VENEZUELA TEPUY “TERRA SENZA TEMPO”
Pubblicato sul n. 34 di PROGRESSIONE – Anno 1996
II silenzio è rotto solo dal rombo lontano di cascate celate chissa dove dalla nebbia che impalpabile tutto awolge. Si camrnina faticosarnente in acquitrini di torba e piante mai viste prima d’ora, mentre una calura opprimente si alterna alla pioggia che tutto bagna. Voragini profonde sbarrano ovunque il cammino e rari squarci di sereno fanno intrawedere un caos di torri e rnassi enormi crollati dalle pareti circostanti. L’eco si perde in questo immenso altopiano dove la cognizione del tempo si dissolve lontano mentre la sensazione di vertigine assale chi si sporge ad osservare queste pareti, silenziose, di spaccature enorrni, apparentemente senza fondo.
L’atmosfera ovattata inghiotte ogni rumore e sembra quasi non ci sia vita, solo I’acqua che scorre ovunque creando cupe cascate che minacciose spariscono nei baratri infiniti. Un senso di srnarrimento assale allora chi percorre questo dedalo, ma basta fermarsi un istante per assaporare una solitudine di proporzioni cosmiche, che rende la figura umana effimera e irrisoria. La natura cosi ha deciso, e a nulla valgono gli sforzi di chi vaga per un breve lasso di tempo in questa immensa cattedrale di pietra. Arriva all’improvviso il sole, il sereno (ma per quanto ancora); rnentre in lontananza il rumore del motore di un aereo ci ricorda quanto distante e ora la nostra civilta.
APPUNTI Dl VlAGGlO E BREVl NOTE GEOGRAFICHE
La Gran Sabana e un altopiano ondulato ed erboso situato nell’estremo angolo sudorientale del Venezuela ed è una vasta zona selvaggia, bella, desolata e silenziosa. In termini geografici è la regione montuosa situata nel bacino del tratto superiore del Rio Car Oni; si trova ad un’altitudine media di 800 metri e occupa una superficie di circa 35.000 kmq. L’unica città di questa regione è Santa Elena de Vairàn situata nei pressi del confine con il Brasile. Il resto della scarsa popolazione, costituita prevalentemente da indios Pemòn gli indigeni di questa terra, vive in villaggi e piccoli paesi sparsi quà e là. Si calcola che ci siano circa 15000 indios distribuiti in 270 insediamenti. La caratteristica naturale più straordinaria della Gran Sabana è costituita dai Tepuys il cui profilo si staglia all’orizzonte in ogni direzione. Tepui (o Tepuy) è un termine indio Pemòn che significa montagna ed è stato adottato per indicare questo particolare tipo di conformazione montuosa. Ci sono più di cento altipiani del genere sparsi nella vasta regione che dal confine con la Columbia a ovest si estende fin nella Guyana e nel Brasile a est, ma la Gran Sabana è la zona che ne ha il maggior numero. Il termine Tepui viene usato solo nella zona di lingua Pemòn, ossia nella Gran Sabana e nelle sue vicinanze. Nelle altre zone le montagne a tavolato sono chiamate Cerros o Montes.
Dal punto di vista geologico queste mesas di arenaria sono quanto rimane di uno spesso strato di sedimenti precambriani (1.800-2.000 milioni d’anni fa) che sono stati gradualmente erosi lasciando solo le “isole” di roccia più resistenti. Queste formazioni sono rimaste così isolate l’una dall’altra per milioni d’anni, separate, dalle zone erose sottostanti, da pareti verticali che a volte raggiungono i mille metri d’altezza, per cui sulla loro cima la flora ed in parte la fauna si sono evolute in modo indipendente. Molte specie, soprattutto per quanto riguarda le piante, hanno mantenuto le caratteristiche dei loro remoti progenitori che altrove è possibile osservare solo nei fossili. Ogni Tepui ha una sua vegetazione caratteristica, diversa a tratti a quella degli altri.
