Stufe di S.Calogero

 

RELAZIONE DELLA SPEDIZIONE ALLE STUFE DI SAN CALOGERO DAL 15 AL 20 NOVEMBRE 2011

Sosta nel dopo grotta alle “Stufe” (foto G. Badino)

Pubblicato sul n. 58 di Progressione anno 2012
Nuove scoperte archeologiche nelle grotte vaporose di Sciacca in Sicilia e par­tecipazione al primo convegno archeologico di Sciacca in memoria di Santo Tinè, socio onorario della C.G.E.B.
La Commissione Grotte “Eugenio Boegan” di Trieste è tornata nella settimana tra il 15 ed il 20 novembre nel complesso termale di Sciacca, provincia di Agrigento, dove si aprono le famose grotte vaporose del Monte Kronio, conosciute e adibite fin dal I sec. a.C. quali salutari stazioni terapeu-tiche. Scopo della discesa in Sicilia è stata la partecipazione ai lavori del “I Convegno di Archeologia di Sciacca, incontro di studi preistorici in memoria di Santo Tinè”, tenutosi nelle giornate del 18 e 19 dello stesso mese.
Al convegno sono stati presentati una trentina di lavori riguardanti l’archeologia ipogea, i santuari eneolitici, i siti con i pseu­do-dolmen siciliani, architetture funerarie e domestiche e molti altri interventi anche su scavi importanti dell’area agrigentina e nel siracusano.
La Commissione Grotte E. Boegan ed il team italiano “La Venta Esplorazioni” (gruppo che ha illustrato al mondo le meraviglie di Nai-ca, la Grotta dei Cristalli), hanno presentato l’ambizioso “Progetto Kronio”; i due presidenti Louis Torelli e Giovanni Badino, e la nostra Betty Stenner, con un’ora abbondante di spiegazioni (anche attraverso un’esauriente resoconto della storia esplorativa del Kronio, utilizzando immagini, schemi grafici e video) hanno spiegato al pubblico presente in sala le varie fasi e la struttura principale dell’ampio e corposo progetto di ricerca multidisciplinare in cui rientrano pure lo sviluppo e la fruizione turistica delle grotte termali di Sciacca. Infatti le grotte vaporose che si aprono presso lo stabilimento termale del Monte Kronio; le esplorazioni moderne sono iniziate nel 1942 proprio ad opera della Commissione Grotte E. Boegan e portate avanti in 12 spedizioni successive, sono un unicum al mondo: nulla ancora si conosce della biochimica interna delle grotte, della microbiologia, della fauna ipogea, delle mineralizzazioni presenti, della fonte profonda del flusso vaporoso che ininterrottamente sgorga dalle profondità a 37/38° gradi di temperatura e ad un’umidità del 100%.
Ma soprattutto le grotte sono una incredibile stazione archeologica risalente al periodo dell’età neolitica, con al suo interno decine di enormi vasi intatti, ipoteticamente portati all’interno in un’epoca di 4000 anni fa per compiere, si ipotizza, dei rituali religiosi. Quindi le grotte usate come antichissimi santuari. Ai vasi sono affiancati resti umani, risalenti ad epoche remote, che attendono ancora di essere studiati, capiti e valorizzati. Proprio l’ambiente infernale delle grotte e il fatto che i reperti si trovino a 50 metri di profondità, e separati dalla superfice da una verticale, hanno protetto tali resti da visite di tombaroli e depredatori di antichità e li hanno conservati intatti sino ai giorni nostri. Il “Progetto Kronio”, quindi, sarà un’ambizio­sa e multidisciplinare sfida sia di carattere tecnico-esplorativo, sia di eccellenza scien­tifica nel settore degli studi legati a materie quali archeologia, fisiologia umana, antro­pologia, geofisica, vulcanologia, per citare solo alcuni dei temi. Nei giorni a disposizione in Sicilia sono stati sviluppati interessanti e importanti contatti con la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento, nella persona del Soprintendente dott. Arch. Pietro Meli, e con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, nella persona dl direttore della Sezione di Palermo dott. Rocco Favara, con l’Assessore Regionale dei Beni Culturali della Sicilia, dott. Missineo, con l’Istituto Italiano di Archeologia Sperimentale di Genova, con l’assessore al Turismo del Comune di Sciacca dott. Michele Ferrara e soprattutto con il dott. Vincenzo Tinè, figlio di Santo Tinè ed attuale Soprintendente ai Beni Archeologici della regione Veneto; tutti questi contatti sono stati complementari allo sviluppo a più mani del “Progetto Kronio” ed al suo finanziamento.
Nei giorni liberi, oltre ad accompagnare una archeologa funzionaria del ministero, la dott.ssa Domenica Gullì, presso le stazioni ipogee ove si trovano i reperti, dotandola di attrezzature all’avanguardia per il movimen­to in ambienti caldi quali autorespiratori a ghiaccio e jacket refrigerati, ed accompa­gnare il dott. Antonio Caracausi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Palermo presso il sistema ipogeo della Grotta Cucchiara ove sono stati effettuati dei campionamenti dell’aria, sono state portate avanti le esplorazioni speleo nella “Grotta del Lebbroso”, cavità anch’essa interessata dal flusso caldo vaporoso. In condizioni estreme, difficilmente ripetibili, Spartaco Savio e Riccardo Corazzi hanno esplorato e topografato nuove parti della cavità scoprendo un altro deposito di reperti archeologici, probabilmente risalenti anch’es­si alla presunta fase eneolitica (4000 a.C.).
Le esplorazioni sono però state sospese per le critiche condizioni ambientali, nonostante le evidenti prosecuzioni scoperte: solo una prossima futura spedizione dotata di ampi mezzi per la sopravivenza in tali ambienti potrà portare a nuovi sviluppi la conoscenza dell’ampio bacino carsico termale, associato a nuove scoperte archeologiche e paleonto-logiche. Per la Commissione Grotte “Eugenio Boegan” di Trieste hanno partecipato Louis Torelli, Lucio Comello, Riccardo Corazzi, Spartaco Savio ed Elisabetta Stenner mentre per il team “La Venta” sono scesi in Sicilia Giovanni Badino, Francesco Lo Mastro e Giuseppe Savino.

DIARIO

15/11 – Viaggio TS-NA-CA, partono Torelli, Savio, Comello, Corazzi.
16/11 – Stufe: discesa in Bellitti fino ai primi vasi, dopo mezz’ora di ambien­tamento, a varie riprese: Domenica (Nuccia) Gullì, Torelli, Badino, Savino, Lo Mastro, Savio, Comello, Corazzi. Al pomeriggio in grotta del Lebbroso, armato il pozzo, e rifatta poligonale fino alla verticale. Rilevate le tempe­rature interne, Torelli, Savio, Comello, Corazzi. La Venta ha un incontro con lo sponsor “Rocco Forte Hotels”.
17/11 – Prove di installazione e collaudo tenda Ferrino raffreddata con un condizionatore elettrico nelle Stufe – Antro di Dedalo; la tenda tende a “risucchiarsi” causa una depressione provocata dal condizionatore che raffredda ma aspira l’aria interna della tenda, la temperatura condizionata a regime oscilla tra i 27° e 32° e chia­ramente l’aria risulta più secca. Viene accompagnata una rappresentante dello sponsor Rocco Forte Hotels in galleria Bellitti presso i primi vasi. Hanno partecipato tutti: CGEB e La Venta. Il pomeriggio campionatura dell’aria assieme ad Antonio e Rocco, in grotta Cucchiara; presi campioni preso il pozzo Trieste – Palanchino, presso la Caverna delle Croste – Via dei Furbi, Quattro Stagioni – Orlo del Comandante, ed ingresso.
18/11 – Inizio convegno, presentazione del Progetto Kronio: relazione, storia delle esplorazioni, fasi operative e di svilup­po dei progetto (Torelli – Badino).
19/11 – Presentazione del Progetto Kronio (Stenner): adattamenti biochimici degli operatori speleo-archeologici nelle Stufe. Visita ai vasi – Bellitti e poligonale delle scale fisse. Pomerig­gio visita alla Cucchiara e poligonale esterna dall’ingresso del Lebbroso (individuato possibile ingresso esterno galleria nuova).
20/11 – Rientro a Trieste
                                                                                    Louis Torelli-Riccardo Corazzi

