Bruno Cosmini

1 agosto 1929. Bruno Cosmini all’ingresso dell’Inghiottitoio di Coticina.(Foto Scapin)

BRUNO COSMINI (TRIESTE 1909 – TRIESTE 2003)

Nei primi mesi del 2003 è venuto a mancare Bruno Cosmini, speleologo triestino attivo dal 1923 ai primi anni ’90. Nato nel 1909 ha iniziato ad andare in grotta a quattordici anni con un gruppetto di amici, inserendosi poco dopo nel fortissimo Gruppo Grotte dell’Associazione XXX Ottobre di Trieste. Rimarrà nel Gruppo, partecipando alle maggiori esplorazioni compiute dallo stesso, sino al 1933, anno in cui passa alla Società Alpina delle Giulie della cui Commissione Grotte diventa membro. Nel 1929, esplorando un abisso sito fra Fernetti e Monrupino (la futura Grotta dell’Elmo, 2686 VG), scopre e riporta in superficie un elmo di bronzo risalente al VI-V secolo a.C. Il reperto viene donato dai grottisti della XXX Ottobre all’archeologo Raffaello Battaglia che lo consegnerà al Civico Museo di Storia ed Arte di Trieste, nelle cui sale è tuttora esposto.
Nella sua lunga carriera di speleologo oltre ad interessarsi di archeologia – ha collaborato con Diego de Henriquez nelle ricerche effettuate nella Grotta di Ospo, 68 VG, ha esplorato e topografato un centinaio di cavità; parecchi dei suoi rilievi, molto apprezzati sia per la precisione che per la resa grafica, sono stati pubblicati nel 1938 nella monografia di Eugenio Boegan “Il Timavo”.
Negli anni del secondo dopoguerra gli speleologi triestini gli hanno dedicato una grotta da lui esplorata e rilevata nei suoi anni giovani: la Grotta Cosmini, n. 561 VG. Nel 1993 il Comitato Regionale per la Difesa dei Fenomeni Carsici gli ha assegnato, per i meriti acquisiti nella diffusione della conoscenza del Carso sotterraneo, la Targa la Merito “San Benedetto Abate”, giusto riconoscimento a settant’anni di attività legata alle grotte del Carso.
Testo di Pino Guidi pubblicato su Speleologia 48: 95, Bologna giu. 2003
E’ stato socio della Commissione Grotte dal 1933 al 2003
Bibliografia speleologica
1979 (Con Marini D.): L’ultimo baratro del Carso. La Grotta dell’Elmo, Alpi Giulie73: 76-82

 BRUNO COSMINI (ulteriori note)

