SOTANO DE LAS GOLONDRINAS (5 NOÉ E MEZZA)
Pubblicato sul n. 16 di PROGRESSIONE – Anno 1986
«…Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò l’ordigno…» (La Divina Commedia – Inferno, canto XVIII)
Sono trascorsi appena tre giorni dalla partenza da Trieste, ed ancora prima di capire dove sono, lasciamo Mexico City con un furgone a noleggio. Il «Comby», stracarico, arranca per le strade dello Stato di S. Louis Potosì, Stato nel quale si trova uno dei pozzi più belli del mondo: «Golondrinas». Abbandoniamo la statale e proseguiamo per una tortuosa strada bianca che, fra piante di banane e caffè, ci porterà a Tampaz, (sperduto villaggio vicino al Sòtano).
Giunti al paese contattiamo la gente del luogo e spieghiamo le nostre intenzioni; un bambino si presta a farci da guida e percorrendo una antica strada «Huasteca», arriviamo nei pressi di «Golondrinas». La fitta vegetazione tropicale non lascia spaziare lo sguardo, così la voragine ci appare davanti quasi di colpo, lasciandoci senza fiato per l’emozione. Troppa roba. Poggiamo i sacchi e affacciati sull’orlo, ammiriamo stupiti la «verta» da incubo. Pioviggina e in fretta e furia allestiamo il campo e sfiliamo dai sacchi le corde nuove di stecca.
Dopo breve tempo 400 m di Edelrid scendono lentamente nel baratro, trascinando dietro i nostri sguardi. Siamo attorniati da una piccola folla di. bambini curiosi e scalzi che, senza il minimo timore, saltellano sui karren ai bordi del pozzo. Verso sera stormi di rondini (golondrinas) cominciano a rientrare, con picchiate vertiginose, nella grotta dove nidificano da migliaia di generazioni; un colibrì ci osserva curioso mentre controlliamo gli ancoraggi. Tutto è pronto per la discesa e mentre alcuni si preparano, gli altri (a cui toccherà domani) si divertono a mettere in «crisi» i primi con i soliti «witz» sulla scarsa affidabilità dei materiali, ecc. Elio è il primo a calarsi e ci divertiamo a prenderlo in giro, mentre passa nervo- samente il frazionamento che precede la paurosa «libera».
Ora tocca a Mauro che non poteva scegliere momento migliore per provare, per la prima volta, il discensore a barre. Dopo qualche momento di panico al frazionamento (discensore montato correttamente sulla corda… ma non attaccato in cintura) anche lui comincia la libera, commentando coloritamente l’episodio suddetto. Anche Tullio vuole togliersi il pensiero e sebbene fra poco farà buio, accende un «Toscano» e sorridendo mi dice: «…eh… noi che semo nati in scala… bah… ‘ndemo, ah!». Quando anche l’ultimo dei tre è risalito, è già buio da un pezzo. Ci infiliamo nelle tende per ripararci dalla pioggia e parlando del più e del meno, vengo a sapere che «Golondrinas» è un antico pozzo sacrificale «Huasteco».
Ramon ci spiega che, secondo una leggenda, c’era un lago sul fondo del pozzo. Quando gli abitanti del luogo sacrificarono la principessa «Coral», i loro dei s’adirarono e per punire gli indigeni prosciugarono il lago e fecero arrivare i «Conquistadores». Lo spirito della principessa, mosso a compassione, si trasformò in serpente corallino e seguita da milioni di suoi simili, risalì l’abisso e cacciò i «Conquistadores». I serpenti, eseguito il loro compito, si trasformarono in rondini e ritornarono nell’abisso. Mi addormento pensando alla leggenda. La mattina è migliore del giorno precedente, …forse, forse, ci sarà il sole. Adesso tocca a noi profanare l’antico pozzo.