QUARANT’ANNI DI RICERCHE NELLA TRINACRIA

Medeot nel 1942

Pubblicato su PROGRESSIONE 100  – Anno 1983
Indubbiamente l’attività più notevole della nostra Commissione in Sicilia è data dalle varie e ripetute esplorazioni nelle Stufe di S. Calo­gero sul Monte Kronio di Sciacca, per le particolari tecniche impiegato che sono a tutt’oggi uniche nella storia della speleologia.
Le Stufe di S. Calogero costituiscono un importante complesso speleo-termale che accoppia ad un eccezionale fenomeno geo-termi­co un importantissimo monumento della prei­storia siciliana. La cavità infatti da noi esplorata anche se solo parzialmente e sino a 200 metri di profondità (il complesso è quasi certamente il più profondo dell’Isola), è interessato da un flusso di aria vaporosa con temperature varia­bili tra i 37° e i 39° e per tale ragione, da millenni, la zona dell’imboccatura è stata utilizzata a scopo terapeutico. Nel contempo, nelle gallerie alte, è presente un deposito archeologico, della potenza di oltre 4 m, ricchissimo di reperti che vanno dal primo neolitico (V millennio a.C.) sino all’età del bronzo (II millennio) con sovrap­posto un piccolo strato classico attestante il fatto che in tali epoche la cavità era anche sede di culti; nelle ampie gallerie più profonde (-40 m circa) esiste una necropoli dell’età del bronzo con deposizioni di grandi vasi ancora perfetta­mente in sito.
Notevoli sono le difficoltà di carattere tec­nico da superarsi nelle esplorazioni, dato che l’ambiente non consente, in condizioni normali, la permanenza in fase di lavoro per più di 30-40 minuti, dopodichè l’organismo va incontro ad un collasso per colpo di calore. Tutto ciò venne superato con attrezzature ideate allo scopo, e purtroppo anche molto costose, costituite da speciali tute-scafandro nelle quali viene insufflata aria secca prelevata all’esterno per mezzo di grossi compressori e distribuita nella cavità tramite una rete di tubi di gomma.
Non è qui il caso di dilungarsi su quanto già pubblicato su «Atti e Memorie» e su precedenti «Progressione»; va solo ricordato come questa nostra bella avventura sia dovuta alla tenacia dell’amico Ciano Medeot che dopo aver per primo, nel lontano 1942, in compagnia di Bruno Boegan, iniziato le esplorazioni della cavità riuscì, – dopo 15 anni – a trascinare un gruppo di noi sino alla lontana Sciacca per dare inizio a quella serie di eccezionali, ed uniche tecnicamente, esplorazioni che si ripeterono negli anni 1957 – 1958 – 1962 – 1974 – 1978- 1979 come vere e proprie spedizioni ma che videro, quasi annualmente (fino al 1979), la presenza di Coloni, Redivo o mia per ficcare il naso nei vari buchi del monte o per partecipare a scavi archeologici.
La complessità dei mezzi per consentire un prosieguo delle esplorazioni è tale che ormai necessitano somme ingenti non compatibili con tasche speleologiche per cui è stata necessità fermarci; la nostra speranza è che un giorno (se sarà il caso) sia ancora la nostra Commissione a procedere oltre quota —200.
Pur essendo stato per oltre quarant’anni, di cui trenta in Sicilia, lontano da Trieste, non mi è mai passata la giovanile passione «bucciala» per cui, appena sistematomi nella Sicilia sud-orientale, con grande stupore dei locali, ho cominciato a ficcarmi sotto terra nei vari buchi e buchetti della zona accompagnato da un gio­vanotto (oggi prof. Tiné, paletnologo dell’Uni­versità di Genova); per prima cosa ci siamo imbattuti in grotte che se anche non presenta­vano grande interesse speleologico contene­vano invece notevoli depositi preistorici con nuove facies culturali accoppiate ad interes­santi materiali di importazione (a dire il vero non mi è stato possibile visitare una grotta in cui non vi fosse del materiale archeologico). Tra le grotte più importanti ricordo la Palornbara, le grotte Chiusazza e Perciata, tutte piuttosto ampie e ricche di materiali nonchè le piccole Spinagallo, con un eccezionale giacimento di resti di elefante nano, e Giovanna con ritrova­menti paleolitici.
La scoperta più importante però è stata la grotta Monello. Per puro caso, in prossimità di Siracusa, in una piccola grotticella contenente una sepoltura preistorica sfondando un diaframma di concrezione, abbiamo trovato un passaggio che ci ha portato in una meravigliosa cavità intatta dalle concrezioni policrome e con morfologie non usuali; complesso abbastanza vasto ed indubbiamente di bellezza non infe­riore alle più famose grotte oggi sfruttate turisti­camente. È stata una dura lotta durata oltre vent’anni per tentare di salvare questo gioiello dai vandali e per convincere le Autorità sulla opportunità di valorizzare la grotta rendendola accessibile al pubblico. Due anni fa ci sono riuscito – almeno in parte – ed ora la grotta Monello è stata acquistata dall’Amministrazio­ne Provinciale che dovrebbe approntare le attrezzature turistiche necessarie. Comunque, personalmente, preferisco ricordarla com’era quando da solo, o con pochi amici, alla dolce luce del carburo mi aggiravo nelle sue silenziose sale per cui credo non vi ritornerò più.
Questa è in breve la storia della nostra presenza in Sicilia, presenza dovuta forse al fatto che un grottologo triestino capitò a viverci e che Medeot non potè scordarsi che nel ’42 a Sciacca gli erano passati i dolori artritici ad un ginocchio; restano alcuni miei rilievi oggi nelle mani degli amici di Catania, molte cose stampate, in giornali e riviste, giuste e sbagliate, attorno alle Stufe e tanta nostalgia nel cuore di quelli che, partiti da Trieste, sono andati a vedersi la Sicilia dal di sotto.
                                                                                                          Giulio Perotti

Ultima, in ordine di tempo, spedizione a Sciacca. Da sinistra, in piedi: l’amico di sempre, doti. A. Politi, G. Coloni, L. Filipas, D. Marini, P. Guidi, A. Diqual, G. Perotti; a terra: G. Bono, N. D’Asaro, N. Rane, M. Gherbaz.

POZZO TRIESTE

Foto di gruppo davanti allo stabilimento delle terme. Da sinistra a destra: Pino Guidi