Le ricerche di molti botanici, tra cui il prof. Otto Hubert, hanno dimostrato che delle circa 200 specie vegetali trovate in cima ai Tepui la metà ha carattere endemico, ossia cresce solo quì: questa probabilmente è l’area dove esiste la più alta percentuale di flora endemica del mondo. Tuttavia solo alcuni Tepui sono stati oggetto di ricerche scientifiche e ve ne sono ancora molti sui quali l’uomo non ha praticamente mai messo piede. I Tepui più noti sono I’Auyantepuy e il Roraiama che si possono raggiungere e salirne la cima anche a piedi impiegando però diversi giorni di cammino lungo percorsi che includono anche difficoltà alpinistiche. L’Auyantepuy in lingua Pemòn significa “Montagna del Dio del Male” ed è il Tepui più grande, con 700 km quadrati di superficie, ma non il più alto. Dal villaggio di Kamarata, raggiungibile via aereo da Ciudad Bolivar, si incontra un sentiero che raggiunge Kavak e poi Guayaraka; da qui si procede verso la base del Tepui per poi seguire un percorso che si snoda per più di un chilometro lungo il percorso fatto da Simmie Angel e compagni nel 1937 dopo lo schianto con l’aereo nei pressi di quella cascata che poi ne prenderà il nome, owero il Salto Angel. L’Auyantepuy si trova più precisamente nello Stato di Bolìvar ed è sotto la giurisdizione dell’lMPARQUE essendo parco nazionale e riserva integrale, per cui alle spedizioni l’accesso è limitato e molto oneroso. Un’altra curiosità geologica del Venezuela sud-orientale che merita di essere citata, anche se si trova fuori della Gran Sabana, sono le Simas, grandi voragini (come morfologia ricordano la nostra No è….) aprentisi negli altopiani ricoperti di foreste con le pareti verticali ed il fondo ingombro di blocchi di crollo e vegetazione.
Furono esplorate per la prima volta nel 1974 e sono un fenomeno geologico assai peculiare anch’esso scavato nella quarzite. Per ora ne sono state esplorate solo alcune, la più grande delle quali ha un diametro di circa 350 metri ed è profonda altrettanto. Sono tutte nel Parque National Java-Sarisarinama, circa 400 chilometri ovest della Gran Sabana.
PULP FICTION: OVVERO TEPUY 96
Ci siamo tornati, nonostante tutto e tutti, per continuare le esplorazioni lasciate in sospeso nel’ 93 quando il tempo inclemente ci aveva impedito di concludere il cammino verso l’ignoto in Ali Primera e la discesa di “Fummifere acquen.
Purtroppo per far speleologia lassù bisogna spendere una notevole quantità di soldi e superare una barriera quasi insormontabile di pratiche burocratiche, essendo I’Auyantepuy un parco nazionale e una riserva integrale off limits per i comuni mortali.
Ma alla fine gli sforzi di Tullio sono stati coronati da successo grazie all’appoggio della RAI che ha commissionato un film sulle avventure di Badino è Co nella Sima Aonda per il programma televisivo “Ultimo minuto” e un documentario a sfondo naturalistico per “Geo”.
Purtroppo la burocrazia venezuelana si presentò come I’ldra dalle 100 teste, creando delle situazioni sempre più incasinate che hanno messo a dura prova le arti oratorie e diplomatiche del presidente della S.S.I. Badino Giovanni, uscito alla fine sì vittorioso dal titanico scontro ma con l’equilibrio mentale notevolmente compromesso. A tal punto che il tapino giunto al campo decise di crearsi un eremo distaccato dove vagava ignudo traccannando abbondanti quantità di rum. In ogni caso partecipò anche lui alle riprese televisive, ripetendo più volte l’epica scena della risalita sotto cascata e rimediando I’inevitabile bronchite che assorbi le sue residue energie fisiche.
