Avasinis

 

Pubblicato sul n. 9 di PROGRESSIONE – Anno 1982
La sorte mi ha contraddetto: le previsio­ni da me azzardate nel numero precedente non si sono attuate! … Avevo infatti scritto nel preambolo al lungo riassunto delle esplo­razioni del I semestre ’81; « il resto alla prossima Progressione» (mi illudevo che potessimo finire il rilievo nei restanti mesi dell’anno in corso), ma … agli oltre duemila metri rilevati, se ne aggiungono però altri mille, alle cinque possibili continuazioni, se ne sono aggregate altre dieci (dati al 311 12/1981).
Non dobbiamo trascurare il lavoro che bisogna intrapredere per abbassare il secondo lago-sifone, dietro si potrebbe nascon­dere un altro sistema di gallerie inesplorate (come successe dopo aver abbassato il primo).
Tra le effettive cause del rallentamento per la stesura del rilievo, oltre alla campagna estiva in Canin (v. altri articoli in questo numero n.d.r.), c’è da annoverare la lunghezza del complesso: per poter fare quindi il più piccolo aggiornamento del rilievo ci sono dei tempi tecnici che superano le sei-sette ore minimo, con l’optimum di 12-15. Non tralasciamo pure il tornado che si è abbattuto sulla nostra regione e quindi anche sulla grotta in esame nei giorni 18 e 19 lu­glio che ha posto dei notevoli interrogativi sull’attività e la circolazione idrica nella ca­vità (v. gli articoli seguenti). La prudenza che il simile episodio ha generato è stata l’ultima causa del rallentamento delle ope­razioni serie «in lunghezza» (bisognava e bisogna scrutare il cielo, consultare i bollet­tini meteorologici e dare ascolto ai calli pri­ma di avventurarsi nella 658 Fr) per cui il 1982 sarà ancora «l’anno di Avasinis»!
L’uscita del n. 8 di Progressione ha con­tribuito a tranquillizzare chi nel malcapitato luglio scorso aveva pensato che l’esplorazio­ne che noi stavamo effettuando non fosse una cosa seria. Vorrei soprattutto ringraziare gli abitanti di Avasinis per il cumulo di notizie che forniscono a ripetizione: molte ci sono state, altre ci saranno d’aiuto: è una collaborazione che col tempo, quando altri probanti risultati verranno elaborati, conti­nuerà con la certezza che ogni contributo ci aiuta a rendere sicura l’esplorazione di una delle grotte più lunghe della regione ed ad aumentare il patrimonio speleologico regionale con altre nuove cavità.
                                                                                                  Mario B. Trippari
P. S. – Il rilievo delle parti aggiornate verrà inserito per esigenze di spazio nei prossimi numeri di Progressione.

Avasinis 1

La galleria iniziale (foto Tognolli)

Domenica, giornata piuttosto grigia, per tutta la notte è piovuto abbondantemente su tutta la Regione ed alla mattina grandi ad­densamenti nuvolosi persistono sul mare. Decido di rimanere a casa e sbrigo alcuni lavoretti arretrati. Mezzogiorno e qualche minuto, squilla il telefono. E’ Villi. «Te sa, ga telefonado la mama de Umbertín dixendome che el xe andado a Avasinis e che el ghe doveva telefonar stamatina inveze noi ga ancora ciamado e poi el doveva trovarse a Sella Nevea con Bidòn e su nol xe ancora rivado. El xe in grota con Miniussi». Bene. Aspetto ancora qualche ora per vedere se ar­riva qualche novità ed intanto metto in pre­allarme la squadra del Soccorso Speleologico di Trieste. All’una e trenta del pomeriggio, sotto un diluvio, partono la I e la II squadra di Trieste, con gli speleo-sub e un camion dei pompieri sommozzatori. Si arriva ad Avasi­nis piuttosto velocemente dopo aver attra­versato a clacson e sirene spiegate tutta la «Furlania» sotto gli occhi attoniti dei pochi passanti domenicali. All’ingresso della grotta troviamo già alcuni speleologi di Udine, la Polizia, i Carabinieri e Bidòn (sceso da Sella Nevea) uno dei pochi a conoscere veramente quell’intricatissimo budello che è la Grotta di Avasinis. Alcuni giornalisti, giunti sul posto, danno per disperso Fulvio Forti! Viene subito chiarito che io sto benissimo e sono li fuori. Come sia arrivata li quella notizia nessuno lo saprà mai! Misteri dell’informazione.
