Cenni sulla preistoria di Sicilia: le isole Egadi
Pubblicato sul n. 63 di Progressione anno 2016
Nei brevi voli utilizzati per raggiungere Sciacca, e le relative esplorazioni speleologiche al complesso del Monte Cronio, la curiosità che mi induceva sbirciare, come fanno i ragazzini, al momento dell’avvicinamento ed atterraggio all’aeroporto di Birgi (Trapani) dal finestrino, mi fece notare enigmatici frammenti di terra galleggianti nel mare, avvolti dalle onde e dal mistero. Forse una certa nostalgia o “Mal di Sicilia” mi ha spronato un’altra volta, complice Nicoletta, mia moglie, ed un nostro anniversari, a scoprire i misteri di questi preziosi territori marini, ricchi di fascino, di storia e bellezza: le Egadi, isole dense di storia alcuni aspetti delle quali ritengo non disutile illustrare ai lettori di Progressione. Per le informazioni archeologiche contenute in questo articolo ringrazio il dott. Sebastiano Tusa della Soprintendenza del Mare, Regione Siciliana che con squisita cortesia mi ha favorito le bozze di un suo lavoro in fieri e rivisto la parte archeologica del presente scritto.
Le isole Egadi
L’arcipelago delle Egadi fa parte della piattaforma continentale della Sicilia occidentale, di cui condivide in gran parte la geologia. Le isole di Favignana, di Levanzo e di Marettimo sono formate da calcare e calcareniti, caratterizzati da forme erosive testimonianti le variazioni del livello marino: 10.000 anni fa la linea di costa era all’incirca 47 metri più bassa e sia Favignana che Levanzo erano unite alla Sicilia costituendone il promontorio più occidentale. Più tardi, nel neolitico, il mare si era alzato di alcune decine di metri per cui Levanzo divenne un’isola mentre Favignana restò ancora unita alla Sicilia attraverso un sottile istmo.
Uno sviluppato fenomeno carsico interessa tutto l’arcipelago e le sue grotte sono un’importante presenza nel paesaggio della fascia costiera. Molti sono gli insediamenti in grotta, databili tra la fine del paleolitico superiore ed il neolitico, anche se alcune cavità non presentano depositi archeologici integri in quanto distrutti per effetto dell’erosione naturale o di recenti interventi antropici.
Favignana
Favignana è l’isola principale delle Egadi: ha una superficie di circa 19 kmq ricca di insenature e grotte, i suoi monti più alti sono il S. Caterina (m 314), la Punta della Campana (m 296) e la Punta Grossa (m 252). Mentre la presenza umana risale al Paleolitico superiore, con tracce di insediamenti nelle grotte del Faraglione e nella grotta d’Oriente, venne abitata dall’ottavo al terzo secolo a.C. dai fenici, a cui seguirono i Romani, i Vandali, i Goti, i Normanni per giungere nel secolo XVI ai Borboni, da cui fu utilizzata come prigione o sede di confino. Favignana e pure il nome della cittadina più importante, sviluppata su un’insenatura naturale, ha la sua maggior risorsa nelle tonnare (Antiquarium).Fin dai tempi della dominazione romana Favignana è stata sede estrattiva del tufo bianco conchigliare, impropriamente detto tufo in quanto non di origine vulcanica ma calcarenite, roccia sedimentaria formata da particelle calcaree delle dimensioni della sabbia di diametro molto fine con intrusioni di origine biologica, frammenti di gusci di molluschi, alghe o foraminiferi. Il tufo fu per secoli, insieme con la pesca, fonte primaria di guadagno per la popolazione con cave erano a cielo aperto o con gallerie scavate al fine di raggiungere il materiale più pregiato per compattezza e grana. L’avvento di nuovi materiali edili per la costruzione ha segnato il declino di questa attività che però la lasciato traccia, particolarmente nella parte orientale dell’isola, in particolari fossati, baratri caverne e grotte oggi trasformate, da privati cittadini, in particolari e suggestivi orti, giardini e abitazioni. Sono tipici nell’area est dell’isola i moltissimi “giardini ipogei”, curati e coltivati all’interno delle dismesse cave di tufo.
Nei pressi di alcune di queste cave abbandonate, veri gioielli di archeologia industriale meritevoli di una maggior attenzione e salvaguardia, sono rimaste delle cavità o ipogei artificiali, dei piccoli, grandi monumenti all’uomo, alla sua laboriosità, caparbietà, necessità e fatica, dei monumenti sicuramente da tutelare. Suggestiva, affacciata al mare, è la Grotta del Bue Marino sull’estremo lato orientale dell’isola, vero mausoleo sotterraneo posto a pochi metri dal mare.