Pubblicato sul n. 38 di PROGRESSIONE – Anno 1998
Pozzo Trieste
Ogni qualvolta sentivo questo nome, la sua presenza si faceva più vicina, mi appariva l’enorme macchia nera intrisa di caldo vapore, dove le voci lanciate echeggiavano su pareti ed un fondo sconosciuti, avvertivo ancora l’affannoso respiro che avevo provato nel 1984, quando andai a Sciacca per presenziare all’inaugurazione dell’Antiquarium, in rappresentanza della Commissione Grotte. È in quell’occasione che feci la sua conoscenza, affacciato al “palanchino”, ponticello proteso sul baratro, che era servito al temerario Mario Gherbaz per tentarne la discesa, finita quasi tragicamente a causa di un inceppamento del meccanismo di contrappesi da lui ideato.
Ritornai in Sicilia nel 1986, in occasione di un lavoro svolto per la Sovrintendenza di Agrigento. Si trattava di documentare fotograficamente e filmare tutti i vasi ed i maggiori reperti giacenti nelle Stufe di San Calogero, grotta la cui parte superficiale viene da millenni utilizzata per le cure termali, maggior valvola di sfogo dei vapori caldi che provengono dal pozzo Trieste, situato nella parte più interna della grotta Cucchiara. Quando fu quasi terminato il lavoro affidatoci, qualcuno pensò bene di consumare il restante tempo libero per “andare a trovare” il pozzo Trieste e visitare alcuni passaggi che sospettava, a ragione, non accuratamente esplorati da chi ci precedette. Fu così che Louis Torelli e Luciano Filipas, seguendo una modesta corrente d’aria più fresca, superarono dapprima la “caverna delle croste”, trovandosi poi a superare in arrampicata un modesto saltino, quindi una galleria, ancora un pozzo di otto metri, un lungo e ripido scivolo e poi … di nuovo lui, il Trieste, ma quaranta metri più in basso, preceduto da una grande e comoda finestra! Comoda si, perché la prima cosa che attraversò la mente di tutti noi, quando, avvisati della scoperta, accorremmo in massa, fu la reale possibilità di scendere da lì, dove c’era spazio per effettuare tutte le manovre possibili, c’era soprattutto un po’ meno caldo (34°) e quasi la metà di verticale da affrontare. Esplorammo in quell’occasione anche altre gallerie, una delle quali contenente una notevole quantità di guano proveniente dalla numerosa colonia di pipistrelli appesa sul soffitto, nonché una miriade di blatte rosse che alla presenza dei primi esseri umani scappavano impazzite – conduceva ad un altro pozzo. Anche qui era sensibile la presenza di aria più fresca proveniente da sconosciuti punti esterni e, visto che era ormai arrivato l’ultimo giorno di permanenza a Sciacca, decidemmo di azzardare a scenderlo con le tradizionali tecniche speleologiche “miste”, cioè con quello che avevamo: dieci metri di scala, venti di corda da 10 mm e venti da 8 mm. Arrivammo a malapena a porre piede sul vertice di una diramazione composta da due cunicoli in forte discesa, uno dei quali, dopo qualche metro, tornava a riaffacciarsi con uno stretto pertugio sul caldo e nero pozzone, ad un’altezza dal suo fondo stimata con lanci di pietre o meglio, di croste di gesso e calcite, non trovando altro di circa trenta metri, cosa che, facendo i debiti calcoli delle varie profondità raggiunte, lasciava presupporre che il fondo fosse interessato da una ripida china detritica. L’altro cunicolo, interessato dalla corrente di aria più fresca, non fu possibile scenderlo, in mancanza di materiali.

 Pozzo Trieste

La sua citazione dopo la nuova scoperta mi dava ancor più la sensazione di un guanto sbattuto sulla faccia da uno sprezzante cavaliere ferito nell’onore, guanto che avrei voluto raccogliere, ma non avevo ancora scelto lo strumento di sfida. Nulla faceva per alleviare questa mia angoscia l’amico Giulio Perotti che da quarant’anni impegnato sul fronte, mi riferiva costantemente delle novità provenienti dal settore “Eventuali Contributi Spedizioni dalla Pubblica Amministrazione e dalle Terme di Sciacca”, sempre purtroppo negative. Mi dava I’impressione, quando parlavo con lui, di trovarmi davanti ad un nuovo Don Chisciotte, cosciente di esserlo, ma altrettanto sicuro che prima o poi i mulini a vento avrebbero perso la loro partita. Questa sua convinzione mi dava la carica, ritenevo che non era possibile che tanta costanza non potesse essere premiata. Lo affiancai pertanto nella sua battaglia, portando a conoscenza della Commissione Grotte della rilevanza dell’esplorazione della grotta Cucchiara ed in particolare del pozzo Trieste. Feci presente al Consiglio Direttivo che c’era già la disponibilità di un certo importo, ricavato dalla vendita di filmati del precedente lavoro svolto in forma privata, che era giusto chiudere un capitolo aperto ormai da cinquant’anni, che molti soci erano interessati all’esplorazione e…. insomma, ottenni I’OK!
Pozzo Trieste, raccolgo il guanto !
Era ormai l’autunno del 1997 quando chiamai a raccolta le persone che ritenevo adatte a partecipare a questa particolare avventura, dove non era indispensabile possedere nel proprio curriculum almeno un “meno mille”, ma avere una notevole adattabilità all’ambiente caldo ed umido, dove l’equilibrio psico-fisico è di primaria importanza. Con loro, oltreché naturalmente con Giulio Perotti, studiai qual era il sistema più adatto a far scendere le persone sul fondo del pozzo, quali potevano essere le incognite in agguato, quali sistemi di sicurezza attiva e passiva predisporre per una buona riuscita della spedizione. Decidemmo quindi di utilizzare un verricello, o più correttamente un salpa-ancore elettrico mentre, per la permanenza in grotta, la positiva riuscita delle particolari tute adottate nel 1986 tute dotate di diversi tubicini interni traforati che, collegate a manichette stese lungo tutto il percorso della grotta ed a loro volta raccordate ad un compressore posto all’esterno ci fece decidere per la conferma di tale sistema. Il timore inoltre di trovarci impreparati, per la presenza di gas nocivi sul fondo del Trieste, fu superato con l’acquisto di un analizzatore istantaneo Draeger, mentre la stessa ditta si rese disponibile a prestarci gratuitamente, per tutto il periodo della nostra permanenza a Sciacca, due bombole complete di granfacciali a sovrappressione, del genere solitamente utilizzato dai Vigili del Fuoco. Furono inoltre predisposte due tendine ad igloo (gentilmente prestateci dalla ditta Ferrino) dove, nel malaugurato caso di un malore di qualcuno, potessero venir prestate le prime cure in un ambiente reso più vivibile dall’aria più fresca insufflata all’interno. Non restava ora che preparare i vari tasselli, distribuendo i compiti a ciascun partecipante. Non mi dilungherò ad elencare i compiti, più o meno gravosi o le difficoltà incontrate; dirò semplicemente che l’ultimo pezzo (le bombole e l’analizzatore ) arrivarono il giorno prima della partenza! Nel periodo precedente andai assieme a Glavina per qualche giorno a Sciacca per preparare la parte logistica (aiutati da Roberto Butera, Giuseppe Sclafani ed Ignazio Grisafi, abitanti del posto, presentatici dal saccense Giuseppe Bono, a sua volta abitante a Trieste!), consistente nella ricerca in loco (vana) dei tubi per l’aria compressa, dei cavi elettrici (a prestito), del compressore, di un locale a buon prezzo per cenare, di un albergo adatto al nostro modo di vivere (trovammo un residence tutto per noi!). Dovevamo inoltre effettuare una perlustrazione alla grotta Cucchiara per confermare la scelta del posto di manovra e da ultimo ma non per ultimo andare a fare visita al direttore delle Terme, dottor Ambrosetti per avere la conferma della sua offerta di disponibilità al pieno appoggio logistico (?). Andò tutto bene, a parte un traghettamento da Napoli a Palermo dove ” un po’ di mare ” (forza otto, sapemmo poi), come eufemisticamente lo chiamò un marinaio quando, alla partenza, chiedemmo come fosse il tempo al largo, mi mise KO in pochi minuti, riducendo tra l’altro il lavandino della nostra cabina ad una maleodorante acquasantiera. Il duro invece (Glavina) resistette, o forse lo diede a credere.

Sul fondo del pozzo, si nota la statuina di S. Calogero portata da Mario Gherbaz nel 1979 e scartata dall’involucro in quest’ultima spedizione.

28.02.1998, la partenza.

