Franco Florit

FRANCO FLORIT (1944 – 2021)

 La sua attività nel ‘secolo breve’

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Franco Florit aveva iniziato ad andare in grotta nel 1960, sedicenne, con il G.S.C.T – Gruppo Speleologico Carso Triestino, spe­cializzandosi ben presto nella scoperta ed apertura di nuove grotte: nei primi mesi del 1961 con il Gruppo apre quella che si può considerare la sua prima cavità, il Pozzo delle Lame VG 4081, scherzosamente ribattezzata, nell’ambiente grottistico di allora, “Grotta Floritova”.

La sua attività con il G.S.C.T. proseguirà per alcuni anni, anni in cui farà saltuariamente attività pure con il G.E.S.T. – Gruppo Escursionisti Speleologi Triestini (luglio 1961: Abisso Zulla VG 3873 e Grotta di Trebiciano VG 17). Negli anni 1963-1964 sarà attivo con il G.S.T. – Gruppo Speleologico Triestino – gruppo con cui riesce a forzare il passaggio che trasformerà la Fessura del Vento da insignificante buchetto soffiante nella più interessante grotta scoperta in quegli anni. Quindi, con buona parte dei ragazzi del G.S.T., nel 1964 passa alla Sezione Geospeleologica della S.A.S. – Società Adriatica di Scienze, ove si distinguerà soprattutto per aver ripreso con determinazione gli scavi al Pozzo del Monte Franco ovvero Grotta del Presidente VG 3224, iniziati da Carlo Finocchiaro e Luciano Medeot alla fine degli anni ’30 e poi ritentati dalla Commissione Grotte negli anni ‘50.

Infatti Franco Florit, pur essendo laureato in geologia (al pari di altri  grottisti triestini attivi in quel periodo), non ha mai voluto essere uno speleologo che si dedicava allo studio del fenomeno carsi­co, ma un grottista che puntava tutta la sua energia e la sua esperienza nella ricerca di nuove grotte e di nuovi ambienti in quelle già conosciute. Ambito in cui si può dire, sen­za tema di smentita, che eccelleva ed in cui, per meglio procedere in queste ricerche, era diventato ‘fuochino’ regolarmente patentato ed esperto in esplosivi. Nel 1965 approdava alla Società Alpina delle Giulie, nella cui Commissione Grotte entrerà poco dopo rimanendovi, salvo un in­tervallo fra gli anni ’70 e ’90, sino alla morte. Con la Commissione parteciperà anche a spedizioni sul Canin, esplorando ad esem­pio un bel pozzo di una cinquantina di metri presso il Gortani Fr 724, ma il suo campo d’azione era il Carso, territorio che lo ha vi­sto presente in tutte le campagne di scavo organizzate dalla stessa: 1966/67 Dolina dei sette nani, 1967 ancora alla VG 3224, 1969 prima campagna alla Grotta Lazzaro Jerko VG 4737, 1997 Grotta dell’Alce VG 62, per citarne soltanto alcune.

Franco Florit in visita alla Grotta S16 (Socerb) - S 8222. (foto U. Mikolic)
Franco Florit in visita alla Grotta S16 (Socerb) – S 8222.
(foto U. Mikolic)

La fine del ventesimo secolo lo vede im­pegnato nella partecipazione alla lunga cam­pagna di scavi indetta da Luciano Filipas alla Grotta Lazzaro Jerko, VG 4737. Negli anni 1997-1998-1999 la sua abilità nell’organizzare il lavoro – soprattutto nei primi ottan­ta metri dello scavo condotto in una frana che pareva non dovesse finire mai – lo fece diventare il collaboratore ideale dell’anima­tore dell’impresa: il suo modo di imbrigliare i massi pericolanti e metterli in sicurezza è stato alla fine oggetto di una sua relazione tecnica sulla rivista Progressione. Nel secolo attuale i suoi interessi si al­largano considerando anche le opportunità speleologiche che si presentavano nella vici­na repubblica di Slovenia. Ma non solo agli scavi rimane legato il suo nome. Oltre ad una decina di articoli, tutti di carattere tecnico e legati ai suoi scavi ed alle sue scoperte, ci ha lasciato comples­sivamente una quarantina di rilievi, tra nuo­ve cavità e aggiornamenti, sia in Italia che in Slovenia. Senza dimenticare la sua idea di impiegare “l’aria forzata” per individuare le prosecuzioni nelle grotte, idea poi sviluppata con successo da Giuliano Zanini.