Levanzo
E’ la più piccola delle tre Egadi – pochi chilometri quadrati di superficie – e la più settentrionale delle stesse. Anche se non molto ampia si caratterizza per la presenza del suo Pizzo Monaco, una collina dalle pareti molto erte si eleva per ben 278 metri. L’isola, frazione di Favignana al cui comune appartiene amministrativamente, deve la sua notorietà soprattutto per la Grotta del Genovese, sede di un insediamento preistorico che risale al paleolitico.
Alcuni cenni archeologici –A) La Grotta d’Oriente a Favignana
La Grotta d’Oriente si affaccia a picco sul mare; a sinistra si apre un basso e piccolo cunicolo a sezione grosso modo rettangolare (scavi del 2005 MARTINI) a destra si sviluppa per alcune decine di metri in profondità con un’ampia e alta galleria; un potente cono detritico di età storica sigilla il deposito archeologico. L’interesse paletnologico della grotta risale al 1969; alcuni sondaggi effettuati nel 1972 misero in evidenza depositi di epoca medievale e preistorica. In quest’ultimo settore vennero individuate due sepolture ad inumazione, denominate Oriente A e Oriente B, rispettivamente riferibili alla fine del Paleolitico e al Mesolitico. Le indagini archeologiche condotte da Fabio Martini nel 2005 hanno permesso di ricostruire dettagliatamente la sequenza della frequentazione umana della caverna, dal Paleolitico superiore finale (ca. 12.000 b.p.) e la fase di insediamento delle comunità neolitiche di pastori e agricoltori (ca. 7000 b.p.). Fu pure messa in luce una terza sepoltura (inumato in fossa), relativa ad uno dei livelli del Paleolitico Superiore (Epigravettiano). Nel Paleolitico superiore l’industria litica è caratterizzata principalmente da grattatoi, bulini, strumenti a dorso e geometrici. Tra gli strumenti a dorso sono presenti le punte a dorso convesso, anche di grossa taglia, che sono un elemento tipico della cultura Epigravettiana siciliana. Altro elemento significativo è la presenza di armature di forma triangolare (geometrici) di dimensioni ridotte. Questi utensili venivano inseriti in un asta lignea per realizzare armi da getto da utilizzare nelle battute di caccia. Lo strumentario litico era composto inoltre da numerosi utensili meno specializzati come le troncature, i raschiatoi sia su lama che su scheggia, i denticolati. La sepoltura Oriente C si riferisce ad un individuo, probabilmente di sesso femminile, con caratteri anatomici robusti. Essi sembrano collegati non solo al tipo fisico ma potrebbero essere la conseguenza di attività lavorative particolarmente impegnative e gravose.
Alcuni cenni archeologici –A) La Grotta di Cala del Genovese a Levanzo
L’interesse paletnologico della grotta risale al 1891, quando l’eclettico Giglioli, costretto da un fortunale ad un approdo di fortuna, esplorò l’isola e dando successivamente comunicazione della presenza di questa e di altre grotte ricche di resti paletnologici.
Nel 1949 la scoperta delle incisioni e pitture all’interno della Grotta di Cala del Genovese, ad opera di una pittrice fiorentina Francesca Minellono, indusse il Graziosi ad esplorare la grotta e a fare il punto, l’anno seguente, sullo stato delle raffigurazioni e pitture rupestri della grotta. Queste nuove conoscenze stimolarono ulteriori indagini: Jole Bovio Marconi condusse una prima campagna di scavi (1951 Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale), nuovamente il Graziosi che nel 1953 portò alla identificazione della sequenza stratigrafica principale ed alla datazione del complesso figurativo e alla scoperta di un blocco calcareo con un bovide inciso schematicamente all’interno dello strato 3 e cioè corrispondente a all’Epigravettiano final).
Gli ultimi scavi, (TUSA 2005, Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani) hanno avuto esito positivo dal punto di vista stratigrafico soltanto con il saggio C, posizionato nel talus su di una piazzola dell’antegrotta adiacente ad un avvallamento residuo del sondaggio effettuato nel 1950 da Jole Bovio Marconi. Con le indagini recenti è stata accertata l’assenza di un livello con ceramiche neolitiche corrispondente nella stratigrafia del Graziosi; ciononostante è comunque confermata la simmetria tra i livelli più profondi di questo ultimo scavo e quelli degli anni ‘50. L’esame preliminare dei materiali faunistici, ha accertato che il deposito si formò probabilmente tra la fine del Paleolitico Superiore ed il Mesolitico, e messo in evidenza nella stratigrafia più antica la povertà di reperti ossei appartenenti a mammiferi selvatici, buona parte dei quali sono attribuibili al cervo (Cervus elaphus, Epigravettiano Finale). Più numerosi sono invece i reperti di malacofauna. Tra questi i più comuni sono di molluschi del mesolitorale delle coste rocciose (tra i quali numerosa è la Patella ferruginea).
Louis Torelli