CRONACHE ESPLORATIVE 1989-1990
Pubblicato sul n. 23 di PRORESSIONE – Anno 1990
23-24 settembre
Vulgo likolabat; grullis explorabat
Enorme il fascino dell’ozio ipogeo coltivato negli antri umidi del nostro Carso. “Likof” verbo esotico di sicuro effetto presso gli speleologi che a volte son più indomiti a scoprir il fondo delle damigiane che non a calcar la sponda di qualche sifone terminale.
Sveglia tragica alle «4» per ritrovarsi nella solita piazza dove il manipolo è alquanto ridotto, siamo in quattro a formar un gruppetto alquanto eterogeneo: il «pazzo furioso», l’efebico intellettuale e i due ex della «Benemerita». Alle «7», siamo stipati nell’unico «ovo» rimasto libero forse parche non abbiamo consegnato a chi di dovere la solita bottiglietta di «draulica domacia». Avanti fino al bivacco di quota 1955 per la solita merenda propiziatrice, riposo e via per la quarta volta con 200 metri di corda e tanta voglia di veder annotare sul «blocchetto» il fatidico «conto tondo» con tre zeri.
In 4 ore siamo a -740 e qui comincia il «valzer»: 20 metri di strettoie nel fango poi P20 intersecato da un arrivo e finalmente le nostre sporche zampacce grufolano nuovamente nel mitico collettore. Avanti evitando degli insidiosi laghetti fino a trovare un P50 ampio, molto ampio con 2 cascate.
Jurg hen spitadeur d’oltre Po si avventa sulla nuova preda mentre Junz, in onor al Julius che scoprì ed esplorò queste montagne, volle scrivere sulla cengia centrale: Cengia degli Dei! Avanti in un cavernone, niet voda, ma tanta aria; P13 porta fortuna, altra galleria, tanta acqua, P 15 poi P8 meandro largo, altra sala con frana. Come un branco di cavalli imbizzarriti seguiamo il giusto proseguo; sala a -850. Scritta storica nel fianco della faglia per scendere poi un P 22. Sotto iniziano i laghi, ampie spaccate, un bellissimo sifone da evitare a sinistra, altro traverso su un laghetto; P 5 seguendo l’acqua giungiamo su uno scivolo e qui finiscono i moschettoni e le corde. Sotto di noi una «verta» battuta dalla cascata -914 dirà il rilievo; per adesso in Yugoslavia nessuno è andato così in profondità.
Ad illuminarci con l’antico lume stà l’Eugenio mentre osserviamo le nostre ombre dissolversi nel pozzo ignoto, nel cuore dell’altipiano. Sotto di noi forse il «fiume» o un sifone beffardo: tutto è rimandato alla prossima settimana tempo permettendo, ora 100 anni di storia ci stanno osservando, come finirà?
Partecipanti:Stefano Borghi (Junz), Roberto Antonini (Jurg hen), Sergio Serra (Pingo), Paolo Pezzolato (Jango).
7-8 ottobre
Quel che conta xe la ponta (a -1000!)
Tasi mona de gamel! Ennesimo grugnito nei confronti del giovinetto troppo loquace che osserva cadere la pioggia fuori dalla cavernetta dove ci stiamo cambiando. Siamo in 7, come i nani di Biancaneve decisi a giocare tutto; anche il due di briscola. Le previsioni sono pessime, ma oramai siamo abituati a codesti scherzetti meteorologici anche perchè l’«oste» presenta puntuale il conto o dentro il «locale» o subito dopo all’uscita!
Cielo nero, tempo quasi da «cecoslovacchi» – viva là e po’ bon. Ridiamo sul nostro destino immaginando un dialogo con gli eventuali soccorritori del tipo: Ma siete del Soccorso? E noi: …sa; sapevate che c’era una perturbazione? E noi: …sì! Sapevate che con la piena certi pozzi sono pericolosi? E noi …si!; Ma allora… Dambrosi ritiri le tessere a queste teste di …!
