HÓLLOCH ’86 – SVIZZERA

Pubblicato sul n. 18 di PROGRESSIONE – Anno 1987
HÓLLOCH, un nome che suona dantesco per un mito speleologico: fino a circa dieci anni fa la più estesa cavità del mondo, poi superata anche in ciò dall’antagonismo USA-URSS, che non risparmia neppure la speleologia. Centocinquanta e passa chilometri di passaggi – per un dislivello di circa +900 metri – incuneati in un massiccio sovrastante il Lago dei Quattro Cantoni. Con un solo ingresso. Il punto più basso – o quasi – della grotta…
La possibilità di visitarla mi era già capitata al ritorno dal disgraziato congresso barcellonese-spagnolo, ma avevo optato per altre soluzioni vacanziere. Ora invece, e nientemeno che nella lontana Praga, Ray mi offriva una seconda e ben più allettante possibilità: unirmi alla compagnia per una traversata del sistema, utilizzando uno degli ingressi alti finalmente scoperti l’altro anno.
Si giunse infine alla meta con un leggero (quattro ore!) ritardo, dopo un viaggio un poco avventuroso: per fortuna Ollie, la nostra guida locale, non disperava ancora di vederci, cosa che non si poteva certo dire dei quattro Anconetani che il prode Fox aveva invitato all’insaputa di tutti… Purtroppo la vita è mutevole, e così ci capitò di trovarci aggregati, almeno formalmente, ad un gruppo di amici svizzeri che si recavano in Hblloch per esplorazioni. Altrimenti niente. Addio traversata dunque.
Comunque sia eccoci in grotta: l’inizio di questa cavità veramente unica, accessibile solo per alcuni mesi l’anno date le periodiche piene primaverili ed autunnali, è in leggera salita, attraverso quella che era la parte turistica già quasi un secolo fa. Passati attraverso i resti di una diga di tronchi edificata a quel tempo allo scopo di contenere le acque delle piene ed evitare i periodici allagamenti della parte turistica, si inizia a scendere fino a giungere al punto più profondo del sistema, a —80 metri, punto che è il fondo di un gigantesco sifone che si forma nel periodo delle piene.
Ed è qui che inizia l’avventura: difatti, almeno per ciò che ci è stato dato di vedere, si tratta di risalire gigantesche condotte forzate, levigate oltre che da torme di speleologi anche dalla continua azione delle acque che le percorrono durante le sopraddette piene, depositandovi pure un leggero strato di limo che, unito alla loro naturale pendenza, le rende estremamente scivolose e quindi molto faticose da risalire. Per dare un’idea dello sforzo che costa questa autentica «speleologia all’insù» basti dire che sebbene la temperatura dell’antro si aggiri sui 4-5 gradi non ci si veste in maniera più pesante di quanto non si faccia per visitare le grotte Carsoline: e sudate tremende incolsero quegli scettici che vollero vestire il «pile», e che dovettero improvvisare spogliarelli onde evitare qualche guaio peggiore.
La risalita, perchè di ciò si deve parlare, durò circa sei ore, pur con qualche breve sosta: giungemmo infine al campo HB17, uno dei tanti campi fissi avanzati che sono usati per continuare le esplorazioni. Il lusso di tale campo – che pur il nostro anfitrione ci presentava quale spartano – ci lasciò esterrefatti: fornelli, zona WC, area per lo scarico del carburo (in appositi contenitori da riportare poi indietro per non inquinare troppo la grotta…), scorta di cibi e bevande ma, soprattutto, niente popodimeno che una specie di casetta fatta con teli di plastica e contenente addirittura dei veri e propri materassi. Il tutto ad un dislivello dall’ingresso superiore ai 500 metri…!! A dire il vero tutto ciò era in effetti ben poca cosa rispetto ad altri campi che avremmo visto l’indomani, dotati di tubi per convogliare acqua corrente, di lavelli e ripiani in marmo, nonchè di brandine con tanto di materassi, cuscini e coperte, senza contare i tavoli uso-comitiva (per 20 persone).
Dopo una visita al tutto, in cui lo stupore lasciava spazio allo stupore, ci si concesse un pranzo rifocillatore, per poi infilarci subito a letto, invero assai per poco dato che i miei amici svizzeri avevano deciso di tornare ben prima di quanto previsto. Per nostra fortuna la loro gioia nel rivedermi fu tale – incredibile ma vero – che acconsentirono di buon grado a continuare a lasciarci occupare i loro giacigli, specie dopo che avevo provveduto a rinforzarne i the con della grappa nostrana che contribuì non poco a riscaldare i loro cuori nonché ad addolcire il disappunto di essersi trovati i letti occupati. In ogni caso a loro va un sentito ringraziamento per tale senso dell’ospitalità. Il mattino seguente il ritorno all’esterno fu ben più riposante, sebbene portò via quasi più tempo: difatti alle numerose soste fotografiche si aggiunsero quelle che dovemmo subire in coda. Ho infatti dimenticato di dire che la prima porzione dell’Halloch, data la sua evidente facilità speleologica, è meta di numerose gite organizzate, un po’ più serie ma non troppo di quelle provate dal nostro Ive in terra USA anni addietro: ai baldi neo-esploratori vengono distribuiti carburo e caschi, per poi portarli a fare un giro «in profondità» nella sezione ex-turistica e poco oltre. Tali comitive sono molto numerose anche per il numero di partecipanti e costringono a volte a lunghe soste sui rari pozzetti: in compenso con i proventi che ne derivano vengono non solo mantenuti in efficienza i molti bivacchi interni, ma anche pagati sia gli speleologi che guidano tali comitive che le spese di quella parte della locanda posta presso l’ingresso dell’Holloch ed a disposizione degli speleologi per cambiarsi e pulirsi (con acqua calda). Presto fummo comunque di nuovo all’esterno, non senza che un ulteriore moto di sorpresa ci fosse riservato allo «Stige», il passaggio obbligato per tutti coloro che vogliono accedere alla parte di grotta posta oltre il sifone: qui vengono segnati, su un quaderno, i nomi dei capi comitiva, il numero dei componenti le squadre, la loro destinazione ed il percorso che si intende fare per giungervi, nonchè lo scopo della visita, il tutto per facilitare eventuali operazioni di soccorso. Ebbene, nell’arco delle 18 ore che erano trascorse tra i nostri due passaggi ben 50 speleologi di quelli veri erano transitati per quel punto. Senza contare i «turisti» di cui si è detto…
Fuori ritrovai Chuck, Ray & Co. di ritorno dalla loro traversata e fummo presto raggiunti dai nostri gentili padroni di casa della notte precedente: una birra tutti insieme concluse le diverse spedizioni, prima di separarci per tornare ognuno a casa propria.
Ci hanno dato l’idea: Ray e Chuck dello European Grotto della NSS.
Ci hanno ceduto i loro letti: Urs, Jasmine e Christian della sezione di Basilea della Soc. Spel. Svizzera.
Ci ha fatto da guida-cicerone: Oliver «0llie» Truib, di Basilea.
Si sono uniti: inattesi ma graditi ospiti, quattro Anconetani i cui nomi sono: Pino e Roberto Antonini, Elena Governa e Roberta Gaudà.
Quelli di noi che c’erano: Paolo Pezzolato e Renato Dalle Mule, altresì noti come
Fox e Tubo Longo