Entra intanto una prima squadra per una ricognizione. Si trova un primo passaggio sifonato che però viene superato attraverso una strettoia piuttosto malagevole, ma dopo alcuni metri di galleria si trova un secondo passaggio anche questo completamente sifonato. Fortunatamente fuori non piove più e quindi, almeno per il momento il livello dell’acqua rimane costante. Viene stesa una linea telefonica tra il campo base esterno ed il sifone oltre il quale si presume siano bloccati i due speleologi. Fuori intanto si stanno preparando gli speleo-sub per tentare di forzare il sifone a nuoto. Dopo un’oretta sono pronti. Ercolani prima e Savoia poi si immergono e passano oltre. Riportano noti­zie confortanti. I due stanno bene, sono bloccati già da diverse ore, sono infreddoliti ed hanno fame. La rassicurante notizia si sparge in un baleno fra tutti coloro che aspettano fuori. E già qualcosa. Si organizza subito una spedizione di rifornimento di viveri ed abiti asciutti. All’esterno tutto procede molto bene e con ordine. Le ope­razioni vengono coordinate da Bruno Alberti con l’aiuto dei VV.FF che hanno messo in opera un compressore e tutta l’attrezzatura da sub. Polizia e Carabinieri tengono i con­tatti radio ed impediscono ai curiosi di avvi­cinarsi. Tutta la strada di accesso è bloccata. Sul posto anche il prefetto di Udine Spazian­te e Penta. La SIP ha velocemente installato una linea telefonica che permette di parlare con tutta l’Italia. Viene avvertito anche il Ministro Zamberletti (protezione civile) e, tramite la Prefettura fa confluire sul posto alcune persone che potrebbero risultare uti­li: Forti Fabio quale esperto dei fenomeni carsici, il responsabile della Ditta Lo Perfido quale esperto in lavori subacquei con tutta una serie di attrezzature, la «Friulana pom­pe» di Casarsa con alcune pompe aspiranti.
Nel frattempo però, l’acqua è lentamente diminuita di livello. Buon segno, ma non sufficiente perchè í due speleologi vengano fuori da soli. Intanto ci si sta muovendo in due direzioni. Da una parte si sta preparando le pompe idrovore per aspirare l’acqua dal sifone nel caso dovesse ricominciare a piove­re, dall’altra si stanno predisponendo mute e bombole per farle indossare ai due ragazzi bloccati. Ma questo pone alcuni problemi perchè nessuno dei due è uno speleo-sub e poi, dopo tante ore, sono piuttosto provati.
Frattanto, verso le due della mattina partono da Torino, non per loro volontà, ma su ordine della Prefettura, due esperti speleo-sub del I Gruppo: G. Baldracco e G. Badino. Sono piuttosto scettici ad affrontare un viaggio del genere perchè sanno che la squadra di Trieste e Udine è perfettamente efficiente anche in questo genere di soccorso. Sembra però che l’ordine sia piuttosto imperativo e vengono addirittura respon­sabilizzati in caso di insuccesso. Partono quindi su un auto della Polizia verso Trie­ste ad una velocità di 170 km/h con traffico intenso nonostante l’ora.
Intanto, in quel di Avasinis, l’acqua è calata di circa un metro e quindi i due, indossate le mute riescono a superare il sifone senza l’aiuto degli autorespiratori! Alle cinque del mattino di lunedì sono fuori sotto un cielo dove brilla qualche stella, Vengono subito visitati da un medico e cari­cati sull’autoambulanza che era giunta già alla sera prima. Partono velocemente per l’Ospedale di Gemona dove rimarranno in osservazione per 24 ore. Viene subito avver­tita la macchina della Polizia con a bordo i torinesi che nel frattempo era arrivata a Mestre. Invertono la marcia e, sempre, a 170 ritornano a casa!