Pioggia leggera sui nostri visi mentre Puntina si vendica e lancia pezzi di neve durissima sulla proboscide dell’elefante, oggi il nostro blues fangoso non si arresta sull’orlo del «170» ma continua mentre i discensori oramai esausti fischiano la triste canzone d’addio alle loro pulegge. Rapida merenda a -623 e poi avanti: chi ad armare il pozzo ignoto chi a far fotografie con propositi omicidi nei confronti di un flash stanco di veder buio e sentir l’umido penetrare dentro il suo condensatore.
L’altro Emilio, quello caro agli alpinisti, un dì remoto sancì che la linea tracciata dalla goccia cadente era il trionfo dell’estetica nelle creazioni alpine, ma non quaggiù dove oscuri giovinastri (a ragione) interrompono in più parti la verticalità di Galaxica come pure la mia gioia di scendere in quel vuoto oscuro. Avanti verso Rio Kubo finalmente in zona esplorazione; P30 poi sifone a -950 acqua bellissima ma l’aria? Qua rischiamo Caporetto, mentre sul nostro tavolo gli altri bussano coppe e noi abbiamo finito tutte le briscole. Stanche e tristi mi attendono le facce degli amici mentre disarmo alquanto perplesso. L’aria dove va a finire? Japa grufola cibo a far suo in un’angolo, io mi levo di dosso tutto il materiale rinvenendo tra i fanghi l’ultima briscola. Orsù possiamo ancora giocare, avanti gamel e che l’Eugenio ti illumini!
Si riarma ma ora invece di scendere pendoliamo predendo una finestra; poi arrampichiamo in salita su roccia un po’ marcia fin quando il mio grugno non entra nell’ennesima galleria, un by pass per spedizioni «Bulgare- che ci proietta verso l’ignoto. Puntina si trasforma in un Bosch piazzando tre spits in zero secondi o quasi. P15; poi P30 armato da Junz per arrivare di nuovo nel fiume. Grandi laghi verdi; altre gallerie allagate, quelle del Santo Bevitore, così chiamate in onore di tutti noi speleologi ubriaconi. Aria, ancora aria poi un saltino, traverso in teleferica; qui l’Elefante si appisola, Brontolo e Cucciolo spittano mentre il tenente di vascello Jurghen affonda a metà lago a bordo del modellino tascabile della sua «Potievnik». Oltre il lago le gallerie continuano, «saliamo» in spaccata «senza ritorno» per beffare l’ennesimo lago-sifone poi entriamo in una galleria freatica, molto grande e in salita. Beccuccio inizia ad armare il pozzo successivo, un P 30 mentre nell’aria si sente uno strano odore, sceso I pozzo risaliamo la frana oltre si scende giungendo un P 15; l’odore si fa sempre più forte …è quello del -1000.
Brindisi d’obbligo con vero spumante portato quaggiù per l’occasione. A questo punto non rimane che volgersi rapidamente verso l’uscita. 10 ore di valzer pesante barcollando sempre più stanchi ma felici con l’occhio spento ma l’orecchio teso a sentire quale sarà il prezzo del conto che l’oste ha per noi preparato. Ma fuori c’è il sole, oggi si mangia gratis offre il pasto «via Gambini» (Ex Istituto per i poveri). Riponiamo i nostri strumenti (musicali) negli zaini, chiudiamo le luci e i riflettori, cala il sipario su Bovec dove la «Band» va a mangiare l’ultima cena prima del grande sonno.
Partecipanti:
Eolo (lo scopritore) alias Jurghen: Roberto Antonini
Brontolo (chissà perchè): Paolo Pezzolato
L’elefante alias Junz: Stefano Borghi
Japa la Puntina: Gabriele Ritossa (alias Cucciolo)
Mamolo alias Mongolo: Spartaco Savio
Pingo alias Fango: Sergio Serra
Pod rauca ex Aida: Patrizia Squassino
21-22 ottobre
Camminando al buio in punta di piedi
Il sole scalda ancora i nostri passi lenti, in perenne salita mentre ci guardiamo i lacci degli stivali dovendo tenere il capo chino sotto il peso dello zaino.