Dopo un centinaio di chilometri incontriamo la nebbia che ci scorta, assieme alla staffetta della polizia, fino a Ferrara. Ci accompagna anche la lentezza esasperata della macchina di Glavina che, dotata di marmitta catalitica arrivata alla fine del suo ciclo vitale, procede ad un’andatura di non più di 80-90 chilometri all’ora. A poco o a niente servono i numerosi fori praticati sulla marmitta, con l’aiuto del trapano a batteria, nella speranza che il motore torni ad espirare. Riusciamo invece a destare la curiosità di un gruppo di turisti giapponesi che incontriamo un paio di volte nelle nostre fermate. Non ricordo se abbiano anche fotografato il disperato Glavu alle prese con trapano e marmitta, ma se in seguito usciranno macchine giapponesi a basso consumo con marmitte traforate, il merito è anche suo. In ogni caso, malgrado una crescente sfiducia da parte di alcuni di arrivare in tempo utile a Napoli, arriviamo al porto ben un’ora prima della partenza, dove ci aspetta, in tutta la sua altezza e con la valigia ai piedi, un paio di metri più sotto, I’inconfondibile Giorgio Coloni. Se il suo bagaglio fosse stato assicurato con lo spago, avrei avuto la netta sensazione di essermi trovato nella Napoli di cinquant’anni fa, di fronte ad uno dei tanti emigranti che cercano, non troppo convinti della decisione presa, il piroscafo che lo porterà oltre oceano. No, Giorgio, per questa volta ti portiamo in Sicilia, a rinfrescare un po’ di ricordi al caldo sole dell’isola!
La traversata, nonostante i tentativi da parte degli “amici”, che conoscevano la storia del mio precedente viaggio, di farmi credere che c’era mare mosso (con ondeggiamenti sincroni del corpo a destra ed a sinistra, in alto ed in basso – stronzi !) procede in tutta tranquillità, anche rassicurato dalla scatoletta di Travelgum, che tengo pronta in tasca. Sbarchiamo quindi a Palermo in perfetto orario e senza problemi di sorta, tranne il solito andamento lento del Glavu. Dopo un veloce merendino a Sferracavallo, ameno paese affacciato sul mare, dove avevo vissuto alcuni anni della mia gioventù, la destinazione prossima è finalmente Sciacca.
La presenza del monte Kronio, con la imponente basilica che lo sovrasta, ci accompagna lungo gli ultimi chilometri di strada, percorsi sopra alti viadotti ed affiancati da distese di oliveti ed agrumeti, divisi da barriere di fichi d’India punteggiati del rosso dei loro frutti, e con la costante presenza di caratteristiche palme da dattero. Poco prima di arrivare noto, fermo nello stesso punto dove lo avevo lasciato, prenotandolo, il compressore che ci servirà per alimentare I’aria delle tute. Sarà pronto? Con questo dubbio arriviamo al residence, finalmente pronti a dare respiro agli ammortizzatori delle macchine, stracariche di attrezzature, ed a levare un po’ di profumo di sigarette, di sudore e del tipico odore di nave, che impregnano la pelle dei pellegrini triestini in viaggio ormai da trenta ore.
Kronio, siamo qui. Le difficoltà iniziano quasi subito: i tubi per l’aria compressa, che dovrebbero essere depositati spediti da Catania presso le Stufe di San Calogero, non sono mai arrivati. Una serie di telefonate alla ditta fornitrice ed alle Terme di Sciacca portano alla conclusione che i tubi sono stati spediti a queste ultime, presso la sede in città, dove però i vari portieri negano di aver ricevuto alcunché. Dopo essere andato di persona ed aver chiesto ad alcuni operai di una ditta di manutenzione ascensori se avessero visto qualcosa, finalmente ci vengono indicati, a non più di una quindicina di metri dalla scrivania del portiere, dei rotoIoni “a vista” e dei cartoni per circa 2-3 metri cubi. Trovati! Resta però l’attesa della risposta del Corpo Forestale alla nostra richiesta di autorizzazione di ingresso con uomini e mezzi nel monte Kronio, dove vige il divieto di accesso per rimboschimento, che non è ancora pervenuta, ed a nulla serve il pronto intervento del Direttore delle Terme. Si decide pertanto di farne a meno, a ragione poiché, tranne una richiesta fattaci non troppo convintamente da una non meglio identificata persona qualificatasi responsabile, non abbiamo avuto altri inconvenienti. Tutto bene sennonchè le Terme ci fanno presente che il Distretto Minerario di Agrigento ha chiesto, per concedere la sua autorizzazione, in quanto responsabile della tutela delle acque sotterranee, un elenco dettagliato delle attrezzature che adopereremo, un curriculum personale di ciascun partecipante alla spedizione, quali saranno le norme che adotteremo per il rispetto della legge 626 (sicurezza sul lavoro). Sarà inoltre indispensabile all’esterno la presenza di un’ambulanza con tanto di medico! Faccio presente che il nostro non è un lavoro ma una spedizione speleologica, dove ognuno è responsabile di se stesso e, non esistendo alcun contratto di lavoro, di conseguenza non possono venire imposte norme legislative di alcun genere. Non avendo comunque avuto alcuna richiesta ufficiale, e fin quando la stessa non arriverà presso la nostra sede in Trieste, noi continuiamo (al nostro ritorno infatti abbiamo trovato la richiesta ufficiale delle Terme, ma ormai….)! Cattive nuove anche per quanto riguarda il compressore, che tarda ad essere consegnato perché in manutenzione (prenotato due mesi prima), ma alla fine arriva proprio nel giorno di necessità d’uso dell’aria compressa. Ci sono infatti volute quattro giornate di lavoro per trasportare tutte le attrezzature all’interno della grotta Cucchiara, compresa la stesura ed il montaggio dei tubi per l’aria e dei cavi elettrici, allacciati direttamente allo stabilimento termale, nonché la messa in opera dei citofoni che, piazzati sul fondo del pozzo Trieste, sul posto di manovra, all’ingresso della grotta Cucchiara e nei pressi del compressore, permetteranno di avere una continua comunicazione tra i vari punti chiave. Terminata la fase di puro facchinaggio, da questo momento in poi i vari partecipanti hanno potuto finalmente applicarsi a svolgere i compiti a loro affidati. La coppia Perotti-Coloni è stata così incaricata al servizio logistico (vettovagliamento, acquisti vari, manovra al compressore, rappresentanza); Guidi e Cova alla ricerca e rilievo di nuove cavità; Crevatin, Torelli, Fabi, Glavina, Bone (sostituito poi da Filipas a causa di un forte attacco al nervo sciatico, che lo ha portato ad un anticipato rientro a Trieste, con successivo ricovero all’ospedale) e Prelli alla manovra; Durnik al compressore ed al generatore d’emergenza e, comunque, di ausilio tecnico per ogni evenienza. Iniziano così i preparativi per il montaggio del verricello, come anche i primi prelievi di campioni di acqua e minerali da parte dell’amico geologo Giuseppe Sclafani, assieme al prof. Hauser ed altri collaboratori dell’università di Palermo, nonché l’esplorazione ed il rilevamento di altre cavità presenti sul Kronio, aiutati in questo dall’ottima conoscenza della zona di Giuseppe Verde, che ci ha disinteressatamente dedicato diverse giornate. Ciò che a cielo aperto risulterebbe molto facile non lo è altrettanto in un ambiente così ostico come la grotta che stiamo affrontando. Riuscire ad essere lucidi per decidere dove fissare il verricello e le varie puleggie, svolgere gli ultimi tubi da fare arrivare sul fondo del pozzo Trieste districandosi tra matasse di corde, cavi elettrici, piattina che inevitabilmente si aggrovigliano proprio quando sei arrivato al limite e, avvolto dall’alito caldo ed umido che il pozzo emana, ti senti lentamente appannare gli occhi ed il pensiero, diventa estremamente difficile. Ogni cosa comunque viene preparata con cura. Tutti i raccordi dei tubi che, a causa della temperatura, erano diventati più morbidi e tendevano a sfilarsi, vengono nuovamente ricontrollati e serrati; i citofoni funzionano perfettamente; trasformatore, raddrizzatore e verricello dimostrano di fare quanto loro richiesto tranne il difetto trascurabile della corda che ogni tanto tende ad accavallarsi sulla puleggia. Rimane l’incognita del rilevatore di gas che abbiamo acquistato per verificare I’eventuale presenza di gas nocivi sul fondo del pozzo (acido solforico): le prove effettuate all’esterno infatti avevano purtroppo accertato che lo stesso tendeva, con valori anche molto elevati, a segnalare acusticamente la presenza di fumo di sigarette, gas di scarico, acetilene e (!) metano di provenienza umana. Lo stesso viene comunque calato acceso accanto al citofono, in modo da poter udire l’eventuale inquietante suono della sua cicalina in caso di presenza di qualsivoglia tipo di gas (cosa che infatti puntualmente accadrà).
La vigilia della tanto attesa discesa al pozzo Trieste viene passata dalla squadra di punta a ritoccare i vari meccanismi, mentre il sottoscritto è destinato assieme a Bosco ad accompagnare il dott. Ambrosetti, assieme ad altri personaggi tra cui il sig. Soldano, giornalista locale, ad una visita alle Stufe di San Calogero. Quella che doveva essere una normale escursione, seppure sempre in un ambiente infernale, per poco non si é trasformata in un dramma .
Dopo avere ammirato i primi vasi esistenti alla galleria Belitti al momento di risalire il sig. Soldano si è sentito mancare, sdraiandosi pericolosamente sulle ripide scale ed entrando in uno stato di semincoscienza. Fortuna ha voluto che tra i molossi presenti l’uni ha voluto che tra i molossi presenti l’unico ad avere un peso più che abbordabile fosse proprio lui. Con il conforto di qualche schiaffo e di tante assicurazioni  (sentite?)che l’uscita era vicinissima, lo trascinai di peso mentre Bosco, salito a svolgere una manichetta d’acqua quanto più vicino era possibile al nostro percorso, ci attese con lo zampillante soccorso liquido che ben presto riprese lo sfortunato visitatore.