Fuori della grotta si sbaracca tutto. Le pompe, le tubature, i telefoni, la cucina da campo militare, che tutta la notte aveva pre­parato mangiare caldo … tutto fila con coordinazione e velocemente. Verso le sei tutto è ricuperato ci si saluta con una stretta di mano ed ognuno ritorna a casa. Questa volta tutto è andato bene. Grazie!
Questo lo scarno racconto del soccorso, ora alcune considerazioni. L’incidente in se stesso non è affatto raro. Sembra strano che una galleria di 3mx2m e lunga 10 m pos­sa riempirsi d’acqua in breve tempo ma i fenomeni carsici non finiranno mai di stu­pirci e la prudenza non è mai troppa specie quando oltre a rischiare la propria vita si rischia anche quella degli altri. Il Soccorso è stato tutto O. K. si è lavorato bene e velo­cemente. Qualche cosa da dire, invece, per quanto riguarda gli aiuti esterni. I pompieri di Trieste, partiti assieme alle squadre di soccorso, hanno dovuto attendere un nuovo furgone all’inizio dell’autostrada perchè il primo si era guastato! Niente di grave, ma si sono persi minuti e in questi casi il tempo è prezioso. Tutti gli aiuti esterni sono stati coordinati dagli speleologi e quindi tutto è filato in modo scorrevole perchè il soccorso era in una grotta dove gli speleologi erano i più idonei ed esperti per capire le neces­sità. Unico neo in tutto questo il frettoloso e costrittivo intervento sulla squadra di Torino. Indubbiamente si è trattato di ec­cesso di zelo dopo i fatti di Vermicino però bisognerebbe far capire, a chi di dovere, che ogni squadra del Soccorso è strutturata in modo tale da essere assolutamente autonoma di fronte a qualsiasi evenienza. Solamente in caso di estrema gravità dell’incidente per cause esterne o interne o per incapacità dei componenti, si fanno intervenire altre squa­dre e, con gli aerei militari si arriva ovunque in brevissimo tempo. Ma non si può costrin­gere nessuno a muoversi senza una reale necessità. Gli appartenenti al soccorso spe­leologico e alpino sono dei volontari che fanno questo lavoro (se così si può chiamare) di propria spontanea volontà rimettendoci tempo, materiali, ore di lavoro. Si sacrificano fino in fondo se è necessario per salvare una vita umana rischiando spesso anche la propria, ma non è giusto precettarli per inutili paure.
                                                                                                           Fulvio Forti

AVASINIS LA TRAPPOLA

Seconda metà di luglio ’81: si stava av­vicinando rapidamente, dopo una paziente attesa durata forse tutto l’inverno, il perio­do in cui avrei potuto finalmente continua­re le esplorazioni nel gruppo del Canin, tra l’altro in un’annata più che favorevole per la poca neve caduta. Un tranquillo mesetto da trascorrersi a Sella Nevea, amena località in cui avrei potuto intraprendere svariate attività, come dedicarmi al Poviz, a Mogenza, al «Meandro de Plucia» e c’era perfino un buchetto sul Mangart che suscitava la mia curiosità.
Ma era destino che dovessi rimandare di qualche settimana tutto questo. Proprio in quei giorni mi aveva telefonato Alessio, de­sideroso di tornare alla Risorgiva di Eolo, usufruendo di una breve licenza, speran­zoso di poter passare almeno questa volta nel passaggio «basso», ormai diventata la via comune, tramite uno scavo di Bandòn e Fabio, per accedere ai rami nuovi della cavità da me scoperti tramite il passaggio «alto», ventosa condottina non accessibile se non a persone abbastanza sottili.