La sella da valicare è ancora lontana e ancora più lontano ci sembra il bunker dove potremo alfine riposarci dopo quasi tre ore di marcia.
È bello oziare riscaldati dalla luce pomeridiana, assopiti dopo aver visto il fondo dell’ultima bottiglia di buon vino. Beccuccio ha scoperto una grotta da buongustai quindi ci sembra giusto festeggiare ogni punta con il nettare adatto. Lentamente, dopo aver riposato, ripercorriamo il sentiero per giungere all’entrata del «Veliko Sbrego» ed iniziare così i consueti gesti della vestizione controllando le pulegge del discensore ridotte oramai a spessi:5d da carta velina. Il vento del tramonto inizia a spirare sempre più freddo accarezzandoci i capelli mentre entriamo scendendo il primo pozzo; al quale succederà una lunga serie da seguire cantando o ridendo cercando lo stivale al disgraziato di turno incastrato nel budelletto.
Avanti fino al primo meandro annusando l’aria a noi tanto amica, musa ispiratrice di questa esplorazione infinita: ecco il lago Tripoli poi il collettore by Italy avanti a -623 per un rapido pasto. Altre gallerie, ora fossili, salutiamo l’acqua che si lancia in cascata giù per il pozzo ancora da noi non sceso, biglietto sicuro da staccare all’ultimo giorno per un altro viaggio verso l’ignoto. Sudore, gusto di tabacco, le prime nubi di condensa che escono dalla tuta, avanti a sentir il canto delle acque giù per Galaxica enorme pozzo/caverna che mi fa ricordare la statua della libertà con tutto il suo bianco candore. Fango, poco per fortuna, poi di nuovo il rio, la Cengia degli Dei, acqua, meandro, frana, altro pozzo, rio Kubo. -900 ciao Gortani, seguendo l’aria arriviamo al Pozzo della Giunzione -914 ma poteva essere quello della beffa atroce, altre gallerie, camminiamo senza sosta per specchiarsi nel verde dell’acqua che scorre silenziosa, altro pozzo -1000, -1100; centro! L’esplorazione continua in un dedalo franoso. Che importa che quota abbiamo raggiunto, la gioia di attraversare l’ignoto fa dimenticare ogni cifra, ogni computo assurdo.
L’importante è divertirsi, con la giusta compagnia cacciando fuori il campanilismo; fuggendo quasi dalla realtà ritorniamo quaggiù ad essere bambini, cambiando forse solo i giocattoli: non più il secchiello e la paletta ma ora solo la mazzetta e il battitore. Ma che importa, ciò che conta è lo spirito che rimane, nonostante tutto, almeno lui giovane, visto che non deve specchiarsi nella vita quotidiana o cercar qualche farmaco miracoloso. Fumando un altra sigaretta, seduto su una pietra, osservo il fumo azzurro trascinato dall’aria verso l’ignoto centro di un’altipiano che non finirà mai di stupirci.
18-19-20 novembre
Veliko Sbrego: Ricominciamo da tre!
I cinque esploratori per la prima punta invernale al Veliko Sbrego diventano subito tre; Jurghen, Jango e Junz!…
Abbiamo infatti dovuto salutare all’ingresso Mario, «polsoleso» dopo aver tentato di imitare Icaro sui prati di Piancavallo, e Scratapo, «Marioleso» essendoselo portato in macchina e non potendolo abbandonare a Bovec a fare l’autostop avendo anche il pollice dell’autostoppista ancora semicongelato dalla precedente punta.