Quando si trattò poi d’entrare in Ali Primera, determinati più che mai a lavar l’onta dei corsivi di un libello sabaudo che saltuariamente parla di speleologia, il buon Giovanni (o professor De Cialtronis per gli amici) arrivò all’ingresso completamente rincitrullito indossando un pigiamino grigio, residuato del costume di Topo Gigio usato a Caracas durante il carnevale appena trascorso, e una valigetta in plasticaccia gialla degna di rappresentante di spazzole. No, non poteva essere che il faro illuminante, il ‘Water” dell’italica speleologia si fosse ridotto così, ma la dura realtà ci costrinse a prendere una drastica decisione owero nominare via fax Ezio Burri nuovo presidente della S.S.I. il dado dunque era tratto e brindammo con una bottiglia di Picolit reduce della spedizione in Patagonia! Ma ritorniamo, gentili lettori, al film e alla sua sceneggiatura: si tratta di ricostruire I’epica piena patita dal prof. De Cialtronis e dai suoi degni compari nel lontano ’93 quando scesero nella “Sima Aonda” armandola da pollastri lungo i colatoi dove in caso di pioggia si convogliano tutte le acque dei dintorni trasformandosi in fragorose cascate.
Entrarono allora in abitini succinti, balneari direbbe qualcuno, risalirono il primo tratto di Ali Primera e a quel punto scattò la 1 trappola e “siora Aonda” tirò la catena del cesso inondando uno scenario poche ore prima idilliaco. Rimasero bloccati dalle acque della piena Dino Bonucci e Giovanni Polletti: il primo decise di attendere gli eventi seduto su di uno stretto gradino in meandro non volendo rischiare la vita perchè da lì a poco sarebbe diventato padre, e il secondo I nonostante avesse i mezzi fisici per uscire preferi stare con l’amico per condividere un destino minacciosamente incognito, visto che nessuno conosceva I’idrologia di quei posti. Il prof. De Cialtronis, resosi conto dell’errore mostruoso commesso, decise di porvi rimedio personalmente salendo per primo flagellato dalla liquida apocalisse via via seguito dai compagni d’esplorazione; alla fine ritornò il bel tempo e i due bloccati riuscirono ad uscir da soli dalla trappola e riguadagnar il conforto della superficie.
Questo in sintesi il copione a cui ci attenemmo scrupolosamente sotto la regia del buon Lorenzo, un cuoco che per sbaglio faceva il regista e che decise di scegliere come debutto speleologico la Sima Aonda con i suoi 350 e passa metri di profondità, probabilmente uno dei set più grandi mai visti nella storia del cinema.
lo, Leonardo Piccini e Gaetano Boldrini fummo scelti per interpretare il ruolo ingrato dei tre bloccati (per esigenze di copione Simone avrebbe condiviso la sorte dei due amici).
Robert De Vivo (o Tono De Niro) invece avrebbe interpretato la parte della provvidenza alata e bendata mentre gli altri con in testa il prof. De Cialtronis a rifar il verso a sè stessi dopo aver letto ed imparato a memoria la parte..
Dieci giorni di duro lavoro a portar su e giù per il pozzone materiali, regista, telecamere, ragni e serpenti di gomma creando un’atmosfera degna della ricostruzione filmica della “Corazzata Potiomkin” ad opera del mai abbastanza lodato Paolo Villaggio.
Le ultime scene si conclusero con la partecipazione del famoso botanico Hugo De Vaca, il farmacista irpino Giulivo De Italo e I”‘Orsetto Melero” – vera ed unica star del film – che risollevarono in extremis la scadente qualità dei primi piani del prof. De Cialtronis ripreso perennemente sotto una cascata finta (cartapesta e panna montata…).