Accettai subito di buon grado, pensando che sarebbe stata una piacevole occasione per fare una fruttuosa «sosta» nel mio viag­gio d’andata a Sella Nevea. Il tutto era poi tavolato dal fatto che lì avrei dovuto incon­trare Bandòn che avrebbe offerto ad Alessio un passaggio per il ritorno. Anelli era poi desideroso di tornare ad Avasinis e forse questa volta maggiormente che nelle altre otto uscite precedenti, in quanto l’esplora­zione si era arrestata in un punto più che promettente: dopo aver percorso con Fabio il 13 giugno un bel ramo discendente lungo un centinaio di metri, con un nuovo tor­rente, che si diramava da un immane caver­none sito alla fine della Grande Galleria ci eravamo fermati sull’orlo di un pozzo di una diecina di metri, che con relativa cascatella terminava su un profondo lago oltre il quale si notava che la galleria continuava con di­mensioni ancora maggiori. Il desiderio di continuare l’esplorazione aumentò poi quan­do il 24 giugno io e Fabio eravamo partiti addirittura con l’idea di fare un campo in­terno ed eravamo stati invece costretti a tornare sui nostri passi in quanto si era for­mato, in un punto in cui la galleria prin­cipale ha un andamento a «catino», un la­ghetto, troppo stretto farse per essere ab­bordato col canottino.
Partiti col sole, oltrepassiamo Udine con la pioggia, la quale ci accompagna fino alla meta, ove abbiamo tutto il tempo di con­sumare in auto un lauto pasto. Frattanto il tempo un po migliora (purtroppo) e cessa di piovere (ma forse per poco tempo). Indecisi sul da farsi, entriamo in grotta se non altro per vedere se si era formato il laghetto. Giunti al passaggio basso, ove Alessio ha anche qui difficoltà a passare, lo troviamo ricoperto sul fondo da una pozzanghera di acqua della profondità di qualche centime­tro (come d’altra parte appariva nel vecchio rilievo). Ben presto giungiamo al passaggio a «catino» e qui di corsi d’acqua non c’è neppure traccia e tutto è asciutto. Fiduciosi che la situazione non sarebbe cambiata di molto e che al ritorno avremmo trovato tutt’al più il laghetto visto da me due set­timane prima e oltre il quale, magari ba­gnandosi un pó, si sarebbe potuti passare, decidiamo di continuare l’esplorazione nella caverna sopra il pozzo a W, rinunciando a percorrere la Grande galleria. Il torrente è piuttosto grosso, ma le gallerie già esplo­rate non presentano nessuna difficoltà ad esser percorse. Giunti alla fine della caverna sopra il pozzo a W, abbordiamo una nuova forra che, bisogna subito attraversare con un’ampia spaccata. Perdiamo una buona mezz’ora a tentare di piantare uno spit, che alla fine si spacca e ci accontentiamo di uno spuntone per attaccare la corda, con la quale oltrepasso per primo in sicura la forra per imboccare una cengetta ad un metro dal soffitto, ove pianto due chiodi. La cengetta è percorribile per benino e presto ci tro­viamo sul fondo della forra. Dopo un’altra diecina di metri ci fermiamo sull’orlo di una pozza, oltre la quale intravvediamo una cascatella che per il momento appare im­possibile da risalire.
Frattanto il torrente si ingrossa e deci­diamo di tornare. In caverna il torrente ha quasi l’aspetto di un fiume in quanto si estende in quasi tutto il suo fondo. Lungo il pozzo a W la cascata ha assunto dimen­sioni veramente imponenti e gli spruzzi giungono fin quasi alla corda, sebbene sia distante una diecina di metri. Il canotto lo dobbiamo gonfiare prima del previsto per oltrepassare un laghetto che di solito si percorre con un pò d’attenzione solamente coi «trombini». Il passaggio poi per il Lago-sifone è ostacolato da una cascatella pro­veniente da un camino. Sulle Rapide ci tro­viamo in posizione più che suggestiva in spaccata a cavallo di una massa d’acqua. Ma se percorrere il torrente, diventato quasi fiume, non ci ha procurato bene o male, come nelle nostre previsioni, alcun proble­ma, non altrettanto si può dire degli effetti dei rigagnoli che frattanto si sono formati presso il «catino» e che lo hanno ormai quasi completamente riempito. E così che solamente a 120 metri dall’ingresso, triste­mente bloccati, iniziamo un’attesa che sa­rebbe durata 24 ore, dalla sera di sabato (eravamo entrati poco prima delle due) a quella di domenica.