E’ nato a Trieste il 18 novembre 1909. A quindici anni inizia ad andar per grotte con un gruppo di amici (Fonda, Diego de Enriquez, i fratelli Pirnetti), costituendo un loro gruppetto molto affiatato e indipendente che può contare sul possesso di una tenda da campeggio, 90 metri di scale e 100 di corde.
Verso la fine del 1926, impossibilitato per mancanza di scale a completare l’esplorazione dell’abisso del Colle Pauliano, si rivolge a Cesare Prez: è l’inizio della collaborazione con i grottisti della XXX Ottobre, collaborazione che durerà alcuni anni e nel corso della quale il Cosmini avrà modo di scendere in centinaia di cavità, di molte delle quali eseguirà il rilievo [nel catasto delle Grotte della Venezia Giulia portano la sua firma una cinquantina, ma risulta che molti rilievi sono rimasti nel suo cassetto]. Fra le molte zone da lui battute quella che indubbiamente gli dà maggiori soddisfazioni è il lembo di Carso che gravita attorno a Fernetti, zona in cui scopre e rileva parecchi abissi (nel senso classico triestino di profondi pozzi carsici) di 80/100 metri di dislivello. In uno di questi – la Grotta dell’Elmo, 2696 VG – trova, semisepolto nel cono detritico, un elmo di bronzo, ora conservato al Civico Museo di storia ed Arte, risalente al V-VI secolo a.C.. Di questa fortunata scoperta ne parlerà 50 anni dopo quando, convinto dal Marini – pubblicherò una nota rievocativa corredata da alcune belle tavole [Alpi Giulie 1979].
Di tutte le cavità da lui rilevate (sia profonde come l’Abisso di Samatorza, 2781 VG, quello di Basovizza, 229 VG, quello di Monrupino, 2697 VG, o piccole caverne e pozzetti) non si è sentita la necessità di una revisione: a differenza di parecchi rilevatori a lui coevi o posteriori, le misure date corrispondono con buona approssimazione a quelle reali [va ricordato che le verticali venivano misurate contando i metri delle scale, cosa che poteva portare a delle differenze], mentre anche le rappresentazioni grafiche hanno sempre saputo cogliere di ogni cavità sia i tratti essenziali – con il nord al posto giusto – sia i dettagli morfologici che ancor oggi sfuggono a molti rilevatori “superficiali”. Per precisione e capacità di sintesi grafica Cosmini si può indubbiamente considerare degno allievo della scuola di Boegan e di Berani.
Alla fine degli anni ’20, a seguito della crisi conseguente all’inserimento della XXX Ottobre nell’Opera Nazionale Dopolavoro, passa a militare nelle fila dell’Alpina, della cui Commissione Grotte risulta ufficialmente far parte dal 1933. Sono, per Cosmini, gli anni speleologicamente più produttivi, almeno da come appaiono in retrospettiva esaminando i suoi rilievi inseriti in Catasto: dai 6 rilievi del 1928 si passa ai 25 del 1929, ai 14 del 1930, con una decrescita l’anno successivo, 6 grotte, che si riducono ad una nel 1932, quando ormai gli impegni della vita gli lasciano sempre minor tempo da dedicare alle esplorazioni sotterranee.
Ottimo tecnico dei motori elettrici il suo lavoro, svolto in gran parte a bordo di navi, lo allontana infatti dal Carso e dalle grotte, ma non dall’interesse per le stesse, per cui, anche quando viene richiamato alle armi – siamo ormai giunti in prossimità della seconda guerra mondiale – trova modo di visitare le cavità carsiche delle zone in cui il suo reparto si trova ad operare. Rileva così grotte della Libia (Derna) e della Sardegna.
La fine della guerra lo vede di nuovo imbarcato e  costretto a trascurare il Carso sotterraneo, mondo al quale ritorna nel 1970, allorchè, ormai in pensione, riprende a frequentare la sede dell’Alpina e ad accompagnare nelle escursioni sabatine dedicate agli scavi il gruppo di non più giovani ‘Grottenarbeiter’ della Commissione.
Abile disegnatore, trova una sua collocazione nella Società divenendo l’illustratore delle grotte trovate dalla squadra scavi, grotte che provvede a ridisegnare contornandole di un particolare tipo di tratteggio in cui diviene ormai indiscusso maestro; le sue tavole, poste a corredo di lavori catastali come pure di tutti i lavori descrittivi delle grotte del Carso, sono fra le più belle di quelle pubblicate da Progressione negli anni 1981/1993. Gli originali delle stesse, finemente acquarellati, sono stati poi inseriti in catasto, palese testimonianza di un modo di sentire la speleologia oggi un po’ raro; con tanta modestia e con tanto amore. Nell’ottobre 1993 gli viene assegnata da Comitato Difesa Fenomeni Carsici la targa San Benedetto.

 Ulteriori notizie su Bruno Cosmini si possono trovare in:

– -, 2003: Necrologi. Bruno Cosmini, La Gazzetta dello speleologo, 77:8
Corazzi R., 1998: Ottant’anni di esplorazioni speleologiche e ricerche scientifiche per lo sviluppo della speleologia italiana, Annali del Gruppo Grotte dell’A.XXX.O., vol. X: 9-56
Guidi P., 2003: In ricordo. Bruno Cosmini, Alpi Giulie, 97/1: 79-80

COSMINI Bruno – UN ALTRO VECCHIO SOCIO CI HA LASCIATO

Disegno originale dell’elmo eseguito dal Cposmini dopo il ritrovamento
Pubblicato sul n. 48 di PROGRESSIONE – anno 2003