08.03.1998. Siamo quindi al dunque

Una settimana di preparativi, controlli, fatiche, con il costante pensiero a cosa avremmo potuto ancora fare per rendere più sicura la discesa, ad evitare tragici epiloghi, ma anche la consapevolezza che ogni partecipante prescelto per quest’avventura avrebbe svolto nel migliore dei modi il compito affidatogli, mi davano alternativamente un senso di paura e di sicurezza. Quando la squadra addetta alla manovra accettò anche il mio aiuto capii di essere stimato per quanto fino a quel momento era stato progettato e messo in opera, anche se buona parte del merito va a Perotti che per anni, tenacemente, mi chiamava a rapporto a casa sua per studiare le soluzioni ottimali di discesa. Eccoci, siamo pronti. Louis è già sul finestrone, allacciato al tubo d’aria che lo accompagnerà fino al fondo, con la bombola di aria compressa Draeger completa di granfacciale. Il sottoscritto è addetto ad accompagnare il tubo, Davide è sporto sul pozzo per leggere i segnali di Louis, Maurizio (Glavu) è alla manovra del verricello, Max ai pulsanti ed al citofono, destinato inoltre a fare da eventuale contrappeso, assieme a me, per la manovra d’emergenza, Bosco sopra al P. 10, Mario all’ingresso della Cucchiara al secondo ci-tofono, Pino, Fufo, Perotti e Coloni al compressore ed al generatore d’emergenza.

  Ore 12.53: inizia la discesa

In un silenzio colmo di tensione, dove anche il rumoroso sibilo dell’aria di raffreddamento viene zittito da un filtro naturale delle orecchie, rivolte soltanto a recepire i messaggi che Davide ci comunicherà, Louis scompare alla nostra vista, mentre la matassa della corda, che vorrei vedere presto priva di peso, ci dà, con il suo progressivo assottigliarsi, una sommaria valutazione di quanto manca al fondo. Nel vigile accompagnare il tubo dell’aria nell’immane vuoto, i miei pensieri si uniscono a quelli di Louis, in quel momento vedo quasi con i suoi occhi e colgo le sue preoccupazioni. Ormai dovrebbe essere quasi fatta ed invece … Ferma! Tira su! La voce di Davide mi riporta istintivamente all’episodio del 1979, un fatto che non ho vissuto personalmente ma che mi ha sempre accompagnato nelle mie esperienze speleologiche a Sciacca. In pochi secondi viene attivato il verricello ed in circa tre interminabili minuti, con l’ansia di sapere cosa è successo, Louis ritorna a mettere piede sull’orlo del finestrone. Leggo nel suo viso, ormai libero dal granfacciale, un attimo di smarrimento, di comprensibile incertezza. Nella inconsueta tecnica di discesa, affidato ad un discensore non manovrato da lui ma interamente affidato ai compagni, allacciato a tubi d’aria che lo avvolgevano e perdi più con l’ingombrante fardello della bombola sulla schiena, gli era parso di vedere, attraverso la maschera, una infida nebbiolina che con la perfida cicalina del rilevatore di gas squillante ad attenderlo sul fondo gli aveva dato l’impressione potesse essere del gas in sospensione. Forse però, ed era proprio così, era solamente la maschera ad essere appannata! Dopo qualche minuto, forse anche spronato da quanto gli avevo detto cioé che se non se la sentiva potevamo lasciar perdere Louis si appresta con una nuova bombola alla seconda discesa, che inizia alle 13.22. Questa volta, dopo cinque minuti senza tentennamenti, finalmente il grande momento arriva: la corda repentinamente si allenta, come anche la nostra tensione. Il precedente recupero infatti ci ha dato la consapevolezza che il sistema adottato è valido e che tutto andrà nel migliore dei modi. Louis è sul fondo! Dopo aver verificato l’infernale aggeggio che continua a suonare soglia di rischio per otto ore all’esposizione all’anidride solforosa: 2.0, numero rilevato 2.2 do l’OK a togliersi la maschera ed a dare solamente un’occhiata in giro, visto il lungo tempo di permanenza in grotta, quando bisogna ancora procedere al recupero. La larghezza della base del pozzo e, aggiungo io, il timore di allontanarsi troppo dal cordone ombelicale che penzola perdendosi nel buio, non permettono a Louis di capire troppo di quanto lo circonda, ma comunque sembra di intuire che, al di fuori di una ripida china detritica, non si intravvedano ulteriori grandi pozzi da dove l’aria calda possa provenire. Ci sarà comunque ancora tempo tra due giorni (domani libertà per tutti!) per una più approfondita esplorazione. Ripreso ognuno il suo posto, inizia il recupero che, ormai sicuri dell’attrezzatura e di se stessi, avviene senza intoppi, tranne gli ultimi metri quando il tubo dell’aria si aggroviglia sulla corda ma viene presto risistemato. Bravo Louis, bravi tutti, il mostro è sconfitto!
La successiva discesa al fondo, a cui partecipa anche Davide, avviene come se quel pozzo l’avessimo fatto decine e decine di volte. Purtroppo, come già era nell’aria, non esistono prosecuzioni visibili. Anche la temperatura, più bassa (33,7°) conferma che il Trieste non è altro che un grande calderone dove convoglia l’aria più fredda dell’esterno e quella calda, proveniente certamente da qualche finestra attualmente imprendibile. Vengono fatte misure, fotografie, recuperati i resti della precedente spedizione, prelevati campioni di acqua, aria e pietre, risistemata in un posto più dignitoso la statuina di San Calogero, abbandonata precipitosamente nel ’79, avvolta ancora nel suo involucro, in silenziosa attesa del nostro arrivo. Chissà se la rivedremo ancora!
Il recupero avviene con la massima sicurezza, ma c’è dentro di me (ma solo di me, Giulio?) una profonda tristezza nel sapere che ormai il capitolo “Pozzo Trieste” è concluso, senza ne vincitori ne vinti. Certo, c’è di sicuro un altro pozzo aspirante da esplorare (che però sembrerebbe ritornare sul pozzo principale), c’è la certezza di una finestra soffiante aria calda (ma chi la prende?) ma ormai sono finiti i sogni di laghi ribollenti, di gallerie enormi in attesa di essere attraversate, di tecniche raffinate da adottare nel caso di …
No, Sciacca, comunque non ti dimentico. Dammi il tempo di sciogliere il groppo che lascia la fine di ogni storia d’amore e di passione. Le basi per venire a ritrovarti sono già state poste. Il Sindaco ed il Direttore delle Terme dicono di volerci ancora, per andare ad esplorare altre grotte ma soprattutto per insegnare ai loro compaesani a farlo da soli Spero. Non ci sarà bisogno di un altro saccense in trasferta a Trieste a dover nuovamente scuotere il torpore di pochi personaggi che purtroppo contano.
In una tiepida serata di marzo, abbandonati i tubi dell’aria all’interno della Cucchiara, quasi a proteggere come Cerbero la grotta dagli intrusi, dal traghetto che si allontanava quietamente da Palermo, puntando la prua al Continente, indicavo con molta malinconia agli amici monte Pellegrino, Castello Ulveggio, Mondello.
Finisce qui questa storia, ma già sulla nave si sentiva dire da qualcuno : dovremmo provare a vedere se. ..
                                                                                                                                                                                                                          Roberto Prelli