Pino Guidi

 

RICORDANDO GLI ULTIMI ANNI DI ATTIVITÀ DI FRANCO FLORIT

Ben lungi dall’essere in grado di delinea­re pienamente la figura di un grande speleologo quale è stato Franco Florit e di descri­vere l’attività nel corso della sua intera vita, desidero qui ricordare le molte grotte fatte assieme nell’ultimo ventennio della sua vita spelelogica. Mi avvicinai a Franco verso la fine dell’immane lavoro di scavo che lo vide impegnato alla Lazzaro Jerko, richiamato a tale impresa da Luciano Filipas. Ricordo una delle prime uscite nel 1998, quando con l’amico Willy decise di fare qualche ul­teriore indagine nel Pozzo del Monte Fran­co VG 3224, cavità nella quale in passato, operando nell’ambito della SAS, intraprese innumerevoli uscite per raggiungere una sa­letta finale, dove potei ammirare la mirabile impalcatura di tubi che venne edificata per reggere una frana nella quale spariva tutta l’aria che per tanto tempo si era inseguita. Franco è sempre stata persona silenziosa e alquanto riservata, che mi ispirava rispetto e ammirazione per le diverse imprese nel­le quali si era cimentato fin dall’inizio degli anni ’60. Entusiasta inseguitore di correnti d’aria, appassionato di chimica di esplosivi e fuochino anche di professione, espertis­simo di scavi, un po’ meno di altre attività come armo dei pozzi o lavori di rilevamento, ai quali però al caso non si sottraeva, tro­vammo pian piano comunione di intenti e iniziammo un’attività esplorativa sia in regio­ne che nella vicina Slovenia. Una zona da lui prediletta era quella del Monte Lanaro.

Esplorando una galleria laterale della Grotta Fusco VG 1923. (foto U. Mikolic)

Non ebbi la fortuna di essergli accanto quando esplorò l’Abisso di Nivize VG 6246, ma par­tecipai alle uscite in cui venne aperta la pro­secuzione alla Grotta a Sud della Vetta Gran­de VG 4677 raggiungendo la profondità di m 132 con una serie di pozzi dalla tipica mor­fologia “a cascata”, cosa piuttosto rara da trovare in Carso. Minuziose battute di zona da lui effettuate ci permisero di esplorare il Pozzo 4° presso Nivize VG 6375, il Pozzo 3° sul Monte Lanaro VG 6360, II Pozzo a S del Monte Voistri VG 6487. Nella Grotta del Pic­colo Lanaro VG 5529 venne aperto lo stret­to pozzo finale. Sul lato sloveno il Brezno med Ostrim im vrhom in Volnikom S 9385, la Jama pod Jarovco S 6151, il Ponikve pod Jarovco S 10428.

Ricordo una piccola disav­ventura vissuta quasi in cima alla Vetta Gran­de. Forai una gomma della mia Panda e mi accorsi che stupidamente tenevo la gomma di scorta pressoché sgonfia. Franco non mi lasciò senza risolvere il problema, mi aiutò a portare la gomma a gonfiare e ritornammo a rimontarla, concludendo la gita in tarda se­rata. Un grande lavoro di scavo che intrapre­se fu quello alla Grotta sul Colle Pauliano VG 1145, dove si mise con perseveran­za ad inseguire la forte corrente d’aria che era presente sul fondo, abbandonando tale l’impresa qualche anno successivo, dopo aver raggiunto un tratto estremamente fangoso e aver constatato che l’aria, almeno in parte era sicuramente quella che circolava anche nella vicina Grotta Marcella VG 840. Pure alla VG 12 venne attirato dal mistero dell’aria che qui, a differenza di altre grotte, viene sempre aspirata in modo continua­tivo. Grazie alla sua opera, venne aperto un cunicolo laterale poco prima del fondo, fino alla base di un camino nel quale spa­risce tutta l’aria. Il lavoro di impalcatura in­trapreso ebbe scarso successo in quanto una grande quantità di argilla, da asportare scavando dal basso verso l’alto, fece passar la voglia di continuare. Franco venne attirato anche da una grotta che di aria invece ne ha molto poca, ovvero la Grotta a N di Rupinpiccolo VG 4220. Si trattava di aprire ed esplorare un pozzo di una ventina di metri individuato sul fondo da Tullio Piemontese. Mentre riempivo dei secchi per passarli a Franco, mi resi conto che stavo andando in affanno. Iniziai a risalire l’attuale pozzetto fi­nale e dopo aver imboccato il soprastante cunicolo persi i sensi. Dopo qualche minuto rinvenii e Franco mi tranquillizzò dicendomi che in ogni caso avrebbe fatto di tutto per farmi guadagnare la superficie. Un succes­sivo tentativo da lui effettuato quattro mesi dopo ebbe pure scarso successo, sempre per mancanza di ossigeno, e il pozzo miste­rioso aspetta ancora di essere sceso.