Nelle solite due orette siamo a -620 e all’unanimità decidiamo di fare là, vicino alle acque e su quella bella sabbiolina, la tenda di teli termici che ci servirà a riposare subito e dopo quando ritorneremo dalla punta sul fondo. Bella, anzi troppo bella.., sembra solo che aspetti il futuro arrivo di Blocco e Puntina, note -frane viventi», per inclinarsi su un lato e riempirsi di buchi provocati da cicche e fiammate della carburo!! …Si dorme? Non proprio, Jango e Jurghen tentano ma vengono svegliati dal notevole baccano che faccio prima per tentare di aggiustare il «sette” di trenta centimetri sulla manica della mia tuta provocata da uno spuntoncino impertinente, poi dal mio salto dopo aver bruciato con la carburo il sottotuta assieme alla mia pellaccia. Poco dopo mi agito nuovamente quando scopro l’impossibilità di rimettermi i trombini dopo essermeli tolti con i calzettoni un po’ infangati e bagnati!
In tre siamo stati quasi mezz’ora; una tragedia con crampi alle mani e ai piedi per tentare di vincere una resistenza che sembrava quasi soprannaturale. Già mi vedevo in calze, sotto l’acqua, sul tiro di 40 m del P 170 o a spingere con gli allucioni pulsanti per innalzarmi nella «Trappola per Elefanti»!! Così tra un tè e una busta Salewa è già mezzanotte… l’ora della sveglia! E quasi senza accorgerci siamo a -1000 nell’altro «Breakfast Point». Di nuovo un paio di tè e poi, come d’incanto, mentre Jango e Jurghen mi abbandonano per andare a liberarsi di quello che resta nelle loro pance dello «spezzatino con pasta», mi trovo appeso «come un orango» su un micro ponte naturale a battere lo spit decisivo per traversare il pozzo sotto il quale la volta precedente Pingo aveva fatto una delle più belle docce della sua vita!
Proseguiamo e troviamo un altro pozzo, lo scendiamo ed è sifone (bello e limpido come quasi tutti quelli fino ad ora incontrati). Bisogna traversare anche quel salto e questa volta tocca a Jurghen che arrampica e tira una teleferica collaudata immediatamente dell’elefante di turno! Siamo su un altro pozzo molto posato e, mentre comincio ad armarlo, l’infaticabile Jurg hen trova una galleria ascendente che con un paio di passaggi aerei attrezzati in seguito da Jango eviterà il pozzo che la volta scorsa aveva armato Mario e i pirotecnici traversi fatti poco prima. In un baleno ci troviamo all’imbocco del salone più grande fino ad ora scoperto nello Sbrego che battezziamo immediatamente «Sala dei Tre». Anche Jango non crede ai suoi occhi e dopo cento metri di discesa fra massi di crollo siamo alla sua base: è circa -1195!! Non notiamo però prosecuzioni. Si scava di qua e di là senza far attenzione, per la foga, a dove si gettano le pietre; centrando così la mano di uno sfortunato compagno che non ha neanche più voce per gridare un bel… Aiiiiahiaiii!!!
Anche questa volta il Veliko si salva in «Zona Cesarini» e quando stiamo quasi per abbandonare le nostre azioni devastatrici si nota una prosecuzione che ci riporta alle acque e poco dopo all’ennesimo sifone a -1198!
Bello, tondo e fondo traversato in alto da Jango che riesce a fare qualcosa degna di Manolo dei tempi migliori per la paura di finirvi dentro. Di la non sembra che continui ma ci sono altre due possibilità, viste in precedenza, che con altrettante arrampicate «Osè» forse ci faranno trovare (come fino ad ora è sempre stato) le fatidiche gallerie fossili che superano quei bei vasconi verdi! Ora però è meglio tornare rilevando per evitare che allo scadere delle 40 ore gli scarponi che ci attendono in cavernetta si trasformino in lcebergs!
Ancora gongolante per l’arrampicata sull’ultimo lago Jango pensa bene di sottovalutare una polla di un metro di diametro per due di profondità e ci finisce dentro per la gioia dei suoi allucioni. Non li riuscirà a scaldare nella tendina del campo nè dopo aver calzato sui piedi, con grosso divertimento dei presenti, i guantini di lana che teneva caldi sotto le ascelle, nè con il calore delle fiamme di un incendio di discrete proporzioni che lo stesso provocherà assopendosi con la carburo sotto un grosso strato di teli termici. Non serve Grisù ma bastano le violente manate di Junz e Jurghen ed il fuoco è domato!