Mai nella storia della speleologia si era girato un film così: la glorificazione della piena, in tutta la sua drammatica violenza, e dei titanici sforzi degli speleo-somari per sfuggirle; con rancore ed invidia guardavo il coronamento dell’opera voluta da Tarquinio De Volpis e pensavo con tristezza a tutte le piene che avevo subito assieme al mio mitico e ricciuto amico Brandolin, ma a quei tempi l’esaltazione da mass media era alquanto avara e a noi toccò solo un trafiletto su “Fa miglia Cristiana” quando si sarebbe potuto girare una telenovela da 129 puntate!
Ci rimase però abbastanza tempo per esplorare, iniziando con “Fummifere Acque” dove dovemmo rifar in pratica tutti gli armi visto che gli spit-fix messi tre anni prima ci rimanevano regolarmente in mano. Addirittura li trovammo quasi tutti fuori a dimostrar che la grotta era ben decisa ad espellerli dalle sue lisce pareti di sabbia friabilissima.
Quindi, riscontrata l’impossibilità di usare gli ancoraggi tradizionali, abbiamo dovuto impiegare i bolts, dei tasselloni M10 lunghi dieci e più centimetri in grado di garantire un’armo con una tenuta quasi sempre decente. Grazie alla bravura di Leo e Pino arrivammo sul fondo in una sala troneggiata da una frana complessa ed arcigna dove a circa 340 metri di profondità, terminavano le nostre ambizioni esplorative ed iniziava un disarmo noioso.
Ma si sapeva che i Tepuis sono pieni di pozzi da 300 e passa metri per cui il nostro obiettivo principale rimaneva la risorgiva di Ali Primera, da dove escono le acque di una cascata che precipita dalla piattaforma superiore in una frattura immensa, tappata da un labirinto di blocchi ciclopici.
Le colorazioni effettuate dai nostri “farmacisti” confermavano l’esistenza di un grande collettore sotterraneo, ma il problema era di risalire l’ingresso basso a noi noto e scoprire quello alto collegando i due tratti.
Le piogge continue avevano fatto aumentare considerevolmente la portata del rio sotterraneo e, conoscendone la pericolosità in caso di piena, avevamo optato per un armo in traverso ben alto superando i tratti più inforrati della risorgiva con ampio uso di corde ed ancoraggi, la cui messa in opera ci costò “3 punte” di aeree evoluzioni mentre il rombo continuo delle acque copriva il rumore del nostro trapano.
La via ora era sicura, per cui non rimase che entrare e cosi con Leo e Pino ritornai a rivedere quei posti fantastici dove la stretta forra lasciava il posto a gallerie sempre più vaste intervallate da profondi laghi da passare a nuoto per approdare di volta in volta nel cuore dei Tepui in una dimensione indescrivibile dove le nostre luci si perdevano nel buio di immense navate.
Si procedeva a rilento per rilevare e, nonostante la “salopette” in neoprene, cominciavo ad aver freddo mentre Pino gongolava dentro la sua “stagna”. Quasi un chilometro in un’atmosfera fiabesca per arrivare ad una secca svolta della galleriona, poi una. frana oltre la quale trovammo la scritta sbiadita dei nostri tre predecessori: T 93.
Sembrava quasi il finale di un romanzo di Giulio Verne, fin qui dunque erano giunti senza mute o materiali d’armo spinti dall’enfasi esplorativa mentre I’Aonda preparava la liquida vendetta , bravi, veramente bravi e agli amici che non avevano potuto ritornare andò un commosso pensiero senza poter festeggiare visto che anche le sigarette erano finite!
Avanti dunque in altre gallerie che diventarono ben presto un dedalo di meandri attivi alquanto stretti, dove la schiuma depositata dalle piene arrivava parecchi metri sopra le teste di noi speleonauti ora perplessi e un po’ timorosi. L’aria schizzava in alto nell’oscurità ignota di chissà quale pozzo dalla profondità vertiginosa, ma non si poteva far di più, per cui ritornammo verso l’uscita immortalando con foto su foto quel fiume senza stelle sulle cui spiagge avevamo lasciato il cuore.