Scendendo nel Pozzo a SE di Carnizza VG 1087. . (foto U. Mikolic)

Varia l’attività svolta assieme anche in Slovenia. Alla Grotta presso Sesana – Pivkanova Jama VG 370 con lavoro di scavo venne aperto un nuovo ramo e si provvide a rilevare per intero la cavità scendendo pure dall’ingresso alto, non segnato nel rilievo sloveno. Venne rifatto il rilievo della Grotta presso Corgnale – Golo-bivnica VG 2777, del Pozzo a SE di Carnizza – Cesarjeva jama VG 1087 , del Pozzo pres­so la casa di caccia a sud del Suhi Vrh – Se-lovec VG 1323, del Pozzo fra Occisla e Ca-stelliere – Brezno pri Skrlovici VG 255 (bellis­sima grotta), del Pozzo di Petrigne – Brezno na Petrinjskem krasu VG 306, dell’Abisso di Croce di Tomadio – Nova jama VG 3418 e della Grotta di Elsane o Grotta Frusco – Marnena jama VG 1923. In quest’ultima cavità abbiamo avuto la fortuna, visto il periodo di estrema siccità, di poter affrontare anche la discesa del pozzo interno nel quale di solito precipita una cascata (esplorazione effet­tuata negli anni ’30 da Ermanno Ferletti, ma mai ripetuta dagli sloveni). Con brevi lavori di scavo vennero aperti ed esplorati la Jama pri Povzane S 9645, la Jama 2 v Selih S 9646, il Dolenjski Spodmol S 10419. In Friuli nella Voragine del Prato Grande FR 26 si provvide a raggiungere una nuova finestra che portò ad un nuovo pozzetto. Ancora in Carso un breve lavoro di scavo permise di effettuare il collegamento tra l’Abisso dei due cercato­ri VG 3895 con il Pozzo presso l’Abisso dei due cercatori VG 4938 e di aprire la Grotta presso Padriciano VG 6437. Talvolta dialogando con lui cercavo ogni tanto di carpirgli qualche notizia inerente l’attività fatta in gioventù. Mi raccontò che all’inizio della sua vita speleologica si era ag­gregato al gruppetto di ragazzini che gravi­tava intorno alla figura di Romano Ambroso,ma esplorando un nuovo pozzo i suoi com­pagni ebbero la pessima idea di chiudere la cavità con dei massi, mentre lui lo stava esplorando. Lo scherzo a Franco non piac­que affatto e si allontanò da tale gruppetto, evidentemente mal capeggiato dal Romano stesso. Un’altra volta mi disse che si era appassionato dei soffi timavici della Dolina dei 7 nani e mi raccontò di aver intrapreso uno scavo su un lato del fondo piatto di tale dolina. Sceso un pozzetto, venne aperto un cunicolo che portava verso il centro della dolina stessa, ma poi il proprietario del fon­do impedì il proseguimento dei lavori e col passar del tempo tutto crollò. Sapevo che aveva avuto la fortuna di entrare per primo nella Fessura del Vento, ma evitava di par­larne, consapevole che altri si erano adope­rati con non pochi sforzi per aprirla e non voleva assolutamente prendersi dei meriti inappropriati.

Concluderei dicendo che è sempre stato una persona buona e piutto­sto silenziosa, instancabile ed espertissimo scavatore di grotte, impegnato in imprese talvolta colossali, lasciando tranquillamente, in caso di esiti positivi, la possibilità ad altri di procedere “per primi”.

Umberto Mikolic

Bibliografia di FRANCO FLORIT

  •  1998 – Lazzaro Jerko: alba o tramonto?, Pro­gressione 38, 21 (1): 5-6
  •  Le frane in grotta. Un problema risolvibile, Progressione 46: 36-42
  • Supernova. Ognuno trova ciò che merita, Progressione 44: 11-12
  •  Nuovo abisso nel selvaggio Nord-Est, Progressione 46: 9 2002 –
  • Nell’incanto della Supernova, Pro­gressione 47: 29-31 2002
  • Si sa quando si comincia … (ovvero una nuova campagna di scavi), Progres­sione 47: 58-59 2003              -Dodici, Progressione 48: 17-18 2006
  • Una storia acustica, Progressione 53:26 2011 –
  • Dolina dei sette nani e arie timaviche, Progressione 28: 157-158