Si ringraziano le seguenti Ditte: DRAEGER, FERRINO PAPI SPORT

IL POZZO TRIESTE DEL MONTE KRONIO

Sistemazione delle tubazioni dell’aria lungo la grotta (Foto R. Prelli)

 “Se ti imbatterai in bosco sacro, denso di alberi vetusti, e cresciuti oltre l’altezza ordinaria e tale da sottrarti la vista del cielo con il fitto intrigo dei sui rami che si coprono a vicenda, I’altezza degli alberi, I’appartata solitudine e lo spettacolo suggestivo dell’ombra così compatta e continua pur nel bel mezzo di una campagna aperta, ti comproveranno la presenza di un nume. Se un antro formato da rocce profondamente erose tiene come sospeso un monte, un antro non fatto dalla mano dell’uomo, ma scavato da cause naturali per una larghezza così enorme, ebbene questo fenomeno colpirà il tuo animo con I’indefinita sensazione di una presenza divina. Veneriamo le sorgenti dei grandi fiumi; la polla improwisa di un imponente corso d’acqua, scaturita dal sottosuolo, ha i suoi altari; si onorano le sorgenti di acque termali. Alcuni stagni hanno acquisito sacralità per la cupezza o la profondità insondabile delle loro acque.”
                                                            SENECA. (Lettere morali a Lucilio) Lettera 41.3

Ore 13.27 di Domenica 8 marzo 1998, festa della donna

In questo giorno veniva parzialmente risolto un grande mistero che da molti anni affascinava i cuori degli speleologi triestini. Si toccava il conoide terminale del fondo del pozzo Trieste, una enorme campana vuota di oltre 100 metri invasa dai vapori termali, racchiudente uno dei più affascinanti e misteriosi fenomeni naturali collegabile ad una cavità sotterranea, facendo del sistema del monte Kronio un “unicum” mondiale.
Sondato per la prima volta da Mario Gherbaz nel 1978 a seguito della scoperta di un micro buchetto (la Gattaiola), dalla quale poi si propagherà tutta l’esplorazione della grotta Cucchiara, il pozzo Trieste sarà espressione di una tipologia di intervento nel sottosuolo del tutto anomala, date le condizioni oggettive particolarissime che ostacolano lo svolgimento delle normali operazioni tecniche speleologiche, (grandi verticali abbinate ad alte temperature). Molto comunque si è già detto e scritto su questo argomento, pagine di resoconti e di storia ipogea sono state date ai lettori di varia estrazione, e noi proseguiamo a voltare le pagine di questo affascinante libro che è il monte Kronio.
Nel 1979, Mario Gherbaz preparava a Trieste un trampolino di lancio per la sua esplorazione, il “palanchino” costruito in acciaio e sorretto da catene da collocarsi alla sommità del pozzone, cioè al suo accesso più comodo conosciuto allora, nei pressi della caverna delle Croste. Lo speleo doveva calarsi e poi risalire con un sistema di contrappeso dalla estremità del palanchino, il quale permetteva così di evitare un pericoloso sfregamento della corda sulla parete sottostante. Qualcosa però andò storto, una volta toccato il fondo il sistema di risalita si inceppò nel senso che per circa due ore non fu possibile recuperarlo, poi, anche grazie all’aiuto della troupe della RAI presente sul posto lo si issò a forza di braccia, (dobbiamo immaginarci questa gente che tira in cima al pozzo Trieste dove normalmente si suda e si affanna solamente a star fermi (è uno dei punti più caldi della grotta.). Nonostante gli anni non troppo lontani, anche per certi traguardi tecnici già raggiunti e pane quotidiano degli speleologi, sorgono diverse perplessità su come sia stato possibile realizzare una discesa cosi rischiosa adottando quella soluzione (per quanto il metodo del contrappeso sia un’ottima idea), cioè senza prevedere un recupero di emergenza ed affidando il tutto al coraggio di un individuo. Che si calò in una voragine nera di oltre 100 m di profondità , +38° di temperatura, 100% di umidità, forse qualche percentuale non troppo bassa di anidride solforosa, avvolto in una tuta ermetica raffreddata con un mono bombola avente aria sufficiente per 20′.
Non si tenne conto della possibilità di un recupero di emergenza, e l’emergenza ci fu, tanto che Mario Gherbaz quasi ci rimise la pelle, il resto è cronaca.
Queste riflessioni servono a far capire il monte Kronio, per un proseguo senza inconvenienti della sua esplorazione. La nostra presunzione non deve scavalcare le oggettive possibilità di riuscita. Il monte Kronio si affronta col lavoro di gruppo ed un forte apporto psicologico, lavorare in un ambiente infernale assordati dalla pressione dell’aria, capirsi al volo con il compagno magari solamente con un cenno o con un gesto per eseguire una manovra importante. Questo è il Kronio.
Una svolta importante avvenne nel 1986, durante una spedizione finalizzata ad eseguire dei filmati alle Stufe (gallerie Bellitti e di Milia) per conto della Soprintendenza Archeologica di Agrigento. Allora si tentò di calare una telecamera sul fondo del pozzo. Durante questo tentativo lo scrivente, assieme a Luciano Filipas, si mise a perlu-strare ulteriormente la galleria delle cosiddette “Croste”. Con nostra gioia mista ad incredulità scivolammo dietro ad un masso, ci calammo sotto un breve saltino ed eravamo già in esplorazione! Avevamo beccato la via principale, stavamo cioè seguendo una galleria dalle discrete dimensioni, aspirante tra l’altro gran parte dell’aria fredda; in quell’occasione scendemmo pure il p.10 e con grande meraviglia, e non senza difficoltà (non abbiamo mai usato il supporto dell’aria esterna alla grotta Cucchiara se non per quest’ultima esplorazione al pozzo Trieste) ci affacciammo per un’altra volta sul pozzone. La portata della scoperta fu subito chiara, il “Finestrone” era la strada giusta, il fondo era a portata di mano, una sessantina di metri da noi mentre alla base le pareti si allargavano in incognito mistero.
Poi la nostra attenzione fu rapita da zone più fredde e quindi più accessibili, si percorsero in esplorazione le galleria dei pipistrelli attraverso il “toboga” ed altre diramazione nuove non proprio invase dai vapori, due arrampicate in camino non riuscirono però a captare nuove evidenze utili alla comprensione del fenomeno e della circolazione delle diverse masse d’aria (1986-90). Ritornati a Trieste gli spiriti si ritemprarono ben presto in lunghi ed animati dopocena mentre piano piano nasceva l’idea finale della spedizione partorita in seno al “buon salotto” di casa Perotti, pioniere, nonché anima e maestro delle esplorazioni . In perfetto stile austro-siciliano scaturì il progetto “Sciacca 1998”. 1 termini furono decisi nell’adozione di un sistema elettrico di risalita a basso voltaggio, con ovviamente I’ausilio dell’aria esterna compressa ed inviata in grotta da un compressore ed alcuni autorespiratori “draeger” munito di maschera gran facciale e relativo rilevatore di gas nocivi, (in particolare ani-dride solforosa).
Riuscimmo a collaudare il sistema di risalita non senza difficoltà e poco prima di partire si ottimizzò il sistema ed in una settimana risalivamo tranquillamente con il solido “salpa ancore” a 12 V i 60 m della grotta Noe posta sul Carso triestino, simulando sulla parete di sinistra la condizione tecnica in cui ci saremmo imbattuti sul finestrone del pozzo Trieste.
Arrivati in Sicilia, sei giorni di intensi preparativi ci impegnarono notevolmente, e venne installato l’impianto il verricello fissato alla parete stesi i tubi ed i raccordi. L’impianto elettrico fu messo sotto tensione, si collaudò il generatore sostitutivo d’emergenza, gli uomini al loro posto di manovra grondavano di grosse perle di sudore, gli autorespiratori giacevano sul bordo presso il finestrone nei pressi del deviatore, ed il rilevatore dei gas calato sul fondo del pouo assieme ad il telefono in ascolto continuo si mise a pigolare: bip-bip-bip, owiamente si mise in allarme. Poco male c’erano le “draeger”. Sullo strumento si sono sollevati forti dubbi e perplessità a riguardo il suo utilizzo in ambienti sotterranei, precedenti ed ulteriori verifiche riscontrarono notevoli alterazioni nel suo corretto funzionamento al di fuori degli ambienti industriali. Ad esempio la stessa vicinanza delle lampada a carburo lo mette rapidamente in “allarme rosso”.
Alle 12.00 eravamo pronti, attrezzati con le speciali tute, ottimizate nel ’86 e nei primi anni ’90. E pronti a farmi calare là dove 19 anni prima Gherbaz aveva rischiato la vita. Tutta la tensione di mesi di progetti e di preparativi e di precedenti spedizioni si stavano per concentrare in quell’unico atto, di scendere i sessanta fottuti metri tra noi ed il fondo.