Costruiamo un giaciglio tra le pietre ove ci adagiamo con un malconcio telo termico che, come mia buona abitudine, tengo sem­pre nello stivale e tentiamo di assopirci ostacolati in ciò dal freddo che, anche se non molto intenso, non tarda ad arrivare. A mezzanotte mi sveglio all’improvviso ac­corgendomi che stiamo dormendo ormai su un rigagnolo in quanto lo stillicidio, note­volmente aumentato, ha fatto straripare una pozzanghera sovrastante il nostro «lettino». Constatato che l’acqua del sifone era aumentata forse di una ventina di centimetri, non trovando altro posto ove poter distendersi decentemente, trascorriamo qualche ora seduti, ascoltando silenziosi lo scroscio d’acqua proveniente in lontananza dal ramo del fondo che proprio lì ha inizio. Che il cunicoletto della Circonvallazione fosse di­ventato attivo? Era un problema che in quel momento non pensiamo minimamente di risolvere. I nostri pensieri corrono invece al Lago Lungo, a tutta l’acqua che per esso avrebbe dovuto passare, alimentato non solo dal ramo della Doccia, ma anche dal pozzo che lo sovrasta, anch’esso ormai per­corso dal torrente, come avevamo constata­to poche ore prima. E quanta acqua poi si sarebbe aggiunta provenendo dalla galleria delle Marmitte attraverso l’affluente sito poco oltre la Doccia? Immaginare che tutti questi vani venissero allagati fino a far sì che l’acqua raggiungesse la galleria princi­pale era un po’ difficile, ma pensando alla portata del torrente, non del tutto impossibile. Dopo poco tempo ecco però che lo stillicidio diminuisce, il sifone riprende le dimensioni iniziali e un po’ tranquillizzati possiamo nuovamente distenderci nella so­lita posizione.
Nelle ore successive riusciamo a dormire abbastanza, interrompendo però i nostri sonnellini per andare a vedere ogni tanto il livello dell’acqua che diminuisce con lentezza impressionante. La speranza sempre viva in noi che prima o poi il sifone cessasse di essere tale viene interrotta quando lo speleosub Ercolani ci raggiunge. Il soccorso era stato avvertito e prima di quanto sperassimo in quanto il primo allarme non era venuto dai nostri genitori, come crede­vamo, ma proprio da Bandòn, che, impen­sierito della nostra sorte, aveva pregato gli amici del CSIF di fare un salto ad Avasinis tornando da Sella Nevea. Ben presto ci rag­giunge Federico che oltre a parlarci delle recenti scoperte del CSIF sul Rombon ci rende felici estraendo dal suo sacco cose come un fornelletto, una marmellata, dei biscotti e perfino dei vestiti asciutti. L’aspet­tativa poi di fare, sebbene un po’ intirriz­zito, la mia prima esperienza subacquea cessa con stupore quando vediamo che si avvera ciò che per un giorno intero aveva­mo tanto desiderato: l’acqua cala notevol­mente. Oltrepassato il laghetto, la grotta mi pare cambiata: adornata di cavo telefonico, arricchita d’un canaletto, d’altronde non usato, per far defluire le acque del ramo ormai battezzato Tragedia River verso il passaggio basso, popolata da una miriade di persone, fra le quali riconosco amici ca­rissimi e altri un po’ meno affettuosi che ci accolgono a parolacce. Ben presto guada­gniamo l’uscita, ove tra una folla di persone veniamo obbligati a salire su un’autoambu­lanza che ci porta all’ospedale di Udine.
Ed ecco che la nostra avventura in fondo, a mio avviso, non dissimile da tanti altri episodi, passati talvolta del tutto inosservati al­l’attenzione pubblica, diventa il principale fatto di cronaca a livello addirittura naziona­le. Quello che ancor oggi più mi dispiace e che, a differenza di molti giornali della regio­ne che hanno narrato abbastanza realistica­mente le vicende, il giornale della mia città abbia descritto con molte imprecisioni il fat­to, lasciando libero spazio a polemiche tal­volta assurde, facendo passare il tutto per una ragazzata, senza accennare minimamente per esempio alle diecine di ore trascorse precedentemente in grotta e anche a tavolino per svolgere la planimetria, talvolta complicatis­sima, di una grotta che, sebbene lentamente, ascende sempre più nella classifica delle grot­te regionali.