Ci accompagna sull’orlo una bottiglia di Tequila che si esaurisce molto presto; sta scendendo Maurizio ed io attendo nervosamente il mio turno. «Come xe, Guido?» mi dice Mario in tono paterno; gli rispondo che non vedo l’ora di calarmi, ma… non è vero. Maurizio è arrivato sul fondo e mi dà via libera. – Ahi, ahi, …tocca a me! – Il primo e ultimo frazionamento è uno «spit» a 30 cm dal bordo, poi… 330 m di libera totale, con la parete più vicina a non meno di 150 m da me. Supero il frazionamento e i primi momenti di tensione. Mi lascio andare e dopo pochi metri lancio urla di soddisfazione verso i compagni all’esterno: – Beeel… ssai roba… che para!! – Non sento più i rumori esterni, ora mi accompagna il garrito delle rondini ed il frullio d’ali di stormi di pappagalletti verdi, che mi svolazzano intorno. Il sole si fa largo fra le nubi e sciabolate di luce investono pareti e fondo, rendendo la discesa più suggestiva. Arrivo al nodo di giunzione fra le due corde e mi affretto a raffreddare il discensore con l’acqua della borraccia appesa al nodo. 200 m sopra di me e 130 sotto… mi sembra d’essere un microscopico ragno che si cala in uno stanzone vuoto.
Il ragno, però, non pensa a cosa succederebbe se si rompesse il suo filo… io si!! L’immensità dell’ambiente mi mette soggezione e mi entusiasma contemporaneamente; mi piace questa sensazione di vuoto, misto a… a… a paura. Come faccio a bearmi della mia paura?… sono pazzo! – Maurizio mi chiama e mi distoglie dai miei pensieri troppo… «profondi». Tocco terra e avverto in superficie. Il fondo è privo di un vero e proprio cono detritico e un tappeto di muschio, misto a tonnellate di guano, riveste il pavimento. Scende Fox ed è anche lui visibilmente soddisfatto dell’esperienza appena provata… e di toccar terra. Arriva Mario. Per lui è stata una cosa «regolare», dice. – Non ti ha fatto nessun effetto? – domandiamo beffardi. – Cos’te voi che me fazi? – E come mai, allora, hai portato giù le borracce per il raffreddamento?, …deve scendere ancora Ramon. Porc… eh, gnente… iero sora pensier. – Ramon ci raggiunge e Maurizio inizia la risalita, accompagnato dai nostri incitamenti. Libero. Attacco i bloccanti e «pompo». Arrivo al nodo in un bagno di sudore, prendo fiato e mi compiaccio di avere addosso solo la tuta ginnica. Mi viene da ridere pensando a Mario e Fossile in tuta da «grotta». Riprendo la risalita che non ha mai una fine. Cerco punti di riferimento sulle pareti, per capire quanto mi manca. – Xe una vita… puff… che pedalo… puff, puff… e… son sempre qual …soffrire è bello… puff… go sempre dito che Pomo xe… puff… monall – Finalmente sono al frazionamento: – non mi sembra vero -. Solo ora rammento che oggi é il Venerdì che precede la Pasqua, giorno della Passione di Nostro Signore …e non solo Sua. Sono fuori e Maurizio, ai quale piacciono le «istantanee», immortala la mia espressione, scattandomi un primo piano. Gli amici mi guardano e ridono ed io non ne capisco il motivo; lo capirò in seguito, quando guardando la foto …riderò anch’io.
Guido Sollazzi
Hanno partecipato, in ordine di discesa: Elio Padouan, Mauro Stocchi, Tullio Ferluga, Maurizio Giovino, Guido Sollazzi, Paolo Pezzolato, Mario Bianchetti (C.G.EB.); Rarnon Espinaza (S.M.E.S.)
CUEVA DE LAS GOLONDRINAS
Ci fece da guida un vecchio canchero verso questa grotta mai esplorata da nessuno e situata su in alto sulla Sierra, a poca distanza da una pista che, come tutte quelle che partono da Huacalapa, viene percorsa solo dai boscaioli con i loro incredibili camions carichi di tronchi.
L’ingresso è pittoresco: un ampio pozzo lascia scorgere il fondo (vasta conoide coperta di vegetazione) una quindicina di metri più in basso. Di «golondrinas» (leggi rondini) neanche l’ombra; non è come al ben più noto Stano omonimo. Esce solo un gufo, silenzioso e scocciato. Facile e immediata la proporzione: se tanto mi dà tanto… Il sole picchia, la voglia di entrare in questo buchetto non è poi molta e così ci troviamo ben presto soli in tre: gli altri preferiscono tentare la fortuna altrove. (– FATAL ERROR — direbbe il mio vecchio amico CDC 6200…). Visto che siamo qua entriamo e poi un’occhiata bisogna pur darla a questa mezza fregatura e poi sotto farà almeno più fresco. Alla base del pozzo una galleria larga 40 m va verso Sud, frazionata in più corridoi da enormi colonne e gruppi di stalagmiti bianchissime. Però però… mica malaccio… Foto.