LA DISCESA. Ore 13.05

la corda si tese e sordo per il fischiare dell’aria compressa detti il segnale convenuto per essere calato. Avvolto nel pulviscolo ed il vapore sospeso, presto sentii il peso del bombola sulle spalle mentre scendevo. Le pareti di roccia marcia piene di croste in bilico si allontanarono, primo errore, la bombola troppo pesante creava eccessivo stress, il vetro del gran facciale continuamente velato dal vapore toglieva la visuale e specialmente il controllo del manometro. Percorsa metà strada o poco meno decisi di allargare le braccia. La calata si arrestò immediatamente, Davide al deviatore dette l’ordine per il recupero, io dondolando lievemente, nel centro dello stomaco nero del Kronio, enorme, con la sinistra armeggiavo il faro sondando e cercando lungo quelle vaste pareti del fondo, e pensavo così: collaudiamo ancora una volta la risalita. Dopo alcuni lunghissimi minuti il primo strattone e poi costantemente mi riavvicinai alla parete putrida. Fino a Davide e Roberto con i loro sguardi preoccupati. Mi cambiai la bombola, presi quella piena, in 15′ minuti ne ave vo consumato la metà, questa volta la agganciai alla corda, ventralmente, il manometro ben in vista, pulii bene il gran facciale, lo asciugai e lo raffreddai con l’aria.
Ore 13.23, si ritentò, ripercorsi la parete marcia, e costantemente con l’impaccio della tubazione di servizio collegata alla Ma, mi avvicinai dolcemente ai primi grossi blocchi disseminati sulla collina detritica che caratterizza il fondo del Pozzo Trieste. Lentamente con grande emozione sfiorai la prima pietra, mi sentii uno speleo-astronauta. Respiravo ancora l’aria della bombola, non ero in acqua e mi muovevo goffamente, tirando il tubo di raffreddamento che mi accompagnava stile palombaro. Dovevo sganciare l’autorespiratore, la corda si allentò, ero di nuovo padrone di tutto il mio peso, e sentii l’onere di muovermi, dovevo sganciarmi dalle corda per raggiungere il rilevatore qualche metro più in là, la luce rossa pulsava attraverso il contenitore. Un sottile senso di disagio, ero sganciato, solo senza il cordone ombelicale che mi univa al mondo dei miei compagni. Respiravo ancora avidamente dalla bombola. Raggiunto il rilevatore digitale lessi il display: 2.2, OK i valori di anidride solforosa non erano eccessivamente alti, primo contatto telefonico con il finestrone, avvisai che andava tutto bene ed informai Roberto sui valori dello strumento. Decisi quindi di togliermi la “maschera”. Di colpo aspirai brodo tiepido. Faceva caldo e lo stress della discesa e le diverse masse d’aria respirate mi ubriacarono. Barcollai leggermente. Il fischio dell’ultimo rubinetto d’aria aperto era assordante, sicuramente dall’esterno avevano aumentato la pressione, mi avvicinai per sistemare le prolunghe necessarie per l’esplorazione dell’indomani. Fissai i due tubi, mi agganciai al più corto, e mossi i primi passi incerti tra le macerie del fondo. A vederlo al suo termine, il pozzo Trieste è come la base di una qualsiasi grande verticale, quando “atterrai” fui rassicurato da quelle caratteristiche morfologiche ben familiari. Ero in una grotta che assomigliava in linea di massima ad una grotta interessata in quel tratto da grandi fenomeni elastici, i volumi erano notevoli e faceva un caldo d’inferno. Ero in piedi sul fianco del conoide terminale, mi mossi verso la cima, tutto attorno aveva un aspetto molto asciutto “secco”, dopo pochi metri mi imbattei nei resti dei materiali lasciati da Mario Gherbaz nel ’79. Non toccai nulla. Era passata mezzora constatando la vastità, proiettai il faro verso il punto più profondo cercando tra le quinte di roccia la prosecuzione. Tornai alla corda, era il momento di farsi tirare su, mi agganciai e parlai al telefono poi attesi. Lentamente mi ritrovai nel vuoto, c’era qualcosa, tra il caldo ed il pulviscolo, ero in un romanzo di “Urania”.
Il giorno dopo scendemmo io e Davide. Dalla raccorderia del fondo ci dividemmo. Perlustrammo 1450 m di circonferenza della base a tratti ci staccammo dal supporto dell’aria esterna per rendere più agevole il lavoro ma purtroppo non ci fu possibile individuare prosecuzioni importanti, notammo alcuni arrivi sui fianchi del pozzo di cui uno collegabile alla galleria dei pipistrelli. Procedemmo con la topografia, visitammo il bivacco Gherbaz concedendoci qualche foto. Constatammo come tutti i materiali metallici si trovassero in uno stato di estrema alterazione, di una maniglia di risalita, credo una jumar, rimaneva solo l’impronta liquefatta su un masso. Solo i materiali sintetici conservavano, almeno apparentemente un aspetto normale.
Undici marzo, ultima discesa al pozzo, lo perlustrammo ancora una volta e perfezionammo il rilievo e raccogliemmo i campioni d’aria di condensati e le temperature e gli altri dati. Constatammo di come la temperatura fosse più fredda verso il fondo, evidentemente il collegamento con il sistema termale più profondo era da cercare in qualche pozzo o sistema parallelo individuabile dalle pareti della verticale, ben più in alto dalla base. Nell’ultima risalita a disposizione perlustrammo le pareti fino ad individuare alcune probabili diramazioni. Il tempo per il pozzo Trieste era scaduto rimaneva per il giorno dopo l’onere del recu-pero, e specialmente la nostalgia di lasciare un angolo di mondo così bello, antico, capriccioso e lontano.
                                                                                                    Louis Torelli

ASPETTI TECNICI

È alquanto bizzarro ricordare ora, con qualche grado in meno ed un pizzico di esperienza in più, l’equipaggiamento così insolito alla speleologia tradizionale ma che, nel bilancio di pro e contro, si è dimostrato efficace per la nostra spedizione. L’elemento fondamentale che ha suggerito certe scelte tecniche è stata sicuramente la temperatura e l’ambiente in cui si doveva lavorare: evitare gli sforzi in fase di esplorazione attraverso una la struttura sicura, pratica ed efficace. La scelta sostanziale è caduta su un argano elettrico, che consentisse il recupero sul pozzo Trieste, utilizzando la tradizionale corda statica 010 mm. Oltre a questo elemento, una serie di accessori utili ed indispensabili per il corretto funzionamento dello stesso, ma anche come supporto in zona esplorazione e lungo il percorso della Grotta Cucchiara nonché come appoggio e comunicazione con l’esterno.

 1. L’ARIA

Già sperimentata nelle precedenti spedizioni in questo particolare sistema ipogeo, l’utilizzo di aria compressa come refrigerio sul proprio corpo non ha dato immediatamente un riscontro positivo ma, con l’abitudine quotidiana di convivere in tali ambienti, è diventata fondamentale aiutando molto i nostri corpi a superare anche diverse ore nelle zone più calde. Come fonte, è stato utilizzato un compressore industriale con una capacità di circa 20.000 Litri predisposto in modo tale da erogare aria compressa con una pressione tra 4 ed i 5 bar. Attraverso una tubazione da 1 pollice, l’aria veniva distribuita (con un alinea di circa 500 m.) su terminali con sezione 12 mm. e poi, attraverso attacchi rapidi, collegata alle nostre tute. Queste ultime, di tradizionale materiale traspirante, sono state accessoriate da tubi 0 8 mm. forati e distribuiti all’interno delle stesse secondo le esigenze individuali (schiena gambe cuore …) e da un’uscita munita di mascherina in gomma per refrigerare il volto. Alcuni rilevamenti effettuati hanno dimostrato che tale sistema riesce ad offrire una temperatura all’interno della tuta attorno ai 2425 “C contro i 33-34°C esterni. (Nonostante questo dato possa suggerire il contrario, vi assicuro che fa comunque caldo!).