Dopo 40 ore spaccate è domato anche l’abisso e arriviamo nella cavernetta sotto un sole cocente non certo freschi come roselline!!!
Per fortuna però che per tenere in movimento costante i nostri arti inferiori ci mancano ancora quasi 1000 metri di dislivello sulla neve per raggiungere la Foxmobile che tornerà a Trieste col pilota automatico!
Speriamo che per il recupero non si ricominci da tre!
Partecipanti:
Jurghen (Roberto Antonini), Jango (Paolo Pezzolato), Junz (Stefano Borghi)
8-9-10 dicembre
Lost arrow
In 3 vagammo nella frana pantagruelica cercando l’aria ed il giusto connubio con l’acqua; allora si giunse al mitico lago sifone a -1198 oltre l’ignoto.
Passano i giorni ed il mucchio (selvuccio) diventa branco; ora siamo in 20, discussioni e progetti riducono lentamente il gruppo che cala anche se dinanzi a noi permane il miraggio di un comodo avvicinamento in elicottero. Passano i litri di vino nei nostri bicchieri e noi rimaniamo in 9 più quattro colleghi yugoslavi. Andrea, uno dei primi esploratori dovrebbe essere venerdì mattina alle 7.15 in stazione, i fratelli Ridolini lo cercano invano, non lo trovano per cui rimaniamo in 8 (peccato, perchè un minimo ritardo costringerà il nostro amico ad un inuthe viaggio a Trieste e un ritorno a casa con lo zéiino pieno di pive). L’allegra ed ignara combriccola arriva a Bovec per unirci agli altri in un connubio volante. Ma le nebbie a Lubiana impediscono all’elicottero di decollare, non rimane altro da fare che ritornare sui nostri passi e cominciare a camminare per 4 orette (le solite), fa freddo, bisogna cambiarsi velocemente pereritrare con le ultime luci del giorno. Sosta a -620, poi proseguiamo a -1000 dove il nostro tentativo di allestire in galleria un campo decente naufraga nel fango. Infreddoliti e per niente riposati proseguiamo in tre verso il sifone; dietro Pingo e Fango, rispettivamente Geometra e Art designer montano in altra zona il campo mentre l’Elefante e il Bave disarmano il traverso dell’Orango. In punta davanti c’è- l’irascibile Jango con i due fratelli Ridolini (chiamati così perchè in grotta si muovono come gli eroi delle comiche in “Black and Withe» per la gioia delle coronarie degli incauti compagni d’esplorazione). Giunti sul lago/sifone il tenente dei CC Jurghen si lancia in un memorabile traverso, senza alcuna protezione intermedia, che ci porterà in una bocca soffiante; oltre una faglia porta a un P 6 poi un altro sifone più piccolo: l’altimetro segna -1200. L’ultima prosecuzione a lato viene, nonostante uno scavo faraonico, stoppato da un’infima strettoia con relativa lama «ghigliottina- pronta a tranciare l’incauto esploratore (che comunque dovrebbe avere le dimensioni di una sogliola!).
Mestamente ritorniamo, ma resta come sempre il Jolli da giocare, qua si sa infatti che l’abisso si mostra sempre alla fine, mentre Pingo e Fango ritornano indietro il resto dello Zoo continua; proseguiamo oltre un pozzo a -1060 intersecando una zona di gallerie in salita che si allargano progressivamente fino a sfociare in un salone 200×100, aria, camini, pozzi da scendere; un nuovo Eldorado nel cuore dell’altipiano essendo ora la direzione cambiata, si punta a Nord verso il Rombon; immense gallerie freatiche, livello antichissimo di chissà quali acque, raggiungiamo così la quota -950 (teorica) oltre si vedrà magari il prossimo anno.