                                                                                                Umberto Mikolic

AVASINIS: PRIMA RAPPRESENTAZIONE

 Pubblicato sul n. 8 di PROGRESSIONE  – Anno 1981
Finisce col 30 giugno 1981, causa le sca­denze tipografiche di «Progressione», il pri­mo ciclo di esplorazioni nella Risorgiva di Eolo – 658 Fr (Avasinis – Trasaghis).
Nei pochi mesi trascorsi tra la prima ri­cognizione e l’ultima uscita, un continuo ri­trovamento di nuovi rami, l’abbassamento del livello di un lago sifone, la risalita di al­cuni pozzi cascata, hanno portato lo sviluppo planimetrico della cavità, da 141,50 metri del settembre 1968 (rilievo effettuato dal G. S. M. «G. Spangar») agli oltre 2000 (ri­levati) del giugno 1981. Il rinvenimento nelle zone soprastanti di altre cavità inietta ancor più speranza nei cinque evidenti punti di continuazione che aspettano logicamente nuove intense ricerche.
L’aver trovato la popolazione locale at­tenta ai nostri problemi e quasi sempre in­teressata ai risultati delle nostre esplorazioni (nella Risorgiva d’Eolo) ci riempie di soddi­sfazione perchè trovare del calore fraterno a 150 metri dalla grotta ed una sostanziosa varietà di specialità friulane cucinate espres­samente per noi che uscivamo dopo 12 -15 ore di punta (e sempre accompagnate da generoso vino – non le punte, però) non è di tutti i giorni e di tutti i luoghi.
Raccontare in poche righe, agli altri ciò che ho visto e che ho sentito e ciò che non ho visto e non ho sentito (perchè non c’ero), mi sembra sprecato per cui ho ritenuto di fare un riassunto commentato dei progressi di quella che potrebbe divenire (soccorsi a parte n. d. r.) una delle cavità più importanti della regione per contenuto idrologico, bat­teriologico, petrografico
27 FEBBRAIO – Umbertino si reca a fa­re una celere ricognizione della cavità. Vi­siona i punti critici ed opta per la rimozione della frana che si trova subito dopo il «pas­saggio alto».
21 MARZO – Ore 16.30. Una squadra composta da Umbertino, Alessio e da me, fornita di pesanti attrezzi da scavo, riesce, nonostante Alessio rimanga al di là del pas­saggio alto, a forzare la frana e percorrere attonita la «galleria a bon» e sale, arrampi­cate e cunicoli che si aprono in ogni dove.
Traquillizziamo Alessio e procediamo nel tilievo del primo fondo (punto 6). Alessio lascia incise in sala d’aspetto alcune epigrafi (da qui il nome «Sala Alessio») per comuni­carci che esce e con 250 metri di rilievo nuovo e un nal() d’ore di ritardo usciamo all’esterno pure noi due. Verso le 23 ci in­voliamo verso Nevea sognando altre glorie.
27 MARZO – Umbertino si reca a rile­vare 400 metri di gallerie ecc. da solo e si ferma su di un pozzo (nel «ramo delle mar­mitte») che non discende per mancanza di materiale idoneo (o potrebbe usare la «cor­dellette metrique»).
4 APRILE – Raggiungiamo la sommità del pozzo (nel «ramo delle marmitte») che aveva bloccato Umbertino nell’esplorazione precedente e dopo averlo armato ed apprez­zato per la sua bellezza lo lasciamo dato che non prosegue, per discenderne un altro sotto la «cascata delle marmitte» che potrebbe es­sere a noi più favorevole. Ma dopo pochi metri finisce. Tocca a Fabio a tentare l’ar­rampicata della «cascata delle marmitte», ma lo sforzo risulta vano: si trova davanti ad un piccolo lago sifone che ci blocca ulterior­mente. Si aiuta quindi Umbertino a rilevare parecchi rametti laterali tra cui quello che si trova di fronte al «tragedia river» che si collega tramite un «labirinto» al «passag­gio alto».