La primavera del 2003 ci ha portato via un altro vecchio e affezionato consocio, Bruno Cosmini. Nato a Trieste il 18 novembre 1909, inizia ad andar per grotte giovanissimo, coadiuvando il professor Viezzoli nell’assunzione del rilievo della Grotta GEI, 1077 VG, presso Basovizza; a quindici anni costituisce con alcuni amici (Fonda, Diego de Enriquez, i fratelli Pirnetti) un gruppo grotte molto affiatato e indipendente, che può contare su di un parco attrezzi notevole per quegli anni (una tenda da campeggio, 90 metri di scale, 100 metri di corde), e che oltre alle esplorazioni delle grotte si interessa pure di archeologia. Verso la fine del 1926, impossibilitato per mancanza di scale a completare l’esplorazione dell’abisso del Colle Pauliano, si rivolge a Cesare Prez, una delle colonne del Gruppo Grotte della Associazione XXX Ottobre: è l’inizio della collaborazione con i grottisti di questo gruppo, collaborazione che durerà alcuni anni e nel corso della quale il Cosmini avrà modo di scendere in centinaia di cavità, di molte delle quali ese­guirà il rilievo (nel catasto delle Grotte della Venezia Giulia ne portano la firma una cinquantina, ma sembra che molti rilievi siano rimasti nel suo cassetto). Fra le molte zone da lui battute quella che indubbiamente gli dà maggiori soddisfazioni è il lembo di Carso che gravita attorno a Fernetti, zona in cui scopre e rileva parecchi abissi (nel senso classico triestino di profondi pozzi carsici) di 80/100 metri di dislivello. In uno di questi – la Grotta dell’Elmo, 2696 VG – trova, semisepolto nel cono detritico, un elmo di bronzo risalente al V-VI secolo a.C., ora conservato al Civico Museo di Storia ed Arte di Trieste.

Grotta di Cacitti. Bruno Cosmini è il terzo da sinistra (Foto archivio del CAT)

Di questa fortunata scoperta ne parlerà 50 anni dopo quando, convinto dal Marini, pubblicherà sul numero del 1979 di Alpi Giulie una nota rievocativa corredata da alcune belle tavole. Di tutte le cavità da lui rilevate (sia profonde come l’Abisso di Samatorza, 2781 VG, quello di Basovizza, 229 VG, quello di Monrupino, 2697 VG, o piccole caverne e pozzetti) non si è sentita la necessità di una revisione: a differenza di parecchi rilevatori a lui coevi o posteriori, le misure date corrispondono con buona approssimazione a quelle reali (va ricordato che le verticali venivano misurate contando i metri delle scale, cosa che poteva portare a delle differenze), mentre anche le rappresentazioni grafiche hanno sempre saputo cogliere di ogni cavità sia i tratti essenziali – con il nord al posto giusto – sia i dettagli morfologici che ancor oggi sfuggono a molti rilevatori “superficiali”. Per precisione e capacità di sintesi grafica Cosmini si può indubbiamente considerare degno allievo della scuola di Boegan e di Berani. Alla fine degli anni ’20, a seguito della crisi conseguente all’inserimento della XXX Ottobre nell’Opera Nazionale Dopolavoro, passa a militare nelle fila dell’Alpina, della cui Commissione Grotte risulta ufficialmente far parte dal 1933. Ottimo tecnico dei motori elettrici, il suo lavoro – svolto in gran parte a bordo di navi – lo allontana dal Carso e dalle grotte, ma non dall’interesse per le stesse, per cui, anche quando viene richiamato alle armi – siamo ormai giunti in prossimità della seconda guerra mondiale – trova modo di visitare le cavità carsiche delle zone in cui il suo reparto si trova ad operare. Rileva così grotte presso Derna in Libia e in Sardegna. La fine della guerra lo vede di nuovo imbarcato e costretto a trascurare il Carso sotterraneo, mondo al quale ritorna nel 1970, allorché, sessantenne ormai in pensione, riprende a frequentare la sede dell’Alpina e ad accompagnare nelle escursioni sabatine dedicate agli scavi il gruppo di non più giovani ‘Grottenarbeiter’ della Commissione. Abile disegnatore, trova in quegli anni una sua collocazione nella Società divenendo l’illustratore delle grotte trovate dalla squadra scavi, grotte che provvede a ridisegnare contornandole di un particolare tipo di tratteggio in cui diviene ormai indiscusso maestro; le sue tavole, poste a corredo di lavori catastali come pure di tutti i lavori descrittivi delle grotte del Carso, sono fra le più belle di quelle pubblicate da Progressione negli anni 1981/1993. Gli originali delle stesse, finemente acquerellati, sono stati poi inseriti in catasto, palese testimonianza di un modo di sentire la speleologia oggi un po’ raro; con tanta modestia e con tanto amore. Per i “meriti acquisiti nell’esplorazione delle cavità del Carso Classico e per la loro rappresentazione grafica” nel 1993 gli viene assegnato dal Comitato Regionale per la Difesa dei Fenomeni Carsici la Targa al Merito San Benedetto Abate, segno di stima che la speleologia regionale assegnava ogni anno a chi si fosse distinto e avesse ben meritato nel campo della speleologia. Ci ha lasciato il due maggio 2003, uno degli ultimi ad aver conosciuto personalmente Eugenio Boegan e ad aver vissuto quelli che sono stati veramente gli anni d’oro della speleologia giuliana.
                                                                                                              Pino Guidi