FRANCO FLORIT Necrologi e ricordi

  • Semeraro R., 2021: Franco Fiorit, speleologo nella scia della tradizione triestina, se n’è andato: sprazzi di ricordi, Sopra e sotto il Carso, Gorizia feb. 2021: 53-54
  • Elio (Padovan), 2021: Franco Florit, www.boegan.it

Ricordi di Elio PADOVAN

Conobbi Franco Florit alle otto e trenta del mattino di una domenica del 1963, sul retro della PD, la corriera che portava da piazza Oberdan ad Aurisina, sul Carso. Con Willy Bole salii in Gretta e Franco stava stravaccato, con aria beata, su un mucchio di zaini, scale e corde e, soprattutto, due ragazze bellissime. Nei film sui trafficanti di droga si vede spesso il giovane capo in una posa simile. Mi colpì. Noi andavamo alla grotta Verde, a Gabrovizza, ad inaugurare la nostra prima scaletta da grotta che Adriano Guardiani ed io avevamo costruito con cavi di acciaio e freschi rami di acacia, tagliati in bosco. Franco ci invitò ad unirci a loro in questa che era la seconda uscita, quella per il fondo dell’abisso dei Cristalli. Al tempo occorrevano tre domeniche per scendere nell’abisso, una per un prearmo, una per il fondo e una per il recupero dei materiali. Il cordone di manila per la sicura sul pozzo da 140 metri lo recuperammo nascosto presso la ferrovia e lo portammo in due, tanto era pesante. Vista la nostra scaletta da 12 metri nuova fiammante, Franco la usò come prima scala della campata da 140 metri, per sostenere il maggior peso. Andò tutto bene ma al recupero, la domenica successiva, scoprì che i morsetti che fissavano assieme i due cavetti terminali su cui avevano ancorato le scale successive non erano stretti bene e solo del nastro adesivo aveva tenuto il tutto.

Foto Zuffi

Lo rividi al liceo Oberdan, Lui in quinta, io in prima, troppo lontano. Era ricco. L’unico a possedere un’automobile. Praticamente non seppi più niente di Lui finchè, approdato all’Alpina delle Giulie, in giro per grotte con Dario Marini, scoprii che Dario lo considerava il più formidabile competitore nella ricerca di nuove grotte. Poi venne anche Lui all’Alpina e andammo in grotta assieme. Lo incontravo anche all’università dove studiava geologia e sembrava un Figlio dei Fiori. Conobbe Rosanna, che mi apparve da subito straordinariamente intonata a Lui e divenne la compagna per la vita. Franco mi parlava di argomenti esoterici e dell’importanza dell’ectoplasma in termini non fideistici ma strumentali. Questo approccio fantasioso lo ebbe anche con le grotte. La fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta furono anni di grandi cambiamenti. A Trieste Enzo Cozzolino, Grongo per gli amici, fu un innovatore, un capo scuola nell’arrampicata e mostrò un modo nuovo di salire. Franco collaborò all’innovazione della tecnica speleologica su un aspetto particolare: l’allargamento delle strettoie. Un nuovo modo di scendere in grotta. Nessuno prima di Lui aveva adottato sistematicamente questa tecnica nel mondo dei grottisti dilettanti triestini. Divenne la sua passione più caratterizzante che lo portò a realizzare strumenti allora introvabili sul mercato. Ovviamente l’esperienza accrebbe nel tempo. Tanti anni fa, all’abisso Carlini, avevo trovato un pozzetto, laterale a quello del fondo, alla cui base una fessura impraticabile portava ad un altro pozzo di quattro o cinque metri, abbastanza largo. Saliva un po’ d’aria per cui ci ritornai con Franco per allargare. Ritornammo sul fondo del Carlini la domenica successiva ma non trovammo più il posto.

Sia pur con pause più o meno lunghe, Franco ha continuato tutta la vita ad andare in grotta. Lo ricordo bloccato da una piena all’abisso Gortani in Canin, o a scavare con Willy Bole e Ciano Filipas alla Lazzaro, o con me e i miei colleghi di lavoro all’abisso di Opicina Campagna, o al Colle Pauliano, o alla Plutone che gli insegno le nuove tecniche in corda, difficili da apprendere ad una certa età e Franco aveva cinque anni più di me … Ma Franco aveva il carattere giusto per un grottista. Sempre calmo e imperturbabile, se interrogato in un momento di difficoltà diceva : “Son nela merda” e concludeva con un risolino che smentiva le parole e tranquillizzava.