Passano le ore dobbiamo ritornare verso l’esterno alquanto “sbanchetti”. lo sono in compagnia di Junz il quale nella puntata precedente irrise il mio bagno a-550 ma la fatina dei meandri lo punirà facendolo planare come un “catilina” in rio Kubo. Sento il tonfo, penso che sia inutile ridere, per confortarlo posso solo dirgli: «Ti capisco».
Partiti alle 19.15 di sabato da -1000 siamo a -620 alle 23.30. Qui tutti dormono fino alle 6.00 di domenica in altre 5 ore saremo nuovamente fuori, baciati dal sole come nei migliori films a lieto fine. A Caporetto si conclude la storia con una strage di gamberi e scampi per la gioia dei nostri portafogli!
Partecipanti:
Jango: Paolo Pezzolato
Jurghen e Astio° (i fratelli Ridolini): Roberto e Pino Antonini
Il bove: Mario Bianchetti
L’elefante alias Junz: Stefano Borghi
Pingo: Gigi Torelli
Fango, Sergio Serra
13-16 gennaio
Il muro
Sabato 13 gennaio; si inizia con l’ennesimo pigro risveglio, ad ore antelucane, per cominciare l’ennesima partita con il «Veliko» sempre più fondo, sempre più lontano. Giochiamo con tre carte, ma dopotutto non è una brutta «mano», abbiamo infatti il fante di cuori, il re di picche e il Jolli ovvero «la Matta».
Bel tempo, offriamo agli amici della funivia la solita bottiglia di buon vino, loro in cambio ci lasciano utilizzare anche la seggiovia finale. Rido contento ma per poco, lo zaino, quando salgo sul sedile, mi sbilancia costringendomi a fare l’intero tragitto appeso ad una mano e un piede incastrato per non cadere; Mario gongola nei vedere la scena tragicomica non accorgendosi che sta sopraggiungendo un altro seggiolino che puntuale lo colpirà poi sul groppone. Abbandoniamo finalmente i pestiferi impianti per incamminarci con i ramponi, la neve è dura ed in due ore giungiamo alla cavernetta. Puntuali ci ritornano in mente le profezie «presidenziali» del Natale passato, ma cosa succederà «al la grande» e chi saranno i soliti non riusciamo ancora ad immaginarlo, purtroppo avremo la risposta per tutte le nostre domande solo alcuni giorni più tardi. Prima d’entrare, convinto, affermo che scriveremo una «pagina” nella speleologia italiana e anche questo alla resa dei conti risulterà vero.
In 7 ore siamo a -1000, sosta doverosa, poi avanti dentro l’infida frana per raggiungere le gallerie in salita, l’aria in questa zona inverte la circolazione. Stranamente siamo in «aspirazione», noi continuiamo a cercare per ore scendendo meticolosamente ogni possibilità offerta dalla lunga galleria. Tutto chiude, tutto si arresta in frana o in strettoia, l’aria beffarda sale, quindi a rigor di logica siamo in un’altro sistema, forse con l’entrata più alta di quella, che per ora conosciamo, del «Veliko»: sopra di noi c’è il Rombon con tutto il suo plateau lunare ancora tutto da scoprire. Decidiamo così di abbandonare questa regione dell’abisso, Beccuccio si ricorda che a -1000 le gallerie hanno una circolazione d’aria diversa dalle zone appena esplorate, sta forse lì il by pass per superare l’ennesimo sbarramento di dolomia? A-1050 prepariamo i sacchi per continuare l’esplorazione delle gallerie in alto.
Siamo appena partiti quando in un attimo avviene l’imponderabile. Passo accanto ad un masso, Mario dietro mi segue salendoci sopra; l’equilibrio durato forse millenni si spezza; pochi chili fanno la differenza e così questa «lavatrice» di roccia pensa bene di chiudere «in morsa» la mano destra di Mario con relativo polso. L’urlo di dolore è d’obbligo fungendo pure da richiamo per me e l’esterefatto Beccuccio.