Nottata agitata per Umbertino che va a dormire nella sala con caminetto e non nella stanza da letto come me e Fabio (perchè al mattino è troppo soleggiata).
1 MAGGIO – Con Fabio voglio immor­talare con la macchina fotografica certi posti c2ratteristiri della grotta e vi rinceiarnn in parte. Passiamo, dato che ci rimane ancora del tempo, la «doccia» e scorgiamo il «lago lungo» per la prima volta. Al ritorno Fabio risale la cascata del ramo attivo (le «rapide») e raggiungiamo il «lago-sifone». Non ci re­stiamo molto dato che il piccolo pertugio tra acqua e soffitto lascia passare tanta di quell’aria gelida che crediamo opportuno con­tinuare a far fotografie dopo aver lasciata armata l’arrampicata della «rapide».
Poco prima di assaporare la gioia di at­traversare per l’ennesima volta il passaggio alto, Fabio, inavvertitamente e poi coscien­temente getta alcuni sassi tra la ghiaia un metro prima della condotta: batte un poz­zetto di almeno due metri. Lo apriamo come usavano aprirlo gli uomini delle caverne (cioè con le mani a mo’ di piè di porco ed li sassi a mo’ di mazzetta) ed il gioco è fatto: si inaugura il «passaggio basso» (futura gioia dei soccorritori n. d. r.). All’esterno rileviamo un pozzetto sulla strada (poco meno di otto metri).
10 MAGGIO – Fabio trova il coraggio che era mancato ad Umbertino e si tuffa col minicanottino della famiglia Mikolic nello stretto passaggio annacquato che ci blocca verso la parte superiore del ramo atti­vo. Riappare alla luce poco dopo e con voce mista ad acqua ci annuncia che dopo il by-pass si intravvedono due gallerie: ambedue continuano.
Mentre Livio (… felicissimo) accompa­gna alla superficie Fabio (ed ai luculliani abbeveraggi), Umbertino stende il rilievo dal «lago-sifone» fino all’arrampicata con la cor­da fissa. Io incomincio, sotto una pioggia provocata dai miei stessi colpi, a fare un buco nell’acqua. Infatti l’unica soluzione pos­sibile per poter esplorare le nuove prosecu­zioni senza dover indossare la muta è quella di tentare di abbassare la frana che blocca l’emissario del lago-sifone. Quando Umber­tino ritorna carico di rilievi freschi (tanto per riscaldare l’ambiente!) il livello risulta di cinque centimetri più basso. Mikolic freme, vorrebbe già passare, lo invito ad aiutarmi e dopo un’altra oretta il pertugio tra soffitto e laghetto è quasi diventato una autostrada. Umbertino assicura che darà una occhiata (solo pochi minuti!) a ciò che si trova oltre il laghetto e sparisce simile ad un Wamm-Wamm col minicanottino nella parte inesplorata.
Dopo due ore di rilievi forsennati il me­ga-rilevatore ritorna indietro e possiamo an­che noi finalmente assaggiare le specialità culinarie friulane che sono state imbandite per tutti noi (e non solo per Fabio e Livio come credevano i due eno-speleologi stra­maccati sull’erba vicino al posteggio) con abbondanza e — «sommelíeramente» par­lando — con armonia. Il ritorno a Trieste risulta una «spavata» (lunga e pesante dor­mita in triestino) per solo tre degli esplora­tori: uno solo deve digerire il tutto pensan­do alla strada, alla macchina, ai genitori degli esploratori ed ai bar per cercare con massicce dosi di caffè di rimanere sveglio fino a casa.
16 MAGGIO – Fabio, con Umbertino a fare sicura, tenta di superare l’ostacolo rap­presentato dalla cascata che si getta dalla sommità del «pozzo a W»; dopo cinque ore circa di arrampicata quasi artificiale raggiun­ge però la sommità di uno stretto camino che solo l’acutezza di Umbertino rende tran­sitabile e via, o quasi, sparati per «la grande galleria».