2. IL VERRICELLO

Noto come salpa ancore, è sostanzialmente un argano elettrico alimentato a 24 V in cc (corrente continua) con possibilità di inversione di marcia ed azionabile manualmente. Le esigenze di alimentazione hanno richiesto di prelevare dall’esterno l’alimentazione di linea 220 V ac (corrente alternata) fino alla zona esplorazione owero sopra al pozzo. Per trasformare il 220V in 24V cc è stato necessario utilizzare, un trasformatore 220 24 ed un ponte raddrizzatore a diodi 24V ca 24V cc. Sulla scatola di contenimento del ponte sono posizionati i comandi di marcia avanti e marcia indietro.
Piccola nota: I PESI! Verricello circa 18 Kg., ponte di diodi circa 10 Kg., trasformatore circa 25 Kg.

3. LE COMUNICAZIONI

Molto utile si è dimostrato il collegamento telefonico per mezzo di linea chiusa a citofoni tra l’esterno e la zona esplorazione. In particolare, i punti di collegamento sono stati così strutturati: Linea citofoni Pozzo Trieste punto di controllo al “finestrone” ingresso G. Cucchiara compressore Collegamento radio Ingresso G. Cucchiara alimentazione elettrica

4. STRUMENTAZIONE

Sia per un apetto scientifico, ma soprattutto per la nostra sicurezza, è stata monitorata la presenza di Anidride Solforosa per mezzo di un rilevatore “Drager” con sensore EC S02. Inoltre, in caso di una presenza sopra i limiti accettabili di tale gas, sono stati predisposti degli autorespiratori con “gran facciale”.

 4. LA ZONA DI MANOVRA SUL FINESTRONE

Era questo il punto chiave per I’esplorazione del Pozzo Trieste: in questo punto è stata installata l’attrezzatura di recupero sopra descritta fissando a parete il verricello per mezzo di fix 0 8 mm. lunghi con relativi attacchi di sicurezza. Sia a valle che a monte di quest’ultimo, sono stati predisposti comuni paranchi per assicurare sia un’inversione di marcia (per la discesa è stato preferito un sistema manuale senza verricello) che un eventuale recupero a contrappeso nel malaugurato caso di un guasto. Il corretto utilizzo del sistema ha richiesto tre persone: due alle manovre ed una sull’orlo come sponda per lo speleo in esplorazione sul pozzo.
                                                                                              Massimiliano Fabi

A PROPOSITO DI RABDOMANTI

Parecchio si è discusso, a favore o contro, circa l’utilità dei rabdomanti nella ricerca di cavità sotterranee. Forse per troppo tempo la mia pigrizia nello scrivere mi ha trattenuto dal portare una personale testimonianza in merito, testimonianza che ritengo potrebbe confortare i favorevoli.
Nel 1962 a Sciacca, nel corso della nostra quarta spedizione alle Stufe di San Calogero, si lavorava per aprire uno scavo archeologico nel poco confortevole ambiente delle caverne superiori; della parte scientifica era incaricato anche dalla Soprintendenza di Agrigento Tiné (il nostro socio onorario, ordinario di paletnologia all’università di Genova, che ha preso parte alle prime avventurose spedizioni nelle Stufe di San Calogero).
Un giorno venimmo informati dagli amici (a quel tempo a Sciacca ne contavamo tanti) avv. Puleio e avv. Alba che, in località Tranchina, durante un’aratura di scasso era venuto alla luce materiale preistorico. Il mattino seguente eravamo sul posto; loro si erano fatti accompagnare dal signor Caltanisetta, presentatoci come esperto rabdomante. Quest’ultimo, preso in mano un coccio si mise a lavorare con la bacchetta, segnalando in breve tempo 15 siti, ubicati senza ordine alcuno e senza che in superficie vi fosse nulla di particolare. Gli scavi, subito iniziati, diedero risultato positivo per undici siti: si trattava di tombe neolitiche sotterranee a forno, perfettamente intatte ed i cui corredi funerari (ed una tomba strappata intatta dalla roccia) sono oggi esposti al museo di Agrigento. Solo quattro delle quindici segnalazioni diedero esito negativo.
L’episodio più appariscente da punto di vista speleologico avvenne invece qualche giorno dopo. Dalla finestra dell’alberghetto sito sulla vetta del Cronio ove alloggiavo scorsi il Caltanisetta che armeggiava con bacchetta, vernice rossa e pennello sul piazzaletto che divide I’albergo dal convento: stava tracciando sul terreno una specie di planimetria. Noi allora avevamo non un rilievo vero e proprio delle gallerie inferiori, ma soltanto uno schizzo (“rilievo speditivo”) fatto a memoria nel 1958 basandoci su tre direzioni assunte fortunosamente con la bussola. Una di queste e ce ne accorgemmo poi era sbagliata di 90°, per cui secondo noi era impossibile che le caverne si sviluppassero là sotto, come indicato dal Caltanisetta. Il rabdomante (che intanto io avevo fotografato) insisteva sulla sua segnalazione, dando alla galleria una profondità di 40 metri, un’altezza di quattro e indicando la posizione precisa di due vasi. Aveva ragione lui: ritornati nel 1974, ben altrimenti attrezzati, facemmo un rilievo di precisione e lo confrontammo con le tracce di vernice ancora visibili sul piazzaletto. Corrispondeva.
Dopo il 1962 ebbi parecchie occasioni di ritornare a Sciacca, quasi sempre accompagnato dal buon Coloni, non mancando mai di cercare il Caltanisetta per vederlo all’opera, dato che le sue qualità mi stupivano sempre di più: un giorno è stato in grado di seguirci in superficie mentre stavamo esplorando una caverna, riferendo a mia moglie gli spostamenti che stavamo facendo. Altre volte ci indicò, rilevandole da una certa distanza, zone in cui era presente materiale preistorico. Un giorno volle mostrare come reagiva la sua bacchetta in presenza dell’acqua: si accorse che due bottiglie che avevamo con noi, perfettamente identiche, avevano contenuto diverso. Infatti in una vi era acqua potabile, mentre l’altra conteneva acqua di condensa dei vapori delle Stufe, fatto di cui lui non era assolutamente a conoscenza.
Seguendolo nelle sue prospezioni potei notare che per entrare, per così dire, in sintonia con l’oggetto delle sue ricerche aveva bisogno di tenere nella mano qualche cosa di attinente, e precisamen

  • per trovare il vuoto: una bottiglietta vuota;
  • per trovare l’acqua: una bottiglietta con acqua;
  • per trovare una persona: un oggetto che fosse stato in contatto con la stessa;
  • per trovare ceramica: un coccio (ma della stessa composizione: impasto o cottura);
  • per trovare le tombe: una bottiglietta vuota, ceramica, ossa umane (quelle animali non davano risultati).

Potei notare inoltre che, qualora accompagnato, le persone (meglio se una sola) era opportuno si tenessero ad una certa distanza e soprattutto non pensassero al sito in cui potesse trovarsi l’oggetto della ricerca, in quanto questo lo influenzava notevolmente portandolo a dare indicazioni errate. Era poi notevolmente disturbato dal vento, dalla pioggia e anche dalla presenza di persona che lo osservasse con scetticismo: a questo proposito Coloni era proprio una vera frana!
Agli inizi degli anni ’70 il signor Caltanisetta si trasferì a Palermo, mi sembra per aprire una lavanderia, e così non ebbi purtroppo più la possibilità di incontrarlo. Mi auguro che stia sempre bene e che abbia conservato le sue eccezionali qualità.
                                                                                             Giulio Perotti