Con uno sforzo allucinante riusciamo a spostare il pietrone e Mario estrae la mano sanguinante esclamando : «Muli qua la go cagada!» Poi il silenzio, da quest’attimo passeranno 36 ore prima di rivedere un volto amico. Nel frattempo Beccuccio in 6 ore era uscito per dare l’allarme, io ero rimasto con Mario allestendo un campo d’emergenza nel luogo dell’incidente.
In questa piccola tenda fatta con i teli termici prenderemo l’ennesima «baia de frodo», ma si sa che ormai a queste attese abbiamo fatto il callo. L’allegria nel vedere gli amici giunti in soccorso di Mario durerà poco; Quando la «mano» di briscola sembrava vinta il destino ci costrinse a giocare una partita a scacchi: Noi i bianchi contro i neri anzi «il Nero». Il nostro alfiere veniva ferito da una pietra animatasi improvvisamente, accanto a noi ora lui giaceva quasi incosciente, incapace di salutare l’amico che iniziava la risalita. Dopo 60 ore ritornavo con Mario al campo di -620 assieme a Bobo, Michele e Sandrin, la sua ferita fortunatamente non è grave; nonostante la mano immobilizzata riesce a salire autonomamente. Giù, a -1000, la partita continua, mentre stravolto dalla fatica salgo il «170» mi rendo conto che tutto deve appena cominciare. Il Soccorso farà il possibile se non di più ma alla fine tutto risulterà vano; un’altra volta il «Nero» riuscirà a vincere.
Un’amico è morto per salvare un’altro amico, il gesto più nobile è stato svilito da un fato beffardo e incredibile. Non serve gridare, criticare o nell’ombra gettare fango su chi non lo merita. Escano in silenzio i mercanti dal tempio, tacciano gli stolti ed i vili, si nascondano per non essere più visti.
Grazie Heidi, non sarai dimenticato, ciao, o forse solo arrivederci.
Un doveroso e sentito ringraziamento a tutti coloro che disinteressatamente hanno partecipato a questa operazione di soccorso speleologico. Grazie all’altruismo e alla generosità di tutti che in questi 2 giorni si sono unite in un’ammirevole sforzo comune.
Il muro, strano titolo direte voi, mi è venuto in mente ricordando una sera a casa di un mio amico quando davanti a un portacenere ricolmo di mozziconi e diversi bicchieri vuoti giungemmo alla conclusione di essere come a Fort Alamo, in piedi sul muro a guardare l’orizzonte in attesa della fine del giorno, per ritornare a contarci scoprendo che un altro di noi manca all’appello.
Paolo Pezzolato
Riassunto schematico delle esplorazioni dal 19 agosto 1989 al gennaio 1990
DATE | ESPLORAZIONI | PROFONDITÀ |
19-20/8/1989 | Lago Tripoli; Sala Cascata; Gallerie fossili; P 50 (mai sceso) | -700 metri. |
26-27/8/1989 | Gallerie del Collettore; prima piena | -760 metri. |
16-17/9/1989 | Gallerie Ho-Chi-Min; Galaxica; strettoie | -780 metri. |
23-24/9/1989 | Sala Kugy; Cengia degli Dei; Rio Kubo | -914 metri. |
7-8/10/1989 | Sifone -950; finestra; gallerie Santo Bevitore;
Carlon Aqualung; Pozzo del Brindisi |
-1000 metri. |
21-22/10/1989 | Sifone -1000; zona franosa; Grande Muraglia; Canion con acqua | -1100 metri. |
18-19-20/11/1989 | Sala dei Tre; Lago sifone | -1197 metri. |
8-9-10/12/1989 | Galleria del Ciclope; traverso sul sifone a -1197 | -1197 metri. |
13-16/1/1990 | Gallerie del Ciclope; incidente a Mario e Heidi | |
17-22/1/1990 | Recupero salma Heidi | |
24/1/1990 | Saluto a Heidi |