricerca che ha preso i suoi inizi come magico repertorio di raffigurazioni nello spazio sigillato delle caverne. Segnare, disegnare, dire con i segni, comunicare attraverso il medium visivo èdiventato un linguaggio sempre più completo e sofisticato, un sistema di segni-simbolo che ha generato ùn codice aniconico: la scrittura. Tuttavia ogni codice, ogni linguaggio hanno la prerogativa di servire alla comunicazione, al dialogo, ad istituire un rapporto tra chi~” parla” e chi “ascolta”. L’uomo-artista nasce quando questa esperienza esce dai vincoli del dato oggettivo per spaziare invece nell’ambito del soggettivo, dell’individuale, del profondo fino a dilatarsi al punto di diventare un discorso universale. L’artista, con la propria diversa, eccezionale sensibilità, vede, sente, immagina più degli altri, e forse più degli altri desidera tradurre le sue sensazioni ed emozioni in comunicazione (verbale, visiva, sonora, tattile o tutte queste cose insieme), scegliendo a tal fine il medium (mezzo) che gli si adatta meglio, che gli offre più possibilità per poter ricreare appieno nel fruitore del suo messaggio (cioè in chi vedrà, sentirà o toccherà) ciò che egli per primo ha saputo “leggere” fuori e dentro dì se. Ed è per questo che ogni artista ricerca nuovi mezzi, elabora nuovi codici, sviluppa altri linguaggi per avere strumenti migliori, più adeguati a capire, sentire, immaginare e raccontare il mondo, il suo mondo ma anche il nostro. Ora, a ben guardare, troviamo nell’opera dell’artista Adriano Stok eccezionalmente sintetizzati tutti i concetti espressi in questa lunga, ma credo necessaria, introduzione. Uno stretto, vitale, quasi fisico legame con l’ambiente carsico permea tutta la sua esperienza sia umana che artistica. Il territorio – soprattutto nel suo aspetto più tipico di altipiano calcareo, dove il tempo assieme all’acqua, al vento e al gelo hanno agito incessantemente sulla pietra – da sempre ha stimolato Stok verso la ricerca di forme e conformazioni tanto caratteristiche della roccia carsica quanto sempre nuove e diverse, risultato di un’infinita modulazione tematica del solco, delle scanalature, della cavità. Quando poi l’artista, dall’osservazione meticolosa del dato oggettivo della pietra, è passato (attraverso il medium pittorico) alla comunicazione di questa sua esperienza sia visiva sia profondamente interiore, ha utilizzato inizialmente (nello spirito di amore per la natura della “landart”) i modi dell’iperrealismo che, mediante un’evidenza di tipo fotografico, ben rappresentava la forza d’impatto quasi ipnotica dell’oggetto e l’attento, incantato ed amorevole guardare per conoscere, capire e interiorizzare dell’artista. Sebbene avesse come campo della propria ricerca la roccia, l’operare artistico di Stok non si è irrigidito fossilizzandosi alla stregua d’essa. Tutt’altro. Dalla superficie piana della tela è passato a sondare tattilmente la terza dimensione attraverso il calco e la restituzione in materiali acrilici di brani dell’infinito poema carsico, dove la scanalatura, per esempio, diventa un “leit-motiv” ed un simbolo con una vita propria e pertanto passibile di estrapolazioni ed ulteriori elaborazioni anche di tipo concettuale. Va pure detto che Adriano Stok fa parte, fin dagli esordi, del sodalizio artistico che lo unisce, in un vitalissimo “triumvirato”, a Mario Bessarione ed Enzo Mari (Gruppo &“). Nell’ambito infatti di questo gruppo, dove fervono ricerca stilistica, discussione ditemi e problematiche artistiche nonché stimolanti approfondimenti culturali, si intrecciano influenze e reciproci scambi d’esperienze, talché anche i materiali che l’uno prima esperimenta magari casualmente, possono diventare per l’altro una rivelazione improvvisa, dopo una probabile e preventiva elaborazione talvolta inconsapevole e fors’anche quasi inconscia. Così