Più avanti, dietro l’ennesima colonna: sorpresa! Luce. Non è uno scherzo, è un secondo ingresso: un foro sulla volta, 30 m sopra la testa, lascia passare un raggio di sole che si stampa sul pavimento. Uno solo, ma basta ad illuminare tutto l’ambiente. Altro che malaccio! Altra foto. La galleria continua ora con una pendenza più accentuata ma sempre con larghezza costante di 40 m. Dopo un po’, oltre una frana, il temuto epilogo: andiamo a sbattere contro una parete senza la minima possibilità di prosecuzione, nemmeno in una galleria superiore trovata di corsa. Il sogno è durato solo 125 m.
Con Fossile inizio il rilievo mentre Mario, spinto un po’ dalla sua ben nota repulsione per bussole ed ecclimetri, un po’ da un altro motivo del tutto fisiologico ma per lui frequentissimo in grotta, va a cercare il posto adatto sotto al pozzo d’ingresso. Quando vi arriviamo anche noi, ci viene incontro saltellando leggero e con notizia bomba: la grotta forse continua! In effetti il pozzo d’ingresso è chiaramente un cedimento della volta dell’immensa galleria e, se questa continua da una parte, perchè non dovrebbe farlo anche dall’altra, oltre la frana? Logico. Meno logico sarebbe partire per questa ricerca in mezzo ad un caos di massi colossali se non avessimo ori sicuro alleato dalla nostra: l’aria. Proprio seguendo questa, Mario ha trovato il posto giusto e, dopo un rapido scavo, si è fermato su un restringimento. Tocca a me e dopo un paio di ulteriori allargamenti e altrettanti cunicoli sbagliati arrivo, assieme all’aria, davanti al probabile Ultimo Ostacolo: colonne e concrezioni ostruiscono il passaggio, ma oltre c’è il nero più nero.
Febbrilmente slabbro una colonna usandone un’altra a mo’ di ariete, quel tanto che basta per passare. Mi raggiunge Mario mentre Fox resta fuori senza più luce. In tre secondi siamo oltre e ci troviamo nell’agognata galleria alta 5 m, larghissima, che sprofonda nel buio davanti a noi. Poco oltre, sorpresa n° 2: tutto il pavimento da una parete all’altra – il che vuol dire per una trentina di metri – è ricoperto da un eccezionale concrezionamento di calcite bianchissima. Sono delle vasche simili alle «Fontane» di S. Canziano quelle su cui scendiamo urlando e dandoci manate sulle spalle ormai completamente in tilt. Manca solo la ciliegina su questa torta ed ecco improvvisamente, dopo oltre 70 m di folle discesa, un bel lago dall’acqua verde e immobile materializzarsi davanti ai piedi di Mario.
Felici per il tuffo evitato per un pelo e per la galleria che oltre sembra continuare, riguadagniamo l’uscita dove Fossile stenta a credere a quello che gli raccontiamo. In questa giornata di grazia anche il lungo ritorno a piedi ci è risparmiato da un provvidenziale camion di boscaioli che ben volentieri aiutiamo in cambio del passaggio. Al campo ancora incredulità, stupore, ma soprattutto… curiosità. Domani infatti, altre squadre scenderanno nel buco per esplorare avanti e ultimare il rilievo.
Purtroppo la grotta terminerà con la galleria fangosa situata oltre il lago e raggiunta con una difficile arrampicata. Poco male: 406 m di sviluppo e 106 di profondità, ma soprattutto una grotta stupenda, senz’altro la più bella tra quelle da noi scoperte qui in Messico e quella che ci ha regalato l’esplorazione più entusiasmante, destinata a rimanere «dentro» a lungo o per sempre, come ben sanno tutti quelli che nella loro carriera di «grottisti» si son trovati almeno una volta in una situazione analoga.
Mauro Stocchi