Il disegno di Cosmini del punto in cui alla 2696 VG venne trovato l’elmo (da Alpi Giulie

UN RICORDO, UN PENSIERO PER BRUNO
Arrivai a casa di Bruno tutto intimorito e pieno di attenzioni; con faccia tosta gli avevo telefonato per farmi raccontare di storie delle esplorazioni della sua gioventù. Aprì la porta questo vecchietto arzillo (aveva già 90 anni) e con lo sguardo furbo e rapido, forse contento della visita di questo giovane grottista tanto diverso da lui e dai suoi tempi. Incalzato, iniziò a raccontare di tempi andati, di esplorazioni estreme per l’epoca, di record di pro-fondità mondiali, di aneddoti curiosi e “witz” attributi a Comici, a Prez o a Cesca, raccontò dei nomi che fecero grande la speleologia triestina negli anni ’20 e ’30: lui li aveva conosciuti di persona, era con loro, era uno di loro, ed ora era qui davanti a me, mentre io venivo investito dalla sua immagine e dai suoi ricordi. Notai che mentre raccontava il tempo si era fermato, e lui era tornato nel 1928 all’Abisso Bertarelli o con l’elmo etrusco in testa alla Grotta dell’Elmo, era di nuovo a casa del cavalier Boegan (così lo chiamava lui) a consegnare i rilevi per la pubblicazione del “Timavo”, era di nuovo sugli autocarri del Regio Esercito per le strade della Ciceria.
E parlando con lui anche nelle visite successive che ci scambiammo, notai il suo rammarico per la perdita di tradizioni, per la facilità con cui si cancellavano i ricordi e i nomi nelle società speleologiche, la leggerezza con cui i giovani perdevano l’identità del gruppo. Parlava così a me che ero un giovane e forse mi chiedeva indirettamente perché accadeva questo, se era una sua impressione o se effettivamente…Oggi che Bruno è morto, e ripenso alle nostre chiacchierate, devo dire che aveva visto nel giusto: quanti dei 30enni e dei 20enni della CGEB sanno chi era e cosa ha rappresentato Cosmini nella storia della speleologia triestina? Quanti sanno cosa accadde in quel splendido periodo degli anni ’20 e ’30 nelle regioni carsiche della Venezia Giulia? Ecco, forse questo voleva dire Bruno ai giovani: non dimenticate, non fate scordare, portate avanti la tradizione ma con conoscenza e rispetto, non ricordo sterile e da simil-lancio pubblicitario (…la società speleologica più vecchia del mondo). Forse emotività data dalla conoscen­za personale, ad ogni modo rimasi sconcertato quando ai funerali ci ritrovammo in quattro della CGEB e Spinella del REST, in cinque a rappresentare la speleologia triestina e regionale, un cinquantenne, tre sessantenni, ed io, metà degli anni di quest’ultimi, a salutare per l’ultima volta uno dei più grandi della speleologia triestina. Non una società, non un organismo, non un comitato, non una federazione. Funziona così ora? Oblio ed estinzione morale d’identità e cultura speleologica, altro che corsi di speleologia a reclutare “nuove leve”. Addio Bruno ed un abbraccio, dovunque tu sia: …ti ricordi che risate quella volta che mi raccontasti che Prez in stazione a Cosina urlò al capostazione che non faceva partire il treno… “sugaman de condoto!” …e quando ti dissi che avevo trovato la tua firma del 1928 sotto il P.130 del Bertarelli, con ancora dei resti della bussola di Battellini …o quella volta che portaste in grotta in Ciceria il gerarca del PNF Domeneghini e successe che tu e Dimini e Trevisan…
                                                                                              Riccardo Corazzi