Io nel frattempo ho reso più sicuro an­cora il livello del «lago-sifone» abbassandolo con strenui sacrifici di altri 40 centimetri (scavando persino una trincea nella banco-nata calcarea). Con duecento metri di rilievo nuovo e con la certezza che tutto continua — e troppo bene — si ritorna fuori all’alba.
30 MAGGIO – La voglia di eliminare al­cuni punti oscuri della grotta ci porta, risa­lendo il primo fondo, ad un penoso striscia-mento in un bigolo soffiante che porta ad un lago. La mancanza di «oggetti direzionali» ci fa credere di essere arrivati, io e Fabio, sotto la cascata di cui all’uscita del 4 maggio (ramo delle marmitte), ma la seguente esplo­razione ci smentirà in pieno. Abbiamo por­tato fino al «lago-sifone» il canotto della famiglia Cova, ma il pensiero di rimetterlo a viva forza nel sacco di nuovo ci fa rinun­ciare ed addio fotografie del «pozzo a W» della «grande galleria».
10 GIUGNO – Prime ricerche «bacolo­giche» di Fulvio con posamento di esche (serviranno a sfamare il malcapitato che e­ventualmente restasse bloccato da una piena)
e   prelevamenti di campioni di roccia. Io e Pino tentiamo di rilevare la circonvallazione del 30 maggio, ma il bigolo ci inchioda le carburo e rinunciamo al progetto. Al ritorno verso il ramo principale troviamo un più pratico percorso per arrivare in «galleria a bon» e pure il diverso orientamento della circonvallazione suddetta: non si getta nel lago sotto la «cascata delle marmitte» bensì in quello della «doccia» cioè il «lago lungo». Appena all’aria aperta Pino trova l’ingresso di una bella cavità delle dimensioni 2 metri per 5 circa e Fulvio raccoglie altre leggende sulle grotte della zona.
13 GIUGNO – Dopo quasi un mese che la corda giaceva (anzi pendeva) inutilizzata sull’arrampicata del «pozzo a W» Umbertino e Fabio vanno a rilevare (in poco tempo!! Questo l’ultimatum) i nuovi ambienti che erano stati oggetto di sommaria inquisizione il 16 maggio. Nello stendere il rilievo arri­vano in posti irnmagignifici (tutti da immor­talare) e su di un altro lago-sifone che (vista la rapidità con cui ho abbassato il livello del primo) assicurano si può facilmente ad­domesticare per ulteriori indagini. Vagano per gallerie, bigoli, meandri ecc, che conti­nuano e ci raggiungono puntuali all’ingresso verso le 23.30. Ci raggiungono … infatti Io e Roberto Prelli eravamo andati ad esplo­rare e rilevare la voragine * trovata da Pino pochi giorni prima ed avevamo arricchito il nostro bagaglio, nelle case ospitali di lassù, di ulteriori leggende ed indicazioni idro-to­pografiche sulla zona del Monte Cuar.
24 GIUGNO – Ultima «uscita primave­rile» con Fulvio che raccoglie i frutti appesi alle esche ed io che lavoro di mazza e punta nella «Galleria a bon» ad allargare alcuni imbocchi di cunicoli da cui provengono delle discrete correnti d’aria. Umbertino si reca ancora nella «grande galleria» e continua a rilevare ed esplorare. Nell’aspettare il felice ritorno del mega-rilevatore andiamo a curio­sare nella * Voragine II sopra Casere Gri­gnes ed anche qui raccolti abbondanti per Fulvio. Il pomeriggio inoltrato la 658 Fr ha superato i due chilometri di sviluppo rile­vato (ma ci restano da bere solo i campioni di acqua prelevata per festeggiare l’avveni­mento).
                                                                          Il fanta-relatore Mario B. Trippari
che con Umberto Mikolic, Alessio Miniussi, Fabio Boccali, Livio Kemperle, Fulvio Gasparo e Pino Guidi ha calcato i chilometri della Risorgiva d’Eolo, sperando (e forse es­sendo convinto) che quello finora rilevato sia la metà di quello che c’è da esplorare ancora.