Le acque si erano calmate ed il livello con il passar delle ore era calato mentre fuori della risorgiva ci attendeva uno spettacolo unico: la luna piena in un cielo finalmente terso e sereno illuminava in maniera irreale tutta la Sima Aonda e le cascate che vi precipitavano dai bordi del Tepui. Non esistono parole per descrivere ciò che vedemmo quella notte perchè stavamo vivendo una favola, il perfido incantesimo era rotto e ora, dopo tre anni che potevano essere tre secoli, si poteva riprendere la spada nella roccia: il machete che avevamo lasciato sotto il massone dell’anticamera di ciò che consideravamo I’inferno e si era invece rivelato un paradiso. Non ci rimaneva che risalire per portare la notizia agli amici dormienti mentre le nubi si chiudevano riawolgendo I’algida amica.
Ma dov’era la porta superiore? Marco e Giovanni l’avevano intravista, si trattava di una profonda frattura battezzata “La Sima del Bloqueo” dove effettivamente c’era una porta, ovvero un enorme masso che sovrastava la sua parte mediana mentre ai lati le cascate ed i muschi rendevano anche questo posto d’una bellezza indescrivibile.
Un pomeriggio con Leo attraversai le torbiere ad est del campo base giungendo al suo cospetto: non ci rimaneva che scendere così il primo pozzo, 80 metri, alla cui base entrammo in un caos di frane rendendoci conto che l’aria ci indicava un’altra strada semplice e comoda che non avevamo visto, proprio accanto alla corda dalla quale il nostro discensore era stato sganciato molto in fretta … Aria sui nostri volti, quasi una brezza che accarezzava i capelli indicando un altro baratro la cui roccia era però tremendamente inconsistente e noi purtroppo avevamo finito gli ancoraggi adatti per cui non ci rimase che uscire passando il testimone del- l’esplorazione a Pino e Marco.
Ora che l’incantesimo era svanito non c’era più odio o malvagità negli occhi delle entità del Tepui ma solo voglia di scherzare e giocare con noi facendoci mancare nelle punte successive: la corda per calarsi quando bastavano ancora un paio di metri, la benzina per il trapano e i chiodi adatti per realizzare un armo sicuro ma non la voglia di concludere l’esplorazione.
Toccò a Tono, Italo e Marco l’ultimo giorno di spedizione raggiungere, tramite un P 120, le gallerie superiori di Ali Primera concretizzando definitivamente un sogno più che un’arida teoria idrogeologica.
Il sole ora ci riscaldava, anche troppo, e con un tramonto simile è scontato che ritorneremo lassù a sognare in un mondo perduto!
Asi era Tepui
Bibliografia consultata:
- Progressione 29 e 30
- Gabriel Gazsò, La Gran Sabana, Editoria1 Aurora, Venezuela
- Grotte n” 111, gennaio-aprile 1993
- Speleologia 28 e 29 Venezuela 1992, 11 Grottesco, boll. G.G.M. C.A.I. S.E.M.
- Bollettini della Sociedad Venezolana de Espeleologia.
Partecipanti:
Tullio Bemabei (Tarqoinio De Volpis) Giovanni Badino (Prof. De Cialtronis) Tono De Vivo (Robert De Vivo o Tono De Niro) Italo Giolivo (Il farmacista) Ugo Vacca (Il botanico, prof Hogo De Vaca) Marco Topani (Topo) Gaetano Boldini (Romoletto) Luca Massa (Cinghialino laborioso) Pino Antonini (Astigo) Leonardo Piccin (Leo) Paolo Pezzolato (Bobez) Lorenzo Anozeth (regista) Stefano Pancaldi (operatore) Joris Lagarde Sociedad Venezolana de espeleologia Rafael Carreno Sociedad Venezolana de espeleologia
Con la straordinaria partecipazione dell’orsetto Melero visto me mai filmato o fotografato.
Paolo Pezzolato