probabilmente è stato per la carta, che ha aperto nuove prospettive al discorso poetico di Stok, il quale in questo materiale ha trovato un elemento che si presta, in modo duttile e sorprendente, ad elaborazioni non solo di superficie ma anche dalla molteplicità di piani. Dalla carta strappata e sovrapposta in digradanti stratigrafie (dove luce ed ombra assumono valori ritmici e tonali ed il tema affrontato è in bilico tra rievocazione delle conformazioni calcaree, costruzione intellettuale e ricerca compositiva) alla scultura cartacea (in cui l’artista “ha sublimato la carsicità nel bianco abbagliante di un classicismo palladiano” – 5. Molesi), il percorso artistico di Adriano Stok mantiene sempre vivo lo stretto rapporto che lo lega alla realtà così forte e concreta del Carso, a tal punto da farsene volutamente “fagocitare” attraverso la discesa nelle sue viscere. L’andar per grotte è un’esperienza del vissuto dell’artista intensa e totalizzante, un tutt’uno col suo essere, per quella certa simbiosi e correlazione simpatetica esistente tra la conformazione dell’ambiente carsico e il carattere dell’uomo. La discesa in grotta diventa pertanto ulteriore parafrasi di una personale discesa nei recessi interiori, dove il tempo ha consumato, corroso, levigato ma anche approfondito, creato e variegato la materia dell’animo su cui è passato il fiume della vita, travolgente ed inesorabile. Lo speleo-libro è l’ultimo portato artistico di quest’avventura umana tanto coinvolta col dato naturale e per questo tanto coinvolgente. Esso raccoglie tutto il percorso fin qui svolto: il simbolo per eccellenza della comunicazione è diventato, grazie al supporto cartaceo che lo ha contraddistinto inequivocabilmente per secoli, un materiale che si presta perfettamente alla creatività di Stok. La pagina bianca, che Sergio Molesi ha ben definito quale emblematica ‘sintesi tra natura ed artificio”, riporta alla primordiale parete di pietra su cui incidere la propria storia, mentre la stratificazione dei fogli permette di accedere ad una tridimensionalità altrimenti preclusa alla superficie cartacea. Con un’operazione fortemente intellettuale e concettuale, ma d’impatto immediato nella fruizione del risultato finale, Adriano Stok porta il libro ad una dimensione intensamente simbolica, dove la sua funzione specifica si universalizza e sublima nel libro-oggetto, che accoglie a sua volta un’altrettanto simbolico transfert. La grotta vi è infatti “rappresentata” in modo mediato in molti dei suoi aspetti visivi e tattili: dal bianco del calcare alle complesse stratigrafie rocciose; dalla luce riflessa e abbacinante della pietra all’esterno dell’ingresso, al degradare delle penombre fino al buio più cupo nel fondo del pozzo; dalle semplici asperità
alle eleganti concrescenze stalagmitiche. Una rappresentazione di tipo simbolico dunque, che nel contesto dello speleo-libro si apre anche a metafore ben più profonde ed affascinati che si intrecciano nel contempo ad interpretazioni psicanalitiche dell’inconscio e dei suoi conturbanti recessi. Ma l’esperienza artistica dello speleolibro rivela un ulteriore risvolto. Si pone infatti come qualificata alternativa “naturale” (il termine ecologico è ormai inflazionato) all’invasione dei tecnologici libri virtuali che, pur nella loro accattivante caIeidoscopica multimedialità, interrompono definitivamente ogni contatto con il testo ed eliminano ogni intervento creativo e manipolativo di chi lo consulta. Dunque, se vogliamo, lo speleo-libro di Adriano Stok può raccogliere in sè, in un’eccezionale sintesi, i valori emblematici del libro: custode del sapere, oggetto di quasi feticistiche attenzioni e decorazioni, magico evocatore dell’immagine (qui avveniristicamente tridimensionale) e dell’immaginario che accomuna uomini e popoli.
di Cera Mosca Riatel